Pubblicato su carta sin dal 1993, è uno dei più longevi periodici dell'area della Piana del Sele e Cilento. La Collina degli Ulivi online vuole essere ancora di più un luogo di informazione, ascolto e diffusione di idee, anche attraverso l'interazione in tempo reale con i suoi lettori in ogni parte del mondo.

mercoledì 3 dicembre 2008

Agli altavillesi Sergio Chiamparino regala una macchina spazzatrice

Il premio alla virtuosià nel riciclo

Era già accaduto con il comune di Roccadaspide che aveva avuto in dono una spazzatrice dal Sindaco di Milano.
Ora anche Altavilla Silentina ha avuto il suo dono da un altro autorevole comune, quello di Torino, diretto dall'attivissimo Sergio Chiamparino il quale a fine novembre ha comunicato di poter donare una macchina spazzatrice stradale all'amministrazione comunale di Altavilla, che ne aveva fatto richiesta. A determinare la gentile donazione sono stati, oltre alle ben note ristrettezze economiche dei piccoli comuni, i risultati raggiunti in termini di raccolta differenziata, che a settembre era arrivata quasi al 74% e che devono aver convinto Chiamparino che l'impegno di Altavilla va premiato. Ed ora Altavilla si gode il dono ricevuto. "Siamo davvero grati al Sindaco e alla città di Torino per l'attenzione prestata al nostro problema – fa sapere l'assessore all'ambiente Salvatore Arietta - In paese ci siamo sempre dati da fare tutti per non subire il "disastro rifiuti", patito dalla regione Campania e il sistema della raccolta differenziata, fortemente voluto dal nostro Sindaco Antonio Di Feo, ci ha consentito di uscire indenni da una difficoltà enorme, che ha investito altri territori. La capacità amministrativa e lo spirito di collaborazione dell'intera comunità ci ha fatto raggiungere livelli importanti nella raccolta differenziata, superando il 70%". E la comunità ha davvero contato molto nella conversione del paese a comune riciclone iniziata nel 2005: le famiglie hanno dovuto organizzarsi praticamente da sole nella gestione dei rifiuti, integrandosi inizialmente con enormi sforzi con un sistema di raccolta molto ridimensionato: tutti ricordano le prime estati del riciclo altavillese per i sacchetti esposti ai muri con relativi effluvi per diverse giornate in attesa della raccolta.
La spazzatrice, sono convinti a Palazzo di città, agevolerà il lavoro degli operatori, consentendo di migliorare anche i risultati della raccolta differenziata.

lunedì 1 dicembre 2008

La ristampa de La Merica Altavillese di Bruno Di Venuta



AI CITTADINI ALTAVILLESI





La Regione Campania, Assessorato alle politiche sociali Settore Emigrazione, ha finanziato la ristampa del libro
“La Merica Altavillese”


I cittadini interessati ad avere una copia del libro possono prenotarla presso i seguenti recapiti:

Cartolibreria Crisci Alfredo – P.zza Umberto I°

Cartolibreria Reina – Cerrelli

Coro MusicaNova – Renato Mazzei

e-mail : emigrati@divenuta.it


Il libro sarà consegnato GRATUITAMENTE, fino ad esaurimento delle copie seguendo l’ordine temporale di prenotazione, il 3 Gennaio 2009 alle ore 18.00 nella Chiesa del Carmine, in occasione della manifestazione:

In Italia, in Europa, nel Mondo: Quante Altavilla?
Tanti Auguri agli altavillesi nel mondo


La manifestazione sarà organizzata da Bruno Di Venuta
in collaborazione con il Coro Polifonico MusicaNova.
emigrati@divenuta.it

martedì 25 novembre 2008

Ciao Antonio, altavillese semplice

Ci ha lasciati il papà di Oreste Mottola. Una persona semplice, come tanti altavillesi che restano affettivamente ma anche fisicamente e testardamente legati alla loro terra.

Non ho molto, solo poche parole scritte, ma sono le cose più preziose che possiedo.

Per Antonio

Le persone semplici a volte fanno minuziosamente e silenziosamente piccole cose grandi, come quella rete pazientemente filata con i valori sani e la tenacia che riescono a trasferire ai figli incolumi che si muovono in un mondo di gente che sgomitando arranca insoddifatta per arrivare arrivare arrivare. Un mondo vorticoso che questi valori non li conosce più.
Quelle persone, rimanendo legate alla materia più vera, la terra, a cui hanno dedicato una vita di sforzi e sacrifici, ci dicono che le cose importanti della vita non sono poi così complicate e lontane. Ci ricordano costantemente la forza della famiglia e della comunità.
La nostra terra è piena di quegli sguardi segnati e orgogliosi. E per questo così tremendamente vivi.
Ogni tanto qualcuno si spegne. Nei modi più diversi, a volte crudeli, sempre inaccettabili.
Ma l'intensità di quegli sguardi ci resterà dentro, vivida, finché vivremo.

E qualcosa di loro non ci ha mai lasciato.

D.

lunedì 17 novembre 2008

Ricordo di Giuseppe Galardi

Un fiore della cultura altavillese più alta

di Oreste Mottola

Ha vissuto per e con la società che lo circondava. Non si dica di lui che è stato solo un topo di biblioteche ed archivi. Giuseppe Galardi ha amato con uguale intensità la cultura, la natura ed anche la buona cucina e gli amici. E' stato uomo politico, assistente e consulente sociale. Ha fatto il farmacista ed il ragioniere. Ha vissuto intensamente la vita in tutte le sue sfaccettature. Da giovane lo spirito d'avventura gli risultava naturalmente congeniale. Era appena un adolescente quando, nel 1946, con gli allora giovanottini Amedeo Di Matteo, Rosario Gallo, Germano Di Lucia e Carmine Marra, organizzò un’esplorazione dell'allora spettrale, misteriosa e sconosciuta grotta di Castelcivita. Armati solo con un lume e gas e di tanta incoscienza questi giovanissimi, per ben due volte in un giorno, s'immersero in quegli antri allora per davvero bui e misteriosi. Il complesso speleologico non aveva guide, illuminazioni e gli stessi percorsi non erano stati per niente resi agevoli e percorribili com’è attualmente. E nessuno sapeva della "bravata" di questi ragazzi. E dall'avventura uscirono per miracolo, poiché ogni volta vennero fuori da un'uscita diversa. Solo un anno prima aveva trascinato nel boschetto delle Carpenine i suoi amici per festeggiare, a spumante, la sua licenza liceale. E, appena l'anno dopo, fece prendere ad Amedeo Di Matteo la sua prima, ed unica, ubriacatura.
Il giovane Giuseppe studiava all'Università di Roma, ma trascorreva l'estate ad Altavilla con i suoi amici. La vita dei giovani di buona famiglia dell'epoca aveva ritmi e modi molto semplici. Facevano gruppo intorno a Rocco Morrone, Mario e Luigi Guerra e lo stesso Giuseppe Galardi. Le discussioni colte erano inframmezzate con il rito della passeggiata in Piazza Castello, la scappatella a Calore per un bagno nel fiume, le escursioni in campagna a raccogliere e a mangiare la frutta di stagione e a... fumare furtivamente in quattro o cinque persone la stessa sigaretta. Ma non appena faceva buio dovevano già essere in casa. Intorno a loro avvenivano grandi trasformazioni sociali, svolte epocali. C'era l'emigrazione che si portava via la migliore gioventù e contemporaneamente le rimesse - in dollari e marchi - contribuivano a rimettere in piedi un paese uscito semi-distrutto dalla guerra. In paese non c'era l'acqua corrente e mancavano le fogne, nelle campagne anche strade ed elettricità. Nella Canonica si tenevano rappresentazioni teatrali e nel Granile intorno al Castello c'era il Cinema.
Qualche anno dopo con altri amici mette su una sorta di massoneria altavillese, molto sui generis. Si autodenominarono, il "patriziato", e subito Peppino - che ne era il capo indiscusso - degradò il fraterno amico Vincenzo Grimaldi a 'servo della gleba' perchè questi era dedito ...all'acqua di fontana, invece di essere un cultore del buon vino paesano.
Nella Piana sottostante le lotte contadine e bracciantili e la conclusione delle quasi secolari operazioni di Bonifica facevano scomparire l'incubo della malaria e dalla Collina in migliaia scesero verso Carillia e Cerrelli. La "storia d’Altavilla"si è strettamente intrecciata al nome ed alla figura di Giuseppe Galardi. A lui si sono rivolti tutti: dalla Soprintendenza BAAS agli studenti universitari alle prese con la tesi di laurea. "E' stata la memoria storica del nostro paese" dice Francesco Mottola che insegna Storia Medioevale all'Università di Chieti. Galardi vive da sempre all'ombra del luogo più significativo della storia del paese: quella chiesa di S. Egidio desolata mente chiusa dopo il terremoto del 1980 e dentro ricoperta da una spessa coltre di polvere e di calcinacci con il pavimento sconnesso e pieno di crepe.
Lo storico Galardi è stato per i compaesani "il dottore" o semplicemente "Peppino" a secondo del grado di confidenza. Non amava pubblicare i suoi lavori. Alla stampa ha dato finora uno studio sull'arrivo ad Altavilla del Corpo Santo di S. Germano (la reliquia è conservata nella chiesa di S. Biagio) ed un "Profilo storico monumentale e paesaggistico di Altavilla Silentina; (edito dalla salernitana Palladio di Franco Di Matteo) e scritto a quattro mani con Rosario Messone. Negli anni giovanili ha scritto sulla rivista culturale "Verso il Duemila" di Salerno.
Eppure aveva una casa ricca di manoscritti sul dialetto e sulle tradizioni popolari. Nessuno riuscì mai a vincere finora la sua naturale ritrosia. La "militanza" storica -di Giuseppe Galardi comincia nei primi anni Cinquanta. Ha l'esempio dello zio Donato, direttore didattico e corrispondente de "Il Mattino" e del "Roma", conversatore forbito ed arguto e dalla cultura enciclopedica. A casa Galardi c'è un cenacolo intellettuale e politico di grande fascino e prestigio a cui fanno capo i professionisti del paese che avversano - il podestà e poi sindaco - Francesco Mottola.
Saranno poi gli animatori delle epiche lotte politiche tra la lista della "Stella" e dell'"Orologio". Comincia ad interessarsi quasi professionalmente alla storia di Altavilla Silentina per le scoperte fatte nel riordinare le carte dello scomparso zio Donato. Fu profondamente colpito dal libro dei baroni Alessandro e Antonio Ferrara, "Cenni Storici su Altavilla Silentina" pubblicato nel lontano 1898. Ancora oggi è il testo base della storia silentina. Ed è questa pubblicazione ad instradarlo verso la storia che diventa per lui una passione divorante, una ragione di vita. Diventa di casa presso gli archivi di Napoli e di Salerno, consulta e ricostruisce gli archivi parrocchiali e del Comune di Altavilla Silentina. Entra in contatto con storici di professione come Timpano, Mazzoleni e Cilento. Scopre di aver avuto un antenato vissuto nell'Italia dell'Ottocento di fede liberale ed esule in Piemonte, che ha partecipato - nel 1857 - alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane (e si salverà a stento dall'eccidio di Sanza) e che finirà in galera per supposto fiancheggia mento del brigantaggio. Il suo nome è Rosario Galardi e su di lui Giuseppe Galardi stava raccogliendo la documentazione necessaria per scriverci un libro. Nel 1964 è Giuseppe Galardi a fornire allo scrittore varesino Piero Chiara le notizie di base per il suo romanzo "Il Balordo", ambientato ad Altavilla. La vicenda è stata ricostruita da Lidia Cennamo nel libro "La Collina degli Ulivi", in questa sede segnaleremo solo il "furto" di una decina di pagine del vecchio libro dei Ferrara che Chiara trascrive integralmente nel suo romanzo. E' negli anni Sessanta e Settanta che Giuseppe Galardi s'impegna nell'opera difficile e certosina di ricostruzione dell'Archivio Storico del Comune, recuperando i registri che erano andati dispersi nelle case dei vecchi impiegati e riordinando una marea di vecchie carte. Rimette così insieme rari ed importanti documenti del Cinquecento e del Seicento, bollettini feudali, raccolte di leggi e deliberati amministrativi. Ho già ricordato che Giuseppe Galardi è stato anche esponente politico di primo piano nel nostro paese. Per tanti anni sedette nel consiglio comunale quale rappresentante del Msi. L' amore per Altavilla, la concordia, l'ironia e la lungimiranza furono sempre i suoi riferimenti nello svolgere il suo mandato politico. Mi piace, in questa sede, ricordare che una delle sue ultime battaglie fu contro l'estensione ai territori collinari della "pertinenza" del Consorzio di Bonifica di Paestum. E' quella delibera comunale che oggi ci costringe tutti a pagare un inutile tributo per una bonifica che non c'è stata e non ci sarà mai.
Giuseppe Galardi ebbe anche la capacità di attrarre la curiosità del Touring Club che, nel 1994, mandò la giornalista Dora Celeste Amato a raccontarlo nel libro “I più interessanti ed insoliti itinerari italiani”: “La sua casa profuma di antico: cibi tradizionali “tirati” dalle sei di mattina sul vecchio “fornello” accanto a pagine e pagine di quadernetti riempiti dalla minuta grafia di questo Julien Sorel cilentano, solo per amore per la storia – scrive - e niente scandali. Ce ne sono già abbastanza in queste carte, sembra dirci Galardi!”. Poi lo storico sociale spiega alla giornalista una delle curiosità altavillesi, dove l’emancipazione femminile è ormai un fatto secolare: “Sin dall’inizio dell’Ottocento molti erano i matrimoni che avvenivano fra le ragazze altavillesi, spesso un po’ attempatelle e spesso vedove, e i ragazzi lucani. I “bracciali” che venivano dalla poverissima Basilicata (lavoratori delle braccia) arrivavano qui e in cambio trovavano la donna e la casa, anche se questa era costituita da una sola stanza. Erano quindi le donne a dettare legge, proprietarie di case e campi; le cose cambiarono solo a fine Ottocento, quando molti uomini chiesero il passaporto per “le Americhe” e, tornando, poterono sposare le figlie dei maggiorenti”.

