Ricordi di adolescente :" Sfogliando in un vecchio quaderno di appunti:la rivoluzione ungherese "
Carmine Senatore
Avevo fatto amicizia col giornalaio, un vecchio compagno di scuola, Salvatore Mazzeo. Per la verità, piuttosto che giornalaio era un sarto, che aveva collegato alla sartoria un negozio nel quale vendeva un po’ di tutto, dagli alimentari ai giornali.
La mattina mi recavo alla sartoria e leggevo i giornali del giorno. Sfogliavo qualche rivista e a volte prendevo appunti sui fatti di cronaca, che poi elaboravo con la sua fantasia.
Era l’ottobre del 1956 , un fatto mi sconvolse: l’insurrezione ungherese. Fu una sollevazione armata di spirito anti-sovietica scaturita nell’allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10 – 11 novembre 1956. Venne alla fine duramente repressa dall’intervento armato delle truppe sovietiche. Molti furono i morti da entrambe le parti. La rivolta ebbe inizio il 23 ottobre 1956 da una manifestazione pacifica di alcune migliaia di studenti. In poco tempo molte migliaia di Ungheresi si aggiunsero ai manifestanti e la manifestazione (inizialmente a sostegno degli studenti della città polacca di Poznań, in cui una manifestazione era stata violentemente repressa dal governo), si trasformò in una rivolta contro la dittatura di Mátyás Rákosi, una “vecchia guardia” stalinista, e contro la presenza sovietica in Ungheria. Nel giro di alcuni giorni, milioni di ungheresi si unirono alla rivolta o la sostennero. La rivolta ottenne il controllo su molte istituzioni e su un vasto territorio. I partecipanti iniziarono a rafforzare le loro politiche. Vi furono esecuzioni sommarie di filo-sovietici e membri dell’ÁVH (polizia politica, particolarmente invisa alla popolazione). Dopo varie vicissitudini il Partito Ungherese dei Lavoratori nominò primo ministro Imre Nagy che concesse gran parte di quanto richiesto dai manifestanti, finendo per interpretare le loro istanze, identificandosi con la rivoluzione in Il 4 novembre l’Armata rossa arriva alle porte di Budapest e inizia l’attacco, trovando un’accanita resistenza nei centri operai; la sproporzione delle forze in campo è tale che le resistenze hanno comunque vita breve. Questa volta inoltre le truppe sono preparate e non si faranno cogliere di sorpresa. In serata Kádár raggiunge l’Ungheria e annuncia dalla città di Szolnok, con un messaggio radio, la formazione di un “governo rivoluzionario operaio e contadino”.
La repressione feroce dell’insurrezione da parte delle truppe sovietiche fece nascere in me, pur essendo adolescente, enorme sdegno . Io, pur avendo simpatia per le idee socialiste, rimasi perplesso e gli avvenimenti fecero nascere in me sospetti su certezze e traguardi. Il mio intercultore, a cui manifestare il mio sdegno e le mie perplessità:Carmine Celentano, rigidamente ancorato alla direttive del PCI d’allora e alla simpatia per l’Unione sovietica.Carmine Celentano poi emigrato in Canada.
Pubblicato su carta sin dal 1993, è uno dei più longevi periodici dell'area della Piana del Sele e Cilento. La Collina degli Ulivi online vuole essere ancora di più un luogo di informazione, ascolto e diffusione di idee, anche attraverso l'interazione in tempo reale con i suoi lettori in ogni parte del mondo.
martedì 31 marzo 2009
Donatella Palazzo Bambini e adolescenti Ediz. "noitre"
Donatella Palazzo
Bambini e adolescenti
Ediz. "noitre"
di Carmine Senatore
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Il libro è stato presentato giovedì ,27 marzo, nella sala consiliare del comune di Battipaglia dall'autrice Donatella Palazzo,psicologa. Donatella, pur essendo battipagliese, vive e lavora a Roma.
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Le mie ultime letture di psicologia evolutiva risalgono a circa 50 anni fa (Lo sviluppo psicologico:F.D’Anselme-J.D’Haese; Il trattamento psicoanalitico dei bambini: Anna Freud). In seguito letture analitiche di qualche caso da risolvere e/o per avere indicazioni psicopedagiche specifiche. In seguito letture più dettagliate su Sigmund Freud e Erich Fromm. Ora la lettura del testo di Donatella Palazzo (Bambini e adolescenza ediz.Noitre). Ho letto i libro come suol dirsi “tutto di un fiato”. L’ho trovato nuovo e interessante non solo negli argomenti più tradizionali, scritti però in maniera semplice e con abile sintesi, che indica lo scopo da parte dell’autrice di rivolgersi ad un pubblico più vasto, ma ne ho apprezzato anche la novità degli argomenti abitualmente non trattati dagli psicologi professionisti. Quelli , come vantaggi e svantaggi dell’essere figlio unico,alimentazione e nutrizione in età evolutiva, il valore pedagogico delle fiabe ne rappresentano l’assoluta novità. Al di là delle trattazioni specifiche su tali argomenti, l’autrice è riuscita ad inserirli con abile maestria in un libro di psicologia evolutiva. Una novità ho riscontrato nel libro, certamente mancante nei libri del tempo, la sintesi della anatomia e della fisiologia del cervello, motore e centro di tutti i processi cognitivi. Il caso di nevrosi del piccolo Hans è un esempio lucido di nevrosi del nostro tempo., che si riferisce ad una caso reale e va al di là della tecnica dell’analisi presente nel libro di Anna Freud. L’autrice ne analizza il caso con lucidità. Il riferimento costante ai rapporti interpersonali nei processi evolutivi è l’altra novità del libro della Palazzo, che pone l’attenzione non sul “noi” ma sui rapporti di disponibilità indipendentemente dai ruoli sulla cura dei figli. Poi ancora sul valore pedagogico della narrazione delle fiabe, che porta a comunicare con il bambino in maniera interattiva e sviluppare atteggiamenti di positività verso la vita, come tecnica e direi perizia nel prevenire qualsiasi tipo di nevrosi infantile. L’alimentazione adeguata della prima infanzia, naturalmente argomento non trattato dagli psicologi degli anni ’60, come condizione per il comportamento alimentare corretto durante tutto il corso della vita. Infine , il caso concreto di neomamma e il comportamento verso il piccolo giacomo fanno del libro un’assoluta novità, non solo per l’argomento quanto per il diretto coinvolgimento dell’autrice. I consigli dati,in quanto frutto di esperienza di neomamma, ne fanno un libro per tutti i genitori del nostro tempo.
Brava Donatella e …AD MAIORA!......
Bambini e adolescenti
Ediz. "noitre"
di Carmine Senatore
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Il libro è stato presentato giovedì ,27 marzo, nella sala consiliare del comune di Battipaglia dall'autrice Donatella Palazzo,psicologa. Donatella, pur essendo battipagliese, vive e lavora a Roma.
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Le mie ultime letture di psicologia evolutiva risalgono a circa 50 anni fa (Lo sviluppo psicologico:F.D’Anselme-J.D’Haese; Il trattamento psicoanalitico dei bambini: Anna Freud). In seguito letture analitiche di qualche caso da risolvere e/o per avere indicazioni psicopedagiche specifiche. In seguito letture più dettagliate su Sigmund Freud e Erich Fromm. Ora la lettura del testo di Donatella Palazzo (Bambini e adolescenza ediz.Noitre). Ho letto i libro come suol dirsi “tutto di un fiato”. L’ho trovato nuovo e interessante non solo negli argomenti più tradizionali, scritti però in maniera semplice e con abile sintesi, che indica lo scopo da parte dell’autrice di rivolgersi ad un pubblico più vasto, ma ne ho apprezzato anche la novità degli argomenti abitualmente non trattati dagli psicologi professionisti. Quelli , come vantaggi e svantaggi dell’essere figlio unico,alimentazione e nutrizione in età evolutiva, il valore pedagogico delle fiabe ne rappresentano l’assoluta novità. Al di là delle trattazioni specifiche su tali argomenti, l’autrice è riuscita ad inserirli con abile maestria in un libro di psicologia evolutiva. Una novità ho riscontrato nel libro, certamente mancante nei libri del tempo, la sintesi della anatomia e della fisiologia del cervello, motore e centro di tutti i processi cognitivi. Il caso di nevrosi del piccolo Hans è un esempio lucido di nevrosi del nostro tempo., che si riferisce ad una caso reale e va al di là della tecnica dell’analisi presente nel libro di Anna Freud. L’autrice ne analizza il caso con lucidità. Il riferimento costante ai rapporti interpersonali nei processi evolutivi è l’altra novità del libro della Palazzo, che pone l’attenzione non sul “noi” ma sui rapporti di disponibilità indipendentemente dai ruoli sulla cura dei figli. Poi ancora sul valore pedagogico della narrazione delle fiabe, che porta a comunicare con il bambino in maniera interattiva e sviluppare atteggiamenti di positività verso la vita, come tecnica e direi perizia nel prevenire qualsiasi tipo di nevrosi infantile. L’alimentazione adeguata della prima infanzia, naturalmente argomento non trattato dagli psicologi degli anni ’60, come condizione per il comportamento alimentare corretto durante tutto il corso della vita. Infine , il caso concreto di neomamma e il comportamento verso il piccolo giacomo fanno del libro un’assoluta novità, non solo per l’argomento quanto per il diretto coinvolgimento dell’autrice. I consigli dati,in quanto frutto di esperienza di neomamma, ne fanno un libro per tutti i genitori del nostro tempo.
Brava Donatella e …AD MAIORA!......
Irregolaritá nel cantiere attivato nella frazione di Matinella
albanella
la Città di Salerno — 27 marzo 2009 pagina 26 sezione: NAZIONALE
• Albanella. Irregolaritá nel cantiere attivato nella frazione di Matinella nel comune di Albanella per la messa in sicurezza della Sp 11. Tre le denunce notificate per gli illeciti riscontrati, due i camion posti sotto sequestro. L’operazione è stata effettuata dal personale del nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Salerno, agli ordini del comandante Giuseppe Ricchimuzzi. Il cantiere è stato attivato dalla ditta aggiudicataria dell’appalto, bandito dalla Provincia di Salerno, per la messa in sicurezza del piano viabile e posa di barriere sulla strada provinciale. I carabinieri hanno accertato che i camion utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti speciali non erano autorizzati per la raccolta e trasporto di questi scarti. I due mezzi sono stati sequestrati e le denunce, perché l’impresa non è risultata iscritta all’albo nazionale gestione ambiente, sono state notificate ai rappresentanti della societá: M.M., R.C. e P.M. con le accuse di raccolta e trasporto di rifiuti speciali. I materiali nella stessa giornata sono stati smaltiti dalla ditta "RGT" di Albanella di Romualdo Guarracino. (a.s.)
la Città di Salerno — 27 marzo 2009 pagina 26 sezione: NAZIONALE
• Albanella. Irregolaritá nel cantiere attivato nella frazione di Matinella nel comune di Albanella per la messa in sicurezza della Sp 11. Tre le denunce notificate per gli illeciti riscontrati, due i camion posti sotto sequestro. L’operazione è stata effettuata dal personale del nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Salerno, agli ordini del comandante Giuseppe Ricchimuzzi. Il cantiere è stato attivato dalla ditta aggiudicataria dell’appalto, bandito dalla Provincia di Salerno, per la messa in sicurezza del piano viabile e posa di barriere sulla strada provinciale. I carabinieri hanno accertato che i camion utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti speciali non erano autorizzati per la raccolta e trasporto di questi scarti. I due mezzi sono stati sequestrati e le denunce, perché l’impresa non è risultata iscritta all’albo nazionale gestione ambiente, sono state notificate ai rappresentanti della societá: M.M., R.C. e P.M. con le accuse di raccolta e trasporto di rifiuti speciali. I materiali nella stessa giornata sono stati smaltiti dalla ditta "RGT" di Albanella di Romualdo Guarracino. (a.s.)
Albanella Life Style di Fabio Guarracino
Albanella Life Style
la Città di Salerno — 25 marzo 2009 pagina 29 sezione: NAZIONALE
Parecchie estati della sua adolescenza Fabio Guarracino le ha passate ad imparare quello che ora sa fare benissimo. A soli dodici anni infatti ha iniziato il suo apprendistato presso gli acconciatori del suo paese, Albanella. Shampoo dopo shampoo, tinta dopo tinta, ha acquisito un’esperienza che ora, dopo aver lavorato per ben 8 anni in un negozio del marchio Gam a Roccadaspide, ha riversato interamente nella sua attivitá che ha visto la luce 5 anni fa. Nel 2004 infatti Fabio Guarracino, appena 23enne, apre "Life Style", il suo salone specializzato in tagli femminili, frequentato però anche da molti ragazzi che chiedono al suo giovane titolare tagli alla moda. "La cresta è senza dubbio il taglio che attualmente "si porta" di più" - afferma Guarracino - e devo anche ammettere che oggi gli uomini sono diventati molto più esigenti e vanitosi delle donne". Tagliare i capelli, che siano quelli di uomini o di donne, è comunque la grande passione di Fabio, i tagli corti e sfilzati sono quelli in cui dá il meglio di sé. Anche i colori lo affascinano, ama consigliare alle sue clienti tinte naturali, tono su tono, ma ammette di aver anche azzardato un azzurro brillante su una testa molto giovane qualche tempo fa. La sua formazione professionale la deve alla scuola "Le Figarò" di Pontecagnano ma anche ora continua ad aggiornarsi attraverso i corsi e i seminari che le prestigiose marche che egli usa nel suo negozio periodicamente organizzano. Un locale dall’atmosfera etnica quello che Fabio ha aperto in via Roma, 71, tinteggiato di rosa e di azzurro con allegri e colorati quadri astratti alle pareti, tre postazioni di lavoro e 2 lavatesta. "Il mondo della bellezza mi piace così tanto che, neanche a farlo apposta, ho trovato una fidanzata, Maria Teresa, proprietaria di una profumeria É chissá che un domani le nostre attivitá non possano unirsi in un unico grande centro".
la Città di Salerno — 25 marzo 2009 pagina 29 sezione: NAZIONALE
Parecchie estati della sua adolescenza Fabio Guarracino le ha passate ad imparare quello che ora sa fare benissimo. A soli dodici anni infatti ha iniziato il suo apprendistato presso gli acconciatori del suo paese, Albanella. Shampoo dopo shampoo, tinta dopo tinta, ha acquisito un’esperienza che ora, dopo aver lavorato per ben 8 anni in un negozio del marchio Gam a Roccadaspide, ha riversato interamente nella sua attivitá che ha visto la luce 5 anni fa. Nel 2004 infatti Fabio Guarracino, appena 23enne, apre "Life Style", il suo salone specializzato in tagli femminili, frequentato però anche da molti ragazzi che chiedono al suo giovane titolare tagli alla moda. "La cresta è senza dubbio il taglio che attualmente "si porta" di più" - afferma Guarracino - e devo anche ammettere che oggi gli uomini sono diventati molto più esigenti e vanitosi delle donne". Tagliare i capelli, che siano quelli di uomini o di donne, è comunque la grande passione di Fabio, i tagli corti e sfilzati sono quelli in cui dá il meglio di sé. Anche i colori lo affascinano, ama consigliare alle sue clienti tinte naturali, tono su tono, ma ammette di aver anche azzardato un azzurro brillante su una testa molto giovane qualche tempo fa. La sua formazione professionale la deve alla scuola "Le Figarò" di Pontecagnano ma anche ora continua ad aggiornarsi attraverso i corsi e i seminari che le prestigiose marche che egli usa nel suo negozio periodicamente organizzano. Un locale dall’atmosfera etnica quello che Fabio ha aperto in via Roma, 71, tinteggiato di rosa e di azzurro con allegri e colorati quadri astratti alle pareti, tre postazioni di lavoro e 2 lavatesta. "Il mondo della bellezza mi piace così tanto che, neanche a farlo apposta, ho trovato una fidanzata, Maria Teresa, proprietaria di una profumeria É chissá che un domani le nostre attivitá non possano unirsi in un unico grande centro".
Le prime elezioni Primarie on line del comune di altavilla silentina
Sul blog www.mottolaoreste.blog.tiscali.it
sono in corso le prime elezioni Primarie on line del comune di altavilla silentina.
I "candidati" (*) sono: Fernando Iuliano (assessore comunale); Gerardo Di Verniere (ristoratore e consulente ambientale), Enzo Giardullo (attuale vicesindaco), Oreste Mottola (giornalista); Michele Gallo (avvocato); Diomira Cennamo (giornalista - esperta di comunicazione d'impresa); Enzo Baione (paramedico); Antonio Molinara (insegnante); Salvatore Arietta (ragioniere, già assessore all'ambiente).
(*) i nomi proposti dalla redazione. Possono variare su esplicita richiesta degli interessati che potranno ritirare in qualsiasi momento la loro disponibilità.
sono in corso le prime elezioni Primarie on line del comune di altavilla silentina.
I "candidati" (*) sono: Fernando Iuliano (assessore comunale); Gerardo Di Verniere (ristoratore e consulente ambientale), Enzo Giardullo (attuale vicesindaco), Oreste Mottola (giornalista); Michele Gallo (avvocato); Diomira Cennamo (giornalista - esperta di comunicazione d'impresa); Enzo Baione (paramedico); Antonio Molinara (insegnante); Salvatore Arietta (ragioniere, già assessore all'ambiente).
(*) i nomi proposti dalla redazione. Possono variare su esplicita richiesta degli interessati che potranno ritirare in qualsiasi momento la loro disponibilità.
Ruolo,mestieri e professioni della donna
di Carmine Senatore
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Il ruolo delle donne allora , se non era di passività, era sicuramente di sottomissione. Tutto però era superato dal profondo senso e riconoscimento della famiglia, come società naturale ed inscindibile . Il padre era il capofamiglia. A lui spettava dare indirizzo e sostegno economico . I compiti erano naturalmente diversi: alle donne la cura della casa e della famiglia,come cucinare e attingere l’acqua,agli uomini fornire il necessario , come la casa e il sostentamento. Compiti diversi anche nella vita quotidiana. All’uomo, ad esempio, la macellazione del maiale, alle donne la preparazione dei salami. Era ovviamente riservato ai padri fare il vino, alle donne la vendemmia. Ad essa partecipavamo anche noi ragazzi. Per il trasporto ci servivamo dell’asino di don Ciccio prestatoci da Zio Martino, suo fattore. Era un asino molto pericoloso:scalciava e mordeva. Io avevo molta paura, perché ogni tanto tramite zio Martino lo prestava a mio madre per trasportare l’uva o la legna dalla campagna. La donna forniva il corredo per tutta la famiglia, dalle lenzuola alle tovaglie. Alle donne spettava fornire anche l’arredo della cucina. Dalle pentole alla batteria di rame rossa. Era quindi naturale che in una società così fatta diversi erano anche i mestieri esercitati. In genere la gran parte era casalinga, per cui lavare, cucinare, stirare erano le principali incombenze. Le donne che esercitavano un mestiere o un professione erano un minoranza. Il mestiere più di voga era la sarta o collegato d esso,ma più specializzato,fare le maglie. La gran parte delle ragazze imparavano a cucire o a ricamare andando da una sarta o dalle monache, quest’ultime specializzate in ricamo. Maestre di taglio e cucito più apprezzate erano Zia Florinda Senatore e Zia Filomena Sacco, perite tecniche magliere erano Malfalda , Imperia e Bice Guerra . Io ,che avevo due sorelle ,sentivo parlare in modo familiare di uncinetto,di punto a croce, di telaio. Erano arnesi familiari e quotidiani,nel senso che te li trovavi attorno nei luoghi più impensati. La sartoria: una stanza della casa con una maestra e tante allieve. Ricordo ancora l’affollamento a casa di zia Florinda. Ovviamente oltre che imparare era anche luogo di scambio di chiacchiere e di pettegolezzi. Le monache avevano non solo il compito di trattenere i bambini e di educarli,ma anche di insegnare il ricamo alle ragazze del paese. Erano una vera e propria istituzione. Le donne ,figli edi commercianti ,aiutavano i genitori e i fratelli più grandi nella gestione dei negozi. Vi era poi qualche bar direttamente gestite da esse, come il bar Brunetti, dove Pupetta e Aida ne erano le animatrici . In campagna il lavoro delle donne era ancora più gravoso. A loro era riservata non solo la cura della casa, ma anche l’allevamento degli animali, la preparazione dell’orto,spesso la semina del grano e la raccolta delle olive. La professione maggiormente esercitata era la maestra. Rarità era la professione di medico. Unica eccezione La dottoressa Belmonte, la madre del prof.Ajmone. Credo fosse l’unica donna medica in tutto il circondario,insieme a qualche farmacista, come la moglie del Prof.Rosario Gallo, per la verità serrese. Rigidamente donne invece erano le “vammane”, le ostetriche” del tempo. Parti effettuati naturalmente in casa.
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Il ruolo delle donne allora , se non era di passività, era sicuramente di sottomissione. Tutto però era superato dal profondo senso e riconoscimento della famiglia, come società naturale ed inscindibile . Il padre era il capofamiglia. A lui spettava dare indirizzo e sostegno economico . I compiti erano naturalmente diversi: alle donne la cura della casa e della famiglia,come cucinare e attingere l’acqua,agli uomini fornire il necessario , come la casa e il sostentamento. Compiti diversi anche nella vita quotidiana. All’uomo, ad esempio, la macellazione del maiale, alle donne la preparazione dei salami. Era ovviamente riservato ai padri fare il vino, alle donne la vendemmia. Ad essa partecipavamo anche noi ragazzi. Per il trasporto ci servivamo dell’asino di don Ciccio prestatoci da Zio Martino, suo fattore. Era un asino molto pericoloso:scalciava e mordeva. Io avevo molta paura, perché ogni tanto tramite zio Martino lo prestava a mio madre per trasportare l’uva o la legna dalla campagna. La donna forniva il corredo per tutta la famiglia, dalle lenzuola alle tovaglie. Alle donne spettava fornire anche l’arredo della cucina. Dalle pentole alla batteria di rame rossa. Era quindi naturale che in una società così fatta diversi erano anche i mestieri esercitati. In genere la gran parte era casalinga, per cui lavare, cucinare, stirare erano le principali incombenze. Le donne che esercitavano un mestiere o un professione erano un minoranza. Il mestiere più di voga era la sarta o collegato d esso,ma più specializzato,fare le maglie. La gran parte delle ragazze imparavano a cucire o a ricamare andando da una sarta o dalle monache, quest’ultime specializzate in ricamo. Maestre di taglio e cucito più apprezzate erano Zia Florinda Senatore e Zia Filomena Sacco, perite tecniche magliere erano Malfalda , Imperia e Bice Guerra . Io ,che avevo due sorelle ,sentivo parlare in modo familiare di uncinetto,di punto a croce, di telaio. Erano arnesi familiari e quotidiani,nel senso che te li trovavi attorno nei luoghi più impensati. La sartoria: una stanza della casa con una maestra e tante allieve. Ricordo ancora l’affollamento a casa di zia Florinda. Ovviamente oltre che imparare era anche luogo di scambio di chiacchiere e di pettegolezzi. Le monache avevano non solo il compito di trattenere i bambini e di educarli,ma anche di insegnare il ricamo alle ragazze del paese. Erano una vera e propria istituzione. Le donne ,figli edi commercianti ,aiutavano i genitori e i fratelli più grandi nella gestione dei negozi. Vi era poi qualche bar direttamente gestite da esse, come il bar Brunetti, dove Pupetta e Aida ne erano le animatrici . In campagna il lavoro delle donne era ancora più gravoso. A loro era riservata non solo la cura della casa, ma anche l’allevamento degli animali, la preparazione dell’orto,spesso la semina del grano e la raccolta delle olive. La professione maggiormente esercitata era la maestra. Rarità era la professione di medico. Unica eccezione La dottoressa Belmonte, la madre del prof.Ajmone. Credo fosse l’unica donna medica in tutto il circondario,insieme a qualche farmacista, come la moglie del Prof.Rosario Gallo, per la verità serrese. Rigidamente donne invece erano le “vammane”, le ostetriche” del tempo. Parti effettuati naturalmente in casa.
lunedì 30 marzo 2009
Albanella. Lavori per i rifacimento stradale di corso Europa bloccati
Albanella. Lavori per i rifacimento stradale. bloccati
Albanella. Erano iniziati da 10 minuti i lavori per il rifacimento del mando stradale di Corso Europa quando i Carabinieri e la Guardia di Finanza li ha interrotti. Le ditte incaricate allo smaltimento del materiale di risulta non erano idonea al trasporto e così la GdF ha sequestrato i mezzi della ditta P.M., M.F. e M.I.(tutti giovani del posto che avevano visto uno spiraglio di luce in questo periodo di crisi).Dopo attimi di tensione, i lavori sono ripresi e la ditta incaricata del trasporto del materiale di risulta (R.G. già famoso per le sue attività di smaltimento rifiuti)ha potuto dar seguito ai lavori. Presenti autorità provinciali, personalità locali oltre a giornalisti. Il manto stradale da sotituire si estende per 1km in direzione Ponte Barizzo. Secondo voci, l'azione è stata studiata a tavolino per l'aggiudicazione unilaterale dell'appalto del trasporto del materiale di risulta.
