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giovedì 22 aprile 2010

Omicidio Mottola, delitto senza colpevoli e moventi. La Procura archivia ma la famiglia non si arrende



di Oreste Mottola


RICORDATE LA “CAVALLINA STORNA”?
Mia madre l’abbracciò su la criniera
O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!


Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.


Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.


La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.

La poesia è stata scritta da Giovanni Pascoli in seguito alla morte del padre, avvenuta in circostanze misteriose nell’agosto del 1867.


Il delitto imperfetto, una scia di sospetti ma senza un movente e i colpevoli. E’ quello avvenuto intorno alle 22 del 20 dicembre del 2007, in località Castelluccio, nel comune di Altavilla Silentina. Un colpo di fucile da caccia uccide Antonio Mottola, autista della Sita sulla tratta Salerno – Campagna. Con tante assonanze con la poesia di Giovanni Pascoli che una volta a scuola si faceva imparare a memoria ai bambini e che impressionava tutti, e per sempre, perché parlava del dramma più grande che ti poteva accadere: perdere tuo padre in maniera violenta, immotivata e senza mai avere certezze sui nomi ed i moventi dei responsabili. E’ il dramma che vivono tre giovani di Altavilla Silentina. Che non vedono gli inquirenti venire a capo del bandolo della matassa sul destino del loro papà ed anzi devono assistere ad uno stillicidio continuo di chiacchiere ed illazioni.

IL FATTO
L’uomo aveva appena parcheggiato il suo bus a Campagna e faceva ritorno nella sua abitazione di Olivella di Altavilla anche quella sera. Vicino al luogo dell’agguato c’è una frequentata scuola di ballo. L’azione è fulminea e non sarà impossibile trovare testimoni del fatto. Tre anni di indagini non portano a nulla. Pochi giorni fa il sostituto procuratore Ernesto Stassano, aderendo ad una richiesta del gip Gaetano Sgroia, ha archiviato le indagini. La motivazione: “Non è stato possibile acquisire elementi sufficienti per ricostruire le vicende ed individuare l’autore del delitto”. A tale provvedimento si sono opposti, senza successo, gli avvocati Ezio Catauro e Carmine Gallo, che rappresentano la moglie di Antonio Mottola, Paola Vuolo, ed il figlio maggiorenne, Emilio. Per entrambi la conduzione delle indagini, soprattutto nei primi due – tre giorni, quelli fondamentali nell’individuare i responsabili, è stata lacunosa.”Non è stato rilevato quale marcia ci fosse innestata nella Seat Cordoba di mio marito – rileva Paola Vuolo – così non sappiamo se egli sia stato fermato, magari poche centinaia di metri prima, o se sia stato vittima di un agguato mentre, come era solito fare in quel tratto, avesse innestato la quinta marcia”. “Mio padre verrà trovato quasi subito nell’auto che va a fermarsi da solo nel fossato di Castelluccio. Perchè i carabinieri – dice Emilio – non istituiscono immediatamente dei posti di blocco nella zona?”. C’è ancora un’altra stranezza – fatta sempre notare dal figlio – e che riguarda le almeno cinque telecamere che ci sono nel tratto da Campagna ad Altavilla. Quasi una settimana dopo la sera dell’omicidio tocca a lui, messo sull’avviso da un amico, andare a sollecitare i carabinieri trovare eventuali elementi utili nelle registrazioni delle telecamere fino a quel momento ignorate dagli inquirenti. La stessa vita privata di Antonio Mottola è stata passata ai raggi X, qui gli inquirenti hanno espresso la migliore professionalità, facendo emergere il tratto di un uomo normale, tranquillamente diviso tra lavoro, famiglia ed hobby della caccia. Nient’altro. “Così come non hanno trovato nessuna conferma le infamanti voci fatte circolare sul nostro congiunto spesso da ambienti riconducibili o avvicinabili agli inquirenti”. Fuori da ogni accusa sono i carabinieri della locale stazione di Altavilla Silentina che hanno fatto tutto il possibile. Ma è evidente, anche alla luce dei magri risultati conseguiti, che c’è stato un difetto di coordinamento ed anche di mancata fornitura dei necessari imput investigativi.
Nella memoria inviata ai giudici gli avvocati Catauro e Gallo mettono al centro della loro requisitoria il fucile a canna singola, calibro 12, del tipo di quello usato alla caccia, con appostamento, alla caccia al cinghiale, arma che si trova in possesso di diverse persone che in qualche maniera sono entrati nel raggio d’azione dell’inchiesta sull’omicidio Mottola. Quel fucile è quasi come la “cavallina pascoliana”, continuamente interrogato per arrivare alla verità. E che però non è capace nemmeno di dire sì o no a tutti i nomi dei sospetti proposti di volta in volta.

LO SCAMBIO DI PERSONA
Così come c’è l’inquietante ipotesi di Antonio Mottola vittima di uno scambio di persona, ovvero che l’assassino abbia ucciso la persona sbagliata nell’automobile giusta, per via della generosità di Antonio, uso a dare in affidamento la sua auto, nei turni di lavoro, ad amici rivelatisi poi infidi e con frequentazioni pericolose. Anche in questo caso l’inchiesta, nonostante la famiglia avesse fornito utili dettagli, si è inspiegabilmente fermata.
Non sufficientemente battuta è anche la pista, affacciata già nelle prime ore dal fatto, di un possibile incidente venatorio. “Nelle sere successive all’omicidio – fanno notare gli avvocati Catauro e Gallo – tale nutrito gruppo di cacciatori non è stato più visto nei soliti luoghi, nei bar e ristoranti soliti, ritornando a frequentarli nuovamente molto tempo dopo la sera del 20 dicembre 2007″. Perchè, come scrive nella sua relazione, il medico – legale Giuseppe Consalvo: “l’omicidio commesso con un colpo esploso da un fucile a carica singola di calibro 12, a distanza superiore a 100 metri, alle spalle della vittima con direzione antero posteriore, dal basso verso l’alto, appaiono verosimilmente NON incompatibili con il tipico appostamento utilizzato nella caccia al succitato animale selvatico”. IL PERSONAGGIO. Per i compaesani da sempre era Kociss, per via del suo del suo amore giovanile per gli indiani d’America. “Briciola” era per i passeggeri abituali dei suoi bus. Incensurato, nessun problema sul posto di lavoro (dipendente della Sita, impegnato da anni sulla tratta Salerno-Campagna). Nessuna particolare difficoltà di natura economica: insomma, nulla che potesse spingere qualcuno a tendergli un agguato. La vita privata di Antonio Mottola degli ultimi vent’anni passata al setaccio dagli inquirenti. Nessuna particolare zona d’ombra.
“Rimarrai sempre il miglior autista del mondo”. Lo sottoscrissero, su di un piccolo manifesto fotocopiato ed attaccato ai muri di Campagna, con i loro nomi e cognomi, decine di ragazze . Dopo centinaia di chilometri fatti assieme, le giovani che frequentano il magistrale “Teresa Confalonieri” l’avevano ribattezzato “Briciola”, forse per il suo fare simpatico e da amico. Un rapporto costruito giorno dopo giorno con centinaia di persone. Con tutti l’autista di Altavilla era cordiale e affabile.

CHI SA PARLI
Alla fine della lettura vi sarete resi conto che queste note non sono state scritte per far riemergere una vicenda che si voleva, da più parti, seppellire nell’oblio, o peggio, rendere di nuovo sanguinanti ferite che, per chi ha conosciuto e voluto bene ad Antonio, sono sempre aperte nel nostro animo.
No, il mio è un vero e proprio appello ad andare a rendere noti ai Carabinieri quei pezzi di verità che in tanti affermano di sapere.