venerdì 7 novembre 2008

Per i creativi c'è Progetto Kublai del Ministero dello Sviluppo


di Diomira Cennamo

Se avete un'idea culturale dal sapore tradizionale oppure innovativo, vi suggerisco di iscrivervi subito a questa orignale e potente iniziativa avviata dal Laboratorio per le Politiche di Sviluppo del Ministero dello Sviluppo Economico. Si chiama Progetto Kublai e sta già sostenendo molti creativi italiani della città come della provincia.



Particolarmente innovativi i mezzi di comunicazione utilizzati: il più antico è il blog (!), seguito da social network e da un'isola in Second Life dove si tengono incontri e conferenze tra gente fisicamente lontana. Tutto funzionale a creare una rete di persone che si impegnino per lo sviluppo locale (e ci sono riusciti, a giudicare dai 350 iscritti al social network).

Una selezione dei migliori progetti di quest'anno è ormai prossima: l'11 novembre.

Nel progetto - che conosco bene svolgendoci un'attività nell'ambito delle relazioni pubbliche - c'è molta Provincia, soprattutto - ma non solo, come dimostrano i progetti milanesi, liguri, ecc. - meridionale.

E ci sono i progetti più diversi, dai festival culturali a un progetto di recupero di un antico Caffè letterario siciliano - mi viene in mente l'idea di Arnaldo Iorio che aveva riaperto il bar del bisnonno nel centro storico e dove faceva leggere i giornali di inizio Novecento... - fino a progetti di film di animazione e cacce al tesoro alla riscoperta della città in cui viviamo, estranei.

Allora chiamo all'appello i creativi altavillesi e dei dintorni che abbiano un'idea nel cassetto che credano possa creare sviluppo locale ma non pensano di avere le forze economiche e i contatti giusti per realizzarla.

Vi invito a informarvi meglio e a iscrivervi su: http://www.progettokublai.net/ .

Se avete bisogno di indicazioni potete poi chiedere a me su questo blog o alla mail: collina.ulivi@gmail.com.

Fatevi un'idea da questo video:

giovedì 6 novembre 2008

Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 4


di Oreste Mottola

Parte IV - CICCIO IORIO e il CONTRATTO

CICCIO IORIO - L'ex muratore diventato fotografo Ciccio Iorio volle prendersi lo sfizio di fare anche uno scherzo a don Ulderico. Aspettò che con il solito giro di amici Buonafine passeggiasse per Piazza Antico Sedile. Gli attaccò un petardo ai lembi della giacca e lo fece scoppiare. Lui replicò imperturbabile "Caro Ciccio, me l'hai fatta . . . ma io ti restituirò, a tempo debito, lo scherzo! Ma sarà una cosa seria. . non ti dovrai incazzare". E per mesi e mesi Iorio aspettò la reazione del Buonafine. Quest'ultimo aspettò il periodo intorno al primo di aprile per mettere in azione la beffa. Si ricordò di "Jose", il fratello che Ciccio Iorio aveva in America, ed imitandone la calligrafia scrisse una lettera al sarto Alberto Tancredi, con la quale gli annunciava il ritorno ad Altavilla, dopo la fortuna fatta in America. Tancredi comunicò subito la lieta notizia a Ciccio Iorio e questi. per non fare brutta figura, si affrettò a far imbiancare la propria abitazione, comprò un vestito nuovo per i figli e fiducioso andò a Napoli, presso l'Albergo Sirena, ad attendere l'arrivo di Jose Iorio. A causa di ritardi vari e per non perdere l'appuntamento Ciccio si fece il tratto da Altavilla a Salerno in bicicletta! Con le strade dell' epoca, sconnesse ed in terra battuta, non fu certo un viaggio agevole. E dopo qualche giorno d'attesa, l'albergatore amico e complice di don Ulderico Buonafine gli fece sapere che era arrivato un telegramma che lo riguardava. Il testo diceva pressappoco: "Mi trovo ad Altavilla presso Ulderico Buonafine. Firmato: Jose Iorio". Lo 'mbacchione (il soprannome di Ciccio) capì tutto e tornò scornato ad Altavilla. Era il primo aprile, e così nel paese prese piede l'usanza del... pesce d'aprile. Ulderico e Ciccio rimasero amici e questa del "fratello americano" diventò la beffa più celebre di Altavilla.

IL CONTRATTO E LA SCADENZA - Don Ulderico costruiva anche delle ringhiere in ferro di notevole fattura artistica. Ma per farle ci voleva molto tempo. Capitò così che a lui si rivolse una nota famiglia altavillese che aveva qualche soldo e s'era costruito un villino pretenzioso che abbisognava di parapetti che ben figurassero. . Il capofamiglia era un tipo dall'aria furbetta. . E così a don Ulderico Buonafine ordinò la costruzione delle ringhiere, gli versò una caparra e pretese un contratto che contemplasse una data di consegna a decorrere dalla quale scattava per ogni giorno di ritardo una cospicua penale. Scelse lui stesso una data ravvicinata con l'obiettivo di un sostanzioso risparmio sul prezzo pattuito ma . . . commise l'errore d'incaricare lo stesso don Ulderico della scrittura del contratto. Questi fiutata la trappola lo scrisse e dimenticò (intenzionalmente) dopo aver scritto giorno e mese, di indicarvi l'anno. Il signorotto, dopo qualche giorno dalla data pattuita, trascinò don Ulderico presso la Pretura di Roccadaspide per l'inadempienza contrattuale. Ma il Pretore non potette non darla vinta al Buonafine che così si scelse da solo sia i tempi di lavorazione e soprattutto riscosse l'intero importo del contratto. Quando si dice "a brigante, brigante e mezzo...".

mercoledì 5 novembre 2008

Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 3


di Oreste Mottola

Pate III - Il CARNEVALE, la RELIGIONE, il MULINO

IL CARNEVALE - Carnevale era il periodo di massi ma creatività per don Ulderico Buonafine. Finalmente poteva dar libero sfogo alla sua fantasia ed alla sua voglia di trasgressione, senza problemi do sorta. Per meglio operare si serviva di una base operativa via Municipio {al piano superiore di dov'è oggi l'Associazione "Altavilla Viva"), che per il resto dell'anno era della "Filarmonica" che dirigeva con Romeo Califano, una scuola popolare di musica. All' organizzazione del Carnevale con lui lavoravano alacremente fino a 30 persone. Si ricordano ancora le epiche spaghettate di fronte all'attuale Municipio", con la pasta servita negli orinali! Si dava vita poi al corteo che attraversava le principali vie del paese; con Don Ulderico vestito da prete, e che nel benedire tutte le case si soffermava in particolare sotto quelle abitate da belle ragazze, qui srotolava l'originale scala dell'amore, una scala che chiusa era meno di un metro ma che, srotolata, si alzava fino a 3 metri! Facevano parte del corteo anche altri personaggi con Biagino Leone (detto Coria), che precedeva il corteo battendo un tamburo per richiamare l'attenzione del popolo e per invitarlo a riunirsi nella piazza principale per assistere al "Rito". Il tutto si concludeva con il fantoccio di Carnevale, che, dopo essere stato operato, e quindi tirare fuori le interiora di vitello allo scopo di creare disgusto nei più delicati di stomaco, certificatane la morte, veniva dato a fuoco e contemporaneamente si procedeva a leggerne il Testamento. Questo era l'unico momento in cui i pochi potenti del paese venivano sbertucciati nei loro grandi e piccoli peccati. Solo a don Ulderico era concessa questa irriverenza!

LA RELIGIONE Don Ulderico non era un credente. Nell' Altavilla di quegli anni era una davvero una scelta controcorrente, difficile e foriera di guai per chi la professava. Alla base delle sue convinzioni c'erano soprattutto gli anni passati in Seminario e quella cultura da enciclopedista, di forte impronta positivista, e per quel tanto di dannunzianesimo, per la ricerca costante del "piacere" della vita, che non poteva certa mente accostarlo alla pratica religiosa. La sua prorompente personalità gli impediva anche l'ipocrisia di una religiosità di convenienza. Gli piacque anche "giocare col Diavolo" con le pratiche spìritiche ed un'intera vita da "dandy". Lui ci teneva a non farsi notare e nello stesso tempo a non uniformarsi alla massa. Perché il suo vero elemento di distinzione era in quel suo particolarissimo modo di vivere. E vestiva anche in un modo "adeguato" al suo ruolo. Poi tutto di lui è diventato un romanzo.