Albanella. Erano iniziati da 10 minuti i lavori per il rifacimento del mando stradale di Corso Europa quando i Carabinieri e la Guardia di Finanza li ha interrotti. Le ditte incaricate allo smaltimento del materiale di risulta non erano idonea al trasporto e così la GdF ha sequestrato i mezzi della ditta P.M., M.F. e M.I.(tutti giovani del posto che avevano visto uno spiraglio di luce in questo periodo di crisi).Dopo attimi di tensione, i lavori sono ripresi e la ditta incaricata del trasporto del materiale di risulta (R.G. già famoso per le sue attività di smaltimento rifiuti)ha potuto dar seguito ai lavori. Presenti autorità provinciali, personalità locali oltre a giornalisti. Il manto stradale da sotituire si estende per 1km in direzione Ponte Barizzo. Secondo voci, l'azione è stata studiata a tavolino per l'aggiudicazione unilaterale dell'appalto del trasporto del materiale di risulta.
Il gip ha convalidato l'arresto della coppia responsabile dell'assalto ad Altavilla
Il gip ha convalidato l'arresto della coppia responsabile dell'assalto ad Altavilla
la Città di Salerno - 28 marzo 2009
"Hanno sfondato la porta e sono entrati in casa, sono stati momenti terribili che non dimenticherò mai più». La vedova settantenne di Altavilla Silentina ha cominciato così il suo racconto ai carabinieri. Mercoledì sera due balordi sono entrati nella sua abitazione in contrada "Scalareta" ed hanno fatto razzia di denaro e monili in oro.
«Mi hanno immobilizzato e strappato la collanina dal collo», ha aggiunto A.M. Marco Di Mieri, 21 anni, e Damiano Riviello, 31, di Matinella di Albanella, ieri sono stati sentiti dal gip di Salerno che ha convalidato l'arresto e disposto la misura cautelare in carcere per entrambi. Erano le 21 quando una macchina con due sconosciuti a bordo è arrivata davanti all'abitazione di A.M. La donna si è chiusa in casa. Ma i due banditi si sono fatti strada sfondando la porta a colpi di spranga.Uno degli arrestati ha strappato la collanina dal collo della donna che era sola in quel momento in casa. L'altro bandito è andato nella stanza da letto dove è riuscito a rubare denaro e oggetti preziosi per un valore di cinquemila euro. Superato lo choc, la settantenne ha subito dato l'allarme ai carabinieri. La vedova ha fornito indizi utili ai militari per restringere il cerchio sui due pregiudicati di Albanella e Capaccio. Di Mieri e Riviello dopo il colpo si sono divisi. Il primo è tornato a Paestum, dove è stato arrestato in un luna park. Il secondo è rientrato solo al mattino a casa. Gli arrestati sono stati identificati senza esitazione dalla vittima durante il riconoscimento alla "americana".
(m.l.)
la Città di Salerno - 28 marzo 2009
"Hanno sfondato la porta e sono entrati in casa, sono stati momenti terribili che non dimenticherò mai più». La vedova settantenne di Altavilla Silentina ha cominciato così il suo racconto ai carabinieri. Mercoledì sera due balordi sono entrati nella sua abitazione in contrada "Scalareta" ed hanno fatto razzia di denaro e monili in oro.
«Mi hanno immobilizzato e strappato la collanina dal collo», ha aggiunto A.M. Marco Di Mieri, 21 anni, e Damiano Riviello, 31, di Matinella di Albanella, ieri sono stati sentiti dal gip di Salerno che ha convalidato l'arresto e disposto la misura cautelare in carcere per entrambi. Erano le 21 quando una macchina con due sconosciuti a bordo è arrivata davanti all'abitazione di A.M. La donna si è chiusa in casa. Ma i due banditi si sono fatti strada sfondando la porta a colpi di spranga.Uno degli arrestati ha strappato la collanina dal collo della donna che era sola in quel momento in casa. L'altro bandito è andato nella stanza da letto dove è riuscito a rubare denaro e oggetti preziosi per un valore di cinquemila euro. Superato lo choc, la settantenne ha subito dato l'allarme ai carabinieri. La vedova ha fornito indizi utili ai militari per restringere il cerchio sui due pregiudicati di Albanella e Capaccio. Di Mieri e Riviello dopo il colpo si sono divisi. Il primo è tornato a Paestum, dove è stato arrestato in un luna park. Il secondo è rientrato solo al mattino a casa. Gli arrestati sono stati identificati senza esitazione dalla vittima durante il riconoscimento alla "americana".
(m.l.)
Il tempo libero ai miei tempi
Il tempo libero ai miei tempi
di Carmine Senatore
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Lo spostamento dell'auto-realizzazione nel mondo del lavoro con conseguente de-realizzazione nel mondo della famiglia e più in generale degli affetti
ha fatto crollare anche l'ideologia del "tempo-qualità", che poi non è altro che il modo con cui, ingannandoci, si chiama il tempo che si dedica agli
affetti quando è "poco", quando non si ha tempo di ascoltare i figli se non per i risultati scolastici, quando non si ha tempo di vedere sulla faccia del
nostro compagno o compagna di vita i segni del disagio, quando non si ha neppure il tempo di prendere contatto con quello sconosciuto che, a furia di
lavorare, ciascuno diventa per se stesso. Durante lamia infanzia e adolescenza, tempo libero era quello della sera , dopo un giorno di lavoro o la
domenica. Niente ristorante o gite in auto, ma tempo che veniva consumato nella comunità anche piccole come potevano essere i bar oppure le
cantine. Gli adulti, sia giovani che anziani, specialmente durante il periodo invernale, passavano il loro tempo libero, nei bar. Il gioco delle carte era quello preferito. Si giocava a batuffo, a scala quaranta,a tre sette , a scopa e a scopone. In questo vi erano veri e propri cultori. Ricordo come campioni Luigi di Verniere, Gigino Guerra, Oreste Gallo. La vittoria era un segno di prestigio. Durante le sfide: Attenzione massima e rispettosa da parte degli astanti. Silenzio e meditazione dominavano, alla fine…. il grido di liberazione con imprecazioni e accuse reciproche .Al gioco partecipavano ,oltre i giocatori veri e propri, come veri e propri fans, gli astanti. Alcuni parteggiavano per l’uno o per l’altro , altri cercavano di imparare. A tal proposito ricordo la nota del Prof. Rosario Baione, nella quale mi faceva presente che mastro Leopoldo,mio padre, gli aveva insegnato il tre sette. Il mazzo di carte veniva affittato dal gestore, con una piccola somma di danaro, oppure messo a disposizione in cambio della consumazione a fine partita. Spesso ,a termine del gioco, interessante era il modo della consumazione , il più delle volte una bevuta di birra,naturalmente pagata dai perdenti. Si sceglieva un padrone e un “sotto”, scelti con l’uso delle carte: Il primo disponeva a chi dare la consumazione, che però doveva ricevere l’autorizzazione del “sotto” il quale poteva riservarla per sé. Per impedire al “sotto” di bere ,il padrone doveva bere tutto. In questo caso tutti i giocatori rimanevano a bocca asciutta. Il gioco, praticato questo all’aperto e durante la bella stagione, era quello delle bocce. Ricordo che esse facevano rigidamente parte dell’arredo, soprattutto delle cantine. Non esistevano piste da giochi predefinite. Si giocava in piste sterrate e persino sull’acciottolato delle strade, fatte di ciottoli fluviali. Bocciare il pallino in queste condizioni o la boccia dell’avversario erano imprese fatte di estrema perizia e precisione. Ricordo il giocatore per eccellenza Peppe Di Masi. La sua venuta, durante le ferie estive, era l’occasione per cimentarsi con lui. Batterlo significava aver raggiunto un elevato grado di perizia nel Gioco. Anche noi ragazzi lo facevamo, però con avendo le bocce, si giocava con delle pietre piatte di arenarie dette “stacce”, utilizzando come pallino un piccolo ciottolo. Il Gioco,invece, tipico e per eccellenza , era la cosiddetta “paliata” che consisteva nel lancio di una palla di legno. Si faceva , in genere, lungo la strada che noi chiamavano “di sotto” (era quella dove oggi vi sono le case popolari) partendo dalla Croce fino al l’inizio della stazione di pulmann , allora dellla ditta “ Belmonte. Consisteva nel lanciare la palla,uno alla volta ed arrivare per primo al traguardo. Interessante la “cacciata” che consisteva nel lanciare la palla per tre volte consecutive,nelle curve, da un parte all’altra. In caso di insuccesso bisognava lanciare la palla in modo rettilineo….Un variante,che rappresentava una tipicità locale: si utilizzava come attrezzo di lancio non una palla di legno, ma un caciocavallo durissimo all’esterno, acquistato da tutti i giocatori. Il premio consisteva proprio nel caciocavallo che veniva consumato o tra i giocatori o portato a casa. Spesso succedeva che esso si frantumava. I pezzi più piccoli raccolti,mentre il gioco continuava con il pezzo più grande.
di Carmine Senatore
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Lo spostamento dell'auto-realizzazione nel mondo del lavoro con conseguente de-realizzazione nel mondo della famiglia e più in generale degli affetti
ha fatto crollare anche l'ideologia del "tempo-qualità", che poi non è altro che il modo con cui, ingannandoci, si chiama il tempo che si dedica agli
affetti quando è "poco", quando non si ha tempo di ascoltare i figli se non per i risultati scolastici, quando non si ha tempo di vedere sulla faccia del
nostro compagno o compagna di vita i segni del disagio, quando non si ha neppure il tempo di prendere contatto con quello sconosciuto che, a furia di
lavorare, ciascuno diventa per se stesso. Durante lamia infanzia e adolescenza, tempo libero era quello della sera , dopo un giorno di lavoro o la
domenica. Niente ristorante o gite in auto, ma tempo che veniva consumato nella comunità anche piccole come potevano essere i bar oppure le
cantine. Gli adulti, sia giovani che anziani, specialmente durante il periodo invernale, passavano il loro tempo libero, nei bar. Il gioco delle carte era quello preferito. Si giocava a batuffo, a scala quaranta,a tre sette , a scopa e a scopone. In questo vi erano veri e propri cultori. Ricordo come campioni Luigi di Verniere, Gigino Guerra, Oreste Gallo. La vittoria era un segno di prestigio. Durante le sfide: Attenzione massima e rispettosa da parte degli astanti. Silenzio e meditazione dominavano, alla fine…. il grido di liberazione con imprecazioni e accuse reciproche .Al gioco partecipavano ,oltre i giocatori veri e propri, come veri e propri fans, gli astanti. Alcuni parteggiavano per l’uno o per l’altro , altri cercavano di imparare. A tal proposito ricordo la nota del Prof. Rosario Baione, nella quale mi faceva presente che mastro Leopoldo,mio padre, gli aveva insegnato il tre sette. Il mazzo di carte veniva affittato dal gestore, con una piccola somma di danaro, oppure messo a disposizione in cambio della consumazione a fine partita. Spesso ,a termine del gioco, interessante era il modo della consumazione , il più delle volte una bevuta di birra,naturalmente pagata dai perdenti. Si sceglieva un padrone e un “sotto”, scelti con l’uso delle carte: Il primo disponeva a chi dare la consumazione, che però doveva ricevere l’autorizzazione del “sotto” il quale poteva riservarla per sé. Per impedire al “sotto” di bere ,il padrone doveva bere tutto. In questo caso tutti i giocatori rimanevano a bocca asciutta. Il gioco, praticato questo all’aperto e durante la bella stagione, era quello delle bocce. Ricordo che esse facevano rigidamente parte dell’arredo, soprattutto delle cantine. Non esistevano piste da giochi predefinite. Si giocava in piste sterrate e persino sull’acciottolato delle strade, fatte di ciottoli fluviali. Bocciare il pallino in queste condizioni o la boccia dell’avversario erano imprese fatte di estrema perizia e precisione. Ricordo il giocatore per eccellenza Peppe Di Masi. La sua venuta, durante le ferie estive, era l’occasione per cimentarsi con lui. Batterlo significava aver raggiunto un elevato grado di perizia nel Gioco. Anche noi ragazzi lo facevamo, però con avendo le bocce, si giocava con delle pietre piatte di arenarie dette “stacce”, utilizzando come pallino un piccolo ciottolo. Il Gioco,invece, tipico e per eccellenza , era la cosiddetta “paliata” che consisteva nel lancio di una palla di legno. Si faceva , in genere, lungo la strada che noi chiamavano “di sotto” (era quella dove oggi vi sono le case popolari) partendo dalla Croce fino al l’inizio della stazione di pulmann , allora dellla ditta “ Belmonte. Consisteva nel lanciare la palla,uno alla volta ed arrivare per primo al traguardo. Interessante la “cacciata” che consisteva nel lanciare la palla per tre volte consecutive,nelle curve, da un parte all’altra. In caso di insuccesso bisognava lanciare la palla in modo rettilineo….Un variante,che rappresentava una tipicità locale: si utilizzava come attrezzo di lancio non una palla di legno, ma un caciocavallo durissimo all’esterno, acquistato da tutti i giocatori. Il premio consisteva proprio nel caciocavallo che veniva consumato o tra i giocatori o portato a casa. Spesso succedeva che esso si frantumava. I pezzi più piccoli raccolti,mentre il gioco continuava con il pezzo più grande.
mercoledì 25 marzo 2009
Antichi giochi dei bambini altavillesi
Solitamente si è portati a credere che il gioco sia solo un passatempo, un momento di svago adatto soprattutto alla fase della giovinezza. Diversi contributi pedagocici, invece, sottolineano il gioco come luogo e momento privilegiato dell'educazione.
I giochi e gli attrezzi
di Carmine Senatore
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Il gioco era soltanto associato al divertimento, alla ricreazione, il suo caratter ,definalizzato, il suo fuoco centrale costituito dall’attività in se stessa e non dagli esiti e dai prodotti; era il tempo concesso prima di dedicarsi a cose più serie o una pausa dopo impegni di studio, relegato ai margini della giornata scolastica e confinato nella sfera del tempo libero. Spesso assumeva la funzione di premio, di ricompensa e di rinforzo di condotte positive, mentre il suo valore intrinseco era negato e il suo significato autentico disconosciuto. Gli attrezzi dl gioco utilizzati erano materiali poveri ricavati da oggetti in uso nelle nostre case. Così bottoni, mazze di scopa ,un pezzo di legno , pinzette per panni , che noi cercavano sotto i balconi delle case della via Franci , dal lato della Vigna della Corte, camere d’aria di bicicletta usate, rocchetti di legno per cotone, gusci di noci, grazie all’inventiva e alla nostra fantasia, diventavano “mazza e pihuzi”, pistole e mitra di legno, proiettili di gomma, macchinine semoventi, grilletti di pistole, topolini di legni messi a dura dal’immancabile gatto, ospite d’onore delle nostre case. E poi ai giochi senza attrezzi, soprattutto giochi di astuzia e di abilità, nei quali venivano messi in campo agilità e destrezza. Le passeggiate, le “camminate “ in campagna, con gli amici, con le immancabili scorpacciate soprattutto di ciliegie di nocciole, e, persino,da giovani , le corse strada della macchia, che si concludevano con l’immancabile bevuta d’acqua, rappresentavano per noi ragazzi passatempi quotidiani. Durante le passeggiate in campagna si preparavano trappole per uccelli le “grate” e uno stelo d’erba arrotolato in un ricciolo diventava trappola per la cattura delle lucertole. Le pistole e i mitra venivano costruiti con un pezzo di legno su cui veniva messo per il disegno un modello di carta e utilizzando una “sega a giro” ne veniva ritagliata la sagoma. Ad essa veniva aggiunta , come grilletto, una pinzetta inchiodata e tenuta ferma da elastici di gomma, i proiettili,ovviamente di gomma , che venivano lanciati premendo la parte inferiore della pinzetta. I mitra, poi avevano più colpi ,in quanto come grilletti venivano usate due o più pinzette. Tipico gioco che richiedeva precisione era il “ndlis,… ndlos ,….in fossa”. Consisteva nel lanciare soldini ,ormai fuori corso, oppure bottoni ad una buca circolare scavato nel terreno. Ricordo allora che dietro il “Monumento ai caduti” non vi era l’asfalto, per cui era facile ricavarla. Il gioco consisteva nel lancio dei bottoni o delle monete e nell’avvicinarsi di più alla fossa. Il giocatore, che si avvicina di più aveva diritto con tre “zicchiate” , consistenti in tre colpi utilizzando il pollice e l’indice,a spingere il bottone nella fossa. L’arrivo in essa era traguardo e premio. Ovviamente, se non si riusciva , il gioco passava al giocatore successivo e così fino all’esaurimento dei bottoni. Non era raro vedere i pantaloni di noi ragazzi con le brache prive di bottoni. Dai cappotti si ricavano i grossi bottoni , il cui valore era multipli di quelli più piccoli. Valori diversi si davano ai bottoni di ferro. Un altro gioco era “mazza e pihuzo” molto in uso, perche era gioco di abilità e richiedeva attrezzi molto semplici, consistenti una parte di mazza di scopa, lunga una cinquantina di cm e da un altro pezzo lungo una decina di cm con le basi smussate a mo’ di cono. Un giocatore stava con un piede nel circolo del diametro pari al doppio della mazza, in quanto veniva tracciato usando la mazza facendo un giro attorno a sé stesso. Il primo tiro consisteva nel lanciare il “pihuzo” con la mazza. Dopo di che il giocatore che lo aveva scagliato, si metteva nel circolo a e attendeva che l’altro lo lanciasse verso di lui nel circolo-base . Se il “pihuoi” arrivava nel circolo si scambiava battitore, se invece veniva colpito, il battitore aveva a disposizione tre tiri consistenti nel dare una botta ad uno delle basi del piccolo attrezzo e successivamente scagliato con la mazza lontano .Dopo di che veniva valutate la distanza misurata in numero di “pihuzo”. Spesso vi erano contestazioni sulla valutazione, per cui occorreva msrurare la distanza, questa volta con la mazza, multipla del “pihuzo” per accelerare la misura Il numero per la vittoria era prefissato. Vinceva chi raggiungeva per primo il numero prederminato. Questi erano solo due dei numerosi giochi utilizzati da noi ragazzi….Ciò per dare un esempio dei giochi d’allora, che erano semplici nell’esecuzione e richiedenti attrezzi fatti di materiali poveri.. Solleciterei altri della mia età a descrivere giochi e giocatori, anche fatti da adulti nel tempo libero.....
I giochi e gli attrezzi
di Carmine Senatore
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Il gioco era soltanto associato al divertimento, alla ricreazione, il suo caratter ,definalizzato, il suo fuoco centrale costituito dall’attività in se stessa e non dagli esiti e dai prodotti; era il tempo concesso prima di dedicarsi a cose più serie o una pausa dopo impegni di studio, relegato ai margini della giornata scolastica e confinato nella sfera del tempo libero. Spesso assumeva la funzione di premio, di ricompensa e di rinforzo di condotte positive, mentre il suo valore intrinseco era negato e il suo significato autentico disconosciuto. Gli attrezzi dl gioco utilizzati erano materiali poveri ricavati da oggetti in uso nelle nostre case. Così bottoni, mazze di scopa ,un pezzo di legno , pinzette per panni , che noi cercavano sotto i balconi delle case della via Franci , dal lato della Vigna della Corte, camere d’aria di bicicletta usate, rocchetti di legno per cotone, gusci di noci, grazie all’inventiva e alla nostra fantasia, diventavano “mazza e pihuzi”, pistole e mitra di legno, proiettili di gomma, macchinine semoventi, grilletti di pistole, topolini di legni messi a dura dal’immancabile gatto, ospite d’onore delle nostre case. E poi ai giochi senza attrezzi, soprattutto giochi di astuzia e di abilità, nei quali venivano messi in campo agilità e destrezza. Le passeggiate, le “camminate “ in campagna, con gli amici, con le immancabili scorpacciate soprattutto di ciliegie di nocciole, e, persino,da giovani , le corse strada della macchia, che si concludevano con l’immancabile bevuta d’acqua, rappresentavano per noi ragazzi passatempi quotidiani. Durante le passeggiate in campagna si preparavano trappole per uccelli le “grate” e uno stelo d’erba arrotolato in un ricciolo diventava trappola per la cattura delle lucertole. Le pistole e i mitra venivano costruiti con un pezzo di legno su cui veniva messo per il disegno un modello di carta e utilizzando una “sega a giro” ne veniva ritagliata la sagoma. Ad essa veniva aggiunta , come grilletto, una pinzetta inchiodata e tenuta ferma da elastici di gomma, i proiettili,ovviamente di gomma , che venivano lanciati premendo la parte inferiore della pinzetta. I mitra, poi avevano più colpi ,in quanto come grilletti venivano usate due o più pinzette. Tipico gioco che richiedeva precisione era il “ndlis,… ndlos ,….in fossa”. Consisteva nel lanciare soldini ,ormai fuori corso, oppure bottoni ad una buca circolare scavato nel terreno. Ricordo allora che dietro il “Monumento ai caduti” non vi era l’asfalto, per cui era facile ricavarla. Il gioco consisteva nel lancio dei bottoni o delle monete e nell’avvicinarsi di più alla fossa. Il giocatore, che si avvicina di più aveva diritto con tre “zicchiate” , consistenti in tre colpi utilizzando il pollice e l’indice,a spingere il bottone nella fossa. L’arrivo in essa era traguardo e premio. Ovviamente, se non si riusciva , il gioco passava al giocatore successivo e così fino all’esaurimento dei bottoni. Non era raro vedere i pantaloni di noi ragazzi con le brache prive di bottoni. Dai cappotti si ricavano i grossi bottoni , il cui valore era multipli di quelli più piccoli. Valori diversi si davano ai bottoni di ferro. Un altro gioco era “mazza e pihuzo” molto in uso, perche era gioco di abilità e richiedeva attrezzi molto semplici, consistenti una parte di mazza di scopa, lunga una cinquantina di cm e da un altro pezzo lungo una decina di cm con le basi smussate a mo’ di cono. Un giocatore stava con un piede nel circolo del diametro pari al doppio della mazza, in quanto veniva tracciato usando la mazza facendo un giro attorno a sé stesso. Il primo tiro consisteva nel lanciare il “pihuzo” con la mazza. Dopo di che il giocatore che lo aveva scagliato, si metteva nel circolo a e attendeva che l’altro lo lanciasse verso di lui nel circolo-base . Se il “pihuoi” arrivava nel circolo si scambiava battitore, se invece veniva colpito, il battitore aveva a disposizione tre tiri consistenti nel dare una botta ad uno delle basi del piccolo attrezzo e successivamente scagliato con la mazza lontano .Dopo di che veniva valutate la distanza misurata in numero di “pihuzo”. Spesso vi erano contestazioni sulla valutazione, per cui occorreva msrurare la distanza, questa volta con la mazza, multipla del “pihuzo” per accelerare la misura Il numero per la vittoria era prefissato. Vinceva chi raggiungeva per primo il numero prederminato. Questi erano solo due dei numerosi giochi utilizzati da noi ragazzi….Ciò per dare un esempio dei giochi d’allora, che erano semplici nell’esecuzione e richiedenti attrezzi fatti di materiali poveri.. Solleciterei altri della mia età a descrivere giochi e giocatori, anche fatti da adulti nel tempo libero.....