Altavilla,”Vogliamo la verità sull’omicidio”
Articolo de “La Città di Salerno”, di Angela Sabetta

“Vogliamo la verità sulla morte di mio padre, gli inquirenti non hanno affrontato il caso con la necessaria oculatezza. Le indagini devono proseguire, il caso non può e non deve essere archiviato. Qualcuno sa e non vuole parlare”. E’ l’appello che Emilio Mottola lancia alla magistratura affinché, sia fatta luce sull’omicidio del padre Antonio 54 anni, autista della Sita di Altavilla Silentina, consumatosi la sera, intorno alle 22, del 20 dicembre del 2007 in località “Castelluccio”, mentre l’uomo tornava da lavoro. Antonio Mottola, padre di tre figli, è stato ucciso da un colpo di fucile da caccia, che lo ha raggiunto alle spalle, mentre si trovava nella sua autovettura, una Seat Cordoba.
Delitto passionale, incidente di caccia, scambio di persona, sono queste le piste più battute. Di fatto, per quell’omicidio non esistono indagati, e il caso è stato archiviato dal pm del tribunale di Salerno, Ernesto Sassano, perché “le indagini non hanno consentito di acquisire elementi sufficienti per ricostruire la vicenda ed individuare l’autore del delitto”. Nonostante la richiesta di opposizione presentata dai legali dei familiari di Mottola, gli avvocati Ezio Catauro e Carmine Gallo, lunedì il caso è stato definitivamente archiviato, a seguito della Camera di consiglio, presieduta dal giudice Gaetano Sgroia. “Sono troppi i lati oscuri – evidenzia la moglie della vittima, Paola Vuolo – che hanno caratterizzato l’inchiesta, ci sono state delle false testimonianze, delle quali la magistratura non può non tener conto, delle omissioni da parte delle persone chiamate a testimoniare, che si sono palesemente contraddette. Vogliamo che a mio marito sia restituita la sua dignità ed onorabilità, è stato detto di tutto”.
Dopo un mese dall’uccisione, durante la notte, sulla macchina della moglie qualcuno ha scritto “Ti ammazzo”. I familiari vivono anche con l’incubo che possa accadere loro qualcosa, non conoscendo chi di fatto ha sparato al proprio congiunto, e perché. Il figlio Emilio denuncia di “non essere stato mai interpellato dai magistrati” nel corso dell’inchiesta. “Gli inquirenti nell’immediatezza dei fatti – sottolinea Emilio Mottola – non hanno avuto la necessaria oculatezza, non hanno fatto un tempestivo sopralluogo, non hanno visionato le telecamere in tempi utili, né attivato posti di blocco. In generale non hanno approfondito le indagini, lanciavano delle piste ma senza raccogliere tutti gli elementi utili. Chiediamo che il caso venga riaperto e sia fatta chiarezza”. Chiave di volta dell’inchiesta, come risulta dalle istanze istruttorie, per la soluzione del caso, secondo i familiari, sarebbe un amico di Mottola, più volte caduto in contraddizione, che potrebbe essere il custode di quel segreto costato la vita all’autista. Innumerevoli sarebbero le volte in cui durante gli interrogatori, l’uomo è caduto in contraddizione o è stato smentito dalle affermazioni di altre persone informate sui fatti.

sabato 17 aprile 2010

Il professore Antonio Di Matteo: due ricordi di ex allievi

A generazioni di Altavillesi hai insegnato la matematica e le scienze naturali. Una persona mite e seria. Vogliamo oggi dirti grazie aggiungendo qui una parola, una frase o un episodio. Grazie professore!
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E' STATO UN VERO MAESTRO
di Fabio Sacco
Ho appreso questa triste notizia appena sceso dal treno che mi riportava a casa da Roma. Ero ancora in stazione e mio padre mi ha prontamente informato.
Sono stato alunno del prof Di Matteo per i 3 anni delle medie e ne conservo un ottimo ricordo. Non è stato solo un insegnante, ma un maestro, nel vero senso filosofico del termine. Sapeva trasmettere i suoi insegnamenti in maniera semplice e diretta, riuscendo sempre a suscitare vivo interesse nei suoi alunni.
Era davvero un'ottima persona ed un professore eccellente.
Fu lui, per primo, a trasmettermi la passione per la matematica, la fisica e le nuove tecnologie. Se sono diventato un ingegnere, in parte è anche merito del professor Di Matteo.
Eravamo alla fine degli anni ottanta. A quei tempi l'informatica era più fantascienza che scienza. Eppure lui riusciva sempre a trovare del tempo per insegnarci i rudimenti della programmazione informatica, utilizzando i pochi mezzi di cui si disponeva a quei tempi. Grazie a lui ho utilizzato per la prima volta un computer. Conservo ancora gelosamente i nastri magnetici su cui avevamo registrato i nostri programmi scritti in Basic, uno dei primissimi linguaggi informatici.
Qualcuno stenterà a crederci ma quegli insegnamenti mi furono utilissimi quando, anni dopo, mi ritrovai a sostenere uno dei primi esami all'università, fondamenti di informatica. Certo, nel frattempo la tecnologia e i linguaggi di programmazione si erano evoluti, ma i concetti di base sono rimasti sostanzialmente gli stessi ancora oggi. per me fu molto semplice superare quell'esame.
Successivamente ebbi l'occasione di raccontare questa storia al prof Di Matteo, ringraziandolo per i suoi insegnamenti. Ricordo la sua risata compiaciuta ed è il più bel ricordo che ho di lui, che conserverò sempre.
Fabio Sacco


Il professore Antonio Di Matteo: Un animo nobile, colto, inquieto
di SALVATORE ARIETTA
Non avrei mai immaginato di dover scrivere, in un pomeriggio uggioso di fine aprile, di quello che è stato, è e resterà, per me, il professore Antonio Di Matteo. Sembra tutto assurdo. Eppure è così. La mia preoccupazione è che, sul filo dei ricordi, si scivoli ben presto, e facilmente, sulla strada della retorica. È quello che voglio evitare, perché sono convinto che al professore avrebbe dato fastidio, scevro com’era da orpelli e prosopopee.
Mi affido, allora, solo a poche righe, dettate dall’impeto di voler dire tutto e subito, con il rischio evidente, però, di poter trasmettere poco o nulla. Ma proseguo lo stesso, consapevole che, comunque, non si sbaglia mai quando si è sinceri.
Cosa dire, oggi, sulla figura e l’opera del professore Di Matteo?, posso solo affermare di aver avuto l’onore, la fortuna, la straordinaria possibilità di essere stato suo alunno, pur se per un solo e tormentato anno scolastico, tra i banchi della scuola media di Altavilla. Il rammarico, probabilmente, è quello di non aver potuto usufruire abbastanza, a causa del capitale umano, del bagaglio culturale, della forza d’animo di una persona che ammiravo ed ammiro. Ero letteralmente estasiato dalle sue lezioni.
Uomo di poche parole, schivo, riservato, era spesso temuto dai suoi allievi. Ma sapeva farsi volere bene, apprezzare, fino a stimolare l’introspezione umana. Il nostro rapporto non fu mai offuscato da alcuna ombra. Ricordo, con affetto, che mi interrogava spesso: aveva intuito l’amore che lui, proprio lui, mi aveva trasmesso per la matematica e la mia volontà di approfondire i suoi immancabili “appunti” e di riferirli poi in classe, per la reciproca soddisfazione.
Non finirò mai di ringraziarti, professore Antonio Di Matteo, per i tuoi insegnamenti. Hai lasciato una traccia indelebile nella mente e nel cuore di un tuo studente che forse prima dei suoi compagni di classe (perdonami la presunzione!) aveva intuito, sin dal primo giorno di scuola, che dietro quell’aspetto da docente severo e intransigente, e spesso per questo incompreso, si celava un animo nobile, colto, inquieto. Addio, mio professore....
Salvatore Arietta