IL MULINO. Il Mulino fu fondato nel 1908 dal padre Valdimiro. Con l'emigrazione in America del fratello Felice tutto il peso passò ad Ulderico, tornato ad Altavilla, dopo un soggiorno brasiliano di parecchi anni. L'impianto era "a palmenti" e funzionava con il gassogeno, un ingombrante maxibruciatore che tra sformava il carbone in gas povero o misto. Il Mulino dava lavoro a molta gente e sotto la direzione della moglie Maria Lettieri, c'erano Maddalena Capaccio, con Rosario e Donatina Cafaro e tanti altri lavoranti. Don Ulderico preferiva stare alla cassa ed alla pesa. Il motore del molino pesava 7 q. li e sviluppava 20 cv. di potenza per 200 giri al minuto. Nel 1940 il Mulino fu rinnovato e trasformato in elettrico perché, finalmente ad Altavilla, c'era la corrente elettrica trifasica, conosciuta come "forza motrice". Non ben conosciuto è l'eroico contributo dato da don Ulderico Buonafine con il suo Mulino durante gli anni dell'ultima Guerra. Con il paese distrutto ed una popolazione stremata c'era anche il razionamento alimentare e severissime sanzioni fino alla fucilazione toccavano al mugnaio che osava macinare grano che fosse eccedente la quantità stabilita dalla "tessera", il razionamento pro capite da fame. Approfittando della vicinanza della fontana del Convento, dove le donne andavano a lavare la biancheria ponendosi grossi cesti sulla testa, sia all'andata che al ritorno le stesse s'infilavano velocemente nelle porte del Mulino e, dopo aver portato il grano, ne ritiravano la farina. Un sistema di avvistamento era in funzione per difendersi da carabinieri ed eventuali malintenzionati. C'è da dire che mai il Buonafine speculò su tale attività e il prezzo della macinazione era quello dei tempi di pace. Fu grazie a lui che tanti nostri concittadini letteralmente non morirono di fame.

martedì 4 novembre 2008

Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 2


di Oreste Mottola

Parte II - L'OFFICINA

Nel 1922 fondò l'Officina Meccanica dalla quale uscirono quelle catose che sono state cantate da Padre Candido Gallo nelle Novelle dell’Acquafetente, pompe per le presse idrauliche e tanti frantoi per le olive. Da qui uscirono anche le tante ringhiere e finestre a botte in ferro battuto senza alcun punto di saldatura che adornarono le case più pretenziose di Altavilla e dei paesi vicini. In questo laboratorio lavorarono molti meccanici che avevano imparato il mestiere nelle più importanti fonderie ed officine meccaniche di Fratte di Salerno: dai vietresi Giovanni Gaeta e Giuseppe Ancellotti, il salernitano Michele Rago, l'albanellese Vincenzo Sabatini e gli altavillesi Luigi Zita e Donato Lauria. L'ultimo fu il battipagliese Americo Saviello, che sarà coinvolto nell'affaire della zecca clandestina e sposerà l'altavillese Angelica Guerra. Ulderico Buonafine, fu, indubbiamente un grosso talento in anticipo sui tempi e quindi incompreso. Ma anche un musicista come Mozart ed un filosofo come Giovambattista Vico, non ebbero in vita i riconoscimenti che il tempo gli ha poi dato! Si ricorda ancora un’ingegnosa innovazione che fece al dispositivo del Mulino che regolava la caduta graduale del grano. Appena la perfezionò si affrettò a mandarla alla ditta costruttrice che l'accolse prontamente. L' "Officina Meccanica Ulderico Buonafine Altavilla Silentina" , questo era il nome ufficiale dell'opificio, fu poi fittata ad Alfonso Verruccio. GLI AMICI La sua giornata aveva una precisa scansione. A mezzogiorno smetteva di lavorare per tuffarsi in quel suo mondo era racchiuso in una piccola cerchia di amici composta dal cugino Gennaro Ricci, i medici don Carlo ed Achille Sassi, Gaetano Guerra, Romeo ed Angelo Califano, Gennarino Bracco, Antonio Morra, Alberto Tancredi e Gaetano Cimino che usavano la vecchia piazza Antico Sedile come salotto di casa. Qui trascorrevano il loro tempo tra una partita di scopone, scopa e tressette. La sera si trasferivano al Mulino, dove si organizzavano banchetti e serate piene di musica. Lui stesso era un provetto suonatore di chitarra. Il migliore sulla piazza d’Altavilla. La vita paesana era allora scandìta dalla febbrile attività delle cantine di Ciccio Suozzo, Vito Di Lucia, Ferdinando Cancro, Daniele Guerra, Carmelo Nigro, Paolo Molinara e Antonio Belmonte. Erano chiamate ironicamente chiese ed ognuna, per vicinanza, ne aveva il nome. Era un innocente sotterfugio per poterne parlare in pubblico anche se in maniera cifrata per esempio quella di Carmelo Nigro diventava "il Carmine" dal l'omonima chiesa. In quella di Molinara una mattina comparve quest’avviso in rima, dettato addirittura sembra dal maestro Galardi: "Il sole qui risplende. Il buon vino qui si beve. Favorite ed allegri entrate. Di politica non parlate. Non bestemmiate. E prima di uscire pagate". Erano i bar dell'epoca. Qui si tra scorreva il tempo libero, prima dell'arrivo in massa della TV in ogni casa. In esse, oltre al vino, si servivano "semenzelle", nocelle americane, ceci e lo "sfriuonzo" di maiale.

lunedì 3 novembre 2008

Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 1

(Che quante ne pensava ne faceva)

di Oreste Mottola

Parte I - Chi era

Di lui si disse che ne faceva e ne sapeva una più del Diavolo. Amava descriversi così: "per me ci vuole nu chianchiere (macellaio, ndr) buono per tirarne mezzo chilo di carne". Era una pertica: alto, snello e con il corredo di un curato paio di baffi. Tutto muscoli, intelligenza e voglia di vivere alla grande. Lo sguardo era severo, quasi dolente, da cui traspariva un'ombra d’interiore austerità antica. Sempre educato e discreto, di carattere gioviale, non alzava mai la voce.
D’andatura lesta e felpata, indossava sempre un'elegante giacca a quadri e sopra, d'inverno, un cappottone nero che gli dava un aspetto che era per alcuni, da galeotto appena evaso, per altri, invece, da artista raffinato.
Gentiluomo all'antica, con il vezzo di portare all'occhiello della giacca, un bottone scuro che sotto portava scritto la frase: fatevi i cazzi vostri ed era sempre pronto a mostrarlo al malcapitato che gli rivolgeva una domanda importuna. Non si negò niente: da una vivace attività imprenditoriale (Mulino, forno, ed una modernissima officina meccanica) a donne, musica e banchetti. . . fino alle sedute spiritiche e sconfinamenti nello stesso campo della medicina. Una personalità poliedrica, veramente leonardesca che attraversò da protagonista gli anni altavillesi dalla fine dell'Ottocento all'alba degli anni '6O. Ulderico Buonafine, con il "don" acquisito non per le ricchezze ma per l'indiscussa fama e considerazione di cui godeva, questo è il nome del Nostro, seppe vivere davvero bene nell' Altavilla che viveva la grande ondata dell' emigrazione americana, la Grande Guerra, le epidemie di spagnola ed il flagello della malaria, e poi il Fascismo con le guerre coloniali in Africa, la bonifica della Piana e i lutti e le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. Per ricominciare dopo con la Ricostruzione postbellica ed ancora con l'emigrazione verso la Germania, la Svizzera ed il Belgio. Il potere politico rimaneva sempre saldamente accentrato nelle mani di don Ciccio Mottola.
Ulderico Buonafine, l’artigiano eccentrico, insieme con il notaio imprenditore Mottola erano le figure di riferimento di un’Altavilla laica che non aveva certo rapporti facili con il clero locale in anni di cinghia stretta, con foto che ancora oggi ci restituiscono volti emaciati per il poco e cattivo pane che ci si poteva permettere di mangiare. Ed è per questo che sarà proprio il Buonafine che, quando nel 1951, inaugurerà il suo nuovo mulino a promettere: "Pane bianco. . . / Supera ogni rimedio/ E ogni medicina. /Mangiatelo di giorno. . . / Guarisce ogni malato anche se moribondo. Ritorneranno vivi quelli dell'altro mondo!".
Era nato nel 1882 in una famiglia di buon lignaggio che cercò subito di indirizzare l'esuberante intelligenza del ragazzo. Lo mandò, infatti, a studiare in Seminario dove restò fino a sfiorare l'ordinazione sacerdotale. Qui imparò matematica, francese e latino. Quando, dopo il 1910, tornò ad Altavilla fu tra coloro che diedero vita alla celeberrima "Centrale", qualcosa che stava a cavallo tra società segreta, club privato e tabarin equivoco ma con tanto di organigramma di direzione. Forse non era niente di più di una taverna situata in vicoli poco abitati nel centro storico, fuori dagli occhi indiscreti frequentata da qualche donnina allegra dell’epoca.
Di questa vicenda ad Altavilla si è sempre molto favoleggiato. Molto probabilmente fu per questo che, nel 1913, dovette lasciare l'Italia. Raggiunse il fratello Felice in Brasile e lì s'impadronì delle nozioni di meccanica che poi applicherà così brillantemente al ritorno in Italia. E diventò un "mago del tornio" anche perché era uno dei pochi fabbri che conosceva l'uso delle misure logaritmiche.

lunedì 13 ottobre 2008

Nel paese del “zompa chi pote”