martedì 24 marzo 2009
Rosario Gallo si candida alle provinciali con il Pdl
Devia verso destra Rosario Gallo che diventa berlusconiano
L’ex sindaco degli anni Ottanta lascia Mastella
Virata a destra di Rosario Gallo, ora con la Pdl che alle soglie della sessantina gli offre la sua prima opportunità di candidatura importante, alle elezioni provinciali. Combatterà con il colonnello Cirielli, il dottore. Con il centro e con il centrosinistra ha fatto un bel pezzo di strada che ora abbandona per farsi berlusconiano. Da Albanella gli risponderà Renato Josca e mentre ancora si attende chi vorrà “contenerlo” dalla stessa Altavilla. Sarà Di Feo o Giardullo? Il personaggio c’è: discusso ed amato. “Bisogna conservare l’umiltà di ciò che siamo. Mai perdere la dignità e l’orgoglio delle nostre origini”. Padre emigrante in Germania, di mestiere un po’ agricoltore e camionista, Rosario Gallo, 59 anni, non ha mai rinnegato le sue radici popolari. Conquistando la laurea in medicina riesce a farsi spazio in un paese, alla fine degli anni Settanta, non è certo avvezzo ai colpi di scena. L’esordio sulla scena politica di Altavilla avvenne nel 1980, nelle “tre torri”, in una lista civica di area democristiana, e già l’anno successivo, eletto sindaco si pose decisamente a capo della convulsa e discussa ricostruzione post – terremoto. Uomo della sinistra dc, per oltre un decennio se la deve vedere con la concorrenza dei vecchi leoni dc del paese: da Salvatore Cembalo a Gaetano Sassi. Fino al 1993 Galloresta saldamente alla testa del comune. Tante opere pubbliche sono iniziate e le assunzioni municipali fioccano. Il bilancio del comune però non regge e va in dissesto. Gli ultimi suoi due – tre anni sono però all’insegna dei colpi di scena, e solo un drappello di una cinquantina di carabinieri riescono a controllare i movimenti popolari che vogliono impedire a tutti i costi la sua defenestrazione. Più che dalla piazza o i movimenti politici Rosario Gallo trova sua buccia di banana nella “forzatura” che si trovò a fare di un’intimazione del prefetto che gli ordinava di convocare il consiglio comunale. Non lo fece e rimediò una condanna che lo fece uscire dal municipio. “Fuori” fino al 2005 ha reagito animando una campagna elettorale permanente. Politiche, amministrative, per la banca locale o per il consorzio di bonifica che fosse. Non c’è “una conta” che abbia saltato. Gli studiosi di marketing elettorale dovrebbero studiarlo. E’ stato costantemente alla guida di una macchina che produce voti di lista e preferenze per gli amici. Alle primarie prodiane dell’Unione ad Altavilla Clemente Mastella rimedia una percentuale superiore a quella di Ceppaloni. Come Pippo Baudo ha scoperto e lanciato gran parte dei protagonisti dell’attuale scena politica: “galliani” sono stati Franco Cembalo, Antonio Di Feo ed Angelo Marra. L’Udeur diventa la sua casa politica, suo amico e sostenitore è l’ex senatore ed ora membro dell’autority delle comunicazioni Roberto Napoli. Gli altri meno, lo stesso Mastella alla fine gli perferisce Carmine Cennamo, il sindaco di Postiglione. Oltre la politica c’è il resto e la grande amarezza di Gallo è la perdita della giovanissima figlia, Rosa, scomparsa a poco più di vent’anni, ed alla quale dedica una fondazione. Agli amici più vicini spesso confessa di “usare” la politica non solo per la sua comunità ma anche come terapia alle difficoltà della vita.
Oreste Mottola
L’ex sindaco degli anni Ottanta lascia Mastella
Virata a destra di Rosario Gallo, ora con la Pdl che alle soglie della sessantina gli offre la sua prima opportunità di candidatura importante, alle elezioni provinciali. Combatterà con il colonnello Cirielli, il dottore. Con il centro e con il centrosinistra ha fatto un bel pezzo di strada che ora abbandona per farsi berlusconiano. Da Albanella gli risponderà Renato Josca e mentre ancora si attende chi vorrà “contenerlo” dalla stessa Altavilla. Sarà Di Feo o Giardullo? Il personaggio c’è: discusso ed amato. “Bisogna conservare l’umiltà di ciò che siamo. Mai perdere la dignità e l’orgoglio delle nostre origini”. Padre emigrante in Germania, di mestiere un po’ agricoltore e camionista, Rosario Gallo, 59 anni, non ha mai rinnegato le sue radici popolari. Conquistando la laurea in medicina riesce a farsi spazio in un paese, alla fine degli anni Settanta, non è certo avvezzo ai colpi di scena. L’esordio sulla scena politica di Altavilla avvenne nel 1980, nelle “tre torri”, in una lista civica di area democristiana, e già l’anno successivo, eletto sindaco si pose decisamente a capo della convulsa e discussa ricostruzione post – terremoto. Uomo della sinistra dc, per oltre un decennio se la deve vedere con la concorrenza dei vecchi leoni dc del paese: da Salvatore Cembalo a Gaetano Sassi. Fino al 1993 Galloresta saldamente alla testa del comune. Tante opere pubbliche sono iniziate e le assunzioni municipali fioccano. Il bilancio del comune però non regge e va in dissesto. Gli ultimi suoi due – tre anni sono però all’insegna dei colpi di scena, e solo un drappello di una cinquantina di carabinieri riescono a controllare i movimenti popolari che vogliono impedire a tutti i costi la sua defenestrazione. Più che dalla piazza o i movimenti politici Rosario Gallo trova sua buccia di banana nella “forzatura” che si trovò a fare di un’intimazione del prefetto che gli ordinava di convocare il consiglio comunale. Non lo fece e rimediò una condanna che lo fece uscire dal municipio. “Fuori” fino al 2005 ha reagito animando una campagna elettorale permanente. Politiche, amministrative, per la banca locale o per il consorzio di bonifica che fosse. Non c’è “una conta” che abbia saltato. Gli studiosi di marketing elettorale dovrebbero studiarlo. E’ stato costantemente alla guida di una macchina che produce voti di lista e preferenze per gli amici. Alle primarie prodiane dell’Unione ad Altavilla Clemente Mastella rimedia una percentuale superiore a quella di Ceppaloni. Come Pippo Baudo ha scoperto e lanciato gran parte dei protagonisti dell’attuale scena politica: “galliani” sono stati Franco Cembalo, Antonio Di Feo ed Angelo Marra. L’Udeur diventa la sua casa politica, suo amico e sostenitore è l’ex senatore ed ora membro dell’autority delle comunicazioni Roberto Napoli. Gli altri meno, lo stesso Mastella alla fine gli perferisce Carmine Cennamo, il sindaco di Postiglione. Oltre la politica c’è il resto e la grande amarezza di Gallo è la perdita della giovanissima figlia, Rosa, scomparsa a poco più di vent’anni, ed alla quale dedica una fondazione. Agli amici più vicini spesso confessa di “usare” la politica non solo per la sua comunità ma anche come terapia alle difficoltà della vita.
Oreste Mottola
Ricordo del professore Agostino Cembalo. Un grande altavillese
L'ULTIMO ALLIEVO DI MANLIO ROSSI DORIA
Agostino Cembalo, contribuì a far diventare scienza i conti degli agricoltori.
Allievo e poi collaboratore di Manlio Rossi Doria, è stato professore d'estimo presso la facoltà di Agraria di Portici.
Per trattenerlo a quel centro per le ricerche economico agrarie per il mezzogiorno, annesso alla gloriosa facoltà di agraria di Portici, il luogo dove è stata elaborata la politica agraria per il Sud, Manlio Rossi Doria, che era uomo fieramente di sinistra e tutto d'un pezzo perché fu azionista prima d'essere socialista, fece in modo da aumentare tutti gli stipendi dei ricercatori e degli assistenti. Agostino Cembalo, un giovane agronomo d'Altavilla Silentina, figlio di Luigi, volitivo piccolo agricoltore della piana di Cerrelli, non doveva andare via. Presso quel prestigioso centro, il cuore politico – economico di Agraria, erano passati nomi illustri. Da Emilio Sereni, che sarà ministro nei primi governi unitari del secondo dopoguerra e poi massimo teorico della politica agraria comunista in Italia a Rocco Scotellaro, non solo il poeta e scrittore che molti ancora conoscono, ma anche il primo applicatore in Italia delle modalità della sociologia applicata al mondo rurale, secondo le modalità messe a punto durante il New Deal roosveltiano. Presso Rossi Doria, che sarà anche senatore socialista eletto in Alta Irpinia, si concentra il milieu degli economisti agrari non solo del Mezzogiorno d'Italia ma, e sovviene il nome del torinese Giovanni Mottura, da tutta la penisola. Cembalo è con Guido Fabiani, Cupo, Matassino, De Benedictis e poi Enrico Pugliese e Mino Nardone, che prima di diventare deputato dei Ds e presidente della provincia di Benevento è ricercatore presso il centro di Rossi Doria. Agostino Cembalo sapeva far di conto, padroneggiava quella scienza che si chiama estimo, che sa dare un valore alle aziende agricole, calcolare la redditività delle colture agricole. Oggi l'avremmo definito un manager dell'agricoltura. E' così la Sangemini, che nella provincia di Caserta, aveva – ed ha ancora – una grande azienda agricola, l'aveva adocchiato per affidargliene la direzione. Nel frattempo con la porticese Cira Aversano, proveniente da una famiglia di floricoltori vesuviani, aveva avviato la creazione di una famiglia. La questione si risolse con Agostino che continuò a fare il direttore della Sangemini e restò, grazie all'aumento degli stipendi deliberato da Rossi Doria, all'interno della ricerca universitaria.
Con il susseguirsi degli anni il mondo accademico lo risucchiò sempre di più fino ad offrirgli quella prestigiosa cattedra d'estimo. Diventò così il primo docente universitario con natali ad Altavilla Silentina, e soprattutto, con origini dirette in quel mondo contadino e non agrario e bracciantile, che l'Italia democristiana degli anni Cinquanta e Sessanta mostrava di tenere in considerazione sì ma senza dargli una robusta iniezione di riforme di struttura tali da dargli un futuro.
Arriviamo così al 1975, quando Maurizio Valenzi diventa sindaco di Napoli e con Antonio Bassolino, segretario regionale comunista, si pongono il problema di cominciare a "mettere le mani" nella gestione di una Centrale del Latte napoletana dove la camorra faceva il bello ed il cattivo tempo. Fu naturale chiedere consigli a Portici, serviva un nome da mettere nel consiglio di amministrazione, che capisse di contabilità, di moralità ineccepibile, capace di non chinare la testa e fosse estraneo a certe "influenze ambientali". Fu Rossi Doria a fare il nome di Agostino Cembalo, anche per l'esperienza fatta sul campo alla Sangemini che allora non imbottigliava solo acqua di fonte ma possedeva una delle più grandi aziende zootecniche della Campania.
Nelle biografie delle personalità di successo, c'è prima o poi il momento nel quale il richiamo del "natio borgo" si fa presente. Per Agostino Cembalo questo arrivò nella prima estate dopo il terremoto del 1980. La parte maggiore la fecero due suoi cugini: prima di tutto Salvatore Cembalo, il dentista che nel 1975 aveva soffiato al potente Antonio Tedesco la poltrona di sindaco, ponendosi a capo di una lista civica "agricola", dove – come accadrà negli stessi anche a Roccadaspide - unirà l'ansia di riscatto delle contrade e quella dei primi figli dei contadini che si sono laureati ed hanno intrapreso prestigiose professioni. Agostino Cembalo c'è, ma è in seconda fila, svolge un ruolo da ideologo. Ma è Germano Di Marco, il cugino comunista, nel 1981 a fargli posto per fargli capeggiare la lista comunista. Quel tempo la temperatura politica di Altavilla poteva tranquillamente essere definita moderatamente clerico-fascista, il Pci solo dal 1975 eleggeva a stento un consigliere comunale. Non c'era neanche la speranza di fare "sponda" con Salvatore, il cugino democristiano, che era già chiaramente distante dal "luccichio" degli anni di governo del paese da parte di Rosario Gallo che si spingeranno fino al 1993. Eletto unico consigliere comunale comunista (era un socialista – liberale – radicale, non un marxista, e chi lo ha conosciuto lo può testimoniare) Agostino Cembalo onorò il mandato nel migliore modo possibile, soprattutto usando quella sua grande competenza di economista agrario. La consiliatura dura poco, nel 1993 si torna a votare, ma Agostino Cembalo non ne vuole più sapere e lascia l'impegno politico locale. E' l'Università a prendere il sopravvento, e negli anni che seguiranno non si concederà più distrazioni politiche. E' nel pool di tecnici che progetteranno quella che è stata, negli ultimi decenni, la maggiore innovazione di sistema apportata all'agricoltura di questa parte della Piana del Sele, vale a dire l'acqua incubata che ha sostituito quella delle canalette a pelo libero. Nella sua Altavilla il programma non è ancora stato completato, ma è stato lui a spiegare la straordinaria valenza economica, e di risparmio d'acqua oggi così preziosa.
Qualche anno fa, per tenere a bada il suo cuore ballerino, per stare più vicino alla sua Cira, "per fare un po' il nonno" come mi disse con quella sua bella voce ed aprendosi in uno dei suoi soliti sorrisi sornioni ed accattivanti, aveva scelto di collocarsi a riposo. Poteva starci fino a settant'anni sulla cattedra. Luigi, il figlio, doveva continuare il lavoro accademico. Ad Altavilla, dov'era tornato, se ne stava in disparte. Toccava a Franco, il genero, occuparsi della politica. Ancora lezioni di stile di quel figlio di contadini che divenne il primo professore universitario del nostro paese. All'amministrazione comunale, alla Bcc di Altavilla – organismi che hanno avuto il suo contributo – il compito di onorarne la memoria, magari, la buttiamo così, con una borsa di studio annuale da attribuire al più promettente dei nostri laureati che vorrà andare a specializzarsi all'estero.
Oreste Mottola
Agostino Cembalo, contribuì a far diventare scienza i conti degli agricoltori.
Allievo e poi collaboratore di Manlio Rossi Doria, è stato professore d'estimo presso la facoltà di Agraria di Portici.
Per trattenerlo a quel centro per le ricerche economico agrarie per il mezzogiorno, annesso alla gloriosa facoltà di agraria di Portici, il luogo dove è stata elaborata la politica agraria per il Sud, Manlio Rossi Doria, che era uomo fieramente di sinistra e tutto d'un pezzo perché fu azionista prima d'essere socialista, fece in modo da aumentare tutti gli stipendi dei ricercatori e degli assistenti. Agostino Cembalo, un giovane agronomo d'Altavilla Silentina, figlio di Luigi, volitivo piccolo agricoltore della piana di Cerrelli, non doveva andare via. Presso quel prestigioso centro, il cuore politico – economico di Agraria, erano passati nomi illustri. Da Emilio Sereni, che sarà ministro nei primi governi unitari del secondo dopoguerra e poi massimo teorico della politica agraria comunista in Italia a Rocco Scotellaro, non solo il poeta e scrittore che molti ancora conoscono, ma anche il primo applicatore in Italia delle modalità della sociologia applicata al mondo rurale, secondo le modalità messe a punto durante il New Deal roosveltiano. Presso Rossi Doria, che sarà anche senatore socialista eletto in Alta Irpinia, si concentra il milieu degli economisti agrari non solo del Mezzogiorno d'Italia ma, e sovviene il nome del torinese Giovanni Mottura, da tutta la penisola. Cembalo è con Guido Fabiani, Cupo, Matassino, De Benedictis e poi Enrico Pugliese e Mino Nardone, che prima di diventare deputato dei Ds e presidente della provincia di Benevento è ricercatore presso il centro di Rossi Doria. Agostino Cembalo sapeva far di conto, padroneggiava quella scienza che si chiama estimo, che sa dare un valore alle aziende agricole, calcolare la redditività delle colture agricole. Oggi l'avremmo definito un manager dell'agricoltura. E' così la Sangemini, che nella provincia di Caserta, aveva – ed ha ancora – una grande azienda agricola, l'aveva adocchiato per affidargliene la direzione. Nel frattempo con la porticese Cira Aversano, proveniente da una famiglia di floricoltori vesuviani, aveva avviato la creazione di una famiglia. La questione si risolse con Agostino che continuò a fare il direttore della Sangemini e restò, grazie all'aumento degli stipendi deliberato da Rossi Doria, all'interno della ricerca universitaria.
Con il susseguirsi degli anni il mondo accademico lo risucchiò sempre di più fino ad offrirgli quella prestigiosa cattedra d'estimo. Diventò così il primo docente universitario con natali ad Altavilla Silentina, e soprattutto, con origini dirette in quel mondo contadino e non agrario e bracciantile, che l'Italia democristiana degli anni Cinquanta e Sessanta mostrava di tenere in considerazione sì ma senza dargli una robusta iniezione di riforme di struttura tali da dargli un futuro.
Arriviamo così al 1975, quando Maurizio Valenzi diventa sindaco di Napoli e con Antonio Bassolino, segretario regionale comunista, si pongono il problema di cominciare a "mettere le mani" nella gestione di una Centrale del Latte napoletana dove la camorra faceva il bello ed il cattivo tempo. Fu naturale chiedere consigli a Portici, serviva un nome da mettere nel consiglio di amministrazione, che capisse di contabilità, di moralità ineccepibile, capace di non chinare la testa e fosse estraneo a certe "influenze ambientali". Fu Rossi Doria a fare il nome di Agostino Cembalo, anche per l'esperienza fatta sul campo alla Sangemini che allora non imbottigliava solo acqua di fonte ma possedeva una delle più grandi aziende zootecniche della Campania.
Nelle biografie delle personalità di successo, c'è prima o poi il momento nel quale il richiamo del "natio borgo" si fa presente. Per Agostino Cembalo questo arrivò nella prima estate dopo il terremoto del 1980. La parte maggiore la fecero due suoi cugini: prima di tutto Salvatore Cembalo, il dentista che nel 1975 aveva soffiato al potente Antonio Tedesco la poltrona di sindaco, ponendosi a capo di una lista civica "agricola", dove – come accadrà negli stessi anche a Roccadaspide - unirà l'ansia di riscatto delle contrade e quella dei primi figli dei contadini che si sono laureati ed hanno intrapreso prestigiose professioni. Agostino Cembalo c'è, ma è in seconda fila, svolge un ruolo da ideologo. Ma è Germano Di Marco, il cugino comunista, nel 1981 a fargli posto per fargli capeggiare la lista comunista. Quel tempo la temperatura politica di Altavilla poteva tranquillamente essere definita moderatamente clerico-fascista, il Pci solo dal 1975 eleggeva a stento un consigliere comunale. Non c'era neanche la speranza di fare "sponda" con Salvatore, il cugino democristiano, che era già chiaramente distante dal "luccichio" degli anni di governo del paese da parte di Rosario Gallo che si spingeranno fino al 1993. Eletto unico consigliere comunale comunista (era un socialista – liberale – radicale, non un marxista, e chi lo ha conosciuto lo può testimoniare) Agostino Cembalo onorò il mandato nel migliore modo possibile, soprattutto usando quella sua grande competenza di economista agrario. La consiliatura dura poco, nel 1993 si torna a votare, ma Agostino Cembalo non ne vuole più sapere e lascia l'impegno politico locale. E' l'Università a prendere il sopravvento, e negli anni che seguiranno non si concederà più distrazioni politiche. E' nel pool di tecnici che progetteranno quella che è stata, negli ultimi decenni, la maggiore innovazione di sistema apportata all'agricoltura di questa parte della Piana del Sele, vale a dire l'acqua incubata che ha sostituito quella delle canalette a pelo libero. Nella sua Altavilla il programma non è ancora stato completato, ma è stato lui a spiegare la straordinaria valenza economica, e di risparmio d'acqua oggi così preziosa.
Qualche anno fa, per tenere a bada il suo cuore ballerino, per stare più vicino alla sua Cira, "per fare un po' il nonno" come mi disse con quella sua bella voce ed aprendosi in uno dei suoi soliti sorrisi sornioni ed accattivanti, aveva scelto di collocarsi a riposo. Poteva starci fino a settant'anni sulla cattedra. Luigi, il figlio, doveva continuare il lavoro accademico. Ad Altavilla, dov'era tornato, se ne stava in disparte. Toccava a Franco, il genero, occuparsi della politica. Ancora lezioni di stile di quel figlio di contadini che divenne il primo professore universitario del nostro paese. All'amministrazione comunale, alla Bcc di Altavilla – organismi che hanno avuto il suo contributo – il compito di onorarne la memoria, magari, la buttiamo così, con una borsa di studio annuale da attribuire al più promettente dei nostri laureati che vorrà andare a specializzarsi all'estero.
Oreste Mottola
BRUNO MAZZEO, il giornalista - maestro e tante altre cose ancora
La storia siamo noi... e nessuno se ne senta escluso
BRUNO MAZZEO
di Carmine Senatore
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I tentativi che io e Oreste stiamo facendo per descrivere usi,costumi e tradizioni del nostro paese, hanno valenze ed orizzonti diversi. Oreste col suo piglio di giornalista, con un linguaggio semplice e immediatamente comprensibile ,ne mette in risalto l’aspetto più oggettivo e cromatico, e, non essendo, se non per riferimento orale ,il diretto testimone, mantiene lontano le sue emozioni, e ,con il riferimento ai documenti scritti ne mette in luce i connotati che sono proprio dello storico. Io invece cerco di rendere vivo le situazioni ei protagonisti, facendo riferimento a fatti vissuti e a ricordi, per cui, ad esempio, la figura di Armido Iorio,non è soltanto il pasticciere provetto,ma di lui vedo gesti,movenze,comportamenti ed avverto intorno alla sua figura tutte le sensazioni, come l’odore della pasticceria che si diffondeva nel vico immediatamente a valle del suo negozio dove si trovava il suo laboratorio e ne rivivo la il caratteristico dolce detto “pizzicocco”, fatto di pane pasta dolce con uova e con al centro il tipico pan di Spagna, contrariamente a quello della tradizione casalinga con pasta dolce e senza con l’uovo avvolto da striscioline di pasta, reso sodo dal calore del forno. Cerco quindi di mettere in luce , non tanto la loro descrizione fisica dei protagonisti, quanto le sensazioni e le emozioni che hanno lasciato in me.