giovedì 15 aprile 2010

25 luglio 2009- Gerardo Di Verniere su centro storico e chiese dichiara…


Il suggestivo Centro Storico è tornato ad essere protagonista dell'estate altavillese avendo ospitato, sabato 25 luglio, una serata di musica per palati raffinati.
"Ghirlande Rinascimentali", ha riproposto suoni, canti e danze del 1500, eseguiti dal complesso vocale "Dimensione Polifonica", di Napoli , diretto dal M° Biagio Terracciano. Il posto (piazza Antico Sedile), gli strumenti( flauto dolce e spinetta), la bravura degli interpreti ed i curatissimi vestiti d'epoca indossati dai protagonisti, hanno calato i presenti in una realtà di altri tempi che ha reso la serata piacevole e rilassante. Particolarmente gradito dal pubblico il confronto tra "canti del Massaro" e villanelle napoletane.
Contentissimi per la riuscita della manifestazione gli organizzatori Ortensio Acito, Germano Di Mari, Romualdo Cafaro e Gerardo Di Verniere. "Il riferimento ad un particolare periodo storico, il Rinascimento, è stato quanto mai attuale; Altavilla Silentina, in questo momento, necessita di un vero e proprio "rinascimento" che la riporti fuori dallo scadimento nel quale è sprofondata ultimamente. Le colpe sono da attribuire a tutte le componenti sociali (istituzioni, clero, associazioni e cittadini) che hanno scarsa volitività e non riescono più a dialogare ed a collaborare tra loro in maniera costruttiva. Ognuno di noi deve sentire la necessità di contribuire alla ricostruzione di quell'Altavilla che per anni è stata punto di riferimento dell'area Sele-Calore." Con queste parole Gerardo Di Verniere ha spiegato, ad inizio serata, il motivo che ha spinto alla ideazione di questa manifestazione. In momento successivo ha fornito poi importanti comunicazioni ai presenti. La prima ha riguardato la situazione delle Chiese del Centro storico : S.Egidio e S.Biagio. Relativamente alla prima ha tenuto a ricordare che l'intervento più importante, il consolidamento strutturale della volta con il rifacimento del tetto, è stato realizzato già da tempo con un intervento della Soprintendenza ottenuto, grazie a personale interessamento. Si è detto poi rammaricato di non aver visto, ad oggi, risultati da parte dei sedicenti interessati alla riapertura della chiesa ai quali è stata lasciato,come chiedevano, ampio ed esclusivo spazio. Dove sono finite le millantate amicizie importanti ed i grandi coinvolgimenti popolari?
Per quanto riguarda S.Biagio ha precisato che la chiesa, così come si presenta, potrebbe essere già riaperta al pubblico in quanto carente del solo restauro di cinque dei sei altari di stucco. Ha poi ricordato, in risposta a quanti si sono posti il problema, che le chiavi della chiesa, ovvero il conferimento dell'incarico di preoccuparsi del suo recupero, gli sono state consegnate dal vescovo Casale, predecessore di Favale e che, successivamente, ha sempre continuato con i vari parroci ed il nuovo vescovo in un rapporto di reciproca collaborazione. Ha precisato che negli anni sono stati fatti interventi superiori ad un miliardo delle vecchie lire e che, al momento, è in attesa del completamento di un iter di finanziamento attivato grazie ad una richiesta inviata direttamente al ministro Bondi e da questi positivamente recepita. In ogni caso ha promesso la riapertura entro la fine dell'anno. Relativamente alle "leggende maliziose" sorte intorno al settecentesco organo ha chiarito che la parte musicale è stata già restaurata in Monselice(PD) e che del suo trasporto ad Altavilla si è fatto carico un autotrasportatore amico che lo farà non appena si troverà in zona per scarico di merci.
L'altra importante comunicazione ha contemplato la raccomandazione, ai concittadini proprietari di immobili all'interno del centro storico, di non svendere e neanche vendere detti stabili in quanto è imminente il passaggio alla fase attuativa della L.R.26 /2002. Detta legge darà l'opportunità, ai cittadini dei comuni che si saranno dotati di Piano Colore e Programma di valorizzazione (Altavilla Silentina è stato tra i primi ad attivarsi nel 2003 ed ha quasi completato l'iter richiesto), di accedere a contributi a fondo perduto per il ripristino e la sistemazione di dette strutture.
Agli amici in privato, relativamente a quest'ultimo argomento, ha tenuto a precisare che lo ha fatto in quanto la cosa, da lui fortemente voluta e seguita, nella scorsa consigliatura, perché di vitale importanza per il definitivo e produttivo recupero del centro storico, difficilmente sarebbe stata divulgata dall'assessore preposto ben conoscendone la limitata sfera di interessi e la cura che ha di quel luogo evidenziata dalla carente manutenzione della pavimentazione stradale e dal posizionamento di fontane di dubbio gusto e"cancellate anti fiere"(bastavano delle semplici ringhiere) che hanno contribuito a degradarlo piuttosto che a migliorarlo. Piazza Arduino Iorio è rimasta un'incompiuta eppure i soldi, per opinabilissimi interventi in altri posti del territorio, sono stati puntualmente trovati!

Casa Tomasino, da una pianta di patata spunta un pomodorino Cherry


Casa Tomasino, da una pianta di patata spunta un pomodorino Cherry. Gli esperti: "Può indicare anche una mutazione verso una nuova specie" 

di Oreste Mottola

"Fenomeno interessante, da tenere sotto osservazione. Può riservare sorprese", dicono gli esperti. La terra dei meloni scomparsi ma da meraviglia del sapore non smette di interessare gli osservatori più attenti delle mutazioni agroambientali. Da una pianta di pomodoro è venuto fuori un frutticino di pomodoro. L'evento è accaduto in località Genzano, ad Altavilla Silentina, presso l'abitazione di Alfredo Tomasino. E' sua moglie (nella foto) a mostrarcelo. A casa Tomasino pur essendo agricoltori di esperienza è la prima volta che si trovano di fronte ad un fenomeno così evidente. Abbiamo sottoposto il caso a due agronomi che hanno provveduto a trovare la spiegazione scientifica. Ad entrambi abbiamo fatto avere delle foto. L'evento, come sanno gli orticoltori più attenti - infatti, in natura è raro ma non – come vedremo – impossibile. Per Rosa Pepe, che lavora all'Istituto per l'Orticoltura di Pontecagnano – tutto è nella normalità: "Sia le patate che i pomodori appartengono alla famiglie delle solanacee, per cui i veri frutti sono quelli che si ottengono dai fiori che sono piccole infiorescenze apicali, le patate sono falsi frutti. Il pomodorino, riscontrato a casa Tomasino, che si presenta come un picccolo "cherry", molto rari nelle patate, a volte per combinazioni atmosferiche e pedologici vengono fuori questi frutti. per cui è tutto a posto, anche se è un evento raro che il fiore della patata possa allegare e maturare". Più sintetico è Antonio Gallo: "Il frutto della foto è sicuramente una bacca di una patata. Ringrazio la signora per la segnalazione suggerendole di tenere sotto osservazione lo sviluppo del frutto in quanto le piante possono dare luogo a mutazioni naturali generando così nuove specie". Gloriosa è stata infatti la storia del melone dalla scorza nera, il "Gigante di Altavilla". "I mercanti venivano da Nocera, da Montoro e Roccapiemonte a compraseli. Arrivavano coi loro cavalli e dietro i carri – traini. Giravano per le campagne altavillesi per comprare i migliori esemplari. . Il"Gigante" è ancora nei libri di orticoltura. Di quello che si coltivava in modo solidale, con "vicini e parenti" che si spostavano di campo in campo. Non ci sono più le rose di Paestum e sono scomparsi anche i meloni di Altavilla. Che avevano meno glamour storico e letterario ma erano un trionfo di sapori e lenivano le arsure estive. Oggi però occore fare attenzione Quando, ad agosto, dal fruttivendolo sotto casa come sulla bancarella più improvvisata, troverete scritto "veri, originali meloni di Altavilla", sappiate che state assistendo ad una piccola truffa. Da più di trent'anni la varietà "Gigante di Altavilla", dalla scorza nera, con i semi rossi e dalle fette ben disegnate, non è più coltivata. Quei semi oggi hanno un valore attualmente inestimabile. Nei decenni scorsi sono stati molti ad arrovellarsi sul problema. Il problema era proprio in quei semi che non c'erano più. Una biodiversità cancellata. Come è potuto accadere? E' successo per tante ragioni. I terreni stanchi, i vecchi coltivatori in pensione o emigrati, per l'impianto di nuove colture - prima il tabacco e poi il pomodoro - più convenienti. Per l'aggressione virulenta delle specie ibride di provenienza americana: un vero e proprio inquinamento del nostro patrimonio vegetale. Una serie di fattori combinati hanno distrutto, e in pochi decenni, quello che era il simbolo di questo paese. Del tempo in cui, a Campagna e a Serre, il giorno di Ferragosto alle innamorate si regalava l'anguria di Altavilla. Anche negli altri centri della Piana del Sele e degli Alburni, per onomastici e compleanni, l'omaggio più gradito era proprio quello della "melonessa" altavillese. Era il simbolo dell'amore, della freschezza e dell'amicizia. Per l'ex senatore Gaetano Fasolino diventa urgente delineare un programma di recupero di queste varietà vegetali che hanno fatto la storia dei nostri luoghi. Come? "Mettiamo al lavoro le strutture agricole della Regione". Non lo si potrà certo vendere a 30 centesimi il chilogrammo se non si può coltivare su di un terreno dove nell'anno precedente ci siano state altre colture. Con l'uso della zappa azionata a mano, meno che mai di trattori e motozappe, e con una presenza sul campo quasi ogni giorno per togliere le erbacce come giavone, sorghetto e la simpatica ma "esigente" erba "vascioledda". 