L'editoriale di Oreste Mottola

"Fuitevenne", consigliò una volta il grande Eduardo ai giovani della sua Napoli. Succede anche a me di consigliarlo sempre più spesso ai nostri giovani di talento che mi chiedono lumi non sul "cosa fare" da grandi ma sul "dove andarlo a fare" premesso che se così stanno le cose non potrà essere certo nel loro paese di origine. Aggiungo anche di farlo subito prima che l'età vi aggiunga dei legami che poi rischiano di intrappolarli sotto o sopra queste dolci colline. E' accaduto a me, non voglio che loro corrano lo stesso pericolo. Sì, ragazzi, fuitevenne prima che potete, perché anche chi ha oggi pressappoco l'età dei vostri genitori ed ha le redini del potere in mano anche per una prospettiva di rinnovamento del paese ha fallito clamorosamente, forse ancora di più delle generazioni precedenti. Otto anni di gestione ininterrotta della cosa pubblica vuol dire essere ben oltre la "fine dell'anno scolastico" che diversi anni l'amico Fernando Iuliano ci chiese di aspettare prima di redigere "le pagelle". C'è stato "l'esame di maturità", e la "media" è risultata decisamente bassa. Altavilla è un paese allo sbando e non s'intuisce neanche la direzione dello sviluppo futuro: agricolo? Industriale? Borgo dormitorio? L'unica cosa che è chiara è che siamo allo "zompa chi pote", ed i primi ad approfittarne, visti i i fatti che sono più che noti e sono ampiamente conosciuti. Lo fanno pure alla luce del sole, senza vergogna. Come, è più, del passato recente.
---
I mesi prossimi saranno caratterizzati da grandi annunci che, immagino, saranno “sparati” prima della fine dell'anno. Sul Belvedere si potrà finalmente rimettere mano a dare un senso ad un quartiere che oggi senso non ha. L'Adsl è tra noi, bene e ci mancherebbe che non mi unisca all'applauso, ma si aspetta che poi Telecom la distribuisca all'utenza. La nota di ottimismo è che la questione è in mano a Salvatore Arietta, assessore che ha ampiamente dimostrato nota buona volontà ed impegno. Gli faccio i nostri auguri e gli assicuro il mio modesto sostegno, affinché il divario digitale di Altavilla possa essere colmato nel più breve tempo possibile. La questione, lo comprendono tutti, è di straordinaria importanza. Arietta è coscienzioso, e sono sicuro che si terrà lontano dal "modello" di quel suo collega che tanto s'impegnò – e ci riuscì – affinché il nostro paese fosse escluso dal progetto del Parco del Cilento che ha voluto legare i paesi dell'interno (anche quelli come Altavilla, ancora in lista d'attesa per diventare "area contigua") ad un albergo della costa, affinché insieme si gestisca un programma di promozione. Altavilla era stata associata all'Hermanos di Ponte Barizzo, ed i fratelli Marsico (gli imprenditori proprietari della struttura) ancora ci stanno aspettando per vedere il da farsi. Silenzio dal municipio nonostante il diluvio di fax, mail e perfino telefonata personale sul cellulare. Perché è accaduto? Boh, è un bel mistero. Oppure no. Un senso c'era. Vuoi vedere che intercettare quel bel po' di turisti che d'estate passano sulla Statale 18 e "dirottarli" verso Altavilla era sbagliato? A costoro poi cosa avremmo fatto vedere? Cominciamo dalla "A" di archeologia, arte ed ambiente? L'area di San Lorenzo? Abbandonata. Il fiume? Inquinato e depredato. Gli ultimi due chilometri di corso, prima di incontrare il Sele: sono uno scandalo. Le chiese di Altavilla – paese? A San Biagio abbiamo messo le porte di ferro dopo il furto. Cielo e Terra? Sempre più un rudere. I nostri bei boschi della Macchia, Chianca e Foresta? Sui primi due ogni tanto si affaccia l'idea di un taglio, per carità di valorizzazione "colturale", potere delle parole, mentre per la "Foresta" sembra ormai imminente l'avvio dei lavori. Non conosco bene la progettazione (nonostante abbia chiesto più volte delle pubbliche delucidazioni) e quindi – per il momento - non mi pronuncio sulle questioni relative all'impatto ambientale. Mi interessa invece avvertire che condurrò una battaglia senza quartiere affinché la gestione del teatro che vi sarà ricavato venga affidato alle migliori energie che questo paese esprime (due nomi su tutti: Alfredo Crisci e Tiziana Di Masi) e non invece – com'è abitudine dei nostri piani alti – al più raccomandato/a che hanno per le mani. Io non mi volterò dall'altra parte (come qualcuno ha fatto con me in una vicenda similare) e griderò forte affinchè non si cancelli il merito, il talento e perfino l'appartenenza a questa comunità, a favore di inconfessabili secondi e terzi fini.
---
Mi piacerebbe – ed è il motivo per il quale scrivo questa nota – smettere di consigliare di andarsene altrove per i nostri giovani. Sogno un'Altavilla che faccia l'impossibile per trattenerli qui. Cominciando dal migliorare le offerte culturali e di divertimento. O dagli orari e dei percorsi dei bus scolastici, che sono più meno gli stessi di trent'anni fa. Mi piacerebbe trovare degli amministratori che di fronte ad una proposta come quella fatta a Carillia da Raffaele Barone, preside dell’Istituto Agrario “Fortunato” di Eboli, per una nuova scuola superiore dedicata alla lavorazione del latte vaccino e bufalino, da ubicare nella Piana altavillese, la facciano propria e non dimentichino disinvoltamente. Sì, sogno un'Altavilla dove nessuno dica più "O con me o contro di me", ma dove si scenda dal piedistallo e si chieda di fare dei pezzo di strada assieme, perché ciò è utile a tutti. E quello che è utile a tutti, poi va a migliorare anche la vita dei miei figli e dei parenti più prossimi. Il "familismo amorale" (coltivare l'interesse più immediato mio e magari della mia famiglia a scapito degli altri) è la dannazione del nostro sud. Sottosviluppo economico e civile, delinquenza organizzata: tutto comincia da lì. E' difficile sostenere che nel corso degli ultimi otto anni in questo paese non siano andati drammaticamente avanti fenomeni d'involuzione della nostra società. Inutile citare i fatti. Ed è per questo che mi piacerebbe vedere dell'altro in chi ci amministra. Oggi siamo prevalentemente alle "pubbliche relazioni" con "alte autorità" . So già che sarò gratificato dal solito sorrisetto di sufficienza. Guardate che mica mi arrabbio, dirò solo come Totò: "Lei è un cretino, s'informi…".

Atavilla piange Daniela Reina


Il ricordo del giovane medico altavillese stroncato da un tumore

di Emiliana Di Feo

Lo scorso diciassette settembre molti altavillesi, e non solo, hanno dato l’ultimo saluto a Daniela Reina, giovane medico che si era fatta strada da un rurale paesino della piana del Sele in una delle università più prestigiose d’Italia: l’Uninersità Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Infatti, in tale università non solo ha conseguito la laurea in medicina con ottimi voti, la specializzazione in psichiatria, ma stava concludendo anche il dottorato di ricerca che la impegnava, tra l’altro, in pubblicazioni, convegni e workshop in diverse regioni italiane.
Tuttavia, questi impegni accademici non le impedivano di svolgere con professionalità e disponibilità, nei confronti di colleghi e pazienti, l’attività di medico presso una clinica romana.
Tale percorso non è avvenuto per caso, ma rappresenta il frutto di una personalità tenace accompagnata da anni di sacrifici e impegno costante.
Daniela è stata mia compagna di scuola alle elementari. Con affetto ricordo i suoi lunghi capelli ricci e biondi e il suo coinvolgente sorriso.
Facile intuire che era tra le più brave a scuola. Intendiamoci, non era una secchiona avara di suggerimenti, anzi, non era raro che al mattino il suo quaderno passasse di mano in mano tra i compagni meno diligenti, per copiare i compiti. Ero sempre affascinata dai suoi temi e i suoi racconti ricchi di intrecci e colpi di scena, mai banali. La sua passione, infatti, era leggere e scrivere. Leggeva tantissimo. Scriveva poesie, fiabe, storie brevi e divertenti e lunghi racconti.
Aspetto che mi ha sempre colpito di lei era la mancanza di invidia nei confronti degli altri. Il suo animo si presentava sereno e prodigo di aiuto a chi lo richiedeva direttamente o indirettamente.
Ha sempre lavorato per sé e non per primeggiare.
Anche alle superiori ha dimostrato le sue capacità con eccellenti risultati e, infatti, molti docenti l’hanno stimata profondamente ricordandola come allieva eccellente.
La scrivente ha avuto la fortuna non solo di conoscere lei, ma anche la sua meravigliosa famiglia che l’ha formata e sostenuta secondo quei valori che fanno di una persona una grande persona: l’umiltà, l’onestà, il sacrificio e l’amore per il prossimo. Daniela, infatti, è vissuta circondata da persone, quali i genitori, i nonni, costantemente dedite al lavoro; che hanno saputo attribuire il giusto valore alle cose e al tempo. Tale insegnamento mi è confermato dagli stessi genitori che mi ricordano come la loro figlia si sia accontentata sempre di poco, che non inseguiva falsi bisogni come il possesso di capi firmati ma andava alla ricerca della sostanza e dell’essenza delle cose.
È questo il contesto in cui Daniela ha messo le radici per poi crescere forte, sicura e affrontare la vita con semplicità e dedizione.
Chi porta dentro di sé la presenza di Daniela non può che sentire viva la testimonianza dei veri valori e ricercare con maggiore consapevolezza il senso da dare alla propria vita.


-------------------------------------

di Elisabetta Reina

Prima di andare via Daniela ha salutato la sua famiglia con un abbraccio e un sorriso ciascuno. Quanta lucidità, e quanto coraggio ha dimostrato per ogni istante della sua vita.
A soli trentadue anni ci ha lasciato, troppo pochi per coloro che l’hanno amata e troppo profondo il vuoto che ha lasciato nel cuore di tutti.
Ma Lei nella sua vita ha pensato a tutto e ha pensato anche di donarci un qualcosa, per cercare di attenuare l’immenso dolore di questo vuoto e per riuscire a dare un senso a tutto quello che è successo.
La scomparsa di una persona cara non solo provoca un profondo senso di tristezza ma induce a vivere una vita fatta di “perché”. Dany ci ha lasciato le risposte a questi infiniti perché e tali risposte sono nascoste in come lei ha vissuto e nei sani e saldi valori per cui Lei da sempre ha lottato - Dio, Amore, Famiglia - è certo però che solo il tempo darà a chi rimane la forza che Lei ha voluto farci ereditare. Fin da piccola Dany parlava con Gesù come se fosse il suo miglior Amico e il suo unico Confidente, così Lei viveva la fede, con umiltà e dolcezza. Anche durante i suoi ultimi mesi ci ha detto - non mi sento di chiedere niente a Gesù o di pregare affinchè io guarisca, Lui sa ciò che è giusto ed io mi affido.
Amore, è il concetto che riesce a racchiudere totalmente il Suo modo di vivere, Amore per la vita, Amore per il mondo, Amore per le persone, tutte. Ed è proprio questo grande motore che Le ha dato la spinta per lottare ed una reale ed eterna felicità. Lei non si è mai alterata veramente, mai con nessuno, mai per nessuna cosa. Solo una cosa La faceva star male e preoccupare ed era sapere o pensare che qualcuno delle persone a Lei care avesse qualche malessere: gli altri sono sempre stati al primo posto. La sua grande umiltà, la sua semplicità e la sua saggezza facevano di Lei un punto di riferimento per chiunque, fratelli, amici, cugini, parenti. Dany non conosceva l’invidia né la gelosia, era felice per ciò che aveva e le bastava veramente poco per accontentarsi e star bene.
Era una persona alla quale rivolgersi in ogni momento per ricevere una parola o un sorriso ma anche per un aiuto professionale, Lei infatti era un ottimo medico. Già a tre anni Dany aveva imparato a fare il dettato, a quattro scrisse la prima lettera a Babbo Natale chiedendo in dono dei libri. Ha sempre ottenuto il massimo dei voti a scuola, medico a 25 anni, laureata in una delle università più prestigiose d’Europa “Università Cattolica del Sacro Cuore” di Roma, psichiatra a 29 e aveva quasi terminato anche il dottorato di ricerca. Sempre dedita allo studio e al lavoro, con immenso rispetto nei confronti dei sacrifici dei genitori che con ogni mezzo Le avevano garantito una carriera universitaria.
In Famiglia Lei è sempre stata la più forte, generosa e disponibile, sempre. Era Lei a dar la forza alla sua famiglia. La sua malattia negli ultimi sei mesi La consumava ma Lei non ha detto mai di star male, quando i genitori, il marito e i fratelli Le chiedevano - come stai? - Lei rispondeva - bene, non vi preoccupate per me - e poi diceva - menomale che mi sono ammalata io e non i miei fratelli, Domenico è più piccolo di me e Betty è troppo magra per sopportare le chemioterapie.
Ricorderemo Daniela per sempre perché Lei vivrà in ogni cosa del mondo, esisterà nell’amore per un bambino, in un gesto di rispetto, nella voglia di lottare, nel coraggio di essere se stessi, nell’onestà tra due persone, nella fede in Dio.
Dany ci lascia una vita da vivere all’insegna dei suoi insegnamenti.