Bruno Mazzeo
Il personaggio di cui oggi parlerò, è un personaggio in alcuni momenti strettamente legato alla mia vita: Bruno Mazzeo. Nasce alla fine degli anni venti (il 1928), secondo di sei figli , di cui quattro maschi e due femmine. Il padre, mastro Antonio, era quello che aveva insegnato il mestiere a mio padre. Mio nonno , pur essendo muratore, come era costume dei tempi, affidava l’insegnamento del mestiere ad un altro mastro, anche se poi andava a lavorare o in proprio o col proprio genitore. Michelino era il primogenito, e a lui era affidato l’educazione e l’orientamento professionali dei fratelli più piccoli. Fu così che Bruno , sotto la guida del fratello, divenne sarto. Però la sartoria non poteva dare un reddito adeguato a tutti, per cui avendo le possibilità, fu aperto un negozio, gestore del quale fu chiamato Bruno. Ed è proprio nel suo bar che avvenne un avvenimento , che ha lasciato per tanto tempo in me un ricordo triste e amro nel contempo. Aveva nel bar un contenitore di plastica con delle caramelle dette “Besana”, fatte da torroncino ricoperto da cioccolato. Il contenitore aveva un’apertura di plastica . Preso dall’ingordigia riuscivo con la mia piccola mano e portarne via alcune. La cosa mi era riuscita più volte, fino a quando fui scoperto da Bruno, che mi rimproverò. Colto dalla vergogna, rosso in viso, mi allontanai . Lungo la strettoia buttai viale caramelle che avevo in tasca in un cespuglio. Ero un ladro….Non fui capace di mangiare quelle caramelle, che trovai qualche settimana dopo divorate dalle formiche. Il barista non bastò a Bruno e grazie all’aiuto di Manuccio di Lucia, precettore di gran parte di noi,conseguì la licenza media. Aveva 23 anni. Bruno divenne l’attore drammatico per eccellenza delle recite parrocchiali. Lo ricordo nel ruolo di Tommaso Moro, l’umanista cattolico che rifiutò di accettare l’atto di Supremazia di Enrico VIII e lo condusse alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Grazie all’aiuto economico del fratello più grande, decise di prendere il diploma di maestro. Un paio d’anni in convitto da privatista. Infine il conseguimento dell’idoneità in quarta, la relativa frequenza e il conseguimento del diploma. Era il 1954. Fu proprio in quegli che io insieme al fratello minore Giovanni , che poi diverrà colonnello dell’esercito,partecipammo agli esami d’ammissione. Fu proprio Bruno che in quell’occasione ci fece ospitare dall sig.ra Bonavita, durante gli esami. Ricordo ancora il vecchio edificio di fronte al Palazzo di Giustizia di Salerno in Via Vittorio Emanuele e l ‘acre odore del gas di città che impregnava le scale. Dovettero passare dieci i anni perché Bruno diventasse maestro di ruolo. Ancora stretti rapporti negli anni ‘60, quando ,lui incaricato annuale come maestro in località Bosco ed io insegnante nella scuola sussidiata in Pian del Carpine, andavamo a scuola con la sua seicento bianca, Quando il Malnone straripava , era giocoforza andare a piedi. Via obbligata :un viottolo nel Bosco di Camerine, col mio pacchetto di biscotti “pavesini”, che io mangiavo durante il tragitto. Bruno nel frattempo si era sposato con Iolanda, battipagliese e parente di mio cognata e di mia moglie. Fu durante il matrimonio di Bruno che Vincenzo Grimaldi conobbe Lina. Fu poi durante le sue visite al fidanzato che io conobbi la ragazza che poi divenne mia moglie. Il 1964 fu l’anno in cui , Bruno, insieme a Bruno Di Venuta e a me, diventò di ruolo. Io divenni il maestro più giovane che era stato assunto in ruolo. Nacque in quell’anno anche Antonio, che noi battezzammo col nomignolo “Concorso magistrale”. Com’era vissuto tutti quegli anni Bruno? Col suo stipendio di maestro incaricato e dai proventi di segretario della Coldiretti, l’associazione degli agricoltori vicino alla democrazia cristiana. Grazie alla Coldiretti, con l’appoggio della Democrazia cristiana, gli agricoltori ottennero la loro pensione. Fu un avvenimento eccezionale per i tempi : ai contadini per la prima volta fu riconosciuto il diritto alla pensione, anche se modesta. Noi simpatizzanti di sinistra lo criticavamo, in quanto si faceva passare “un diritto”, per una concessione dall’alto. La gratitudine a Bruno non fu soltanto sentimentale…… Sarà eletto con ampio suffragio prima consigliere e poi assessore ai lavori pubblici, guadagnandosi il soprannome di “Zaccagnini”, allora ministro dei lavori pubblici e che poi diverrà segretario della Democrazia cristiana nazionale. Era lui che durante le campagne elettorali teneva i comizi. Possedeva una buona dialettica , aveva il gusto del motto di spirito e una buona dose di “faccia tosta” di fronte alla gente. Intonato , buon cantante, fu lui uno dei protagonisti del “Festival della canzone altavillese” tenuto nella prima metà degli anni ’50.
Si trasferì in seguito con tutta la famiglia a Salerno, dove vive , godendosi la sua pensione.
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Bruno Mazzeo è stato il corrispondente de “Il Mattino” ed anche maestro elementare e dirigente della Coldiretti, cantante e musicista. Discorriamo, le rare volte che ci incontriamo, soprattutto intorno alla figura di Antonio Tedesco, il sindaco dal 1960 al 1975. Di quando, quando le perse le elezioni comunali, ne ebbe tanto dispiacere che dopo poco ne morì. Avrebbe voluto realizzare un vasto programma di lavori pubblici dopo che aveva fatto fare fare a Corrado Beguinot il pdf, il piano di fabbricazione, che allora poteva sostituire il piano regolatore. Un nipote, Gino Tierno, da anni accumula materiale per scriverci un libro. Lo aspettiamo ansiosi. Il “professore Bruno”, che di Tedesco per molti anni ne fu un fiero avversario, forse il più inflessibile, ora ne rivaluta l’opera. Io l’ho conosciuto poco, Tedesco. Ero un ragazzetto di campagna e ad una riunione politica democristiana elettorale a casa di miei parenti io c’ero e tenevo in mano un libro. Mi chiese di vederlo e mi stimolò a leggerlo nonostante che fossero le tesi congressuali di un gruppo dell’ultrasinistra. “Vienimi a trovare, me lo racconterai”, mi disse. Avevo appena fatto l’esame di terza media, non feci più in tempo a cercarlo.Antonio Tedesco, oltre che potente e prestigioso sindaco, fu il primo presidente della comunità montana e del consorzio acquedotti. Contava veramente. Eppure conservava una grande curiosità sulle passioni che prendevano ai giovani del tempo. Negli anni Cinquanta, con Saverio Reina, Sabatino D'Auria, Arturo Mazzei, Antonino Di Matteo e Giovanni Sambroia era stato tra i fondatori della Democrazia Cristiana. Però il paese continuava a guardare a destra. La svolta ci fu quando i suoi giovani leoni cominciarono a collegarsi con i nuovi capi dc salernitani e così Peppino Pipolo divenne il fiduciario di Valiante, Arduino Senatore di Scarlato, Oscar Cimino di D'Arezzo. Antonio Tedesco - invece - aveva buoni rapporti con tutti e preferì coltivare l'amicizia del senatore Indelli, lo storico animatore della battaglia per dare alla provincia di Salerno, l' acqua del fiume Sele. Fu uomo di partito sì, ma amico di tutti. Dialogante, sempre aperto alle sollecitazione degli avversari leali. Fu un moderno, in anticipo sui tempi. Nel Pd ci sarebbe stato a suo agio? Io, ripensando a come m’incoraggiò a leggere quel libretto di Avanguardia Operaia, penso di sì. Vedo però Bruno Mazzeo che aggrotta le ciglia e fa una smorfia di disapprovazione.
Oreste Mottola
BRUNO MAZZEO
di Carmine Senatore
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I tentativi che io e Oreste stiamo facendo per descrivere usi,costumi e tradizioni del nostro paese, hanno valenze ed orizzonti diversi. Oreste col suo piglio di giornalista, con un linguaggio semplice e immediatamente comprensibile ,ne mette in risalto l’aspetto più oggettivo e cromatico, e, non essendo, se non per riferimento orale ,il diretto testimone, mantiene lontano le sue emozioni, e ,con il riferimento ai documenti scritti ne mette in luce i connotati che sono proprio dello storico. Io invece cerco di rendere vivo le situazioni ei protagonisti, facendo riferimento a fatti vissuti e a ricordi, per cui, ad esempio, la figura di Armido Iorio,non è soltanto il pasticciere provetto,ma di lui vedo gesti,movenze,comportamenti ed avverto intorno alla sua figura tutte le sensazioni, come l’odore della pasticceria che si diffondeva nel vico immediatamente a valle del suo negozio dove si trovava il suo laboratorio e ne rivivo la il caratteristico dolce detto “pizzicocco”, fatto di pane pasta dolce con uova e con al centro il tipico pan di Spagna, contrariamente a quello della tradizione casalinga con pasta dolce e senza con l’uovo avvolto da striscioline di pasta, reso sodo dal calore del forno. Cerco quindi di mettere in luce , non tanto la loro descrizione fisica dei protagonisti, quanto le sensazioni e le emozioni che hanno lasciato in me.
Bruno Mazzeo
Il personaggio di cui oggi parlerò, è un personaggio in alcuni momenti strettamente legato alla mia vita: Bruno Mazzeo. Nasce alla fine degli anni venti (il 1928), secondo di sei figli , di cui quattro maschi e due femmine. Il padre, mastro Antonio, era quello che aveva insegnato il mestiere a mio padre. Mio nonno , pur essendo muratore, come era costume dei tempi, affidava l’insegnamento del mestiere ad un altro mastro, anche se poi andava a lavorare o in proprio o col proprio genitore. Michelino era il primogenito, e a lui era affidato l’educazione e l’orientamento professionali dei fratelli più piccoli. Fu così che Bruno , sotto la guida del fratello, divenne sarto. Però la sartoria non poteva dare un reddito adeguato a tutti, per cui avendo le possibilità, fu aperto un negozio, gestore del quale fu chiamato Bruno. Ed è proprio nel suo bar che avvenne un avvenimento , che ha lasciato per tanto tempo in me un ricordo triste e amro nel contempo. Aveva nel bar un contenitore di plastica con delle caramelle dette “Besana”, fatte da torroncino ricoperto da cioccolato. Il contenitore aveva un’apertura di plastica . Preso dall’ingordigia riuscivo con la mia piccola mano e portarne via alcune. La cosa mi era riuscita più volte, fino a quando fui scoperto da Bruno, che mi rimproverò. Colto dalla vergogna, rosso in viso, mi allontanai . Lungo la strettoia buttai viale caramelle che avevo in tasca in un cespuglio. Ero un ladro….Non fui capace di mangiare quelle caramelle, che trovai qualche settimana dopo divorate dalle formiche. Il barista non bastò a Bruno e grazie all’aiuto di Manuccio di Lucia, precettore di gran parte di noi,conseguì la licenza media. Aveva 23 anni. Bruno divenne l’attore drammatico per eccellenza delle recite parrocchiali. Lo ricordo nel ruolo di Tommaso Moro, l’umanista cattolico che rifiutò di accettare l’atto di Supremazia di Enrico VIII e lo condusse alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Grazie all’aiuto economico del fratello più grande, decise di prendere il diploma di maestro. Un paio d’anni in convitto da privatista. Infine il conseguimento dell’idoneità in quarta, la relativa frequenza e il conseguimento del diploma. Era il 1954. Fu proprio in quegli che io insieme al fratello minore Giovanni , che poi diverrà colonnello dell’esercito,partecipammo agli esami d’ammissione. Fu proprio Bruno che in quell’occasione ci fece ospitare dall sig.ra Bonavita, durante gli esami. Ricordo ancora il vecchio edificio di fronte al Palazzo di Giustizia di Salerno in Via Vittorio Emanuele e l ‘acre odore del gas di città che impregnava le scale. Dovettero passare dieci i anni perché Bruno diventasse maestro di ruolo. Ancora stretti rapporti negli anni ‘60, quando ,lui incaricato annuale come maestro in località Bosco ed io insegnante nella scuola sussidiata in Pian del Carpine, andavamo a scuola con la sua seicento bianca, Quando il Malnone straripava , era giocoforza andare a piedi. Via obbligata :un viottolo nel Bosco di Camerine, col mio pacchetto di biscotti “pavesini”, che io mangiavo durante il tragitto. Bruno nel frattempo si era sposato con Iolanda, battipagliese e parente di mio cognata e di mia moglie. Fu durante il matrimonio di Bruno che Vincenzo Grimaldi conobbe Lina. Fu poi durante le sue visite al fidanzato che io conobbi la ragazza che poi divenne mia moglie. Il 1964 fu l’anno in cui , Bruno, insieme a Bruno Di Venuta e a me, diventò di ruolo. Io divenni il maestro più giovane che era stato assunto in ruolo. Nacque in quell’anno anche Antonio, che noi battezzammo col nomignolo “Concorso magistrale”. Com’era vissuto tutti quegli anni Bruno? Col suo stipendio di maestro incaricato e dai proventi di segretario della Coldiretti, l’associazione degli agricoltori vicino alla democrazia cristiana. Grazie alla Coldiretti, con l’appoggio della Democrazia cristiana, gli agricoltori ottennero la loro pensione. Fu un avvenimento eccezionale per i tempi : ai contadini per la prima volta fu riconosciuto il diritto alla pensione, anche se modesta. Noi simpatizzanti di sinistra lo criticavamo, in quanto si faceva passare “un diritto”, per una concessione dall’alto. La gratitudine a Bruno non fu soltanto sentimentale…… Sarà eletto con ampio suffragio prima consigliere e poi assessore ai lavori pubblici, guadagnandosi il soprannome di “Zaccagnini”, allora ministro dei lavori pubblici e che poi diverrà segretario della Democrazia cristiana nazionale. Era lui che durante le campagne elettorali teneva i comizi. Possedeva una buona dialettica , aveva il gusto del motto di spirito e una buona dose di “faccia tosta” di fronte alla gente. Intonato , buon cantante, fu lui uno dei protagonisti del “Festival della canzone altavillese” tenuto nella prima metà degli anni ’50.
Si trasferì in seguito con tutta la famiglia a Salerno, dove vive , godendosi la sua pensione.
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Bruno Mazzeo è stato il corrispondente de “Il Mattino” ed anche maestro elementare e dirigente della Coldiretti, cantante e musicista. Discorriamo, le rare volte che ci incontriamo, soprattutto intorno alla figura di Antonio Tedesco, il sindaco dal 1960 al 1975. Di quando, quando le perse le elezioni comunali, ne ebbe tanto dispiacere che dopo poco ne morì. Avrebbe voluto realizzare un vasto programma di lavori pubblici dopo che aveva fatto fare fare a Corrado Beguinot il pdf, il piano di fabbricazione, che allora poteva sostituire il piano regolatore. Un nipote, Gino Tierno, da anni accumula materiale per scriverci un libro. Lo aspettiamo ansiosi. Il “professore Bruno”, che di Tedesco per molti anni ne fu un fiero avversario, forse il più inflessibile, ora ne rivaluta l’opera. Io l’ho conosciuto poco, Tedesco. Ero un ragazzetto di campagna e ad una riunione politica democristiana elettorale a casa di miei parenti io c’ero e tenevo in mano un libro. Mi chiese di vederlo e mi stimolò a leggerlo nonostante che fossero le tesi congressuali di un gruppo dell’ultrasinistra. “Vienimi a trovare, me lo racconterai”, mi disse. Avevo appena fatto l’esame di terza media, non feci più in tempo a cercarlo.Antonio Tedesco, oltre che potente e prestigioso sindaco, fu il primo presidente della comunità montana e del consorzio acquedotti. Contava veramente. Eppure conservava una grande curiosità sulle passioni che prendevano ai giovani del tempo. Negli anni Cinquanta, con Saverio Reina, Sabatino D'Auria, Arturo Mazzei, Antonino Di Matteo e Giovanni Sambroia era stato tra i fondatori della Democrazia Cristiana. Però il paese continuava a guardare a destra. La svolta ci fu quando i suoi giovani leoni cominciarono a collegarsi con i nuovi capi dc salernitani e così Peppino Pipolo divenne il fiduciario di Valiante, Arduino Senatore di Scarlato, Oscar Cimino di D'Arezzo. Antonio Tedesco - invece - aveva buoni rapporti con tutti e preferì coltivare l'amicizia del senatore Indelli, lo storico animatore della battaglia per dare alla provincia di Salerno, l' acqua del fiume Sele. Fu uomo di partito sì, ma amico di tutti. Dialogante, sempre aperto alle sollecitazione degli avversari leali. Fu un moderno, in anticipo sui tempi. Nel Pd ci sarebbe stato a suo agio? Io, ripensando a come m’incoraggiò a leggere quel libretto di Avanguardia Operaia, penso di sì. Vedo però Bruno Mazzeo che aggrotta le ciglia e fa una smorfia di disapprovazione.
Oreste Mottola
lunedì 23 marzo 2009
Le condizioni igieniche sanitarie negli anni '50
di Carmine Senatore
L’acqua è uno dei costituenti fondamentali di tutti gli esseri viventi. Essa serve non solo per l’alimentazione umana, ma è anche uno degli elementi fondamentali per la vita igienico-sanitaria di una popolazione. La sua scarsezza fa parlare di grave carenza igienico-sanitaria. Ai tempi della mia fanciullezza invece la scarsità e la difficoltà idriche erano la norma. L’acqua era assente in tutte le case sia umili che benestanti. Veniva attinte da alcuni fonti alimentate da sorgenti locali. Durante il periodo estivo era un vera emergenza. Le sorgenti modeste, non alimentate da una falda profonda cospicua, davano scarse quantità d’acqua. L’approvvigionamento in questi casi rappresentava una vera e propria emergenza. Le quattro fonti alcune derivate da bottini di presa lontane avevano bisogna di condutture, come quella di piazza Castello e del Sieggio, per cui alla scarsità d’acqua qualche volta si aggiungeva anche la rottura delle condutture, altre ,come quelle dei Franci e della Fresta ,attingevano direttamente alla sorgente mediante un bottino di presa. L’acqua si attingeva con un barile di legna di capacità diverse, modeste per la gran parte della popolazione, di dimensioni più grandi la classe più benestante che si potevano permettere un asino o un mulo per il trasporto. I contadini invece attingevano l’acqua direttamente da pozzi scavati a mano, con modeste ricariche considerate le formazioni flyschioidi dei nostri terreni. I barili , a mo’ di botticelle, avevano dimensioni di una ventina di centimetri e lunghe un’ottantina .Venivano posti su due assi curvi di ferro situati su una parete, da cui girandolo, si attingeva l’acqua. Il compito di attingere l’acqua spettava alle donne, che alla fontana facevano la fila. Il barile posto a terra con una base rappresentava, in attesa del turno, uno sgabello. Le attese erano lunghe, specialmente durante il periodo estivo,e rappresentavano l’occasione per scambiare chiacchiere sulla vita quotidiana. Ovviamente era anche l’occasione per parlare di pettegolezzi e maldicenze. Una volta riempito il barile il trasporto veniva effettuato mettendo uno straccio arrotolato sulla testa su cui veniva appoggiato il barile. Si capisce come in queste condizioni, l’igiene personale era carente sotto tutti i punti di vista. Mentre per lavarsi e per cucinare per bere ci si serviva del barile, per lavare i panni invece si ricorreva al lavatoio comunale situato nelle vicinanze del Convento. Era coperto da un solaio . Lo spiazzo antistante era preceduto da una fonte direttamente legata alla sorgente dalla quale derivava anche l’acqua del lavatoio comunale, coperto perché le donne potessero lavare i loro panni anche quando pioveva. Due ampie finestre con arco a tutto sesto lo illuminavano . Al centro i lavatoi in cemento ,una canaletta portava l’acqua ai singoli lavatoi. In alto un ampio lunotto, dal quale i bambini osservavano le loro mamme. Numerosi fonti, (Canale, la Macchia ed altri piccoli rigurgiti) assicuravano acqua ai passanti lungo il loro cammino. Solo in tempi più recenti analisi da noi fatte hanno dimostrato che le acque erano non a norma a fuori dei parametri di potabilità previsti.
Se da un punta di vista idriche, la situazione era drammatica,dal punto di vista sanitario era certamente migliore. Un farmacista , tre medici,un’ostetrica ,“la vammana”, vigilavano sulla salute della popolazione. La farmacia, diretta da Don Achille Sassi, era attrezzata e assicurava, anche con le preparazioni galeniche, i medicinali essenziali. Si vendeva perfino per combattere le anemie “Il Ferro China Bisleri” che oggi viene utilizzato come digestivo dopo i pasti. Una bottiglia l’abbiamo trovata in uno scaffale molti anni dopo con Peppe Galardi che ,avendo seguiti studi di medicina, era esperto ed idoneo nel sostituire il farmacista titolare, che nel frattempo era diventato professore di matematica nelle scuole medie.
I tre medici, Gaetano Sassi e Amedeo Molinara, insieme ad Achille Sassi,essendo anche medico curavano la salute dei cittadini. Obbligatoria era la vaccinazione contro la poliomielite e il vaiolo. Per la verità ,fino al 1950 vi era anche un altro medico, una donna, la dott.ra Belmonte, sorella dei maestri Ninetta e Nando. Morì nel dare alla luce il figlio.
Gaetano Sassi era il figliastro di Don Achille nonchè zio, avendo sposato la moglie del fratello, dopo la sua morte.Don Amedeo, un un uomo alto e robusto. Con la sua calda e persuasiva riusciva ad assicurare tutti i suoi pazienti. La”vammana” dei miei tempi era la madre di Mirella, la moglie del collocatore Iorio.Per la verità vi era anche un latro nostro concittadino laureato in medicina, però che non l’esercitava,.il dott Gaetano Mazzei, che diverrà successivamente medico dell’ENPAS, l’ente di assistenza del personale statale.
Nei tabacchini veniva venduto il chinino di stato, medicinale utilizzato per combattere la malaria, malattia endemica specialmente nella piana del Sele. Questa situazione sanitaria assicurava un sufficiente servizio ai cittadini, situazione che diverrà drammatica, dopo la morte di Don Amedeo e la vincita di Don Gaetano a sanitario del Comune di Battipaglia.Ricordo che nel 1975 il consiglio comunale,nel quale sedevo anch’io, dovevamo rivolgerci a qualche medico esterno per la vigilanza sanitaria. La situazione migliorò alla fine del 1980, quando un nutrito gruppo di giovani si laureò in medicina. Facevano a gara, con colpi maldestri e denunce , per assicurarsi un guardia medica. L’accresciuto numero di medici e l’arrivo dell’acqua, ormai in tutte le case cambiarono le condizioni igienico-sanitarie. Le case ebbero i primi bagni con vasca e doccia. I medici di famiglia, più numerosi, assicurarono un servizio sanitario più efficiente e degno di un paese civile. Il resto è storia recente…
L’acqua è uno dei costituenti fondamentali di tutti gli esseri viventi. Essa serve non solo per l’alimentazione umana, ma è anche uno degli elementi fondamentali per la vita igienico-sanitaria di una popolazione. La sua scarsezza fa parlare di grave carenza igienico-sanitaria. Ai tempi della mia fanciullezza invece la scarsità e la difficoltà idriche erano la norma. L’acqua era assente in tutte le case sia umili che benestanti. Veniva attinte da alcuni fonti alimentate da sorgenti locali. Durante il periodo estivo era un vera emergenza. Le sorgenti modeste, non alimentate da una falda profonda cospicua, davano scarse quantità d’acqua. L’approvvigionamento in questi casi rappresentava una vera e propria emergenza. Le quattro fonti alcune derivate da bottini di presa lontane avevano bisogna di condutture, come quella di piazza Castello e del Sieggio, per cui alla scarsità d’acqua qualche volta si aggiungeva anche la rottura delle condutture, altre ,come quelle dei Franci e della Fresta ,attingevano direttamente alla sorgente mediante un bottino di presa. L’acqua si attingeva con un barile di legna di capacità diverse, modeste per la gran parte della popolazione, di dimensioni più grandi la classe più benestante che si potevano permettere un asino o un mulo per il trasporto. I contadini invece attingevano l’acqua direttamente da pozzi scavati a mano, con modeste ricariche considerate le formazioni flyschioidi dei nostri terreni. I barili , a mo’ di botticelle, avevano dimensioni di una ventina di centimetri e lunghe un’ottantina .Venivano posti su due assi curvi di ferro situati su una parete, da cui girandolo, si attingeva l’acqua. Il compito di attingere l’acqua spettava alle donne, che alla fontana facevano la fila. Il barile posto a terra con una base rappresentava, in attesa del turno, uno sgabello. Le attese erano lunghe, specialmente durante il periodo estivo,e rappresentavano l’occasione per scambiare chiacchiere sulla vita quotidiana. Ovviamente era anche l’occasione per parlare di pettegolezzi e maldicenze. Una volta riempito il barile il trasporto veniva effettuato mettendo uno straccio arrotolato sulla testa su cui veniva appoggiato il barile. Si capisce come in queste condizioni, l’igiene personale era carente sotto tutti i punti di vista. Mentre per lavarsi e per cucinare per bere ci si serviva del barile, per lavare i panni invece si ricorreva al lavatoio comunale situato nelle vicinanze del Convento. Era coperto da un solaio . Lo spiazzo antistante era preceduto da una fonte direttamente legata alla sorgente dalla quale derivava anche l’acqua del lavatoio comunale, coperto perché le donne potessero lavare i loro panni anche quando pioveva. Due ampie finestre con arco a tutto sesto lo illuminavano . Al centro i lavatoi in cemento ,una canaletta portava l’acqua ai singoli lavatoi. In alto un ampio lunotto, dal quale i bambini osservavano le loro mamme. Numerosi fonti, (Canale, la Macchia ed altri piccoli rigurgiti) assicuravano acqua ai passanti lungo il loro cammino. Solo in tempi più recenti analisi da noi fatte hanno dimostrato che le acque erano non a norma a fuori dei parametri di potabilità previsti.