Il mio ricordo di Fernando Lettieri – di Tiziana Rubano

Mi è arrivata la richiesta di ricordare Fernando quando davanti ad un foglio bianco tentavo di mettere ordine alle emozioni e alle fresche memorie per fissarlo per sempre nella mia mente con l'unica arma in mio possesso: la penna. Non basta una foto, un video, una canzone, una poesia, una descrizione per raccontare l'uomo e l'artista; serve tutto questo e altro ancora, perché il suo corpo gracile era una miniera ricca con un grande masso ad ostacolarne l'ingresso. Lui, con la sua forza, spostava la pietra e permetteva ai privilegiati di entrarvi e attingere. Non sono la persona adatta a parlar di lui perché Fernando lo conoscevo, ma altri molto più di me. Non posso dire cosa si celasse dietro quei sorrisi appena abbozzati, dietro quello sguardo attento e profondo, dietro i silenzi, dentro quella testa riccioluta coperta sempre parzialmente da una larga fascia nera o un cappellino con la visiera. Tre sono le immagini dai contorni nitidi che andrò spesso a rispolverare per mantenerle vive con la speranza che, al bisogno, si rianimino per venirmi in aiuto. Risalgono tutte all'estate scorsa e penso racchiudano quello che era o, almeno, quello che era ai miei occhi. Sera di Ferragosto, Fernando con l'entusiasmo di sempre è uno dei musicisti ospiti di un modesto evento organizzato dall' associazione con cui collaboro, a me l'onore di presentarlo. Poco prima dell'inizio, in disparte, gli chiedo altre informazioni sul suo passato artistico anticipando che lo introdurrò come "colui che per gli altavillesi e gli amanti del jazz non ha bisogno di presentazioni. Vero talento di casa nostra". La smorfia sul viso e gli occhi abbassati a ridimensionare gli elogi pur sapendo che non aggiungevo nulla di mio alla verità e poi una sfilza di nomi noti con cui ha lavorato e una pausa, "ricordati di dire che sono direttore d'orchestra e fondatore di Altavilla Viva Band", mettendolo alla pari, se non un gradino più in alto, delle collaborazioni illustri. Questo era Fernando: umiltà e modestia, attento a porre sullo stesso livello genio e principiante. Qualche sera dopo, ci ritroviamo al concerto di Roy Paci. Lo spettacolo è coinvolgente, tutti ballano, cantano, si agitano, tutti tranne noi due che, a distanza e per motivi diversi, ci perdiamo immobili nell'osservare. Al temine cerco, da semplice spettatore, un giudizio da un esperto. E' entusiasta, ammette di esser rimasto colpito dalla preparazione, anche fisica, dei "fiati" che riuscivano a saltare e muoversi velocemente senza smettere mai di suonare. Un pizzico di sana invidia per le condizioni di salute che permettevano loro ciò che a lui era proibito. Anche questo era Fernando: non ritenersi arrivato, sentire la necessità di assorbire il possibile da chi aveva fatto un passo in più e di dare a chi era rimasto indietro. Ultima sera di vacanza ad Altavilla, lasciando la piazza è l'ultima persona che incontro, da leggere come presagio se ci avesse unito un rapporto più profondo. Parliamo di una manifestazione che si sarebbe svolta a breve, ai cui organizzatori avevo suggerito, fra gli altri, lui. Inevitabilmente scivoliamo nei soliti argomenti conosciuti a chi vive della propria arte: quanto poco sia retribuita come conseguenza del poco valore data alla stessa. Un velo di tristezza cala sul viso scuro e marcato mentre esprime il disappunto. Scuote la testa come per dire "non capiranno mai". Soprattutto questo era Fernando: la sua arte. Suonava la tromba. No, Fernando era la tromba. No, la tromba era una parte di Fernando, come un braccio, una gamba, un orecchio. Era un prolungamento delle sue labbra, era il suo fiato che uscendo dalla bocca giocava a disegnare i contorni di uno strumento, era la sua voce che si faceva d'ottone. Nel mio essere idealista reputo artista chi allo studio fa seguire lo studio, l'analisi, la fruizione, la disperata ricerca di una perfezione che mai arriverà, perché l'artista mai riterrà un'opera perfetta, finita. Reputo artista chi non sente la necessità di ostentare la propria bravura, perché per l'artista quella capacità è naturale, come camminare, correre, parlare. Reputo artista chi umilmente non guarda agli altri per giudicare, ma solo per imparare, anche cosa evitare. Reputo artista chi non elemosina la propria presenza, ma dagli altri è invocata. Reputo artista chi quando si esibisce non ha il ghigno tronfio di chi aspetta l'adulazione, ma l'atteggiamento pacato di chi aspira al risultato massimo. Fernando era un'artista, viveva di musica, si saziava di note, si riempiva di suoni, ma il Trumpettist, come lo ricorderemo sempre, era anche un uomo riservato, riflessivo, lontano dalle polemiche gratuite, attento a non andare oltre, a non sforare in commenti fuori luogo. Cercava la parola giusta o non si esprimeva. Il suo migliore amico era un cane. Banale? No, in quel rapporto c'era, a mio parere, la sensibilità nel guardare agli altri, a tutti, come esseri viventi e dunque pensanti, nel trovare nella bestia l'introvabile nell'uomo senza il suo vissuto, fatto di libertà prima goduta e poi privata, di sofferenza e dolore. La dignità lo ha contraddistinto, nella malattia come nell'attività artistica, quella stessa dignità di cui, in questi tristi giorni, parlano le istituzioni, a cui chiedo, facendomi voce unica di tante anime, di non permettere che il suo nome vada ad aggiungersi all'interminabile lista dei "personaggi dimenticati" di Altavilla. Siamo maestri nel non valorizzare in vita le individualità che portano valore aggiunto al paese e professori nel dimenticarle prontamente. Con Fernando questo non deve accadere. Aspettiamo una scuola di musica, una fondazione, una manifestazione artistica che porti il suo nome affinché il suo messaggio non si disperda. E' d'obbligo proseguire quello che ha iniziato per permettere ai figli di un'Altavilla sempre più priva di riferimenti di trovare nel suo pensiero un sano rifugio e ai figli dei nostri figli di avere, come è successo a noi, l'onore di conoscere il Trumpettist. Tiziana Rubano


 

…..All'udire un suono lontano di tromba la piazza si riempirà di te, e sarai sempre lì, dove ci sarà musica e pace, trasparenza e parole, lontano dalla sterilità di questo mondo infame. Ciao Fernando

Olionello è anche molto altavillese – di Fabio Sacco

Dopo molta attesa siamo finalmente giunti ad un nuovo appuntamento con OLIONELLO, l'ulivo al centro dell'incrocio di Matinella. Come sempre, è stato molto disponibile, concedendoci un'intervista frizzante e divertente, che rispecchia perfettamente il suo carattere vivo e gioioso, ma anche vigile ed attento a ciò che accade intorno a lui.