-------------------------------------

Cara Dany,

sei sempre stata tu ad avere un pensiero per tutti, a dire la parola giusta nel momento giusto, ma ora sono io a voler dire qualcosa a te…
Avevo solo 11 anni quando ti ho conosciuto, ma ho capito subito che eri una persona speciale, il tuo sorriso rivelava tutta la tua timidezza e la tua bontà.
Per averti sempre al mio fianco ti ho chiesto di farmi da madrina di Cresima e da allora ti ho reso partecipe di tutte le mie scelte.
Ho frequentato il Liceo Scientifico come hai fatto tu, sono andata a studiare a Roma come hai fatto tu, ho scelto di vivere nello stesso quartiere che abitavi tu, ho scelto di curarmi la tiroide al Policlinico Gemelli dove lavoravi tu e perfino il ragazzo l’ho scelto tra le persone che tu frequentavi.
Sei stata per me un esempio di vita, non sarà facile continuare senza di te.
Nel nostro gruppo tu eri l’elemento di coesione. Tu organizzavi le cene, tu organizzavi le feste e tu davi l’input per fare sempre cose nuove. Sei stata la prima a trasferirti a Roma, la prima a fidanzarti, a laurearti, a sposarti e noi altri ti seguivamo con orgoglio e dedizione.
Tu c’eri sempre per tutti e noi ci sentivamo più forti e sicuri dopo aver parlato con te, dopo aver ascoltato un tuo saggio consiglio.
Anche quando negli ultimi mesi stavi male, mai una lacrima, mai una lamentela, ma solo sorrisi, progetti, tanta forza e tanto coraggio. Ricordo con malinconia una cosa che mi hai detto poco tempo fa: “cara Nancy (così tu mi chiamavi), io ora ho tanto tempo perché sto qui costretta a letto, allora penso a voi, penso a tutti i miei amici e a tutti i sogni e i progetti che dovete ancora realizzare, non perdete tempo”. A me ad esempio consigliavi di sposarmi il prima possibile.
Il messaggio che lanciavi a tutti era di non perdere tempo dietro cose futili e di dare priorità alle cose che nella vita davvero contano come creare una famiglia, far nascere e crescere un bambino, aiutare gli altri. Tu infatti stavi valutando l’idea di partecipare alla missione “Medici Senza Frontiere” appena saresti stata meglio!
Eri non solo una preziosa amica, ma anche un prezioso medico. Senza esami e senza lastre capivi le patologie dei tuoi pazienti e di tutti coloro che ti stavano accanto e ti chiedevano un parere medico.
… La tua prematura scomparsa ha segnato una perdita non solo per me, per la tua famiglia e per i tuoi amici ma per l’umanità intera.
Su questa terra c’era ancora tanto bisogno di una persona come te, ma … il Signore ti ha voluto con Lui.
Ti prego Dany continua a guidarci e a sostenerci dal Cielo. I tuoi insegnamenti ci accompagneranno per sempre.
Mi ritengo fortunata ad averti conosciuta e ringrazio i tuoi genitori per aver messo al mondo una persona preziosa come te.
Ti porterò per sempre nel mio cuore.

Tua Nancy



-----------------------------------

Viola non è sola

Passi si rincorrevano
ma non vi era meta,
né ad indicar la strada una cometa.
Solo un pensiero la faceva camminare,
l’andare incontro al sole
che s’alza dal suo mare.
Giunta in quel luogo pieno di colore
Padre Silenzio
le sussurrò parole.
Le disse: figlia riponi la paura
donala a me
vedrai che ne avrò cura.


Domenico Reina

Luigi Morrone: la semplicità disarmante del “donarsi”


di Antonietta Broccoli

Chi dice che ad Altavilla Silentina non succede mai nulla di nuovo e di buono, in questo caso, ha torto marcio. Prima di tutto perché le novità fanno parte dell’ineluttabile processo dei giorni e concepire una vita senza il nuovo equivarrebbe ad averla già vissuta e poi perché la bontà e il bello appartengono all’uomo in quanto tale, se non altro almeno alle sue intenzioni. Il 23 agosto 2008, il Convento S. Francesco, come tutti gli anni, è stato testimone di un evento che ha suggellato l’ingresso di un giovane novizio, con la professione dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza, nella congregazione dei Padri Vocazionisti fondata dal Venerabile don Giustino Maria Russolillo.
Stavolta, però, è stato diverso soprattutto per noi altavillesi. Eh, sì il nostro sarà pure un popolo sospettoso, litigioso, pettegolo, che sembra religioso perché fa mostra di devozione, come argomentavano, circa centodieci anni fa, i fratelli Alessandro e Antonio Ferrara nei “Cenni storici su Altavilla Silentina”, ma, guardando meglio, è un popolo che ha tante potenzialità e virtù, che ha annoverato tra le sue fila ingegni non comuni.
Degno figlio di questa Altavilla, incantata e disincantata che si staglia tra lo stupore bruno degli Alburni e la chioma vanitosa dei suoi ulivi d’argento, è Luigi Morrone, un ragazzo che non si è lasciato distrarre dalla spensieratezza della sua età e dai tanti falsi richiami della società moderna, ma che ha dato ascolto a una “chiamata” ben più alta e importante.
Grazie a questo invito d’amore, tutto acquista un senso più vero, ogni aspetto dell’essere è offerto e messo a disposizione per un fine superiore che disperde le abitudini e le passioni di un tempo. È come se gli occhi, il cuore e la mente riflettessero solo il cielo alla ricerca di una luce che non ha eguali, trepidando nella sua assenza come i prati aspettano la primavera per vestirsi a festa.
La vita si fa, allora, dono totale e infinito che apre all’Assoluto e chiude al relativo, al pressapochismo, all’uomo vecchio per divenire “uomo nuovo”.
Luigi ha avvertito forte in sé la vocazione ed ha maturato la sua scelta in quest’anno di noviziato svoltosi tra Altavilla e Holywell (Galles), scelta che lo porterà a intraprendere, già dagli inizi di settembre, gli studi teologici in un’università inglese.
Comprendere una simile decisione, in un mondo dove conta il successo, i soldi, il potere, dove tutto si assorbe nella logica del protagonismo e dell’io più cieco, è per molti difficile se non assurdo. Una realtà completamente priva di queste caratteristiche in cui Dio e non l’io sfrenato e orgoglioso trovi dimora stabile e calorosa è estranea all’uomo moderno che non ha più desideri e ideali.
Il progresso ha portato a indubbi miglioramenti per l’uomo in ogni campo, ma l’ha spogliato della sua anima, persa per strada tra i cocci dell’egoismo e della superbia… Vale la pena, allora, vivere una vita vuota senza il benché minimo raggio di sole? Quale senso attribuirle per essere veramente felice?
Chiediamolo a Luigi: nel suo sorriso è la sua risposta.

Come Giovanni ed Antonio risolsero il problema della bomba meglio che a Salerno…

Fra Trestagni e l’Antece racconti alla paesana

di Oreste Mottola

A Salerno hanno messo la città sottosopra per una settimana per via di una bombetta lasciata lì, da quei soliti perfidi degli inglesi, nel 1943. In un paese tra il Cilento e gli Alburni risolsero più rapidamente. E con una spesa neanche lontanamente paragonabile e senza dare fastidio, rinunciando perfino ad un misero trafiletto sul più scalcagnato dei giornali locali.
La storia non comincia più o meno così, vale a dire dal punto che l’ordigno bellico, adagiato nel portapacchi di un’utilitaria, arriva davanti ad una caserma dei Carabinieri. C’è l’antefatto, e che antefatto, con due capefresche l’avevano raccolta, in autonomia da qualsiasi forza armata, nei boschi. Come funghi ed asparagi cresciuti poche ore dopo la pioggia.
Il fatto accadde ai tempi di quando se suonavi al citofono della caserma dei carabinieri non ti rispondeva un anonimo centralinista della “Tenenza di Vattelapesca” ma direttamente il maresciallo. Non c’era lui, ci si trovava il carabiniere che era di piantone. O meglio, dalla finestra vedeva di chi si trattava, e si decideva sul da farsi. La caserma era chiusa per chi doveva denunciare il vicino che aveva sconfinato per un solco di terra, ma era sempre aperta, anche 24 ore su 24, per le urgenze.
I due davanti al portone, i protagonisti della nostra storia, il maresciallo li conosceva bene, ma capiamoci, perché l’incontrava al bar per una partita a carte, in qualche negozio. Per nient’altro. Incensurati lo erano, ma “conosciuti all’ufficio” risultavano per manifesta simpatia o anche per invidia per quella vita ricca di passatempi che avevano. Giovanni ed Antonio, ex operai di un’azienda agricola moderna sì ma chiusa da decenni. La maggior parte del loro tempo era libero “Marescià, vieni, ti dobbiamo far vedere una cosa. A voce non ti possiamo spiegare” gli dicono appena l’hanno a tiro d’orecchie. Se ne stanno fermi davanti alla loro auto, che ha il portellone posteriore aperto. Pensa ad un asparago insolitamente grande, un raro pesce di fiume, magari una carpa da tre chili, una volpe presa al laccio…il carabiniere. Gli hobby, non del tutto regolari sì tuttavia sempre innocui, che quei due portano. Le loro facce però sono sintonizzate sul pensieroso, gli si vede da lontano. Spegne la radio e scende il maresciallo. “Che avete combinato?”, grida a metà delle scale. La risposta non c’è e quando li raggiunge capisce. Butta lo sguardo nel portabagagli, e vede: “Ma questa… questa è una bomba…”, dice. L’ha fatta la guerra il vecchio maresciallo che nel paese spera di restarci anche in pensione. Le facce dei due impallidiscono. “L’abbiamo trovata a Trestagni…”. E raccontano: l’auto l’avevano fermata sul ciglio della strada principale sì, ma era un trucco, per evitare di segnalare ad altri come loro dove stessero e se n’erano andati a trovare asparagi in un bosco che dentro ed attorno ha anche campi coltivati. Non è una situazione infrequente da queste parti. O a funghi, origano, o a caccia, anche se è proibito. La vista e l’odorato sono i sensi fondamentali. E’ piovuto da poco ed un piccolo smottamento nel terreno fa vedere qualcosa d’inconsueto. C’è una macchia stranamente verdastra. Si mette a grattarla con il coltellino, quasi subito la parte metallica si fa sentire. Le storie dei tesori dei briganti nascosti quassù fanno il resto, e se non bastasse realtà di piccole necropoli delle antiche popolazioni lucane che da qui commerciavano con Paestum… In pochi attimi Giovanni si sente come Indiana Jones o Schliemann che ritrova l’antica Troia. Toglie il terreno attorno, poco alla volta, con estrema circospezione ed attenzione come vide fare una volta agli operai della Soprintendenza che vennero a dare luce a certe tombe medioevali a Querciacupa. Il grosso del lavoro l’ha fatto già l’acqua, basta togliere una pietra, pochi secondi ed un bel cono di ferro rotola fuori e se ne scende giù per la scarpata, per almeno venti metri. Il fruscio attira l’attenzione di Antonio: “Che cazzo c’è…”, sussurra più che gridare. Ce l’ha con la mania dell’amico di tirare pietre per spaventare i serpenti. “Scemo, quelli hanno più paura di te”, dice e si volta. E Giovanni: “Vedi un po’ che ho trovato”. Antonio si avvicina e già nelle prossimità dell’oggetto tira fuori la sua sentenza: “Questa è della guerra. E’ una bomba, cazzo”.
Più che i film visti in tv, o il servizio militare, in testa gli frullano quei cartelli che stavano sui muri delle scuole elementari degli anni Sessanta e che invitavano a lasciar stare “i residuati bellici” con certe immagini di scoppi mille pezzi e schegge in faccia a bambini troppo curiosi. Una cosa così te la porti dentro per la vita. Quella bomba, o che cavolo che fosse, l’avevano tirata via uno di loro. Tolta dal sonno dov'era caduta. E fatta rotolare. L’aveva ridestata. La prima reazione fu di andarsene, magari per poi dare l’allarme. Difficile spiegare il posto. C’era il rischio che qualche trattore, magari una ruspa, l’urtasse e la facesse esplodere. Per due ore i due se ne stettero lontano ma il timore di conseguenze future non li faceva star tranquilli. Il pensiero era sempre lì. Così ci tornarono sul luogo “del delitto” e si resero conto che con un po’ d’accortezza l’auto la potevano portare fin sotto il ciglio – siepe dove questa era andata a finire. Incoscienti, lo fecero. E poi? Costruirono una specie di piccola lettiga sul quale adagiarono la ferraglia. Che passò nel portapacchi. Due per cento volte incoscienti. Programma? “La portiamo in paese e chiediamo al maresciallo”. E veramente così fecero. Il maresciallo però in soli cinque secondi alternò la voglia di prenderli a ceffoni alla riflessione sul da farsi: “Cretini così come voi due non ne ho mai visti - non ce lo perse – però se la bomba la fermo qui, come dovrei fare, va evacuato l’intero paese, le scuole e quant’altro. Se dite di averla presa a Trestagni, avete fatto quasi 10 chilometri e non è successo nulla…mo’ lo sapete che fate? Vi mettete in macchina, e a motore spento, uscite fuori dal paese… a 5 all’ora… dove comincia il bosco della Spinosa… le case sono lontane… alla seconda curva, vi fermate piano piano e la scendete dietro ad un cespuglio…io vi seguo… ma distanza di sicurezza… vi chiamo io l’ambulanza se vi scoppia quella… ma tanto è inutile, voi morirete prima. Mannaggia a voi… e l'unico favore che vi faccio e che vi prego tutti i santi… ”.
Furono i loro tre – quattro minuti più lunghi della loro vita.
Qualche ora dopo i soldati specializzati venuti da Persano non si riuscivano a capacitare di come un ordigno di quella pericolosità, nonostante fosse stato scavato dal terreno dove aveva “dormito” per quarant’anni, tuttavia non era esploso.
“Per queste qua bastavano le vibrazioni di un tuono, delle altre bombe che scoppiavano”, confabulavano fra di loro. Il maresciallo sudava freddo…ma non lo dava a vedere. E non giocò più a carte con Giovanni ed Antonio.