Se da un punta di vista idriche, la situazione era drammatica,dal punto di vista sanitario era certamente migliore. Un farmacista , tre medici,un’ostetrica ,“la vammana”, vigilavano sulla salute della popolazione. La farmacia, diretta da Don Achille Sassi, era attrezzata e assicurava, anche con le preparazioni galeniche, i medicinali essenziali. Si vendeva perfino per combattere le anemie “Il Ferro China Bisleri” che oggi viene utilizzato come digestivo dopo i pasti. Una bottiglia l’abbiamo trovata in uno scaffale molti anni dopo con Peppe Galardi che ,avendo seguiti studi di medicina, era esperto ed idoneo nel sostituire il farmacista titolare, che nel frattempo era diventato professore di matematica nelle scuole medie.
I tre medici, Gaetano Sassi e Amedeo Molinara, insieme ad Achille Sassi,essendo anche medico curavano la salute dei cittadini. Obbligatoria era la vaccinazione contro la poliomielite e il vaiolo. Per la verità ,fino al 1950 vi era anche un altro medico, una donna, la dott.ra Belmonte, sorella dei maestri Ninetta e Nando. Morì nel dare alla luce il figlio.
Gaetano Sassi era il figliastro di Don Achille nonchè zio, avendo sposato la moglie del fratello, dopo la sua morte.Don Amedeo, un un uomo alto e robusto. Con la sua calda e persuasiva riusciva ad assicurare tutti i suoi pazienti. La”vammana” dei miei tempi era la madre di Mirella, la moglie del collocatore Iorio.Per la verità vi era anche un latro nostro concittadino laureato in medicina, però che non l’esercitava,.il dott Gaetano Mazzei, che diverrà successivamente medico dell’ENPAS, l’ente di assistenza del personale statale.
Nei tabacchini veniva venduto il chinino di stato, medicinale utilizzato per combattere la malaria, malattia endemica specialmente nella piana del Sele. Questa situazione sanitaria assicurava un sufficiente servizio ai cittadini, situazione che diverrà drammatica, dopo la morte di Don Amedeo e la vincita di Don Gaetano a sanitario del Comune di Battipaglia.Ricordo che nel 1975 il consiglio comunale,nel quale sedevo anch’io, dovevamo rivolgerci a qualche medico esterno per la vigilanza sanitaria. La situazione migliorò alla fine del 1980, quando un nutrito gruppo di giovani si laureò in medicina. Facevano a gara, con colpi maldestri e denunce , per assicurarsi un guardia medica. L’accresciuto numero di medici e l’arrivo dell’acqua, ormai in tutte le case cambiarono le condizioni igienico-sanitarie. Le case ebbero i primi bagni con vasca e doccia. I medici di famiglia, più numerosi, assicurarono un servizio sanitario più efficiente e degno di un paese civile. Il resto è storia recente…
Ricordo del sindaco Tedesco. Dal '60 al '75 è stato sindaco. Sono molti a rimpiangerlo perchè esempio di impegno e di realizzazioni.
ANTONIO TEDESCO
Dal '60 al '75 è stato sindaco di Altavilla Silentina. Sono molti a rimpiangerlo perchè esempio di impegno e di realizzazioni.
Rispettava gli avversari politici.
di ORESTE MOTTOLA
Quando arrivò anche ad Altavilla la ventata del Sessantotto ed un bel pò di ragazzi s'innamorò delle bandiere rosse, i benpensanti locali reagirono spaventati. Nelle famiglie si fece sentire la stretta repressiva ed il conflitto diventò anche politico oltrechè generazionale. Il ragionier Antonio tedesco, sindaco dc del paese fm dagli anni '60, fu allora che passò molte sere in piazza a passeggiare e a discutere con i "contestatori" Walter Taurisano e Renato Fasano. Lui era fatto cosi, non amava lo scontro ma il confronto. Voleva capire.
E cosi come quella volta che gli proposero la candidatura al Senato e lui rifiutò imbarazzato. "Non è cosa per me", disse. Ecco, aveva forte il senso dei propri limiti, qualità assai rara tra i politici che abbiamo conosciuto dopo. Ma non avendo una grossa cerchia familiare e non facendo il medico si doveva conquistare con l'impegno amministrativo i voti. E fu lui che portò l'acqua ad Altavilla, cosi come le fognature e la pavimentazione delle vie del centro storico e la costruzione dell'attuale Municipio.
Certo, aveva i suoi difetti, infatti era un pò accentratore e negli interventi nel centro storico non tenne molto in distinzione tra antico e vecchio. Ma c! quelli che sono venuti dopo di lui hanno consumato veri e propri scempi. E sulle questioni edilizie Tedesco fu figlio dei suoi tempi e non fece la scelta del Piano; Regolatore Generale preferendo accontentarsi di un modesto Piano di Fabbricazione. Sul Comune di Altavilla non giravano certo i miliardi e per poter far arrivare nelle campagne assetate almeno l'autobotte doveva usare i fondi dell'Eca, l'Eni te Comunale di Assistenza presieduto da don Domenico Di Paola. " L'uomo che aveva dominato la scena politica per : più di quindici anni: primo Presidente della Comunità Montana del Calore Salemitano e Vice Presidente del Consorzio Acquedotti, non veniva dall' Altavilla bene, quella dei nobili natali. Tedesco era figlio di Vito, salumaio, cantiniere e pescatore di trote nel Calore e della serre se Lisetta Passannanti. Per diventare ragioniere studiò per corrispondenza e sostenne l'esame di maturità da privatista. Poi mise su un recapito del Banco di Napoli che si occupava soprattutto di cambiali. A queste attività aggiunse poi un negozio di mobili ed elettrodomestici e la rappresentanza della Varotto Mulini di Varese. E s'identificò cosi tanto con la missione di sindaco che quando nel 1975 perse le elezioni, ne ebbe tanto dispiacere che dopo poco mori. Nella sua mente c'era ancora un vasto programma di opere pubbliche da realizzare. Con Saverio Reina, Sabatino D'Auria, Arturo Mazzei, Antonino Di Matteo e Giovanni Sambroia fu tra i fonda tori della Democrazia Cristiana ad Altavilla. Ma la Dc qui cominciò ad imporsi quando i suoi giovani leoni cominciarono a collegarsi con i nuovi capi salemitani e così Peppino Pipolo divenne il fiduciario di Valiante, Arduino Senatore di Scarlato, Oscar Cimino di D'Arezzo. Antonio Tedesco invece aveva buoni rapporti con tutti e preferi coltivare l'amicizia del senatore Indelli, lo storico animatore della battaglia per dare alla provincia di Salerno, l' acqua del fiume Sele. E Altavilla soffriva ancora della cronica mancanza di un allacciamento idrico. L'esordio in politica di Tedesco passò comunque attraverso le storiche fazioni della Stella e dell' Orologio . Lui faceva parte del raggruppamento che faceva capo al professore Donato Galardi e che aveva come avversario il notaio Fra!lcesco Mottola, che dal 1911 fino alla seconda metà degli anni '50 (salvo brevi interruzioni) aveva governato il Comune. Solo il celebre don Ulderico Buonafme una volta s'inventò il terzo incomodo, ma con poca fortuna: la lista del Mulino, che ebbe come capolista una donna, una delle prime laureate in medicina d'Italia, la dottoressa Belmonte, la mamma del docente universitario e poeta Renato Aymone. La lotta politica era allora dominata da una rustica coreografia. Si faceva molto uso di improvvisati cortei e sfIlate. E quelle campagne elettorali monopolizzavano l'attenzione di tutti. Gli sfottò si stampavano alla tipografia Cennamo di Piazza Antìco Sedile e diventavano volantini che subito vedevano la risposta dei colpiti. Come al ping pongo In questo singolare genere letterario i dominatori indiscussi erano Bruno Mazzeo, Germano Di Lucia e Arnaldo Di Matteo, con quest'ultimo che animava la lista della Campana che raccoglieva la sparuta sinistra altavillese (soprattutto i socialisti di Daniele Guerra) ed i liberali. Ed una volta fu proprio Antonio Tedesco ad attaccare violentemente Daniele Guerra, il leader locale dei socialisti che lui definì uno che "spella, impenna e succhia ", alludendo agli omaggi in uova e polli di contadini e braccianti a chi compilava le loro domande per ottenere l'indennità di disoccupazione agricola. Ma il sindaco sottovalutò la veemente reazione di Esterina, la moglie di Daniele Guerra. Ma tranne che per quest' episodio, i rapporti tra Tedesco e Guerra furono sempre improntati alla correttezza ed alla collaborazione. Il paese, gli interessi di Altavilla, venivano sempre messi sopra a tutto.
Oreste Mottola
oreste@unicosettimanale.it
Dal '60 al '75 è stato sindaco di Altavilla Silentina. Sono molti a rimpiangerlo perchè esempio di impegno e di realizzazioni.
Rispettava gli avversari politici.
di ORESTE MOTTOLA
Quando arrivò anche ad Altavilla la ventata del Sessantotto ed un bel pò di ragazzi s'innamorò delle bandiere rosse, i benpensanti locali reagirono spaventati. Nelle famiglie si fece sentire la stretta repressiva ed il conflitto diventò anche politico oltrechè generazionale. Il ragionier Antonio tedesco, sindaco dc del paese fm dagli anni '60, fu allora che passò molte sere in piazza a passeggiare e a discutere con i "contestatori" Walter Taurisano e Renato Fasano. Lui era fatto cosi, non amava lo scontro ma il confronto. Voleva capire.
E cosi come quella volta che gli proposero la candidatura al Senato e lui rifiutò imbarazzato. "Non è cosa per me", disse. Ecco, aveva forte il senso dei propri limiti, qualità assai rara tra i politici che abbiamo conosciuto dopo. Ma non avendo una grossa cerchia familiare e non facendo il medico si doveva conquistare con l'impegno amministrativo i voti. E fu lui che portò l'acqua ad Altavilla, cosi come le fognature e la pavimentazione delle vie del centro storico e la costruzione dell'attuale Municipio.
Certo, aveva i suoi difetti, infatti era un pò accentratore e negli interventi nel centro storico non tenne molto in distinzione tra antico e vecchio. Ma c! quelli che sono venuti dopo di lui hanno consumato veri e propri scempi. E sulle questioni edilizie Tedesco fu figlio dei suoi tempi e non fece la scelta del Piano; Regolatore Generale preferendo accontentarsi di un modesto Piano di Fabbricazione. Sul Comune di Altavilla non giravano certo i miliardi e per poter far arrivare nelle campagne assetate almeno l'autobotte doveva usare i fondi dell'Eca, l'Eni te Comunale di Assistenza presieduto da don Domenico Di Paola. " L'uomo che aveva dominato la scena politica per : più di quindici anni: primo Presidente della Comunità Montana del Calore Salemitano e Vice Presidente del Consorzio Acquedotti, non veniva dall' Altavilla bene, quella dei nobili natali. Tedesco era figlio di Vito, salumaio, cantiniere e pescatore di trote nel Calore e della serre se Lisetta Passannanti. Per diventare ragioniere studiò per corrispondenza e sostenne l'esame di maturità da privatista. Poi mise su un recapito del Banco di Napoli che si occupava soprattutto di cambiali. A queste attività aggiunse poi un negozio di mobili ed elettrodomestici e la rappresentanza della Varotto Mulini di Varese. E s'identificò cosi tanto con la missione di sindaco che quando nel 1975 perse le elezioni, ne ebbe tanto dispiacere che dopo poco mori. Nella sua mente c'era ancora un vasto programma di opere pubbliche da realizzare. Con Saverio Reina, Sabatino D'Auria, Arturo Mazzei, Antonino Di Matteo e Giovanni Sambroia fu tra i fonda tori della Democrazia Cristiana ad Altavilla. Ma la Dc qui cominciò ad imporsi quando i suoi giovani leoni cominciarono a collegarsi con i nuovi capi salemitani e così Peppino Pipolo divenne il fiduciario di Valiante, Arduino Senatore di Scarlato, Oscar Cimino di D'Arezzo. Antonio Tedesco invece aveva buoni rapporti con tutti e preferi coltivare l'amicizia del senatore Indelli, lo storico animatore della battaglia per dare alla provincia di Salerno, l' acqua del fiume Sele. E Altavilla soffriva ancora della cronica mancanza di un allacciamento idrico. L'esordio in politica di Tedesco passò comunque attraverso le storiche fazioni della Stella e dell' Orologio . Lui faceva parte del raggruppamento che faceva capo al professore Donato Galardi e che aveva come avversario il notaio Fra!lcesco Mottola, che dal 1911 fino alla seconda metà degli anni '50 (salvo brevi interruzioni) aveva governato il Comune. Solo il celebre don Ulderico Buonafme una volta s'inventò il terzo incomodo, ma con poca fortuna: la lista del Mulino, che ebbe come capolista una donna, una delle prime laureate in medicina d'Italia, la dottoressa Belmonte, la mamma del docente universitario e poeta Renato Aymone. La lotta politica era allora dominata da una rustica coreografia. Si faceva molto uso di improvvisati cortei e sfIlate. E quelle campagne elettorali monopolizzavano l'attenzione di tutti. Gli sfottò si stampavano alla tipografia Cennamo di Piazza Antìco Sedile e diventavano volantini che subito vedevano la risposta dei colpiti. Come al ping pongo In questo singolare genere letterario i dominatori indiscussi erano Bruno Mazzeo, Germano Di Lucia e Arnaldo Di Matteo, con quest'ultimo che animava la lista della Campana che raccoglieva la sparuta sinistra altavillese (soprattutto i socialisti di Daniele Guerra) ed i liberali. Ed una volta fu proprio Antonio Tedesco ad attaccare violentemente Daniele Guerra, il leader locale dei socialisti che lui definì uno che "spella, impenna e succhia ", alludendo agli omaggi in uova e polli di contadini e braccianti a chi compilava le loro domande per ottenere l'indennità di disoccupazione agricola. Ma il sindaco sottovalutò la veemente reazione di Esterina, la moglie di Daniele Guerra. Ma tranne che per quest' episodio, i rapporti tra Tedesco e Guerra furono sempre improntati alla correttezza ed alla collaborazione. Il paese, gli interessi di Altavilla, venivano sempre messi sopra a tutto.
Oreste Mottola
oreste@unicosettimanale.it
Il ricordo di ROCCO MORRONE
oreste mottola
"Pace e bene" l'augurava a tutti nel paese. Sia per chi era "zi Rocco", "l'avvocato Morrone", e per altri, vicini a lui con l'età e dopo la scomparsa del panettiere Rizzo, quando diventò semplicemente "Rocco". Le distanze, e le confidenze, le mettevano gli altri, l'avvocato Rocco Morrone era sempre un po' dell'uno e dell'altro. L'amico ed il professionista, l'uomo di cultura o quello delle passioni politiche. E, da giovane, anche quella per molte donne. Non c'è più Rocco, un male se lo è portato via. Uomo di destra anche estrema le sue amicizie le teneva tutte dall'altra parte. "Quando celebrate lo sbarco del 1943 io ci sto male. Mi ricordo quali ferite ha inferto al nostro paese. E questi americani continuano a comninarne tante, come in oggi Iraq. Voglio scriverti una cosa a tal proposito o forse è meglio che m'intervisti". Me lo disse una domenica mattina, quando c'eravamo casualmente incontrati in piazza Castello ed io, dopo averlo fotografato: "Sai, mi serve per l'articolo, quando lo faremo" cominciai a rimproverarlo per le troppe sigarette che ancora fumava e che lo facevano tossire a più non posso. Ma io sapevo e lui no il "tiro" che gli stava combinando Francesco Di Venuta, il più grande scrittore altavillese (e per me non solo delle nostre amate colline). L'aveva messo, a Rocco, al centro di un libro giallo, "Torrida Festa", storia dell'uccisione di una donna. Impiegata, mamma e moglie apparentemente esemplare, viene freddata - ad Altavilla, ma solo nella fiction del libro - il 13 giugno del 1982. E' la parte centrale di "Torrida Festa", edito da Mobydick, distribuito in tutta Italia. Sarà Rocco Morrone, l'avvocato che ha studiato alla Nunziatella a trovare il bandolo della matassa che permette a Domenico Rega, il protagonista letterario, di uscire dal groviglio di avvenimenti (il tradimento della moglie Rosa, la gelosia postuma di Fulvia, la donna sedotta ed abbandonata dall'amante di Rosa, Nicola B.). La storia si dipana nel lungo giorno della festa di S. Antonio, quando tutta Altavilla si ferma per onorare il suo protettore non ufficiale, il "titolare" è S.Egidio, ma pochi se ne ricordano. La differenza coi più celebrati autori è che qui il paese e gli "attori"della vicenda sono rigorosamente elencati col proprio nome o tutt'al più col soprannome con il quale sono universalmente conosciuti. Pietru ' vescuvo, ed oggi non sa chi è Peppe Putazza, Rusariu u lupu, Peppne… Altri sono lì con nome e cognome, professioni, e modi di dire. Compresi chi scrive e Fernando Iuliano, i due giornalisti del paese. A me arrivano le telefonate fatte per "depistare". Come c'è anche lo scrittore – professore , che da giovane sognava di vendere più libri di Eco e Bevilacqua messi assieme. E non per una parte secondaria. E poi Antonio Bassi, quand'era presidente della Corte d'Appello. L'esperimento narrativo non ha precedenti. Tutto il paese si schiera in prima fila. Il protagonista è però Rocco."Avvocato Morrone, ha mai pensato a scrivere un libro, un giallo o un soggetto per un film?". Glielo chiede l'avvocato di controparte, Defocatis di Serre, durante il processo in Corte d'Assise. Rocco Morrone, passato da fascinoso "tombeur de femmes", non si lascia incantare nemmeno nella finzione letteraria: "Anche nel delitto perfetto – dice – accade-l'imponderabile, qualcosa che sfugge a ogni controllo e che finisce per fregarti… E cosa ha fregato, stavolta, l'assassino? Il foulard, signor Presidente…". L'avvocato umanista si trasforma in Perry Mason per strappare dalla galera un uomo contro il quale si accanivano tutti gli indizi e i luoghi comuni. L'altro dato è la sua grande umanità ed arguzia che lo faceva amare da tutti i colleghi, clienti, giudici e cancellieri. Come quella volta che all'interno del Tribunale di Salerno smarrì la sua borsa: si mobilitarono tutti e sui quotidiani uscirono diversi articoli con la descrizione.
Avvocà: "Pace e bene".
"Pace e bene" l'augurava a tutti nel paese. Sia per chi era "zi Rocco", "l'avvocato Morrone", e per altri, vicini a lui con l'età e dopo la scomparsa del panettiere Rizzo, quando diventò semplicemente "Rocco". Le distanze, e le confidenze, le mettevano gli altri, l'avvocato Rocco Morrone era sempre un po' dell'uno e dell'altro. L'amico ed il professionista, l'uomo di cultura o quello delle passioni politiche. E, da giovane, anche quella per molte donne. Non c'è più Rocco, un male se lo è portato via. Uomo di destra anche estrema le sue amicizie le teneva tutte dall'altra parte. "Quando celebrate lo sbarco del 1943 io ci sto male. Mi ricordo quali ferite ha inferto al nostro paese. E questi americani continuano a comninarne tante, come in oggi Iraq. Voglio scriverti una cosa a tal proposito o forse è meglio che m'intervisti". Me lo disse una domenica mattina, quando c'eravamo casualmente incontrati in piazza Castello ed io, dopo averlo fotografato: "Sai, mi serve per l'articolo, quando lo faremo" cominciai a rimproverarlo per le troppe sigarette che ancora fumava e che lo facevano tossire a più non posso. Ma io sapevo e lui no il "tiro" che gli stava combinando Francesco Di Venuta, il più grande scrittore altavillese (e per me non solo delle nostre amate colline). L'aveva messo, a Rocco, al centro di un libro giallo, "Torrida Festa", storia dell'uccisione di una donna. Impiegata, mamma e moglie apparentemente esemplare, viene freddata - ad Altavilla, ma solo nella fiction del libro - il 13 giugno del 1982. E' la parte centrale di "Torrida Festa", edito da Mobydick, distribuito in tutta Italia. Sarà Rocco Morrone, l'avvocato che ha studiato alla Nunziatella a trovare il bandolo della matassa che permette a Domenico Rega, il protagonista letterario, di uscire dal groviglio di avvenimenti (il tradimento della moglie Rosa, la gelosia postuma di Fulvia, la donna sedotta ed abbandonata dall'amante di Rosa, Nicola B.). La storia si dipana nel lungo giorno della festa di S. Antonio, quando tutta Altavilla si ferma per onorare il suo protettore non ufficiale, il "titolare" è S.Egidio, ma pochi se ne ricordano. La differenza coi più celebrati autori è che qui il paese e gli "attori"della vicenda sono rigorosamente elencati col proprio nome o tutt'al più col soprannome con il quale sono universalmente conosciuti. Pietru ' vescuvo, ed oggi non sa chi è Peppe Putazza, Rusariu u lupu, Peppne… Altri sono lì con nome e cognome, professioni, e modi di dire. Compresi chi scrive e Fernando Iuliano, i due giornalisti del paese. A me arrivano le telefonate fatte per "depistare". Come c'è anche lo scrittore – professore , che da giovane sognava di vendere più libri di Eco e Bevilacqua messi assieme. E non per una parte secondaria. E poi Antonio Bassi, quand'era presidente della Corte d'Appello. L'esperimento narrativo non ha precedenti. Tutto il paese si schiera in prima fila. Il protagonista è però Rocco."Avvocato Morrone, ha mai pensato a scrivere un libro, un giallo o un soggetto per un film?". Glielo chiede l'avvocato di controparte, Defocatis di Serre, durante il processo in Corte d'Assise. Rocco Morrone, passato da fascinoso "tombeur de femmes", non si lascia incantare nemmeno nella finzione letteraria: "Anche nel delitto perfetto – dice – accade-l'imponderabile, qualcosa che sfugge a ogni controllo e che finisce per fregarti… E cosa ha fregato, stavolta, l'assassino? Il foulard, signor Presidente…". L'avvocato umanista si trasforma in Perry Mason per strappare dalla galera un uomo contro il quale si accanivano tutti gli indizi e i luoghi comuni. L'altro dato è la sua grande umanità ed arguzia che lo faceva amare da tutti i colleghi, clienti, giudici e cancellieri. Come quella volta che all'interno del Tribunale di Salerno smarrì la sua borsa: si mobilitarono tutti e sui quotidiani uscirono diversi articoli con la descrizione.
Avvocà: "Pace e bene".