 

Salve carissimo Olionello, come va?

Benone! Sono felice di rivederti dopo così tanto tempo. Avevo paura ti fossi dimenticato di me.

Non potrei mai. Anzi, spesso ti seguo via internet sul sito www.matinella.it del mio amico Gerardo Picilli. C'è una webcam puntata 24 ore al giorno su di te!

Ne ho sentito parlare. So anche che ha messo una mia bella foto sua home page, ma senza citare il mio nome. Ti confesso che questo mi ha un po' indispettito. Ma lo perdono. In fondo siamo vicini di casa.

Sei diventato una celebrità anche sul web ormai.

Vero. Ma pochi conoscono il mio nome. Vorrei tanto che fosse scritto qui, sulla lapide ai mie piedi. Ricordi? L'abbiamo richiesto insieme, ma nessuno ci ha ascoltato.

Certo che ricordo. Avevamo chiesto di scrivere "Principe Olionello". Scrivendolo di nuovo forse potrà servire.

Ti confesso che ci credo poco. Ultimamente sembra che la voce di noi piante abbia un volume talmente basso. O forse sono le orecchie a non voler sentire?

Non capisco. Ti riferisci a qualcosa in particolare?

Ebbene si. Ci sono delle mie compagne piante che stanno soffrendo inascoltate da tanti anni. Si tratta di un boschetto d'elci proprio qui vicino, ad Altavilla Silentina. Da tutti è conosciuto come "La Foresta".

Da anni ormai versa in uno stato di totale abbandono e noncuranza. Eppure solo pochi anni fa i bambini potevano andare a giocare tra i sentieri, si potevano fare dei picnic nell'area attrezzata, addirittura si tenevano degli spettacoli nell'anfiteatro naturale!

Ora è tutto dimenticato, perso nell'oblio. Troppi anni di vandalismi hanno ridotto quello che era un paradiso in un luogo inaccessibile e pericoloso.

Possibile che non sia stato fatto nulla in questi anni?

Solo pochi episodi sparuti e frutto della buona volontà di qualche cittadino volenteroso o di qualche associazione.

A novembre 2007 dalla regione Campania è stata bandita una gara per la riqualificazione della Foresta con un importo complessivo a base d'asta di 1.191.910,79 euro al netto dell'IVA. A distanza di quasi un anno, questi lavori non sono mai iniziati! Perché? Quando inizieranno i lavori? Che fine hanno fatto questi soldi?

Non disperare. Sono sicuro che i cittadini altavillesi chiederanno conto a chi di dovere.

Ne sono sicuro e spero lo facciano al più presto.

Gli altavillesi sono molto legati alla Foresta. Quel luogo è stato testimone del miracolo di Sant'Antonio! È dal 1799 che gli altavillesi celebrano e tramandano quest'episodio, avvenuto proprio tra quelle piante oggi lasciate all'incuria ed alla ferocia del tempo.

la Foresta ispirò a Padre Guglielmo di Agresti una delle sue tante bellissime poesie: "O mia amata, mia modesta "Foresta"". Ora modesta lo è davvero, fin troppo.

Qualcuno aveva chiesto di intitolare il teatro proprio a Di Agresti. Per quanto ne so, non è giunta nessuna risposta in merito, quindi mi unisco all'appello e vorrei sostenere l'iniziativa, sempre che il giudizio di un ulivo conti qualcosa…


 

L'intervista fantastica che avete appena letto compare per la prima volta sulle pagine di questo giornale. L'idea originale è nata nel novembre 2006 sulle pagine del giornale "I Quattro Venti". Per chiunque fosse interessato a saperne di più ed a leggere le precedenti 3 interviste, segnaliamo il sito: http://jabmc.spaces.msn.com.

Oreste Mottola racconta le “ombre” della storia – recensione di Fernando Iuliano

Oreste Mottola racconta le "ombre" della storia


 

Visto da Fernando Iuliano

Docente di materie letterarie. Consigliere comunale di Altavilla Silentina. Capogruppo della maggioranza. Delegato alla comunità montana Calore Salernitano


 

Cos'ha in comune Ettore Maiorana, giovane scienziato scomparso misteriosamente negli anni Trenta, con Ulderico Buonafine, una sorta di Cagliostro di paese, o con Mast'Umberto "che morì tre volte"?

Oppure, quale legame può unire Ciccio Mottola, Carmine Fasano e il Sindaco Lorenzo Rago ? Apparentemente, nessuno. Distanti tra loro anni- luce, per spessore umano, culturale o, semplicemente, per l'anagrafe, sono tutti accomunati dal contesto, in cui hanno avuto la ventura di vivere, operare, lasciare un segno del loro passaggio, piccolo o grande che sia.

Perché il volume di Oreste Mottola , " I paesi delle ombre" ( Magna Graecia Edizioni, 2007), è, a suo modo, democratico, giacobino. Una volta, a scuola, si diceva, per essere innovativi, che la storia non la fanno i generali, i condottieri, ma gli umili fanti che, in prima linea, male armati, predestinata carne da macello, sostenevano l'urto iniziale. Da Alessandro, a Cesare, a Napoleone, così è sempre stato. Mottola è democratico perché riserva ai suoi personaggi un trattamento egualitario. Ciascuno viene indagato, anche in risvolti che possono apparire di poco conto, per dare al lettore un motivo per incuriosirsi, per cercare di saperne di più..

In anni di lavoro giornalistico, l'autore ha affinato via via la vena del cronista, alla ricerca di storie e persone destinate all'oblio del tempo, un poco come i "Vinti", di cui scriveva Giovanni Verga, ma che rappresentano il nerbo di una comunità.. Cronista di razza, indaga, va oltre la superficie ed i "si dice", si immedesima nel fatto, partecipa talvolta in prima persona, denunciando la sua origine di giornalista "militante". Attraverso l'indagine storica e psicologica di tipi umani che sono l'essenza di una realtà, seppur limitata, Oreste Mottola ci offre uno spaccato non di maniera, ad uso di platee distratte, di comunità locali, da Altavilla a Postiglione, da Battipaglia, a Capaccio, ad Albanella: in breve, degli Alburni e delle propaggini della Piana del Sele. E del Cilento. Da questo lavoro di scavo emergono i tratti distintivi di una micro-storia che non sfigurerebbe di fronte alle ricostruzioni di Jacques Le Goff sul Medioevo.

Nelle vicissitudini quotidiane, riflesse in queste "ombre", apparentemente evanescenti come personaggi danteschi, passano la storia, gli usi, le tradizioni di piccoli borghi che, un tempo, hanno fornito carne e sangue ad un Sud dignitoso, paradigmatico, depositario di una storia che viene da lontano, solidificatasi, come magma , in mille rivoli, da cui ha attinto a piene mani una cultura "alta", pretenziosa, falsamente autosufficiente. Queste figure, evocate quasi, rappresentano l'essenza, la sintesi dell'anima della propria comunità, una sorta di "genius loci"in cui ci si può specchiare, per comprendere il proprio essere passato, presente e futuro. Una galleria di storie emblematiche, se non didascaliche.