Un Casone da Museo ad Albanella

Lettera al Direttore di "Unico"

di Mario Serra

Carissimo Direttore,

da diversi giorni si sta abbattendo sull’Amministrazione di Albanella una bufera per l’abbattimento del famigerato “Casone” di cui, attraverso Unico, avete ampiamente parlato sia con una benevola intervista a Capezzuto di Oreste Mottola, sia con un attacco di Gaetano Ricco all’ignoranza culturale dell’Amministrazione.
E da parte vostra è questa la dimostrazione dell’imparzialità della comunicazione che, e voglio sottolinearlo, non è schiava dei politici.
Oggi, però, leggendo un articolo di Annavelia Salerno su Voci dal Cilento intitolato “Storia – e polemiche – di un casolare abbattuto” ho compreso che la politica utilizza l’informazione vendendola all’uso che la aggrada.
E vi spiego il perchè in quanto, anche se in modo tangibile, sono parte in causa, per vari motivi, alla vicenda “Casone”.
Nel 2007 al posto del Museo di Arte Contemporanea doveva nascere il chiacchierato progetto “Megale Hellas” che, suscitando l’indignazione della stampa nazionale, riuscimmo a fermare con il Gruppo Civico la Buolé.
Eppure, in quella occasione, il periodico “Voci dal Cilento” non esitò minimamente a schierarsi a favore del progetto che prevedeva, tra l’altro, la ristrutturazione del Casone per farne un museo, antiquarium o biblioteca. E non parliamo della ricostruzione dei templi di Paestum con tanto di statua di San Matteo all’interno. A quei tempi il Casone rappresentava, per l’amministrazione, una memoria storica del nostro paese.
Oggi invece, la stessa autrice, parla di un casolare “...vecchio, inutile e pericoloso...” senza aver dato voce a chi non la pensa come l’Amministrazione capezzutiana. Eppure il Casolare è sempre lo stesso. E su questo, come su altre cose, l’amministrazione comunale dovrebbe rispondere.
Ricorre nella informazione il concetto politico delle “affermazioni e delle successive smentite” credendo che le persone, dalla corta memoria, dimentichino tutto nell’arco di qualche giorno.
Prima di giudicare se un immobile è inutile, pericoloso e vecchio si leggano, i nostri comunicatori, cosa recita il Codice dei Beni Culturali (Art. 2 comma 2 del D. Lgs. 42/04): sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
E se quel casone sgarrupato era per davvero un simbolo della civiltà contadina albanellese forse una valutazione più approfondita andava fatta prima di abbatterlo.
Dalle espressioni della nostra giornalista comprendo che sia completamente a digiuno su cosa sia un bene culturale e, pertanto, non consapevole della gravità delle sue espressioni ha fatto l’errore di valutare sommariamente la faccenda.
Fino ad oggi non sono mai entrato nella polemica Casone/Museo perchè credo che se un immobile è irrecuperabile va abbattuto e, soprattutto, la creazione di un Museo non deve essere ostacolata se alla base c’è un progetto organico di sviluppo che, purtroppo, l’amministrazione albanellese non ha sicuramente.
E se un progetto di sviluppo per il museo non esiste, forse è meglio fermare la creazione di questo Museo visto e considerato che la Corte dei conti in una relazione abbastanza dura stabilisce che i musei degli enti locali rappresentano solo ed esclusivamente una perdita economica per i cittadini.

L'Oscar sportivo altavillese

Il resoconto dell'organizzatore della manifestazione di fine estate

di Antonio Molinara

Grandissimo successo di pubblico alla seconda edizione dell’Oscar dello Sportivo Altavillese, che ha visto nel corso delle tre serate una presenza di circa 3000 persone.
Una manifestazione che si è riconfermata essere uno dei principali eventi della ridente cittadina di Altavilla Silentina per il numero delle presenze, dei premiati e per il grande significato aggregativo della stessa.
Nel corso delle tre serate, nella piazza centrale del paese allestita al punto di sembrare un teatro all’aperto, si sono visti e rivisti personaggi sportivi del passato di tutto il territorio comunale, che, nonostante vivessero nello stesso comune, non s’incontravano da anni per diverse motivazioni. Un evento organizzato dal Comune di Altavilla che ha accolto e supportato, mostrando grande sensibilità, l’idea, il progetto e la realizzazione di Antonio Molinara, che si è avvalso della collaborazione di uno Staff altamente professionale tra cui Claudio Bonfrisco, Edi Cembalo, Franco Morrone, Ortensio Acito, Carmelo Tesauro, Gianni Di Palma, Antonio Iuliano, Rinaldo Crisci, Fabio Cupolo, Gerardo Giannella, Amelia Reina, Giovanna Pomposiello, Angela Capozzoli, Mena Cupolo, Chiara Morrone, Antonietta Nigro, Teresa Verrone e Anna Nigro e della ditta Mario ed Orazio Nigro che hanno fatto davvero di tutto e di più.