Roccadaspide. Anziana trovata morta, in casa, dopo due giorni
Roccadaspide. Dramma della solitudine in una frazione rurale del comune di Roccadaspide. Il corpo di un’anziana, colpita da infarto, è stato ritrovato dopo due giorni dal decesso. Sul cadavere, in più punti, segni evidenti dell’attacco dei topi. A far scattare l’allarme una vicina di casa che ha allertato i carabinieri della locale stazione. I militari entrati nell’abitazione hanno rinvenuto vicino al letto il corpo senza vita dell’anziana. Si è interrotta così la vita di Sofia Donadio, 78 anni residente nella frazione rurale di Acquaviva. L’episodio è avvenuto qualche giorno fa, i funerali della donna si sono svolti l’altro giorno. Secondo quanto ricostruito dagli accertamenti eseguiti dalle forze dell’ordine la morte della settantatreenne è riconducibile ad un arresto cardiocircolatorio. A far scattare l’allarme è stato il mancato ritiro della pensione da parte dell’anziana. Un dipendente dell’ufficio postale, situato tra l’altro a poca distanza dall’abitazione della vittima, ha chiesto notizie ad una vicina di casa, riferendo che la donna, stranamente, non aveva provveduto al ritiro della pensione. A quel punto la vicina di casa, temendo che potesse essere accaduto qualcosa, si è portata presso l’abitazione di Sofia Donadio. Ha bussato più volte senza ricevere nessuna risposta. Senza perdere un attimo di tempo ha contattato la caserma dei carabinieri di Roccadaspide. I militari hanno raggiunto la contrada di Acquaviva. L’anziana è stato trovata senza vita. Della vicenda è stato informato il magistrato di turno che ha inviato sul posto il medico legale. Il sanitario ha accertato che si è trattato di una morte naturale sopraggiunta per un arresto cardiocircolatorio. La salma è stata rimossa e trasportata al cimitero. Ai carabinieri è spettato il compito di contattare i familiari della vittima. La donna lascia due figli, un maschio e una femmina, che da tempo vivono fuori dall’Italia, uno in Germania e l’altra in America. Accertato che si è trattato di una morte naturale la salma è stata rilasciata e consegnata ai familiari per celebrare i funerali.
Fonte :Comunicato Stampa
Fonte :Comunicato Stampa
venerdì 20 marzo 2009
Altavilla storie di fazioni. Dai "gallucci e matonzi" alle bande musicali
La vita comunitaria
di Carmine Senatore
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Il punto dolente della comunità altavillese del tempo : la convivenza. Era caratterizzata da contrasti o per meglio dire da competizioni, tese a provare la supremazia di una fazione sull’altra. Chi cercò di superare i contrasti fu l’azione di Don Domenico De Paola, il parroco venuto dal Cilento, che vi riuscì ricostruendo con la sua opera l’unità cittadina attorno a valori religiosi e civili fortemente sentiti da tutti.
Il paese era diviso in due fazioni: i “gadducci” e i “matonzi”. La prima era rappresentata dagli abitanti fuori allora del centro storico, Piazza Castello e Borgo S. Martino e una parte di Via Solimene fino a S.Egidio; la seconda era rappresentata dagli abitanti del centro storico , ultras quelli della parte più bassa. La contesa era più aspra tra i giovani delle due fazioni, che avevano tra i caporioni “Biasino” Agresti per l’una e Sisinio Caramante per l’altra. Credo che il nome dei “gadducci” volesse indicare l’altezzosità della fazione più aristocratica del paese e “l’alzare la cresta” ,tipico del gallo, ne era il simbolo, mentre il termine “matonzi” credo avesse un significato più truculento e significasse “vendicatori “. La contesa era talmente aspra tra i giovani che si arrivava a lite vere e proprie con lancio di sassi e pietre,senza badare al pericolo a cui si sottoponevano. Avventurarsi nel centro storico da soli rappresentava una vera follia. Si rischiava di essere pestato duramente. Tale rivalità o scontro si protrarrà anche più tardi, con la creazione delle due bande: una quella “Rossini” diretta da “Ninuccio” Di Matteo, maestro diplomato, e l’altra quella “Verdi” diretta da Raffaele Suozzo non diplomato ma ottimo conoscitore della musica. La rivalità arrivava a tal punto che durante le feste le bande suonavano un giorno una e la serata dopo l’altra. Anche i pezzi suonati erano diversi: in una le opere più significative della banda “ Rossini” che avevano nella Gazza Ladra e nel Barbiere di Siviglia la massima espressione, l’altra le musiche di Verdi soprattutto La Traviata e Il Trovatore. Diverse , sia nella foggia che nel colore, naturalmente le divise, rigidamente di color verde quella del maestro Suozzo. Legate alle due bande due scuole di musica, il serbatoio a cui attingere per nuovi suonatori. L’arrivo dell’esordiente nella banda era una vera e propria festa. Mancando di suonatori di alcuni strumenti , si attingeva a suonatori dei paesi vicini, specialmente di Controne. Non si disdegnava di inserire qualche ottimo elemento proveniente da altri paesi per accrescerne il prestigio .
La rivalità si manifestò anche in campo amministrativo. Due erano le fazioni: la prima, “la Stella”, era capeggiata dal notabile del paese Don Ciccio, notaio , un vecchio liberale di stampo giolittiano; la seconda, “l’orologio “, capeggiata da Don Enrico, un fascista dell’ultima ora , di natura più popolare, ex maestro ora in pensione. Aderivano a quest’ultima alcuni di professionisti, figli di contadini o di artigiani. Faceva da terzo incomodo la lista “Il mulino “, capeggiata e fondata da Don Ulderico, che con pochi fedeli coraggiosamente e senza speranza di vittoria affrontava la sfida. La competizione elettorale era accanita . Le due parti si affrontavano l’una contro l’altra armate. La sconfitta di una fazione rappresentava un’onta gravissima: per giorni gli elettori non si facevano vedere in giro per il paese. Io , pur essendo ragazzo,insieme a tutta la sua famiglia , davo man forte alla lista di don Ciccio, il cui fattore era lo zio Martino .Anche se esisteva un rivalità latente,il paese si compattò nelle elezioni per il referendum tra monarchia e repubblica. La gran parte, quasi plebiscitaria, votò per la Monarchia. Il ricordo di tale competizione rimase anche nelle elezioni politiche del 1953 dove il partito monarchico ottenne la gran parte dei voti. Esponenti più in vista : Michele Mazzeo e Aurelio Pipino, che poi sarà sindaco in seguito alla morte di Don Ciccio Mottola. Di Aurelio Pipino ricordo la sua caparbietà, non uguagliata neanche da quella di Salvatore Cembalo, sindaco in tempi più recenti. Sicuramente i miei compaesani della mia età ricorderanno i comizi di Covelli sul balcone della casa di Michelino Mazzeo , addobbato con la tipica bandiera tricolore con lo stemma sabaudo. La competitività rimase anche dopo la morte di don Ciccio. I tempi erano ormai cambiati. La presenza di Don Domenico, il parroco venuto dal Cilento, e di Antonio Tedesco , appoggiati dalla Coldiretti locale diretta da Bruno Mazzeo (detto “Zaccagnini” perché nell’amministrazione fu assessore ai lavori pubblici) ,faranno salire in primo piano la Democrazia cristiana che amministrerà il paese fino al 1975, anno della morte del ragioniere Antonio Tedesco, che aveva amministrato il paese per circa venti anni. L’opposizione non era rappresentata dai partiti di sinistra, sempre minoritari nel paese, ma da un aggregato di forze diverse senza colore e idea politica nel senso proprio, ma solo animata nel ridurre lo strapotere democristiano. L’aggregazione era talmente eterogenea che nell’elezioni amministrative del 1964 missini e comunisti si presentarono alleati, tipica “milazziana” del tempo.
Se i contrasti all’interno della comunità erano presenti nel campo civile, non lo erano in campo religioso. Le tre feste più importanti dell’anno, quella di S.Antonio, il 13 giugno, quella del Carmine, la prima domenica dopo il 16 luglio, e quella di Montevergine l’8 settembre, univano tutti nel celebrarle, anzi vi era competizione nel raccogliere quante più offerte possibili.
di Carmine Senatore
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Il punto dolente della comunità altavillese del tempo : la convivenza. Era caratterizzata da contrasti o per meglio dire da competizioni, tese a provare la supremazia di una fazione sull’altra. Chi cercò di superare i contrasti fu l’azione di Don Domenico De Paola, il parroco venuto dal Cilento, che vi riuscì ricostruendo con la sua opera l’unità cittadina attorno a valori religiosi e civili fortemente sentiti da tutti.
Il paese era diviso in due fazioni: i “gadducci” e i “matonzi”. La prima era rappresentata dagli abitanti fuori allora del centro storico, Piazza Castello e Borgo S. Martino e una parte di Via Solimene fino a S.Egidio; la seconda era rappresentata dagli abitanti del centro storico , ultras quelli della parte più bassa. La contesa era più aspra tra i giovani delle due fazioni, che avevano tra i caporioni “Biasino” Agresti per l’una e Sisinio Caramante per l’altra. Credo che il nome dei “gadducci” volesse indicare l’altezzosità della fazione più aristocratica del paese e “l’alzare la cresta” ,tipico del gallo, ne era il simbolo, mentre il termine “matonzi” credo avesse un significato più truculento e significasse “vendicatori “. La contesa era talmente aspra tra i giovani che si arrivava a lite vere e proprie con lancio di sassi e pietre,senza badare al pericolo a cui si sottoponevano. Avventurarsi nel centro storico da soli rappresentava una vera follia. Si rischiava di essere pestato duramente. Tale rivalità o scontro si protrarrà anche più tardi, con la creazione delle due bande: una quella “Rossini” diretta da “Ninuccio” Di Matteo, maestro diplomato, e l’altra quella “Verdi” diretta da Raffaele Suozzo non diplomato ma ottimo conoscitore della musica. La rivalità arrivava a tal punto che durante le feste le bande suonavano un giorno una e la serata dopo l’altra. Anche i pezzi suonati erano diversi: in una le opere più significative della banda “ Rossini” che avevano nella Gazza Ladra e nel Barbiere di Siviglia la massima espressione, l’altra le musiche di Verdi soprattutto La Traviata e Il Trovatore. Diverse , sia nella foggia che nel colore, naturalmente le divise, rigidamente di color verde quella del maestro Suozzo. Legate alle due bande due scuole di musica, il serbatoio a cui attingere per nuovi suonatori. L’arrivo dell’esordiente nella banda era una vera e propria festa. Mancando di suonatori di alcuni strumenti , si attingeva a suonatori dei paesi vicini, specialmente di Controne. Non si disdegnava di inserire qualche ottimo elemento proveniente da altri paesi per accrescerne il prestigio .
La rivalità si manifestò anche in campo amministrativo. Due erano le fazioni: la prima, “la Stella”, era capeggiata dal notabile del paese Don Ciccio, notaio , un vecchio liberale di stampo giolittiano; la seconda, “l’orologio “, capeggiata da Don Enrico, un fascista dell’ultima ora , di natura più popolare, ex maestro ora in pensione. Aderivano a quest’ultima alcuni di professionisti, figli di contadini o di artigiani. Faceva da terzo incomodo la lista “Il mulino “, capeggiata e fondata da Don Ulderico, che con pochi fedeli coraggiosamente e senza speranza di vittoria affrontava la sfida. La competizione elettorale era accanita . Le due parti si affrontavano l’una contro l’altra armate. La sconfitta di una fazione rappresentava un’onta gravissima: per giorni gli elettori non si facevano vedere in giro per il paese. Io , pur essendo ragazzo,insieme a tutta la sua famiglia , davo man forte alla lista di don Ciccio, il cui fattore era lo zio Martino .Anche se esisteva un rivalità latente,il paese si compattò nelle elezioni per il referendum tra monarchia e repubblica. La gran parte, quasi plebiscitaria, votò per la Monarchia. Il ricordo di tale competizione rimase anche nelle elezioni politiche del 1953 dove il partito monarchico ottenne la gran parte dei voti. Esponenti più in vista : Michele Mazzeo e Aurelio Pipino, che poi sarà sindaco in seguito alla morte di Don Ciccio Mottola. Di Aurelio Pipino ricordo la sua caparbietà, non uguagliata neanche da quella di Salvatore Cembalo, sindaco in tempi più recenti. Sicuramente i miei compaesani della mia età ricorderanno i comizi di Covelli sul balcone della casa di Michelino Mazzeo , addobbato con la tipica bandiera tricolore con lo stemma sabaudo. La competitività rimase anche dopo la morte di don Ciccio. I tempi erano ormai cambiati. La presenza di Don Domenico, il parroco venuto dal Cilento, e di Antonio Tedesco , appoggiati dalla Coldiretti locale diretta da Bruno Mazzeo (detto “Zaccagnini” perché nell’amministrazione fu assessore ai lavori pubblici) ,faranno salire in primo piano la Democrazia cristiana che amministrerà il paese fino al 1975, anno della morte del ragioniere Antonio Tedesco, che aveva amministrato il paese per circa venti anni. L’opposizione non era rappresentata dai partiti di sinistra, sempre minoritari nel paese, ma da un aggregato di forze diverse senza colore e idea politica nel senso proprio, ma solo animata nel ridurre lo strapotere democristiano. L’aggregazione era talmente eterogenea che nell’elezioni amministrative del 1964 missini e comunisti si presentarono alleati, tipica “milazziana” del tempo.
Se i contrasti all’interno della comunità erano presenti nel campo civile, non lo erano in campo religioso. Le tre feste più importanti dell’anno, quella di S.Antonio, il 13 giugno, quella del Carmine, la prima domenica dopo il 16 luglio, e quella di Montevergine l’8 settembre, univano tutti nel celebrarle, anzi vi era competizione nel raccogliere quante più offerte possibili.
giovedì 19 marzo 2009
La nostra storia. 1/Giuliano De Rosa
La storia siamo noi… e nessuno se ne senta escluso!
Giuliano De Rosa
di Carmine Senatore
Mio intendimento è quello di mettere in risalto non figure che hanno dato lustro al nostro paese, ma soprattutto persone più modeste ed umili che hanno vissuto eventi e accidenti della comunità , a cui essi hanno partecipato più o meno attivamente e ne sono stati animatori ed attori . Si tratta ,quindi, di fare una retrospettiva di persone , che pur non avendo dato orgoglio con le loro opere al paese,ne sono stati attivi testimoni. Questa storia locale nazional-popolare rappresenta il senso e il significato profondo di una comunità.
Il personaggio che credo abbia le caratteristiche per essere il rappresentante di una storia così intesa è Giuliano De Rosa, centro e punto di riferimento non solo della gioventù altavillese ma anche di professionisti e studenti universitari. Tracciare un profilo della sua figura rappresenta per me ricordare un pezzo della propria vita. Intanto egli nasce da un padre che sentiva come orgoglio la sua appartenenza ad un ceto popolare, aspirante ad ideali di giustizia e di uguaglianza. Per la gran parte degli altavillesi era il suonatore d’organo della chiesa di S.Egidio, per altri l’attore comico delle recite parrocchiali del tempo, per altri il musicista , suonatore di piatti della banda “Verdi”, per il noi il centro di discussioni letterarie e politiche, nonché l’esperto di bande musicali. Da ragazzo e da giovane aveva esercitato il mestiere di calzolaio,unito a quello più popolare di suonatore d’organo. Era lui che durante le messe cantate faceva sentire le sue note melodiose insieme la coro da lui preparato nella sacrestia di S.Egidio. Abile suonatore di piatti della banda “Verdi” , dava durante i concerti il meglio di sé. Le sue gestualità gli conferivano stima ed apprezzamento e ne mettevano in evidenza la personalità. Buon suonatore di fisarmonica. Chi non ricorda la sua orchestrina, alla quale partecipavano Peppe Lettieri , Mario Di Matteo insieme al chitarrista Emiddio Mangone?Politicamente legato alla democrazia cristiana che trova in lui,insieme a Bruno Mazzeo e Oscar Cimino i più validi rappresentanti, per la verità sempre rispettoso delle idee paterne. Uno degli animatori dell’azione cattolica del tempo insieme a De Paola, nipote di Don Domenico a cui era profondamente legato. Il mestiere, prima esercitato in maniera esclusiva e poi dietro il negozio che aveva aperto in una bottega nella piazza Umberto I^ affittata da Benimaino Brunetti. Vendeva un po’ di tutto dal sapone da barba ,al dentifricio, ai quaderni alle penne. Ricordo durante i periodi festivi, specialmente quelli natalizi, la vendita “illegale” di bombette pirotecniche e tric-trac. Venivano venduti con cautela e in maniera più o meno clandestina Quello che gli conferiva una indiscussa autorità e prestigio era aver raccolto attorno a sé un gruppo di professionisti e studenti universitari. Si discuteva e si ascoltava musica lirica e sinfonica. Ricordo le intonazioni di motivi di opere liriche cantati con Sandrino Belmonte, Enzo Grimaldi, che sarà anche suo compare di anello. A questi si aggiungevano Peppe Galardi e vari professionisti del tempo, quali i vari impiegati postali, i giovani maestri, tra cui anche io. Durante le feste paesane, le serate di concerti della bande pugliesi , trovavano Giuliano e i suoi amici in prima fila. Nei giorni seguente si succedevano commenti sulle loro performance. Per molti la sua bottega, che nel frattempo era cresciuta per clientela e per i prodotti venduti, è rimasta luogo di critiche, di commenti musicali e di orientamento politico, i cui risultati non erano certi univoci, a volte anche diversi, ma sempre accettati e rispettati. Le sue performance, nelle recite parrocchiali, erano di gran rilievo. Chi non lo ricorda con i capelli divisi con la fila al centro che egli molto spesso tirava indietro con le mani? La sua figura dinoccolata ,con un linguaggio tra il serio e il faceto, ne faceva un comico provetto. Insieme a Adelfio Senatore e Bruno Mazzeo, per i ruoli drammatici, erano gli animatori teatrali del tempo: Il presentatore , di norma , Manuccio Di Lucia e in seguito, ai miei tempi ,Tonino Bassi. E quando è arrivata l’ora del suo addio all’attività ha continuato ad animare e far parte dei cori organizzati dalla comunità e dalla pro loco altavillese.
Giuliano De Rosa
di Carmine Senatore
Mio intendimento è quello di mettere in risalto non figure che hanno dato lustro al nostro paese, ma soprattutto persone più modeste ed umili che hanno vissuto eventi e accidenti della comunità , a cui essi hanno partecipato più o meno attivamente e ne sono stati animatori ed attori . Si tratta ,quindi, di fare una retrospettiva di persone , che pur non avendo dato orgoglio con le loro opere al paese,ne sono stati attivi testimoni. Questa storia locale nazional-popolare rappresenta il senso e il significato profondo di una comunità.
Il personaggio che credo abbia le caratteristiche per essere il rappresentante di una storia così intesa è Giuliano De Rosa, centro e punto di riferimento non solo della gioventù altavillese ma anche di professionisti e studenti universitari. Tracciare un profilo della sua figura rappresenta per me ricordare un pezzo della propria vita. Intanto egli nasce da un padre che sentiva come orgoglio la sua appartenenza ad un ceto popolare, aspirante ad ideali di giustizia e di uguaglianza. Per la gran parte degli altavillesi era il suonatore d’organo della chiesa di S.Egidio, per altri l’attore comico delle recite parrocchiali del tempo, per altri il musicista , suonatore di piatti della banda “Verdi”, per il noi il centro di discussioni letterarie e politiche, nonché l’esperto di bande musicali. Da ragazzo e da giovane aveva esercitato il mestiere di calzolaio,unito a quello più popolare di suonatore d’organo. Era lui che durante le messe cantate faceva sentire le sue note melodiose insieme la coro da lui preparato nella sacrestia di S.Egidio. Abile suonatore di piatti della banda “Verdi” , dava durante i concerti il meglio di sé. Le sue gestualità gli conferivano stima ed apprezzamento e ne mettevano in evidenza la personalità. Buon suonatore di fisarmonica. Chi non ricorda la sua orchestrina, alla quale partecipavano Peppe Lettieri , Mario Di Matteo insieme al chitarrista Emiddio Mangone?Politicamente legato alla democrazia cristiana che trova in lui,insieme a Bruno Mazzeo e Oscar Cimino i più validi rappresentanti, per la verità sempre rispettoso delle idee paterne. Uno degli animatori dell’azione cattolica del tempo insieme a De Paola, nipote di Don Domenico a cui era profondamente legato. Il mestiere, prima esercitato in maniera esclusiva e poi dietro il negozio che aveva aperto in una bottega nella piazza Umberto I^ affittata da Benimaino Brunetti. Vendeva un po’ di tutto dal sapone da barba ,al dentifricio, ai quaderni alle penne. Ricordo durante i periodi festivi, specialmente quelli natalizi, la vendita “illegale” di bombette pirotecniche e tric-trac. Venivano venduti con cautela e in maniera più o meno clandestina Quello che gli conferiva una indiscussa autorità e prestigio era aver raccolto attorno a sé un gruppo di professionisti e studenti universitari. Si discuteva e si ascoltava musica lirica e sinfonica. Ricordo le intonazioni di motivi di opere liriche cantati con Sandrino Belmonte, Enzo Grimaldi, che sarà anche suo compare di anello. A questi si aggiungevano Peppe Galardi e vari professionisti del tempo, quali i vari impiegati postali, i giovani maestri, tra cui anche io. Durante le feste paesane, le serate di concerti della bande pugliesi , trovavano Giuliano e i suoi amici in prima fila. Nei giorni seguente si succedevano commenti sulle loro performance. Per molti la sua bottega, che nel frattempo era cresciuta per clientela e per i prodotti venduti, è rimasta luogo di critiche, di commenti musicali e di orientamento politico, i cui risultati non erano certi univoci, a volte anche diversi, ma sempre accettati e rispettati. Le sue performance, nelle recite parrocchiali, erano di gran rilievo. Chi non lo ricorda con i capelli divisi con la fila al centro che egli molto spesso tirava indietro con le mani? La sua figura dinoccolata ,con un linguaggio tra il serio e il faceto, ne faceva un comico provetto. Insieme a Adelfio Senatore e Bruno Mazzeo, per i ruoli drammatici, erano gli animatori teatrali del tempo: Il presentatore , di norma , Manuccio Di Lucia e in seguito, ai miei tempi ,Tonino Bassi. E quando è arrivata l’ora del suo addio all’attività ha continuato ad animare e far parte dei cori organizzati dalla comunità e dalla pro loco altavillese.
mercoledì 18 marzo 2009
CASEIFICI. Assolta "La Nuova Contadina"
Assolta "La Nuova Contadina"
Sono stati assolti "perché il fatto non sussiste" Giuseppe Di Maio, classe 1937 e Odilia Cembalo, classe 1938. I due, titolari del caseificio "La nuova contadina" erano stati denunciati dal nucleo antisofisticazioni dei carabinieri dopo che alcune analisi erano state effettuate sulla mozzarella di bufala campana.
I campioni esaminati dai tecnici di laboratorio dei carabinieri avevano evidenziato una cosa, il latte di bufala aveva delle parti mescolate di latte vaccino in misura del dieci per cento: dallo stabilimenti ad Albanella, agli acquirenti, secondo le accuse, venivano vendute confezioni di mozzarella di bufala d.o.p. quando in realtá, secondo quanto sostenevano i risultati delle analisi effettuate, c’era nel latte di bufala una percentuale di latte vaccino, procedura illegale che configurava la sofisticazione alimentare e la truffa ai danni di chi, ignaro, credeva di comprare la pregiata e più costosa mozzarella di bufala campana. In realtá per i due titolari del caseificio scattò la denuncia mentre i prodotti analizzati configurarono l’ipotesi di reato, con tutte le conseguenze del caso per l’attivitá di vendita e per la nomea dell’esercizio commerciale. 30 chili di mozzarella vennero sequestrati: era presente nella composizione sempre stando alle analisi effettuate dagli inquirenti, undici per cento proibito di latte vaccino, in difformitá rispetto alle vigenti normative che disciplinano la normativa in campo alimentare. Quel prodotto non era in regola, le analisi avevano dato il responso: latte vaccino in luogo di latte di bufala, con una differenza qualitativa e di prezzo che configurava il reato. Il prezzo di una mozzarella di bufale era allora, nel 2001, epoca dei fatti, di circa diciannovemila lire al kg. L’episodio contestato ai due imputati avveniva in un periodo poco recente, a molti anni dallo scandalo esploso lo scorso anno con la raffica di controlli e analisi a tappeto proprio sulla produzione casearia campana, conseguente al drammatico periodo dell’emergenza rifiuti. In quel caso la psicosi collettiva fece registrare un sensibile decremento delle vendite per quanto riguardava i produttori di mozzarella, gli allevatori e i titolari di caseifici in tutta la Campania dal Casertano al Cilento, quest’ultima zona rinomata per la produzione e l’allevamento di quegli animali.Cembalo e Di Maio, titolari del caseificio "La Nuova contadina" sono stati assolti perché il fatto non sussiste da tribunale monocratico nocerino.