Altavilla Silentina, " terra di canti e musica", paese natale dell'autore, è il luogo dell'anima, la metafora della nostra meridionalità, per la messe e la varietà di sollecitazioni raccolte e proposte : dalle vicende del "Gattopardo" Francesco Mottola, miracolosamente resistente ad ogni rivolgimento politico, a quelle dello storico avversario, Donato Galardi, "avvocato" e consigliere dei poveri, quindi Ulderico Buonafine, ammantato ancora oggi di un fascino sulfureo, quasi luciferino, Carmine Perito, scultore ed emigrante in terra d'America, il maestro Raffaele Suozzo, preso nella disputa tra due bamde musicali. Ed il contorno di storie di donne di briganti, culti religiosi, feste, miracoli, eventi misteriosi e di emuli di Lawrence d'Arabia.

Non manca, a mò di introduzione, una breve trattazione sulle peculiarità del carattere degli Altavillesi. Su quell'essere eternamente "periferici", nella buona e nella cattiva sorte : "… Da tutti abbiamo preso ed a tutti abbiamo dato".

Il quadro che emerge dalle pennellate del cronista è quello di una comunità arguta, vivace, un tantino più avanti, per certi tratti della sua realtà sociale, economica e culturale, rispetto ai confinanti ( almeno per i trascorsi decenni), con un blasone di tutto rispetto, un tempo feudo dei Solimena, pittori di corte, a Napoli. Questo non toglie che, durante i fatti del '99, gli Altavillesi prendessero parte per la Repubblica partenopea, come testimonia l'episodio del " Miracolo di Sant' Antonio"; così come Altavilla è stata terra di confinati politici – Mussolini consule - ospitale e ben disposta verso i forestieri, anche a voler prescindere dal "balordo" di Piero Chiara.

Davide contro Golia, gli inermi paesani avevano tentato anche di resistere alle truppe agguerrite di Federico II, qualche secolo addietro, avendo appoggiato una congiura andata a male. Il tragico risultato fu la distruzione dell'abitato, con l'uccisione di tutti i cittadini maschi, superiori ai quattordici anni. Tutto questo a riprova di una originalità - se non mutevolezza- di atteggiamenti ed opinioni che rendono gli abitanti della "Collina degli ulivi" un popolo quasi "sui generis". Oggi si vive anche nel ricordo di un passato di tutto rispetto, per non dire glorioso..

Allargando l'orizzonte, .Albanella, dal canto suo, riluce attraverso il poeta misconosciuto Nicola Vernieri, oggi meritoriamente in auge, grazie all'impegno di Gaetano Ricco, i tesori del bosco di Camerine e la storia del mulino di Giardullo.

Battipaglia, agli albori del suo impetuoso sviluppo economico ed industriale, viene raccontata attraverso la storica figura di Lorenzo Rago, sindaco-imprenditore, scomparso misteriosamente, negli anni Cinquanta, che richiama alla mente – fatte le debite proporzioni- la fine di Mauro De Mauro, qualche decennio dopo, in Sicilia., e di tanti altri meno noti. Il fisico Ettore Majorana, della famosa "nidiata" di via Panisperna, a Roma, viene inseguito fino a Perdifumo, in pieno Cilento, attraverso testimonianze dirette, prima di svanire nel nulla, quasi come, più recentemente, ha fatto l'economista Federico Caffè.

Nei racconti di Oreste Mottola, l'Alto Sele si presenta tra prodigi, tartufi e misteriosi tesori. Gli Alburni, invece, emergono tra i combattivi serresi, già in prima linea nella lotta per le terre di Persano, "ricchi di mitologia paesana", indagati in compagnia di un intellettuale, Gerardo Chiumiento, i liberali alla Carmine Fasano e Mast' Umberto. Il Cilento è terra ospitale dell' "antifascista gentile" Franco Antonicelli e di Ernest Hemingway che, ad Acciaroli, si favoleggia abbia trovato l'ispirazione per l'immortale vecchio pescatore, sconfitto dagli squali. Paestum, tra passato e presente, viene delineata attraverso le storie della vecchia stazione ferroviaria di cui oggi si reclama il restauro ed il ripristino e l'episodio di Ada Sereni che atterrò con il suo piccolo aereo a Seliano.

Una galleria di varia umanità, quello di Oreste Mottola, che assomiglia ad una pinacoteca di famiglia di antica nobiltà, che ha conosciuto tempi migliori, con ritratti di avi più o meno illustri, più o meno presentabili, più o meno misteriosi : scienziati e scavezzacolli, nobildonne austere, dall'aria inquisitoria, zie "leggerine", il capostipite tutto d'un pezzo. E', tuttavia, la linfa di una società, quella del Cilento, degli Alburni, della Piana al di qua del Sele che, a ricordo delle vestigia del Casato antico, denunzia una vitalità che, seppure oggi poco appariscente, cova sotto la cenere di una realtà deprimente, quale quella di una società che sembra aver buttato alle ortiche i suoi valori fondanti, in attesa di tempi migliori.

Lo stile, non pretenzioso, è piano, asciutto, da cui traspare il gusto fine a se stesso di raccontare , diretto ad un pubblico variegato, curioso, desideroso di farsi prendere da una narrazione intrigante, a volte ironica, rispettosa tuttavia di fatti e persone, cui l'autore si avvicina per capire, quasi in punta di piedi. Un salutare antitodo a tutto quello che quotidianamente passa il convento della cronaca: frattaglie indigeribili che scaturiscono dalle viscere di un mondo sempre più disumano, pettegolo, senz' anima.


 


 


 


 


 


 


 

"I PAESI DELLE OMBRE", è un libro di viaggi


 

Visto da VINCENZO CUOCO

Laureato in scienze politiche. E' il responsabile delle pagine culturali del settimanale "Unico"


 

Il libro di Oreste Mottola, I paesi delle ombre, Edizioni Magna Graecia, Albaella (€ 13) ha un dettaglio-sottotitolo che lo svela: "Cilento misterioso". Il libro porta il lettore a conoscere, o ri-conoscere storie raccontate dallo stesso Mottola nel corso degli ultimi dieci anni apparse sulle varie testate locali nelle cui redazioni Mottola era come fosse a casa sua e che, a volte, ha diretto. La descrizione, rappresentazione, precisazione è un viaggio nella cosa e nelle cose e, come ogni viaggio, ad un visitatore si contrappone l'utile guida, una figura che, come Virgilio per Dante, ha sempre saputo orientare, in maniera più o meno rigida, il cammino del viandante. Il luogo è il Cilento, la guida Oreste Mottola, la destinazione? Liberamente scelta come ogni buon viaggio che si rispetti, il contrario esatto della 'vacanza' preordinata e predigerita della modernità. I paesi delle ombre di Oreste Mottola è dunque un libro di viaggio. Ogni viaggio è avventura esteriore e esplorazione interiore, minuziosa documentazione di fatti e di episodi avvenuti in un certo luogo i quali, in un certo periodo, oltre ad avere conseguenze tangibili esteriori hanno influenzato profondamente la 'pancia' dell'opinione pubblica locale. L'indice è un susseguirsi di argomenti, fatti, episodi che avrebbero fatto la gioia dello scrittore inglese Lawrence Sterne (1713 -1768) per il quale la bellezza, anzi l'utilità del viaggio non è nella meta, ma nella libertà di cambiare percorso e nei discorsi che si fanno per strada e dunque nel rapporto umano che si stabilisce tra i viaggiatori. Tranne alcuni casi di rilevanza nazionale - La scomparsa del fisico Ettore Majorana e della misteriosa sparizione-rapimento dell'sindaco di Battipaglia Lorenzo Rago del 1953 - il grosso del libro è costituito dalla descrizione della quotidianità del Cilento. Tutti gli articoli lo illuminano. I personagggi di rilievo che sono passati dalla stazione di Paestum, il racconto 'annalistico' della storia 'minima' altavillese, l'episodio dal caratteristico "colore locale", e, per finire, il dolente, intimo e privatissimo racconto di un tragico incidente stradale, fanno del libro un ottimo baedecker per viaggiatori curiosi e non superficiali.