Le prime due serate sono state di esibizioni sportive, mentre l’ultima è stata dedicata esclusivamente alla consegna degli oscar. Nel corso della prima serata si sono viste le esibizioni della "Fantasy Dance" di Germano D’Alessandro, Scuola di Ballo Altavillese che vede tra le proprie fila diversi Campioni Regionali di Liscio e Standard, Campioni Italiani di Baby Dance e Social Dance ma, soprattutto, il Maestro Germano con la compagna Gerardina Petrizzo che hanno conquistato diversi titoli e podi italiani e che rappresenteranno l’Italia, e, quindi anche la nostra collettività, in un Trofeo Internazionale che si svolgerà a Londra a metà mese.
Oltre a questa valida e numerosissima Scuola di ballo si è assistito anche ad una esibizione di Body Building e di Alzata di Potenza, organizzata dall’"Accademia altavillese Aikido", del Maestro Cleto Saponara e dei figli Simone e Daniele.
Alla presenza del Campione Mondiale del 1989, Giovanni Zarrillo, si sono esibiti i Campioni Italiani Alberto Lombardi per il Body e Tonino Luisi, e Teresa La Gorga per l’alzata. Tra le diverse esibizioni c’è stato un piacevole intrattenimento musicale dell’amico Carmelo Tesauro che ha saputo miscelare con una bella voce e valide melodie lo sport con la musica.
Dopo il grande entusiasmo della prima serata si è passati alla seconda dove si è potuto assistere all’esibizione di Aikido, sempre della palestra Saponara, della "Joseph's Dancing School" di Giuseppe Federico e Giovanna Reina, scuola di Ballo con sede ad Altavilla ma con diverse succursali sparse su tutto il territorio (Serre, Controne, Postiglione, ecc…) e la fantastica performance di Francesco e Grazia Arietta che con la loro bravura e la bellezza dei balli proposti hanno conquistato gli oltre 700 spettatori presenti che gli hanno riservato un meritatissimo e prolungato applauso. Anche questa è stata una grande serata se si pensa che la Joseph’s ha fatto esibire oltre 60 ragazzi tra cui i Campioni Italiani di Hip Hop delle diverse categorie e degli ultimi tre anni, sotto la magistrale regia del maestro e che per l’aikido si è esibito proprio il maestro Saponara con alcuni suoi allievi.
Un altro compaesano, Carmelo Iorio, accompagnato da un altrettanto bravissima pianista, ha fantasticamente intervallato lo sport con la musica spaziando nel fantastico mondo del jazz.
Ed eccoci arrivati alla terza ed ultima serata e davanti alle tantissime le autorità e alle oltre 1500 persone presenti, sono sfilate prima le bandiere della Città di Altavilla, dell’Europa ed, infine quella dell’Italia che accompagnata dall’inno nazionale è stata issata sul pennone del monumento e, poi, gli oltre 250 atleti che hanno meritato l’Oscar dello Sportivo Altavillese. Dopo il saluto del Sindaco Antonio Di Feo e dell’Assessore Romilda Nigro, e successivamente del Presidente del Consiglio Vincenzo Baione e dei vari consiglieri, onorevoli e sindaci dei comuni limitrofi presenti, a testimoniare la valenza sportiva e sociale del progetto voluta dall’amministrazione altavillese, sono iniziate le premiazioni in un’atmosfera carica di emozione. I primi a salire sul palco, dopo aver ricordato il Vice Campione del Mondo di Pentathlon del 1962, Domenico Tedesco che ha garantito la sua presenza il prossimo anno, i primi a salre sul palco sono stati i presidenti storici del Carillia, Don Peppino Pipolo e dell’Altavillese, Antonio Verrone, accompagnati da due tifosi ultras, la Signora Esterina Tedesco e Germano Di Mari, meglio conosciuto come Manuccio ‘o stagnino. A seguire per meriti l’Accademia Altavillese Aikido con Cleto, Simone e Daniele Saponara. Subito dopo, sul palco è salita la formazione femminile di Calcio a 5 della "Banca di Credito Cooperativo Altavilla e Calabritto", che ha partecipato e conquistato il 3° posto al Trofeo Nazionale BCC di Desenzano: Mitrugno Patrizia, Chechile Cinzia, Panico Paola, Leso Rossella, Tammaccaro Roberta, De Gregorio Antonella, Iorio Rosangela, Longo Marilena, Del Guacchio Eliana, Caruso Cristiana e Cinzia Marra. La squadra era accompagnata dal Presidente Antonio Bassi e del Dottor Germano Di Chiara, mentre a ritirare il premio c’era il rappresentativo Antonio Saponara.
A seguire una premiazione storica per l’"Altavilla Volley" che ha partecipato a due Campionati nel 1991 e 92 con Oreste Gargano presidente, Domenico Cimino e Antonio Molinara allenatori e Rodolfo Solimeno, Federico Cantalupo, Ivan Pacifico, Dino Fusillo, Riccardo Liccardi, Gigetto Impembo, Virgilio Mari, Angelo Mangone, Massimo Mangone, Carmine Reina giocatori di quella divertente compagine.
Si è passati poi a premiare la "Paideia Sport" che rappresenta il Basket altavillese. A partire dai coach Antonio Scorzelli e Brunella Tommasino si è arrivati premiare quegli atleti usciti da questa scuola e che oggi rappresentano Altavilla fuori dai confini territoriali. Infatti sono stati consegnati gli oscar per meriti sportivi ad Antonio Scorzelli Junior, Francesco Scorzelli, Ugo Palmieri, Nigro Antonello, Nese Domenico Maria, Lucia Angelo, Gargano Annarita e Di Matteo Mariachiara, Molinara Elisabetta, Palmieri Elena ed Acito Ilenia, per la loro partecipazione e risultati ai campionati regionali e nazionali a cui hanno partecipato nel corso dell’anno agonistico 2007-2008. Subito dopo un momento commovente oltre che bellissimo perché sono state premiate le due compagini di calcio del Carillia e dell’Altavillese degli anni ’60 - ’70. Per il Carillia dopo aver premiato alla memoria gli scomparsi Cosimo Campagna, Giuseppe De Sio, Angelo Adduono, Giuseppe Cappetta e Liberti, sono stati premiati Mario LOngo, Diodoro Poliscano, Oreste Bonfrisco, Matteo Di Donato, Adduono Angelo, Giovanni Liberti, Francesco Cappetta, Giorgio Di Lucia, Stellaccio Mario e CarmineLiberti. Per l’Altavillese, invece, sono stati chiamati il mister Ninuccio Baiuone, i fratelli Mangone Luigi e Carmine, Paolo Molinara, Angelo Di Venuta, Antonio Cafaro, Renato fasano, Gerardo Cembalo, Carlo Baldo, Carlo Rufo, Gerardo Petraglia, Nicola Arietta e Oreste Nigro. Ecco salire sul palco la "Polisportiva Azzurra" di Claudio Bonfrisco, compagine che spazia su diversi settori e su diversi settori porta successi in Altavilla ed Altavilla in Europa. Infatti, dopo aver premiati i tecnici Enzo Tancredi, Cesare D’Eboli, Nicola Lettieri ed il presidente Remolo Rubino, hanno ritirato il premio i giovani calciatori che per il terzo anno di seguito vincono la coppa disciplina oltre ad aver vinto anche il Campionato Provinciale lo scorso anno. Quindi, hanno ritirato l’oscar Enrico Saiardi, Umberto Lettieri, Giuseppe Marrandino, Maedeo Equino, Domenico Doto, Carmine Vairo, Dario Sarro, Carmelo Zingaro, Mario Opromolla, Alessio Busillo, Luca Crisci, Pasquale Luisi, Alfonso Fusco, Vito Doto, Francesco Vairo, Gerardo Fusco, Mirko Vairo, Lorenzo Equino, e G.luca Mari.
Dal Calcio si è passati al Judo dove l’Azzurra presenta un parter di grandissimi atleti. Dopo i nazionali premiati lo scorso anno si è passati a quelli che quest’anno hanno conquistato posizioni d’onore ai Campionati Italiani come il 5° posto di Antonella Lausi e le ottime performance di Mastroberti Giuseppe, Antonietta Cafaro e Benedetta Nese, per arrivare al premio per eccellenza consegnato a Pietro D'Eboli sempre dell’Azzurra, che ha ricevuto la convocazione azzurra dalla FILJKAM per partecipare con l’Italia ai Campionati Mondiali di Pancrazio che si svolgeranno a Tirana in Albania nel corso di questo mese. Dopo l’Azzurra è stata invitato a ritirare l’Oscar Franco Cupolo, altavillese che ha fondato diversi anni fa la Scuola Calcio "Albavilla", che partecipa a vari Campionati Federali ed organizza il Trofeo Internazionale Albavilla. Oltre ai suoi tecnici, Gerardo Lettieri ed Ivano Solimeno, sono stati premiati gli atleti altavillesi che hanno partecipato a campionati federali: Andrea D’Andrea, Iuliano Andreas, Lorenzo De Rosa, Nicola Arietta, Bonaventura Poppiti, Nicola Lucia, Francesco Bavoso, Francesco Sabia e Marco Carrozza.
Le premiazioni delle varie compagini suindicate, venivano alternate dalla consegna ad atleti individuali che si sono contraddistinti nel corrente anno sportivo, tra cui per il nuoto Valerio Marsico, Gianpaolo Acito e la campionessa regionale Piera Acito; i tecnici di calcio Adriano Liberti (Carillia 2^), Giuseppe Lettieri (Albacalcio 2^), Ivano Solimeno (varie Scuole Calcio); i calciatori Mattia DeRosa (Spezia serie B), Michele CRisci (Ebolitana), Daniele Saponara (Vittoria C2); il Pattinatore PierCarlo Petrosino, figlio di altavillese, che a soli 8 anni già partecipa e sale sul podio a Trofei Nazionali; il motociclista Alfredo Di Matteo che si è aggiudicato il Trofeo Nazionale Molossi di moto e ha dato delle foto stupende da poter esporre di alcune sue performance; i fratelli Daniele e Michele Mastrangelo che sono tra i primi in Italia sulle specialità del Mezzofondo e della velocità; il giovanissimo Agostino e il papà Franco Cembalo, entrambi Campioni Italiani di Tiro a Volo, il primo per la Categoria Esordienti per i suoi 11 anni ed il secondo per la categoria assoluti; la coppia altavillese di ballo Francesco e Grazia Arietta, con il loro maestro Bruno Manna della Roland’s School di Agropoli, che hanno conquistato di tutto e di più, passando nel 2008 alla categoria AS internazionale; Vincenzo Mordente prima ciclista e poi grande organizzatore di eventi ciclistici essendo il promotore e l’organizzatore della gara Nazionale 13^ Medaglia D’Oro della Città di Altavilla Silentina, 8^ Trofeo BCC di Altavilla e Calabritto e 2^ Memorial Giovanni Saponara. Tra gli storici, per meriti sportivi, sono stati premiati l’oltre sessantenne Peppe Munzio, il maratoneta per eccellenza, avendo partecipato a ben 6 maratone e ad oltre 900 gare; Stefania Taurone che ha partecipato ad oltre 400 gare, ha fatto parte della rappresentava Campana di Corsa su strada e solo un infortunio gli ha impedito di partecipare alle Olimpiadi del 1992; Giuseppe Chiumiento Campione Regionale di Body Building degli anni ’80; Giovanni Mottola ed Ettore Ruscinito, atleti di valore nazionale degli anni ’90 per la specialità del judo. In chiusura, con tutta l’Amministrazione Altavillese, lo staff della manifestazione e vari atleti premiati, sotto una pioggia di coriandoli e fuochi, la caldissima voce di Roberta Senatore che ha creato un’atmosfera bellissima per tutta la serata, si è salutata la manifestazione 2008 con il volo di palloncini che accompagnavano l’Oscar verso il cielo del 2009.

"Affresco da sotto l'intonaco" di Paolo Tesauro Olivieri

L'ultimo lavoro dello storico sui tesori d'arte della Chiesa di San Francesco di Altavilla Silentina

di Bruno Di Venuta jr

In 16 pagine il Professore, riportando cenni storici sul Convento e la Chiesa di San Francesco, si sofferma sulla figura di Orazio Solimene che ritiene essere “… l'autore del dipinto che copre la nicchia dell'altare di S. Chiara”. Orazio è il fratello minore di Gabriele e Gennaro Solimene e sebbene fosse “addottorato in legge”, amava la pittura e le belle arti e venerava follemente lo zio Francesco, nobile rappresentante della pittura napoletana del ‘700.

Il Professore sostiene: “… la conservazione del dipinto fa pensare che l'autore doveva essere un artista che se ne intendeva. Penso poi che chi eseguì la tela a olio che copre la nicchia ove si trova l'affresco debba essere la stessa persona. Il motivo per il quale l'abbia fatto è un mistero. Comunque, un fatto rimane certo: l'affresco, ben conservato, rappresenta un “Tesoro artistico” del quale Altavilla dovrebbe andare orgogliosa…”

L'affresco, oggi ancora ricoperto dalla tela di Santa Chiara, è situato nella nicchia dell'altare centrale destro ed è stato scoperto nel 1989 durante i lavori di restauro dell'altare centrale. Esso rappresenta, nella parte superiore, racchiusa da una ellisse, la Madonna che regge nel braccio destro Gesù Bambino e con la mano sinistra accarezza il piedino. Nella parte sottostante è raffigurata una santa che secondo alcuni esperti sarebbe S. Margherita da Cortona. Il fu Reverendo Di Fusco sosteneva invece che la santa fosse S. Caterina d'Alessandria. L'affresco si presenta in buono stato e conserva fedelmente gli splendidi colori perché era stato ricoperto da intonaco di malta che ha evitato influenze ambientali ed atmosferiche.

Un nuovo grazie al professore Paolo Tesauro Olivieri che ancora una volta ha dimostrato il suo amore verso Altavilla e i tesori altavillesi mai apprezzati, pubblicizzati e rivalutati per le testimonianze storiche che rappresentano.
La pubblicazione è stata curata direttamente e a proprie spese dal Professore. L'edizione è fuori commercio e sarà consultabile presso la Biblioteca comunale, quella provinciale e presso la Biblioteca di Roma e Firenze, naturalmente a catalogazione avvenuta.