Sono stati assolti "perché il fatto non sussiste" Giuseppe Di Maio, classe 1937 e Odilia Cembalo, classe 1938. I due, titolari del caseificio "La nuova contadina" erano stati denunciati dal nucleo antisofisticazioni dei carabinieri dopo che alcune analisi erano state effettuate sulla mozzarella di bufala campana.
I campioni esaminati dai tecnici di laboratorio dei carabinieri avevano evidenziato una cosa, il latte di bufala aveva delle parti mescolate di latte vaccino in misura del dieci per cento: dallo stabilimenti ad Albanella, agli acquirenti, secondo le accuse, venivano vendute confezioni di mozzarella di bufala d.o.p. quando in realtá, secondo quanto sostenevano i risultati delle analisi effettuate, c’era nel latte di bufala una percentuale di latte vaccino, procedura illegale che configurava la sofisticazione alimentare e la truffa ai danni di chi, ignaro, credeva di comprare la pregiata e più costosa mozzarella di bufala campana. In realtá per i due titolari del caseificio scattò la denuncia mentre i prodotti analizzati configurarono l’ipotesi di reato, con tutte le conseguenze del caso per l’attivitá di vendita e per la nomea dell’esercizio commerciale. 30 chili di mozzarella vennero sequestrati: era presente nella composizione sempre stando alle analisi effettuate dagli inquirenti, undici per cento proibito di latte vaccino, in difformitá rispetto alle vigenti normative che disciplinano la normativa in campo alimentare. Quel prodotto non era in regola, le analisi avevano dato il responso: latte vaccino in luogo di latte di bufala, con una differenza qualitativa e di prezzo che configurava il reato. Il prezzo di una mozzarella di bufale era allora, nel 2001, epoca dei fatti, di circa diciannovemila lire al kg. L’episodio contestato ai due imputati avveniva in un periodo poco recente, a molti anni dallo scandalo esploso lo scorso anno con la raffica di controlli e analisi a tappeto proprio sulla produzione casearia campana, conseguente al drammatico periodo dell’emergenza rifiuti. In quel caso la psicosi collettiva fece registrare un sensibile decremento delle vendite per quanto riguardava i produttori di mozzarella, gli allevatori e i titolari di caseifici in tutta la Campania dal Casertano al Cilento, quest’ultima zona rinomata per la produzione e l’allevamento di quegli animali.Cembalo e Di Maio, titolari del caseificio "La Nuova contadina" sono stati assolti perché il fatto non sussiste da tribunale monocratico nocerino.
ALTAVILLA. MESTIERI ARTI E PROFESSIONI negli anni '50
MESTIERI ARTI E PROFESSIONI negli anni '50
di Carmine Senatore
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Parlare di mestieri,arti e professioni di un determinato periodo storico significa mettere in luce l’economia e la cultura di una comunità. Infatti , evidenziare i mestieri prevalenti in un determinato periodo significa far vedere come era orientato l’economia e il risparmio della gente del tempo. Il tipo dei mestieri , come la qualità , che ne indicava la propensione a diventare arte, ne era la dimostrazione ,così come Il numero e il tipo dei professionisti e ne rappresentava la cultura . Ricordarli mi ha offerto l'occasione per superare gli schemi classici della narrazione della storia locale e per acquisire il rispetto e la valorizzazione del patrimonio locale attraverso l'approfondimento e la rivisitazione del passato.
Il mestiere più esercitato era quello del muratore e del falegname, che erano due mestieri strettamente connessi ed orientati ad avere una casa per proteggersi. Alla costruzione della casa era orientata la gran parte dei risparmi. Il materiale più usato erano i blocchi di arenarie,che era parte rocciosa in strati e banchi presente nelle formazioni rocciose del mio paese. Le fondazioni degli edifici , il più delle volte , erano poste direttamente sui blocchi di arenarie affioranti. Era una pietra che si lavorava facilmente e coperta con malta conferiva alla casa una buona protezione dal freddo e dall’umidità,invece , fortemente erodibile se scoperta di intonaco. La gran parte dei portali, compresi quelli delle chiese, era formata da tali materiali. E questo ne spiega come buona parte di essi ,per effetto della erosione, si stia nel tempo sgretolando. Legati all’attività di costruzione erano i cavatori di pietra e gli scalpellini. Ve n’erano alcuni particolarmente esperti di tradizione familiare, nel senso che il mestiere veniva trasmesso da padre a figlio. Modellare invece la pietra era compito dello scalpellino. Per la verità questi erano pochi. Il che dimostrava la scarsa propensione al decoro della propria casa, della quale, più che la bellezza , si riconosceva il valore pratico della protezione. Erano mastro muratori :mastro Antonio Mazzeo, mastro Leopoldo Senatore, mio padre, e mastro Pasquale Zunno (coppia inscindibile), mastro Antonio Mangone, mastro Tanuccio Peduto, mastro Manuccio Brenga, mastro Antonio Mangone, mastro Carmelo Sacco, mastro Adolfo ed Attilio Senatore. I mestieri erano trasmessi da padre in figlio e vi erano famiglie intere,i n cui i maschi esercitavano lo stesso mestiere. Erano muratori Alfredo Senatore ,mio zio, e i numerosi figli di Carmelo Sacco .Così lo stesso mestiere era stato esercitato anche dai loro padri e i loro figli hanno lavorato per una parte della loro vita con i loro padri (cosa che è capitata anche a me).Tra i mastri falegnami Michele ed Aniello Mazzeo, mastro Alfonso Portanova , che durante le feste pasquali, costruiva le “tranule”,la famiglia di Pasquale Marra…. Poi Alberto Zunno e Sambroia e più di recente mastro Dinuccio Mazzeo, che in seguito diventerà poliziotto, mastro Ciccio Criscuolo (Battilocchio)…E poi gli imbianchini rappresentati da Ciccio ,Salvatore e Corrado Iorio,Emilio Giannella, ottima voce e cantore delle più belle melodie d’allora. Quella dei Giannella era una famiglia fortemente vocata al canto. Infatti Alfredo Giannella , fratello di Emilio, era stato selezionato ed assunto nel Coro e dell’Opera di Roma. Allievo di Emilio Giannella :Carmelo Cembalo….. E ancora Sisinio Caramante. Questo mestiere aveva una sua impennata di lavoro, nel periodo pasquale durante il quale si faceva un’imbiancata generale alle case. Cavatori di pietra , quasi tutti i membri della famiglia Poppiti. Scalpellino di buon valore era Alfredo Salerno , il suonatore di tamburo della banda “Rossini”. Legata , alla edilizia del tempo, era i geometri, i quali oltre ad interessarsi dei progetti delle case , erano soprattutto “agrimensori” .Tra i più quotati erano Pasquale Belmonte e Pasquale Perito ;… e poi Peppino Cennamo. I progetti delle case erano direttamente fatti dai muratori su indicazione dei proprietari. Nessuna legge edilizia e nessun vincolo, se si escudono le imposte sui materiali. Ognuno costruiva come voleva e dove poteva. Vi era poi qualche estimatore dei fondi rustici per valutarne il valore. Tra essi ,stimato e ritenuto oggettivo nella valutazione,il padre di Amedeo Cennamo. Gli elettricisti: i Nigro e Sabatino….. Per gli utensili della casa ,gli stagnini: Donato Laurino ,per i contenitori dell’olio, e Peppe Di Matteo soprattutto artigiano abilissimo nel lavorare la “rame rossa”, la cui batteria di pentole era corredo obbligato delle spose. Per la cura della persona i barbieri. La esercitavano: mastro Alberto Belmonte, Ciccio Grimaldi e Ciccio Bufano, Agostino Guerra , Agostino Di Masi, poi emigrato in Belgio. Più numerosi , se non altrettanti , i calzolai. Tra essi Antonio Di Matteo, Alfredo Di Matteo, Guglielmo Agresti,Antonio Marra, Nicola Guerra. Tipografo ( erano di sua fattura i manifesti elettorali e gli annucci mortuari ) Giovanni Cennamo, che era anche redattore di diplomi e altri certificati che venivano poi validati dal notaio Mottola, prima Don Ciccio e poi il figlio Don Giovanni . Infine, “dulcis in fundo”, i pasticcieri . Il “caffettiere”, con le sue “castagnole e “ i “sorbetti di Campagna”, Iorio e il figlio Arnaldo, Angelina Molinara, la madre dell’ex sindaco Arduino Senatore, Gigino Cantalupo “u poponzio”, ne erano i validi rappresentanti . La loro bontà e magnificenza erano mostrate durante i matrimoni, i cui festini si svolgevano in casa accompagnati da musiche e balli suonati da orchestrine ,i cui membri erano i giovani d’allora , abili suonatori di tromba, chitarra e fisarmonica. Chi non ricorda Mario Di Matteo,alla tromba, Giuliano De Rosa e Carmine Francione, alla fisarmonica, Emiddio Mangone alla chitarra ? E ancora prima , l’orchestrina dei Mazzei, i figli del “cavaliere”, giovani studenti con la voglia di fare musica e divertirsi.
Le professioni del tempo erano rappresentati soprattutto dai maestri elementari. L’obbligatorietà dell’istruzione e il compito assegnato ad essi dal Fascismo , ne aveva accresciuto il numero e oil prestigio. I maestri del tempo : Ninetta Belmonte e il fratello Nando, Guerra Beniamino, Cecchino Di Verniere, Vincenzo Morrone,mio maestro, il fiduciario, Alfonso Scarsi, la moglie Guerra Elvira, Paolo Tesauro Olivieri e la moglie sig.ra Giovine, Antonino Di Matteo, Giovanni Sambroia (poi segretario). Vi erano poi gli impiegati comunali, tutti nel palmo di una mano(!...): Osvaldo Baione, Arturo Ferrara, Oreste Gallo, Giacomo Baione. Allora: efficienza e rapidità…. Vi era qualche avvocato, tra questi Don Amadeo Mazzei ,Attilio Guerra, e,ai tempi della mia giovinezza, Rocco Morrone, le cui “impudenze legali” ne avevano ritardato la carriera professionale . Cause e contrasti venivano risolti bonariamente tra le parti, per cui la professione non era sufficiente per dare un reddito adeguato. Così vi era qualcuno, che pur essendo laureato in legge, Beniamino Guerra, diventava maestro dopo aver conseguito il diploma. Alcuni giovani si davano alla carriera militare , sia in marina che nell’esercito, e ne diventavano ufficiali. I professori di scuole medie superiori erano pochi e si potevano contare sulle dita di una mano. Tra essi Rosario Gallo ,professore di latino e greco. Qualche eccellenza tra gli studenti universitari: Gino Criscuolo, studente alla Normale ,laureatosi in fisica. Tanti gli studenti :gran parte arrestatisi per la severità degli studi del tempo. Notaio e “ deus ex machina” : Ciccio Mottola,la cui pensione intorno agli anni ’50 si aggirava intorno a £ 101.000 al mese, che veniva ritirata regolarmente dal fattore , zio Martino.
di Carmine Senatore
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Parlare di mestieri,arti e professioni di un determinato periodo storico significa mettere in luce l’economia e la cultura di una comunità. Infatti , evidenziare i mestieri prevalenti in un determinato periodo significa far vedere come era orientato l’economia e il risparmio della gente del tempo. Il tipo dei mestieri , come la qualità , che ne indicava la propensione a diventare arte, ne era la dimostrazione ,così come Il numero e il tipo dei professionisti e ne rappresentava la cultura . Ricordarli mi ha offerto l'occasione per superare gli schemi classici della narrazione della storia locale e per acquisire il rispetto e la valorizzazione del patrimonio locale attraverso l'approfondimento e la rivisitazione del passato.
Il mestiere più esercitato era quello del muratore e del falegname, che erano due mestieri strettamente connessi ed orientati ad avere una casa per proteggersi. Alla costruzione della casa era orientata la gran parte dei risparmi. Il materiale più usato erano i blocchi di arenarie,che era parte rocciosa in strati e banchi presente nelle formazioni rocciose del mio paese. Le fondazioni degli edifici , il più delle volte , erano poste direttamente sui blocchi di arenarie affioranti. Era una pietra che si lavorava facilmente e coperta con malta conferiva alla casa una buona protezione dal freddo e dall’umidità,invece , fortemente erodibile se scoperta di intonaco. La gran parte dei portali, compresi quelli delle chiese, era formata da tali materiali. E questo ne spiega come buona parte di essi ,per effetto della erosione, si stia nel tempo sgretolando. Legati all’attività di costruzione erano i cavatori di pietra e gli scalpellini. Ve n’erano alcuni particolarmente esperti di tradizione familiare, nel senso che il mestiere veniva trasmesso da padre a figlio. Modellare invece la pietra era compito dello scalpellino. Per la verità questi erano pochi. Il che dimostrava la scarsa propensione al decoro della propria casa, della quale, più che la bellezza , si riconosceva il valore pratico della protezione. Erano mastro muratori :mastro Antonio Mazzeo, mastro Leopoldo Senatore, mio padre, e mastro Pasquale Zunno (coppia inscindibile), mastro Antonio Mangone, mastro Tanuccio Peduto, mastro Manuccio Brenga, mastro Antonio Mangone, mastro Carmelo Sacco, mastro Adolfo ed Attilio Senatore. I mestieri erano trasmessi da padre in figlio e vi erano famiglie intere,i n cui i maschi esercitavano lo stesso mestiere. Erano muratori Alfredo Senatore ,mio zio, e i numerosi figli di Carmelo Sacco .Così lo stesso mestiere era stato esercitato anche dai loro padri e i loro figli hanno lavorato per una parte della loro vita con i loro padri (cosa che è capitata anche a me).Tra i mastri falegnami Michele ed Aniello Mazzeo, mastro Alfonso Portanova , che durante le feste pasquali, costruiva le “tranule”,la famiglia di Pasquale Marra…. Poi Alberto Zunno e Sambroia e più di recente mastro Dinuccio Mazzeo, che in seguito diventerà poliziotto, mastro Ciccio Criscuolo (Battilocchio)…E poi gli imbianchini rappresentati da Ciccio ,Salvatore e Corrado Iorio,Emilio Giannella, ottima voce e cantore delle più belle melodie d’allora. Quella dei Giannella era una famiglia fortemente vocata al canto. Infatti Alfredo Giannella , fratello di Emilio, era stato selezionato ed assunto nel Coro e dell’Opera di Roma. Allievo di Emilio Giannella :Carmelo Cembalo….. E ancora Sisinio Caramante. Questo mestiere aveva una sua impennata di lavoro, nel periodo pasquale durante il quale si faceva un’imbiancata generale alle case. Cavatori di pietra , quasi tutti i membri della famiglia Poppiti. Scalpellino di buon valore era Alfredo Salerno , il suonatore di tamburo della banda “Rossini”. Legata , alla edilizia del tempo, era i geometri, i quali oltre ad interessarsi dei progetti delle case , erano soprattutto “agrimensori” .Tra i più quotati erano Pasquale Belmonte e Pasquale Perito ;… e poi Peppino Cennamo. I progetti delle case erano direttamente fatti dai muratori su indicazione dei proprietari. Nessuna legge edilizia e nessun vincolo, se si escudono le imposte sui materiali. Ognuno costruiva come voleva e dove poteva. Vi era poi qualche estimatore dei fondi rustici per valutarne il valore. Tra essi ,stimato e ritenuto oggettivo nella valutazione,il padre di Amedeo Cennamo. Gli elettricisti: i Nigro e Sabatino….. Per gli utensili della casa ,gli stagnini: Donato Laurino ,per i contenitori dell’olio, e Peppe Di Matteo soprattutto artigiano abilissimo nel lavorare la “rame rossa”, la cui batteria di pentole era corredo obbligato delle spose. Per la cura della persona i barbieri. La esercitavano: mastro Alberto Belmonte, Ciccio Grimaldi e Ciccio Bufano, Agostino Guerra , Agostino Di Masi, poi emigrato in Belgio. Più numerosi , se non altrettanti , i calzolai. Tra essi Antonio Di Matteo, Alfredo Di Matteo, Guglielmo Agresti,Antonio Marra, Nicola Guerra. Tipografo ( erano di sua fattura i manifesti elettorali e gli annucci mortuari ) Giovanni Cennamo, che era anche redattore di diplomi e altri certificati che venivano poi validati dal notaio Mottola, prima Don Ciccio e poi il figlio Don Giovanni . Infine, “dulcis in fundo”, i pasticcieri . Il “caffettiere”, con le sue “castagnole e “ i “sorbetti di Campagna”, Iorio e il figlio Arnaldo, Angelina Molinara, la madre dell’ex sindaco Arduino Senatore, Gigino Cantalupo “u poponzio”, ne erano i validi rappresentanti . La loro bontà e magnificenza erano mostrate durante i matrimoni, i cui festini si svolgevano in casa accompagnati da musiche e balli suonati da orchestrine ,i cui membri erano i giovani d’allora , abili suonatori di tromba, chitarra e fisarmonica. Chi non ricorda Mario Di Matteo,alla tromba, Giuliano De Rosa e Carmine Francione, alla fisarmonica, Emiddio Mangone alla chitarra ? E ancora prima , l’orchestrina dei Mazzei, i figli del “cavaliere”, giovani studenti con la voglia di fare musica e divertirsi.
Le professioni del tempo erano rappresentati soprattutto dai maestri elementari. L’obbligatorietà dell’istruzione e il compito assegnato ad essi dal Fascismo , ne aveva accresciuto il numero e oil prestigio. I maestri del tempo : Ninetta Belmonte e il fratello Nando, Guerra Beniamino, Cecchino Di Verniere, Vincenzo Morrone,mio maestro, il fiduciario, Alfonso Scarsi, la moglie Guerra Elvira, Paolo Tesauro Olivieri e la moglie sig.ra Giovine, Antonino Di Matteo, Giovanni Sambroia (poi segretario). Vi erano poi gli impiegati comunali, tutti nel palmo di una mano(!...): Osvaldo Baione, Arturo Ferrara, Oreste Gallo, Giacomo Baione. Allora: efficienza e rapidità…. Vi era qualche avvocato, tra questi Don Amadeo Mazzei ,Attilio Guerra, e,ai tempi della mia giovinezza, Rocco Morrone, le cui “impudenze legali” ne avevano ritardato la carriera professionale . Cause e contrasti venivano risolti bonariamente tra le parti, per cui la professione non era sufficiente per dare un reddito adeguato. Così vi era qualcuno, che pur essendo laureato in legge, Beniamino Guerra, diventava maestro dopo aver conseguito il diploma. Alcuni giovani si davano alla carriera militare , sia in marina che nell’esercito, e ne diventavano ufficiali. I professori di scuole medie superiori erano pochi e si potevano contare sulle dita di una mano. Tra essi Rosario Gallo ,professore di latino e greco. Qualche eccellenza tra gli studenti universitari: Gino Criscuolo, studente alla Normale ,laureatosi in fisica. Tanti gli studenti :gran parte arrestatisi per la severità degli studi del tempo. Notaio e “ deus ex machina” : Ciccio Mottola,la cui pensione intorno agli anni ’50 si aggirava intorno a £ 101.000 al mese, che veniva ritirata regolarmente dal fattore , zio Martino.
La collina degli ulivi di Tiziana Monari
È il tuo nome
crocifisso al tramonto
sulla collina degli ulivi
confuso con il cielo
esile di profumo
carico di neve.
È il tuo cuore nero
in quest’inverno in bilico
nascosto in un angolo del mio
coperto da una lacrima
che indugia stanca.
È la tua anima
di ladro e predone
quei passi senza pensieri
il fragore delle parole d’amore.
E siamo noi
amanti delle tenebre
che forse
una notte andando
di melodia in melodia
curvandoci a stelo sui fiori
possedendoci
porteremo quiete
dove ora c’è tempesta
e saremo liberi di sopportare
il silenzio del dolore.
crocifisso al tramonto
sulla collina degli ulivi
confuso con il cielo
esile di profumo
carico di neve.
È il tuo cuore nero
in quest’inverno in bilico
nascosto in un angolo del mio
coperto da una lacrima
che indugia stanca.
È la tua anima
di ladro e predone
quei passi senza pensieri
il fragore delle parole d’amore.
E siamo noi
amanti delle tenebre
che forse
una notte andando
di melodia in melodia
curvandoci a stelo sui fiori
possedendoci
porteremo quiete
dove ora c’è tempesta
e saremo liberi di sopportare
il silenzio del dolore.
martedì 17 marzo 2009
La bicicletta di mio padre e l’investimento di “Zio Giovannino”
La bicicletta di mio padre e l’investimento di “Zio Giovannino”
di CARMINE SENATORE
L’unica fabbrica del paese ,nella quale nel dopoguerra lavoravano la gran parte della popolazione, era situata in pianura a circa 15 chilometri del paese. Questa distanza, mancando mezzi di trasporto, veniva percorsa da gran parte a piedi. Per cui era giocoforza alzarsi molto presto per raggiungere il luogo di lavoro.
Il complesso aziendale era stato voluto e costruito da un giovane ed illuminato uomo salernitano, che successivamente divenne sottosegretario , durante la II Legislatura e la III Legislatura, sotto i governi Zoli (con delega all’emigrazione) e Segni.
Comprendeva un tabacchificio e una segheria con annesso conservificio. Successivamente fu aggiunto un cordificio per la lavorazione del nylon per fare discoli per i frantoi oleari.
Accanto al complesso industriale, era stato costruito un complesso edilizio per gli impiegati e gli operai provenienti dai paesi vicini.
Il lavoro in fabbrica, però , era di carattere stagionale. Per cui si alternava il lavoro in fabbrica a quello privato, rendendo praticamente inutilizzabile la bicicletta, la quale rimaneva chiusa nel bottaio, il luogo nel quale si corservano il vino e i salami.
Quando mio padre comprò una bicicletta fu una grande festa.L’ultimo tratto di circa due chilometri era fortemente in salita con tornanti fortemente in pendenza.
La pendenza della strada , sterrata, unita alla stanchezza di una giornata di lavoro,impediva che la si potesse percorrerla . Si smontava di sella e si portava la bicicletta a mano.
Dall’alto del muraglione, così veniva denominata la salita, i ragazzi attendevano e andavano incontro ai genitori . La bicicletta passava dall’una all’altra mano. Così ,mentre i genitori abbreviavano la strada attraverso delle scorciatoie, i ragazzi percorrevano con la bicicletta a piedi i vari tornanti. Qualche volta io la prendevo ed ero riuscito dopo numerosi tentativi a padroneggiarla.
Erano gli anni della competizione di Bartali e Coppi.
Le loro gesta erano decantate da tutti e coinvolgevano anche noi ragazzi.Imitarli nelle loro gesta rappresentava il nostro sogno.
Coppi, soprannominato “campionissimo” aveva vinto il Giro ancora nel 1947, nel ’49, nel ’52 e nel ’53: ma la sua fama crebbe soprattutto grazie alle continue sfide con Bartali, che vincerà ancora nel 1946. La gente adorava il suo essere un “omone buono”, forse meno calcolatore del collega Coppi. Secondo alcuni sarebbe stata la vittoria di Bartali ad una delle tappe del Tour del 1948 a placare gli animi degli italiani sconvolti per l’attentato di Antonio Pallante a Palmiro Togliatti: Bartali stesso ha invece detto come, forse, servì a distogliere momentaneamente l’attenzione ma che, certo, le due cose non avevano avuto la stessa importanza.
Coppi e Bartali gareggiarono spesso insieme e quando Bartali smise di correre divenne direttore sportivo proprio della squadra di Coppi che, invece, nel 1960 aveva quarant’anni e nessuna intenzione di smettere.
Le competizioni continuavano anche in classe dove il mio maestro,Vincenzo Morrone (il papà dell’avvocato Rocco Morrone), che aveva diviso la classe in gruppo col nome dei ciclisti più famosi d’allora.
Un giorno io e il suo amico Ezio decidemmo di fare una gara con la bicicletta dalla piazza fino alle palazzine popolari: il primo tratto in discesa , il secondo fortemente in salita.
Fu proprio durante la discesa che avvenne l’investimento del postino. La velocità era talmente elevata che all’altezza di una sartoria. ,il postino che usciva con il suo borsone , fu investito.