 

Variegato lo stile di scrittura di tutto il libro: a ciascuna sezione il tono appropriato capace di evocare le atmosfere in una lettura veloce e piacevole. Si va dalla pura'inchiesta di taglio giornalistico ad un 'noir' discreto e lieve; dalle 'leggerezze' della cronaca 'rosa' al lirismo malinconico. Un libro 'tuttigusti' da ombrellone o da 'pergola ombrosa'. Da leggere sulle spiagge e nei paesi del Cilento.


 


 


 


 

Oreste Mottola, I paesi delle ombre, Albanella (Sa), 2007, Magna Graecia Edizioni, pp.194, 13 euro.


 


 


 

Bellezze nascoste ad Altavilla Silentina1609-2009 Compie 400 anni il polittico della Chiesa del Carmine. Articolo di Bruno Di Venuta


 

La chiesa del Carmine sorge in prossimità della Piazza Umberto I° di Altavilla. Presenta una sola navata e, molto probabilmente, nasce come cappella del Convento carmelitano fondato, prima del 1600 (forse nel 1580) , da padre Teodoro Perillo Altilio maestro e dottore in Sacra Teologia proveniente da Napoli e già priore del convento del Carmine di Napoli. Eì' una chiesa tutta da scoprire perché presenta aspetti e fatti ancora sconosciuti agli altavillesi che prossimamente pubblicherò in un mio specifico lavoro fatto in questi anni grazie alla disponibilità e alle informazioni fornite da diversi confratelli.


 

All' origine, la chiesa aveva un solo altare con il solo quadro della Madonna, molto bello, di autore Anonimo e data di realizzazione sconosciuta. Proprio il quadro della Madonna è inserito al centro dello splendido polittico che sovrasta l'altare maggiore al quale si accede attraverso due gradini delimitati da una balaustra in marmo policromo del 1874 che riporta nei due laterali lo stemma in bronzo del Comune di Altavilla.


 

Il polittico, retto da una struttura lignea poggiata su due "spuntoni in pietra" che fuoriescono dalle mura antiche della chiesa, è stato realizzato nel 1609 e firmato da Vito Bucinen (erroneamente tradotto in passato come Vito da Buccino). Il polittico è composto da 6 dipinti, delimitati da due colonne e travi in legno il cui fondo azzurro è impreziosito da rilievi in legno dorato, che circondano lo splendido quadro della Madonna. Su una di queste tele, precisamente nella parte sinistra del polittico è riportata la dicitura: "P(?)VS De Vito Bucinem pinxit 1609" .

Il Quadro della Madonna, chiuso in una vetrata, è posto al centro del polittico tra le figure di santi carmelitani tra i quali spiccano San Pietro martire e San Simone Stock (protettore dell'Ordine Carmelitano). Nella parte inferiore del dipinto sono presenti due riquadri, in quello sinistro è riportata la seguente dicitura:

"ALTA SVPPLEX VILLA CORDE IAMEN ALTIOR IPSA ECCE DAT VIRGO MAGNVM PIETATIS OPVS IMPVLIT HOC, PIETAS, CHARITAS, RELIGIO, SUMMA VT TV IN CAELIS MONUMENTA DARES A. D."

Nel riquadro destro invece è riportata la dicitura: "O DIVVM DIGNATA, CHORO TV VIRGO BEATA TV NOS DIVA OVE SUPPLICIBUS FAVE TV DVX PRAESIDIUM, DECVS TOTIVS ORBIS IACET VILLA STRATA, NISI TVA LEVETVR OIE 1609" "

Nella parte superiore del polittico sono raffigurati altri due santi carmelitani che delimitano un dipinto rettangolare nel quale è rappresentata l'adorazione dei Magi. Appena sotto il quadro della Madonna, tra SAN PIETRO E SAN SIMONE, è posto il dipinto nel quale sono rappresentate le Anime purificate del Purgatorio che, grazie alla Madonna del Carmelo, spiccano il volo verso il Paradiso.

Nella parte inferiore del polittico, non visibili perché sovrastati dalla struttura lignea dell'altare, sono raffigurati 5 miracoli della Madonna del Carmine. I miracoli sono inseriti tra i due basamenti sui quali poggiano le colonne. Su entrambi i basamenti è stato disegnato uno stemma che contiene tre torri la prima delle quali, quella più a sinistra, è sormontata da una stella mentre quella centrale è sormontata da una croce.


 

I cinque miracoli raffigurati sono degli ex-voto, ovvero rappresentano una una forma di fede alla Madonna per un miracolo o una grazia ricevuta. Sicuramente non sono riferiti a fatti locali in quanto non esiste alcuna documentazione per gli episodi dipinti e raffigurati, ma certamente sono riferiti a miracoli 'storici' della Madonna avvenuti in diverse località.

I miracoli rappresentano:


 

  • L'Impiccato a cui si rompe la corda
  • Lo sventurato caduto nelle mani dei briganti
  • Lo scampato naufragio
  • Il salvataggio dall'incendio
  • Lo sventurato caduto nel pozzo


 

Domina il polittico un cristo risorto ligneo, probabilmente di scuola napoletana del '700 che si erge tra due angeli disegnati in due riquadri posti in alto sui lati del polittico.


 

E' veramente un'opera eccezionale, un'opera assolutamente da vedere, valorizzare e soprattutto da tutelare.

La descrizione appena fatta non esprime il valore reale dell'opera; esperti carmelitani, da me contattati a Roma, sono rimasti senza parole nel vedere questa composizione artistica. Ha suscitato grande ammirazione il dipinto che raffigura la Madonna del Carmine che viene descritto come una esatta riproduzione dell'icona di S.Maria detta "La Bruna" ovvero la piu' antica immagine mariana adottata dai carmelitani. L'appellativo è dovuto al colore scuro con cui è raffigurata la carnagione della Madonna e l'originale di questa icona, coronata per decreto del Capitolo Vaticano l'11/7/1875, si conserva nella Basilica del Carmine Maggiore di Napoli.

Grazie proprio agli esperti e ai loro consigli, ho presentato le copie delle foto presso l'Archivio Nazionale Carmelitano di Roma al fine di censire anche i dipinti della chiesa del Carmine di Altavilla Silentina ed evitare, come già successo per le alcune chiese altavillesi, che valide opere e testimonianze storiche si volatilizzino per molteplici fattori tra i quali spiccano interventi di recupero o di manutenzione fatti in modo scellerato anche con la complicità e l'indefferenza di noi cittadini.


 

Bruno Di Venuta jr.

L’irresistibile fascino della maschera: Alfredo Crisci . Articolo di Antonietta Broccoli

L'irresistibile fascino della maschera

di Antonietta Broccoli

Spesso, nella vita, ci troviamo a impersonare chi non siamo, a vestire gli abiti di uno sconosciuto, di un burattino che, puntualmente ogni giorno, mette in scena una nuova identità, a calare sul nostro viso una maschera che, col passare degli anni, diventa più pesante e oppressiva.

Miserie umane cui noi tutti dobbiamo o vogliamo, almeno una volta nella nostra vita, assoggettarci per tirarci d'impaccio da una situazione pericolosa o per pura vanità e desiderio di nasconderci dietro un'apparenza che non è la nostra. La maschera, o meglio, il velo che si frappone tra quello che siamo e quello che vorremmo essere è un antidoto alla vita quotidiana che per alcuni è insostenibile e difficile, per altri vuota e priva di una qualsiasi luce. Ma non solo.

È anche e soprattutto uno strumento divenuto parte integrante del teatro che riproduce sul palcoscenico, in piccolo ma con la stessa intensità, il microcosmo che si racchiude tra le nostre mura domestiche, custodi di felicità e, a volte, di veri e propri drammi. In tale ambito, la maschera va in aiuto di chi, per mestiere o talento, dà voce e corpo a un personaggio che assume valenza, per tale motivo, universale, un personaggio che soffre e si dispera per il destino avverso, per l'amore negato, per una società che non lo vuole, ma anche che gioisce, che si burla, in modo irriverente, di chi gli sta intorno e mette alla berlina i costumi perbenisti dell'epoca in cui vive. Per dirla in breve, il teatro diventa, allora, riproduzione di una realtà che viviamo con maggiore o minor successo, in un'altalena di speranze che vorrebbero realizzarsi e paure che vorrebbero frenarci dinanzi al nuovo, segnando una sottile linea di demarcazione tra ciò che è reale e ciò che è, invece, soltanto finzione.