Chi è interessato ad avere una copia della pubblicazione in formato elettronico può richiederla a Bruno Di Venuta (www.divenuta.it) o a questo indirizzo: collina.ulivi@gmail.com

Buonaventura Rispoli e i suoi primi 40 anni altavillesi

La proposta della cittadinanza onoraria per il contributo dato al paese dall'avvocato

di Oreste Mottola

La verità messa giù semplice è che alla fine degli anni Sessanta i Rispoli - che oggi nella loro azienda di Borgo Carillia producono conserve di pomodori, legumi, frutta sciroppata - quarant’anni fa vennero a rinvigorire l’economia di Altavilla Silentina quando essa era ancora tutta agricola. E che già al padre di Luigi e Buonaventura Rispoli quell’edificio a pianta crociata piacque già solo per questa particolarità architettonica.
LA FABBRICA CHE NON TROVAVA PACE
Dopo la morte di De Martino, avvenuta nel 1958, quella fabbrica non trovava pace e non ebbe successo il rilancio fatto dal Concooper, allora una sorta di “Partecipazioni Statali” fatta in casa. Nel nostro paese il settore primario era però a brandelli, con i meloni della varietà “Altavilla” consegnati ad una gloriosa memoria, il tabacchificio avviato ad una crisi irreversibile ed un’agricoltura annaspante perché i pomodori altavillesi piantati in ogni dove i Mellone a Ponte Barizzo, Cirio a Paestum, Rondino a Bellizzi e l’ebolitano De Martino se proprio li prendevano li pagavano assai poco. Nel paese si continuava ad emigrare in massa. Per fare l’operaio a Torino in Germania o a portare una divisa a Milano, differenza non c’era. C’era ancora in atto il baby boom ed i vuoti non si notavano. Il sindaco Tedesco ed il medico Sassi “politicamente” cercavano di rimediare altri posti di lavoro: non bastavano mai, erano sempre come gocce date agli assetati. I nuovi acquirenti, gli “abatesi” provenienti dalla profonda provincia napoletana, nella fabbrica rivestita a mattoni rossi si misero ad inscatolare pomodori e, anche per l’impronta “cattolico – democratica” che li ha sempre caratterizzati, cominciarono con il pagare meglio i contadini, e permisero ad un’intera comunità di tirare avanti, di ricominciare un suo circolo virtuoso, di “scansarsi” anche un po’ dal “mercato” della politica, facendo studiare i figli e maturando pensioni più decorose per gli anziani.
ACCOLTO CON DIFFIDENZA, MA POI E’ SUBITO SIMPATIA
All’inizio non furono però rose e fiori. “Sentivo una forte diffidenza nei nostri confronti. C’era chi ci vedeva come invasori. Ma bastò conoscerci come persone e tutto finì bene. Chi credette subito in noi fu un gruppo di agricoltori coraggiosi che io non finirò mai di ringraziare: Vincenzo Marra di Cerrocupo, Carmine Lanza di Quercioni, Natale Sgangarella di Albanella e qui a Carillia, Vito Belmonte”, racconta oggi quello che per Borgo Carillia è l’avvocato per antonomasia: Buonaventura Rispoli, classe 1935, studi di giurisprudenza a Napoli in una facoltà che traboccava di grandi maestri. “La prima volta che mi elessero sindaco del mio paese, avevo poco più di vent’anni, io non solo non mi votai ma mi dimisi quasi subito perché non ero ancora laureato e non mi sentivo adeguato al ruolo. Antonio Gava mi voleva mangiare vivo. E mi costrinse a fare più volte il consigliere provinciale a Napoli. Io che pur mi sentivo moroteo militavo nella sua area politica poiché il mio paese è a cinque minuti da Castellammare, zona di profonda influenza gavianea”. Storia di un’Italia del secolo scorso, infatti siamo nel 1960, e di un giovane che voleva fare l’avvocato e che la politica prima e l’imprenditoria dopo “traviano” e lo trascinano fuori dalle aule di udienza.
AVVOCATO ED IMPRENDITORE
Al di là dei ruoli formali, Buonaventura è ancora il punto di riferimento delle industrie Rispoli, il “cervello”, mentre Luigi è “l’operativo”, sede negli edifici che una volta furono di Carmine De Martino e che oggi amministra Carmela Palumbo, moglie di Buonaventura, con suo fratello Luigi ed i più giovani Natale e Giovanni, come nuove punte di diamante. “Oggi la fabbrica è diversa. E’ tutta tecnologie, il peso del lavoro si è ridotto all’osso”, confessa l’avvocato. Una volta non era così e sono forse migliaia gli altavillesi, e non solo, che soprattutto d’estate hanno lavorato alla Rispoli. Impossibile fare il conto dei soldi che, è davvero il caso di dirlo, “sono stati fatti girare”. “Ho un vanto: io non ho mai chiuso le porte a nessuno. Ho dato lavoro quando e come si è potuto. Ed è per questo che oggi, che quasi fuori dalla mischia, mi onoro di essere benvoluto dai più”. Il primo punto di svolta sono gli anni della virosi che colpisce il pomodoro, a metà degli anni Ottanta. Finisce l’approvvigionamento locale e la materia prima va fatta arrivare dalla Puglia, dalla Basilicata e dalla Calabria. “Il contributo delle campagne di Altavilla si era sempre più ridotto. Le aziende agricole – racconta Rispoli - avevano via via scelto l’allevamento delle bufale. La scarsa dimensione degli appezzamenti a disposizione però come era un problema per il pomodoro lo è ancora di più per il comparto bufalino”. Ci si mette poi la Cina che prima ci inonda con grosse quantità di semitrasformato da lavorare ulteriormente prima di rispedirlo nei capienti mercati africani e poi alza i prezzi della materia prima e con il concomitante aumento dell’energia necessaria per la lavorazione, il Btz, composto soprattutto da gasolio: “Sono 300-400 vecchie lire al Kg solo di energia termica. A queste condizioni è difficile tener dietro a questi costi”. In conclusione? “Non si possono fare più le lavorazioni invernali ai ritmi precedenti. Che ci assicuravano almeno 30 posti di lavoro. E così ogni anno dobbiamo ridurre di due o tre unità…”.
I PROBLEMI DI OGGI: IL PRG E LA TASSA RIFIUTI
Gli altri problemi? “Dal Piano Regolatore che non ha voluto riconoscere che qui c’è una zona industriale naturale che ha più di settant’anni. Ma i nostri progetti di valorizzazione ed investimento non ne risentiranno più di tanto”. Ma non finisce qui: “La Rispoli che non grava per un solo chilogrammo dei suoi rifiuti sullo smaltimento generale deve pagare 10mila euro all’anno per un servizio che non riceve. Mettiamola così: è un nostro contributo alla comunità”. Una comunità che potrebbe parzialmente sdebitarsi – è la modesta proposta di chi scrive - concedendo all’avvocato Buonaventura la cittadinanza onoraria del paese che, grazie al suo acume, è ancora uno dei centri di riferimento dell’agricoltura e dell’economia della Piana del Sele.

mercoledì 24 settembre 2008

Parla Pasquale Acito, altavillese sopravvissuto a Cafalonia grazie a un tedesco



di Vincenza Civale

Fucilazioni sommarie, corpi ammassati in fosse comuni improvvisate o lasciati per strada: in pochi riuscirono a salvarsi dall'inferno di Cefalonia. Nella provincia di Salerno furono 15: tra di loro Pasquale Acito (nella foto a sinistra), che oggi ha 86 anni e vive nella natia Altavilla Silentina, dove gli ulivi che punteggiano i campi ricordano molto quelli dell'isola greca. Il caporal maggiore Pasquale Acito riuscì a tornare a casa nel luglio del 1945, dopo una serie di rocamboleschi avvenimenti che ancora adesso lo fanno sentire un uomo fortunato. La sua avventura a Cefalonia cominciò nel luglio del 1943, due mesi prima dell'armistizio. «Facevo parte del 110° Battaglione Mitraglieri. Dopo l'8 settembre avremmo dovuto attaccare i tedeschi, ma come potevamo? Fino al giorno prima eravamo insieme! Io mi trovavo proprio con una batteria tedesca. Dopo la resa, il comandante mi disse: Accillo (non riusciva a pronunciare bene il mio nome), vieni fuori con me! Mi portò via insieme ad altri due miei compagni con la scusa di dar da mangiare ad alcuni muli. Quel gesto mi salvò la vita. Passarono pochi minuti e sentimmo i mitragliatori che fucilarono tutta la nostra compagnia».
Prigioniero dei tedeschi, un mese dopo Acito (a destra, con la moglie) fu imbarcato su una nave diretta al Pireo, affondata al largo di Argostoli, città capoluogo di Cefalonia: «Eravamo partiti alle 11 di mattina, la nave fu affondata alle 10 di sera - racconta - Mi sono salvato perché mi sono calato in acqua con delle funi e sono rimasto aggrappato a delle assi di legno che trasportava la nave. La mattina successiva eravamo ancora in 200 aggrappati a questi pezzi di legno: poi, man mano che passava il tempo, qualcuno spariva tra le onde. Intorno a mezzogiorno passò un idrovolante, ha lanciato un paio di fumogeni per farci capire che ci aveva visto, poi se n'è andato. A quel punto ho pensato che ormai fosse finita, invece il nostro naufragio fu segnalato al Pireo e un aereo venne in nostro soccorso. Quando è arrivato, io ero stremato: ricordo solo che mi hanno preso e buttato su una branda. Dopo 5-6 giorni mi sono ritrovato in ospedale, al letto numero 537: questo sì, non lo dimentico mai».Dopo la convalescenza Pasquale Acito viene trasferito in un campo di lavoro, una fabbrica di munizioni a pochi chilometri da Lipsia, dove resta fino all'arrivo degli americani. Anche lì la vita non é facile: «Quello che ricordo di più è la fame: il cibo era sempre poco ed io prendevo le bucce di patata che buttavano nella spazzatura, le pulivo ai pantaloni e le mangiavo». Quando torna a Salerno, al distretto militare incontra un colonnello: «Quando gli dissi che ero stato a Cefalonia - racconta - mi chiese: come fai ad essere ancora vivo?».

venerdì 19 settembre 2008

La mostra su Cefalonia. A Salerno dal 30 settembre 2008

Durante la seconda guerra mondiale l'isola di Cefalonia fu occupata dagli italiani il 1° maggio 1941 come parte della campagna di GreciaDopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, avendo il presidio italiano (costituito dalla divisione Acqui) rifiutato l'intimidazione di resa fatta dai tedeschi, fu attaccato e sopraffatto con la perdita di circa 3000 uomini. Dei superstiti oltre 5000 furono "giustiziati" (14-22 settembre 1943) in quello che è noto come l'eccidio di Cefalonia.

Martedì 30 settembre, alle h. 18,30, nel Complesso Monumentale di S. Sofia di Salerno verrà presentata la memoria fotografica dal titolo"I ragazzi del '43. L'eccidio della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù. Il contributo della città di Salerno e della Provincia." L'evento è sostenuto dal Comune, dalla Provincia, dall'Azienda del Gas, dalla Centrale del Latte, dalla Bimed, dal Liceo Sc. G. da Procida e dal Museo Acqui di Argostoli- Cefalonia.

A distanza di 65 anni da uno dei più efferati eccidi compiuti dall'esercito tedesco durante la 2° guerra mondiale, in cui furono assassinati, dopo l'8 settembre, almeno 5000 militari dell'eroica Divisione Acqui di stanza a Cefalonia e Corfù, la città di Salerno e la sua Provincia ricordano e rendono omaggio ai 52 concittadini caduti e ai 15 sopravvissuti che di quella strage furono testimoni.

La nostra terra che ha dato sempre prova di buona memoria storica, ricompone in un sacrario ideale il sacrificio di questi giovani eroi ed esprime loro i sensi della sua riconoscenza, della sua gratitudine, della sua pietà, indicando alle nuove generazioni un luogo per riuscire a vedere meglio il futuro, un luogo intorno a cui stringersi insieme alle famiglie e a quanti ne hanno coltivato la sacra memoria, un luogo da cui partire per la progettazione e la realizzazione di una città fondata sui valori civili della convivenza, della partecipazione, della tolleranza, del rispetto, della pace, valori che la nostra terra ha conquistato con dolorosa tenacia in quei giorni del '43 che la videro protagonista di una grande pagina di storia.

Luciana Baldassarri

Si veda anche il post Cefalonia. I due sopravvissuti altavillesi ignorati e dimenticati dalla loro Altavilla