Era un ometto bassa e grasso che portava gli occhiali. Il borsone lo rendeva ancora più rotondeggiante.Sanguinante, con lettere e plichi sparpagliati dovunque, nonostante il forte impatto, aveva inforcati ancora su un orecchio gli occhiali.Per due mesi fu costretto a mettersi in congedo, lui che non aveva mai preso un giorno di ferie,neanche quando ne aveva diritto.Da lontano io, timoroso,lo guardavo con entrambi le mani ingessate.
Sai chi era il mio amico Ezio?.... quello che poi diventerà procuratore capo in Brasile, animatore e fondadatore di "Altavilla Viva"
di CARMINE SENATORE
L’unica fabbrica del paese ,nella quale nel dopoguerra lavoravano la gran parte della popolazione, era situata in pianura a circa 15 chilometri del paese. Questa distanza, mancando mezzi di trasporto, veniva percorsa da gran parte a piedi. Per cui era giocoforza alzarsi molto presto per raggiungere il luogo di lavoro.
Il complesso aziendale era stato voluto e costruito da un giovane ed illuminato uomo salernitano, che successivamente divenne sottosegretario , durante la II Legislatura e la III Legislatura, sotto i governi Zoli (con delega all’emigrazione) e Segni.
Comprendeva un tabacchificio e una segheria con annesso conservificio. Successivamente fu aggiunto un cordificio per la lavorazione del nylon per fare discoli per i frantoi oleari.
Accanto al complesso industriale, era stato costruito un complesso edilizio per gli impiegati e gli operai provenienti dai paesi vicini.
Il lavoro in fabbrica, però , era di carattere stagionale. Per cui si alternava il lavoro in fabbrica a quello privato, rendendo praticamente inutilizzabile la bicicletta, la quale rimaneva chiusa nel bottaio, il luogo nel quale si corservano il vino e i salami.
Quando mio padre comprò una bicicletta fu una grande festa.L’ultimo tratto di circa due chilometri era fortemente in salita con tornanti fortemente in pendenza.
La pendenza della strada , sterrata, unita alla stanchezza di una giornata di lavoro,impediva che la si potesse percorrerla . Si smontava di sella e si portava la bicicletta a mano.
Dall’alto del muraglione, così veniva denominata la salita, i ragazzi attendevano e andavano incontro ai genitori . La bicicletta passava dall’una all’altra mano. Così ,mentre i genitori abbreviavano la strada attraverso delle scorciatoie, i ragazzi percorrevano con la bicicletta a piedi i vari tornanti. Qualche volta io la prendevo ed ero riuscito dopo numerosi tentativi a padroneggiarla.
Erano gli anni della competizione di Bartali e Coppi.
Le loro gesta erano decantate da tutti e coinvolgevano anche noi ragazzi.Imitarli nelle loro gesta rappresentava il nostro sogno.
Coppi, soprannominato “campionissimo” aveva vinto il Giro ancora nel 1947, nel ’49, nel ’52 e nel ’53: ma la sua fama crebbe soprattutto grazie alle continue sfide con Bartali, che vincerà ancora nel 1946. La gente adorava il suo essere un “omone buono”, forse meno calcolatore del collega Coppi. Secondo alcuni sarebbe stata la vittoria di Bartali ad una delle tappe del Tour del 1948 a placare gli animi degli italiani sconvolti per l’attentato di Antonio Pallante a Palmiro Togliatti: Bartali stesso ha invece detto come, forse, servì a distogliere momentaneamente l’attenzione ma che, certo, le due cose non avevano avuto la stessa importanza.
Coppi e Bartali gareggiarono spesso insieme e quando Bartali smise di correre divenne direttore sportivo proprio della squadra di Coppi che, invece, nel 1960 aveva quarant’anni e nessuna intenzione di smettere.
Le competizioni continuavano anche in classe dove il mio maestro,Vincenzo Morrone (il papà dell’avvocato Rocco Morrone), che aveva diviso la classe in gruppo col nome dei ciclisti più famosi d’allora.
Un giorno io e il suo amico Ezio decidemmo di fare una gara con la bicicletta dalla piazza fino alle palazzine popolari: il primo tratto in discesa , il secondo fortemente in salita.
Fu proprio durante la discesa che avvenne l’investimento del postino. La velocità era talmente elevata che all’altezza di una sartoria. ,il postino che usciva con il suo borsone , fu investito.
Era un ometto bassa e grasso che portava gli occhiali. Il borsone lo rendeva ancora più rotondeggiante.Sanguinante, con lettere e plichi sparpagliati dovunque, nonostante il forte impatto, aveva inforcati ancora su un orecchio gli occhiali.Per due mesi fu costretto a mettersi in congedo, lui che non aveva mai preso un giorno di ferie,neanche quando ne aveva diritto.Da lontano io, timoroso,lo guardavo con entrambi le mani ingessate.
Sai chi era il mio amico Ezio?.... quello che poi diventerà procuratore capo in Brasile, animatore e fondadatore di "Altavilla Viva"
lunedì 16 marzo 2009
LO SCULTORE GELSOMINO CASULA ED IL SUO “RACCONTO DELLA NATURA”
Gelsomino Casula e uno scultore che vive ad Altavilla Silentina ma e natio di Uta (CA); da molti decenni si e fermato nella Pianura del Sele dove opera e si disloca in ogni parte. Le sue opere sono presenti in ogni dove. A Gelsomino la passione per la scultura e nata nel momento in cui si e reso conto che la natura e la cosa più importante. I racconti della natura lo affascinano, lo travolgono, lo fanno innamorare. Uno dei tanti pensieri, che affascina chi lo ascolta e: “La natura per millenni ha partorito, volta per volta, le sue forme infinite indicando continuamente l’evoluzione. L’uomo, il suo parto, il suo cammino, il suo ingegno, si applica dalla sua immaterialità alla materia, l’oggetto d’uso da esso costruito volta per volta, diventa traccia di quell’ingegno, di quell’arte adottata per la sua
sopravvivenza, per il suo benessere, per il suo cammino, la sua scultura.” Gelsomino può continuare all’infinito, parla di se come se lui fosse un’opera nata direttamente dalla natura, per cui da Dio: “Dio lo incontro nella profondità dell’anima, la pittura servirebbe ad ammantare nel colore questo nuovo mondo, questo paesaggio dello spirito, e tale trasformazione va direzionata verso la luce di tutte le cose che possono essere provate da quel bambino che s’avvia incontrando la sua natura intelligente con l’anima che lo assiste, dialoga con lo spirito Divino indicandogli la legge di corrispondenza”. Tutto e cominciato nel momento in cui ha avvertito il bisogno di andare al di la della materia, oltre quello che vedeva. Gelsomino e uno scultore che modella la pietra e le pietre per lui sono diverse l’una dall’altra, alchè afferma: “Non tutte le pietre hanno per me la stessa importanza. Quando il mio sguardo si ferma sul blocco che mi ispira, sento il bisogno di raccontare ciò che la natura ha da offrire attraverso quella forma”. Tra il Nostro scultore e la sua pietra, grande o piccola che sia, c’e un dialogo, un desiderio, la necessita di raggiungere quella bellezza che in qualche modo lo si offre. La maggior parte delle sue opere raffigurano dei volti che non sono altro dei contenitori di intelligenza, il senso dell’infinito. E’ come una grande scena dove non ci sono gli attori ma soltanto le sue emozioni. Casula, con le sue opere vuole trasmettere ciò che non e stato ancora raccontato, ciò che non può essere mai più ripetuto, ciò che sfugge alla consapevolezza.
Ammirare un’opera di Gelsomino Casula che si trovano a Salerno, a Castelnuovo di Conza, a Controne, a Battipaglia, in musei privati o in una semplice casa e sempre una emozione. Guardare quell’anima che ti parla ferma e statuaria come una pietra che pietra non e, mi vengono in mente le parole del grande artista: “La natura e l’arte sono le stesse cose, nell’armonia, nella fusione non sono l’una contro l’altra. La madre e una e per fare figli deve continuare lo stato di salute ed alimentare genuinamente tutti i suoi figli. Il Padre li (leve continuamente riscaldare e fare in modo che la madre Terra continui ad allattare ciò che Dio ha dato alla nostra vita materiale e spirituale, alimentata da quella continuità dello spirito divino che genera e trasforma continuamente”.
sopravvivenza, per il suo benessere, per il suo cammino, la sua scultura.” Gelsomino può continuare all’infinito, parla di se come se lui fosse un’opera nata direttamente dalla natura, per cui da Dio: “Dio lo incontro nella profondità dell’anima, la pittura servirebbe ad ammantare nel colore questo nuovo mondo, questo paesaggio dello spirito, e tale trasformazione va direzionata verso la luce di tutte le cose che possono essere provate da quel bambino che s’avvia incontrando la sua natura intelligente con l’anima che lo assiste, dialoga con lo spirito Divino indicandogli la legge di corrispondenza”. Tutto e cominciato nel momento in cui ha avvertito il bisogno di andare al di la della materia, oltre quello che vedeva. Gelsomino e uno scultore che modella la pietra e le pietre per lui sono diverse l’una dall’altra, alchè afferma: “Non tutte le pietre hanno per me la stessa importanza. Quando il mio sguardo si ferma sul blocco che mi ispira, sento il bisogno di raccontare ciò che la natura ha da offrire attraverso quella forma”. Tra il Nostro scultore e la sua pietra, grande o piccola che sia, c’e un dialogo, un desiderio, la necessita di raggiungere quella bellezza che in qualche modo lo si offre. La maggior parte delle sue opere raffigurano dei volti che non sono altro dei contenitori di intelligenza, il senso dell’infinito. E’ come una grande scena dove non ci sono gli attori ma soltanto le sue emozioni. Casula, con le sue opere vuole trasmettere ciò che non e stato ancora raccontato, ciò che non può essere mai più ripetuto, ciò che sfugge alla consapevolezza.
Ammirare un’opera di Gelsomino Casula che si trovano a Salerno, a Castelnuovo di Conza, a Controne, a Battipaglia, in musei privati o in una semplice casa e sempre una emozione. Guardare quell’anima che ti parla ferma e statuaria come una pietra che pietra non e, mi vengono in mente le parole del grande artista: “La natura e l’arte sono le stesse cose, nell’armonia, nella fusione non sono l’una contro l’altra. La madre e una e per fare figli deve continuare lo stato di salute ed alimentare genuinamente tutti i suoi figli. Il Padre li (leve continuamente riscaldare e fare in modo che la madre Terra continui ad allattare ciò che Dio ha dato alla nostra vita materiale e spirituale, alimentata da quella continuità dello spirito divino che genera e trasforma continuamente”.
La Contadina. Torna in carcere il rapinatore
Ritorna in carcere Benito Dolce (nella foto), 36enne pregiudicato di Bellizzi, che deve scontare due anni e sette mesi di reclusione per rapina. Dolce ad ottobre del 2007 insieme a due complici per ben tre volte ha messo a segno rapine al caseificio "La Contadina". La gang fu individuata dai carabinieri di Battipaglia dopo i tre colpi compiuti con lo stesso modus operandi. Fu misero il bottino raggranellato durante le tre rapine, solo 3000 euro. Ormai la tecnica per effettuare le rapine era sempre simile e ben collaudata. "Mozzarelle, mozzarelle". Sussurrava Benito Dolce armato di un pugnale da caccia alle malcapitate commesse del caseificio "La Contadina" che intimorite lasciavano campo libero ai banditi. Uno dei due complici spalleggiava Dolce mentre l'altro attendeva i malviventi a bordo di una utilitaria di colore grigio pronto per scappare via. I rapinatori in tre occasioni, durante i colpi messi a segno al caseificio ubicato sulla statale 19, hanno portato via anche il registratore di cassa per fuggire via più rapidamente. Cappellini e occhiali da sole scuri, sempre gli stessi, utilizzati dai banditi per camuffarsi. Un escamotage del tutto inutile. I carabinieri non sono caduti in trappola e grazie soprattutto alla descrizione dei volti dei malfattori fatta dalle malcapitate commesse è stato possibile individuare i banditi ed arrestarli. A casa di uno dei rapinatori i militari ritrovarono il pugnale utilizzato da Dolce per effettuare le rapine. Un'arma da taglio pericolosissima lunga addirittura 18 centimetri. Nell'abitazione di Dolce, a Bellizzi, i carabinieri trovarono una maglietta utilizzata durante uno dei colpi. Simili più o meno anche gli orari scelti dai banditi per compiere le rapine senza correre grossi rischi. I malfattori entravano in azione sempre poco prima della chiusura del caseificio. Il primo colpo è stato messo a segno il primo ottobre del 2007. Poi, in soli quindici giorni sono state compiute le altre rapine. Le commesse del caseificio "La Contadina" terrorizzate vivevano in preda al panico ma grazie alle indagini dei carabinieri i malfattori sono stati individuati. Ieri mattina, Dolce dopo l'arresto effettuato dai carabinieri della stazione di Bellizzi, agli ordini del luogotenente Gennaro Battiloro è stato trasferito al carcere di Fuorni. La scelta dei banditi di svaligiare per ben tre volte il caseificio "La Contadina", secondo gli investigatori, non è casuale. I banditi hanno approfittato del particolare per nulla trascurabile che presso le rivendite de "La Contadina" di Battipaglia non c'è personale maschile e quindi è più semplice intimorire le giovani commesse e mettere a segno il colpo.
Provinciali 2009. Questa volta si candida Rosario Gallo
[Or.Mo]. Alle prossime elezioni provinciali uno dei candidati altavillesi sarà l'ex sindaco Rosario Gallo. Personalità politica di rilievo ha sempre avuto la capacità di "polarizzare" la discussione sulla sua persona. Così l'ho raccontato tre anni fa, quando si candidò alle elezioni comunali.
ALTAVILLA IL TERZO INCOMODO FRA CEMBALO E DI FEO È ROSARIO GALLO
Sarò un sindaco soldato semplice e padre di famiglia
Spunta il terzo incomodo fra Cembalo e Di Feo: è Rosario Gallo
Dare visibilità esterna al paese. Ridare umiltà ed operatività ad una classe dirigente che sappia far risultato. Che porti fieno in cascina e scommetta sui giovani. Questi i messaggi, semplici semplici, che Rosario Gallo, fa irrompere nella campagna elettorale altavillese. Concetti centristi, per aggregare intorno alla sua Udeur quella parte di paese che si ritrova a disagio con il centrosinistra di Cembalo ed il centrotavola di Di Feo. Gallo lo fa a modo suo, annunciando che il 29 maggio ci sarà anche lui, terzo incomodo e terzo polo della politica locale. E alle nozze dargento con il ruolo di protagonista nella politica altavillese. Semplice consigliere comunale per pochissimo tempo, sindaco quasi sempre, per più di un decennio. Oppure è stato fuori dallaula consiliare sì, ma sempre alle prese con una campagna elettorale. Politiche, amministrative o per il consorzio di bonifica che fosse. Non cè un appuntamento che abbia saltato. Gli studiosi di marketing elettorale dovrebbero studiarlo. E costantemente alla guida di una macchina che produce voti di lista e preferenze. Alle primarie dellUnione ancora non si sa se il comune che in Italia ha dato la più alta percentuale a Mastella sia stata Altavilla oppure Ceppaloni.
Ora è di fronte ad uno dei passaggi più difficili della sua carriera. Dopo 14 anni torna a proporsi in prima persona . Una sanzione amministrativa laveva squalificato e così gli altri (Cammarano e Di Feo, in primis) avevano potuto pascere come volevano.
Sì, Rosario Gallo sarà candidato a sindaco di Altavilla Silentina, il prossimo 29 maggio. Alla Brace dOro va al podio del palco e comincia con il ringraziare Giovanni Paolo II, un grande papa e poi continua coi giovani, i bambini e gli anziani. Il suo è un discorso da democristiano a tutto tondo. Gli appelli ai liberi ed ai forti e le citazioni di Sturzo si sprecano. La lista si chiamerà Progetto per Altavilla, un nome evocativo dei suoi fortunati slogan a cavallo degli anni Ottanta.
Il mio impegno politico è un dovere, ripete spesso. La mia candidatura attuale è sofferta, molto meditata e travagliata, dice. Spiega così alla sua gente perchè è costretto a questa scelta. Una cosa è la visibilità che posso avere come cittadino come voi, unaltra cosa è essere rappresentante istituzionale comunale presso le istituzioni provinciali e regionali: aumenterà il mio potere contratturale. Traduzione: non mi basta più poter portare in dote il mio pacchetto di preferenze elettorali da spendere ma devo avere in mano le leve del potere municipale sennò a Salerno e Napoli non mi danno il peso che merito. Ci sono troppi problemi irrisolti di questa collettività che mi spingono a fare questa scelta, racconta alla platea che lo ascolta interessata. Più volte Gallo si rivolge alla sua gente per dirgli che se troviamo ancora ascolto, e risolviamo pure qualche problema, è grazie a voi. Nota esplicativa: voi mi date i vostri voti, io riesco a renderveli in favori.
Gallo più volte evoca la sua squadra. Le colonne sono Arduino Senatore, Edi Cembalo e Pasqualino Perillo, ma il resto viene dal circondario, da Postiglione con Carmine Cennamo e a Capaccio con Pasquale Quaglia. Nessun cenno a Donato De Rosa, presidente della comunità montana ed esponente di primo piano dellUdeur: con Gallo non si prende proprio. Una squadra che è prima altavillese, e poi diventa comprensoriale. Carmine Cennamo raro esempio di attaccamento ai valori che contano, è dinamico e concreto, è la gratifica di un Gallo in vena di epigrafi al sindaco di Postiglione ed assessore provinciale.
Poi racconta dello stupore dei nuovi addetti alla manutenzione delle strade provinciali quando hanno verificato lo stato della nostra viabilità. Cosa è stato fatto negli ultimi dieci anni?, si è chiesto Gallo. Una piccola stilettata ad Antonio Di Feo, che pure il medico di Galdo contribuì pesantemente a mandare a Palazzo S. Agostino. Gallo fa poi il modesto. Bisogna conservare lumiltà ciò che siamo. Non perdere la dignità delle nostre origini. Espressione di una squadra che vive tra la gente e non espressione del Palazzo, ramificata sullintero territorio comunale.
Poi, in conclusione dintervento, indica il sindaco che lui sarà: Intendo la carica di sindaco non come una medaglia da apporre allocchiello e da mostrare nelle occasioni importanti in senso di autoesaltazione. Toni alti e poi il messaggio da fare arrivare agli elettori più di bocca buona. Io farò come il padre di famiglia che ogni mattina esce di casa per procurare il reddito ai propri cari. Lultima battuta sembra poter essere distribuita equamente fra Di Feo e Cembalo: Incarnano un modello di classe dirigente fatto solo di generali, che sentendosi già appagati, non hanno dato e non daranno alcun contributo alla collettività. Io ha chiuso Gallo - voglio un esercito di volontari....
Oreste Mottola
ALTAVILLA IL TERZO INCOMODO FRA CEMBALO E DI FEO È ROSARIO GALLO
Sarò un sindaco soldato semplice e padre di famiglia
Spunta il terzo incomodo fra Cembalo e Di Feo: è Rosario Gallo
Dare visibilità esterna al paese. Ridare umiltà ed operatività ad una classe dirigente che sappia far risultato. Che porti fieno in cascina e scommetta sui giovani. Questi i messaggi, semplici semplici, che Rosario Gallo, fa irrompere nella campagna elettorale altavillese. Concetti centristi, per aggregare intorno alla sua Udeur quella parte di paese che si ritrova a disagio con il centrosinistra di Cembalo ed il centrotavola di Di Feo. Gallo lo fa a modo suo, annunciando che il 29 maggio ci sarà anche lui, terzo incomodo e terzo polo della politica locale. E alle nozze dargento con il ruolo di protagonista nella politica altavillese. Semplice consigliere comunale per pochissimo tempo, sindaco quasi sempre, per più di un decennio. Oppure è stato fuori dallaula consiliare sì, ma sempre alle prese con una campagna elettorale. Politiche, amministrative o per il consorzio di bonifica che fosse. Non cè un appuntamento che abbia saltato. Gli studiosi di marketing elettorale dovrebbero studiarlo. E costantemente alla guida di una macchina che produce voti di lista e preferenze. Alle primarie dellUnione ancora non si sa se il comune che in Italia ha dato la più alta percentuale a Mastella sia stata Altavilla oppure Ceppaloni.
Ora è di fronte ad uno dei passaggi più difficili della sua carriera. Dopo 14 anni torna a proporsi in prima persona . Una sanzione amministrativa laveva squalificato e così gli altri (Cammarano e Di Feo, in primis) avevano potuto pascere come volevano.
Sì, Rosario Gallo sarà candidato a sindaco di Altavilla Silentina, il prossimo 29 maggio. Alla Brace dOro va al podio del palco e comincia con il ringraziare Giovanni Paolo II, un grande papa e poi continua coi giovani, i bambini e gli anziani. Il suo è un discorso da democristiano a tutto tondo. Gli appelli ai liberi ed ai forti e le citazioni di Sturzo si sprecano. La lista si chiamerà Progetto per Altavilla, un nome evocativo dei suoi fortunati slogan a cavallo degli anni Ottanta.
Il mio impegno politico è un dovere, ripete spesso. La mia candidatura attuale è sofferta, molto meditata e travagliata, dice. Spiega così alla sua gente perchè è costretto a questa scelta. Una cosa è la visibilità che posso avere come cittadino come voi, unaltra cosa è essere rappresentante istituzionale comunale presso le istituzioni provinciali e regionali: aumenterà il mio potere contratturale. Traduzione: non mi basta più poter portare in dote il mio pacchetto di preferenze elettorali da spendere ma devo avere in mano le leve del potere municipale sennò a Salerno e Napoli non mi danno il peso che merito. Ci sono troppi problemi irrisolti di questa collettività che mi spingono a fare questa scelta, racconta alla platea che lo ascolta interessata. Più volte Gallo si rivolge alla sua gente per dirgli che se troviamo ancora ascolto, e risolviamo pure qualche problema, è grazie a voi. Nota esplicativa: voi mi date i vostri voti, io riesco a renderveli in favori.
Gallo più volte evoca la sua squadra. Le colonne sono Arduino Senatore, Edi Cembalo e Pasqualino Perillo, ma il resto viene dal circondario, da Postiglione con Carmine Cennamo e a Capaccio con Pasquale Quaglia. Nessun cenno a Donato De Rosa, presidente della comunità montana ed esponente di primo piano dellUdeur: con Gallo non si prende proprio. Una squadra che è prima altavillese, e poi diventa comprensoriale. Carmine Cennamo raro esempio di attaccamento ai valori che contano, è dinamico e concreto, è la gratifica di un Gallo in vena di epigrafi al sindaco di Postiglione ed assessore provinciale.
Poi racconta dello stupore dei nuovi addetti alla manutenzione delle strade provinciali quando hanno verificato lo stato della nostra viabilità. Cosa è stato fatto negli ultimi dieci anni?, si è chiesto Gallo. Una piccola stilettata ad Antonio Di Feo, che pure il medico di Galdo contribuì pesantemente a mandare a Palazzo S. Agostino. Gallo fa poi il modesto. Bisogna conservare lumiltà ciò che siamo. Non perdere la dignità delle nostre origini. Espressione di una squadra che vive tra la gente e non espressione del Palazzo, ramificata sullintero territorio comunale.
Poi, in conclusione dintervento, indica il sindaco che lui sarà: Intendo la carica di sindaco non come una medaglia da apporre allocchiello e da mostrare nelle occasioni importanti in senso di autoesaltazione. Toni alti e poi il messaggio da fare arrivare agli elettori più di bocca buona. Io farò come il padre di famiglia che ogni mattina esce di casa per procurare il reddito ai propri cari. Lultima battuta sembra poter essere distribuita equamente fra Di Feo e Cembalo: Incarnano un modello di classe dirigente fatto solo di generali, che sentendosi già appagati, non hanno dato e non daranno alcun contributo alla collettività. Io ha chiuso Gallo - voglio un esercito di volontari....
Oreste Mottola
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