Palcoscenico privilegiato su cui rappresentare le alterne facce della vita è stata, da sempre, la città di Napoli, la cui innegabile vocazione teatrale è testimoniata da un lussureggiante fiorire di generazioni di autori, attori, capocomici. Sin dai tempi della Commedia dell'arte, il "mestiere" dell'attore, antico quanto l'uomo, si è tramandato di padre in figlio, si è moltiplicato tra fratelli dando vita a una moltitudine di "dinastie e stirpi" teatrali. I grandi e irripetibili Petito, Scarpetta, Viviani, De Filippo sono protagonisti di una tradizione che rivive ancora oggi sulle scene, infusa in storie che, lungi dall'appartenere esclusivamente a un determinato periodo o a una determinata società, svelano la loro anima immortale e per questo attuale, capace ancora di ammonire e insegnare.

Emozioni e sentimenti che hanno coinvolto e fatto vibrare i cuori di Altavilla Silentina, in occasione della festa della Parrocchia di quest'anno, grazie alla commedia "Io, Pullecenella e 'o triato 'e donna Peppa" scritta e diretta dal bravo attore-regista altavillese Alfredo Crisci e interpretata dalla locale Compagnia teatrale "La proposta". Il canovaccio è ispirato alla vita del grandissimo Antonio Petito la cui storia teatrale non può prescindere dalla leggendaria maschera di Pulcinella portata ai trionfi proprio da lui che fu innovatore di un simbolo e di un'espressività dell'intera città di Napoli.

Con Antonio Petito, Pulcinella diventa il personaggio umanissimo del napoletano medio, più comico che ridicolo, cantante, mimo: sulla maschera mette un cilindro, sul camiciotto bianco una redingote e mescola il maccheronico napoletano con errori di lingua voluti, esprimendosi, di sovente, in francese e italiano. È un po' quello che ci propone Alfredo Crisci che, novello Pulcinella, ha rivissuto per gli altavillesi una vita senza tempo, sospesa tra il canto, la danza fatta di saltelli e leggere moine, il sospirare per una ragazza che non si affaccia alla finestra e gli stratagemmi per vederla di nascosto dal padre. Le vicende sono ben costruite e raccontate ora da una turista francese che gira virtualmente nelle stanze di un museo della memoria napoletana, ora dalla madre di Totonno 'o pazzo (così era chiamato Antonio dal padre), donna Peppa, energica e produttiva, dotata di severe doti manageriali dimostrate nel creare un Teatro senza trascurare un marito genio e dongiovanni e sette figli vispi e intelligenti. Un'intera esistenza, quella di Petito, passata sul palcoscenico del San Carlino che lo vide, letteralmente, nascere e, soprattutto, morire sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l'ultimo e il più fragoroso degli applausi. Magia e fascino misterioso che l'attore altavillese ha ricreato, sapientemente, sabato 6 settembre in piazza Umberto I mostrando, ancora una volta, la sua grande competenza attorniato da attori ugualmente preparati e capaci. È un grande rammarico, tuttavia, notare che di tali esperienze artistiche non se ne parli spesso o se ne parli troppo poco nel nostro paese dove, a volte, la creatività e tutto ciò che si sviluppa intorno a questo concetto, così vasto e multiforme, passi in secondo ordine rispetto alle altre cose del vivere comunitario. Sarebbe, invece, di grande utilità per Altavilla, incentivare e valorizzare maggiormente questi e altri "percorsi", di cui è ricca, promuovendo dei vivai d'idee, di progetti, di crescita intellettuale e, in questo caso, artistica in grado di dare e non di strappare le ali a chi è pronto a spiccare il tanto sperato volo.


 



 

Altavilla, paese di canti e musica da oltre cinquant’anni. La guerra del 1977. Cenni di storia

Altavilla, paese di canti e musica da oltre cinquant'anni. La guerra del 1977

L'inno paesano del professore Giuseppe Sacco resiste alla sfida del tempo grazie a Iolanda Delli Paoli


 

"Altavilla, Altavilla/ Paese di canti e musica/ Ti vede illuminata il marinaio/ Ti ammira verso il cielo la pianura/ Chi ha incontrato in te/ Un grande amore/ Non lo può scordare/ E star lontano"


 

Nel 1957 cosi recitava la canzone prima classificata al I festival della canzone altavillese. Scritta dal veterinario Sacco e musicata dal maestro Alessandro Di Verniere, la canzone ebbe subita un gran successo e fu cantata da tutti gli altavillesi e divenne il simbolo della piccola cittadina. Recentemente dal gruppo"Altavilla viva in Brasile" sotto la presidenza del nostro concittadino Ezio Marra,la canzone è stata registrata da una cantante professionista, la cilentana Iolanda Delli Paoli, ed è diventato l'inno ufficiale dell'Associazione. Sotto l'egida dell'azione cattolica, viene organizzata anche nel nostro paese il I° festival della canzone altavillese. Professionisti e cittadini comuni, poeti in erba, e maestri e intenditori di musica, vengono messi a dura prova nella composizione. Attilio Senatore, Giuliano De Rosa, il veterinario Giuseppe Sacco, Alessandro Di Verniere, il maestro Suozzo sono gli artefici del festival. Il tifo della cittadinanza , per l'una o l'altra canzone assume "una febbre " che poco a poco coinvolge tutta la comunità cittadina. Organizzatore e presentatore della manifestazione è Manuccio Di Lucia, giovane studente universitario in giurisprudenza, abile nell'eloquio e padrone dei mezzi espressivi. Le voci di Emilio Giannella ,quella di Attilio Senatore , di Bruno Mazzeo e Giuliano de Rosa danno al festival un'eco che rimarrà nel tempo. Tutte le canzoni del festival vennero registrate su un registratore "Geloso" a nastro,uno dei primi prototipi del tempo. Due giovani, parenti di Duccio Baione, provenienti da Roma,sono i tecnici del suono. Per molti settimane le canzoni vengono cantate e i motivi,anche se accennati, diventano patrimonio di tutta la comunità cittadina. Vent'anni dopo si svolse il secondo festival della canzone altavillese, realizzato dal circolo culturale "tre torri" si svolse, più o meno dicembre 1977, nella sala "La cisterna" di Altavilla. Una trentina le canzoni in in gara, con due serate di eliminatorie e una serata finale. " O cane e mast'andrea" di Manuccio o tabaccaro di Cerrelli e " Altavilla tutto questo sei tu", quest'ultima presentata come di autore anonimo, in quanto quest'ultimo, Davide Pacifico, in quegli anni impegnati si vergognava di aver scritto una canzonetta. "Non ricordo il titolo della canzone vincitrice insulsa ancora più della mia, mi spiace. Quello che ricordo – racconta Davide Pacifico - è che la mia canzone fu oggetto di discriminazione da parte dei benpensanti in giuria. Pur avendo superato in semifinale la canzone poi vincitrice e anche la seconda classificata,in finale arrivò terza e provoò una piccola sollevazione fra il pubblico che la voleva vincente. Ma a quell'epoca una canzone scritta da uno di Lotta Continua (nel frattempo purtroppo qualcuno aveva svelato l'identità dell'autore)e cantata da ragazzi coi capelli lunghi, tutti vicino a quell'area politica, non poteva vincere un festival organizzato da Gerardo Di Verniere". Il festival ebbe un altro strascico. Giovanni Verrone, redarguito dal papà Antonio (proprietario del locale, la mitica "Cisterna") per aver partecipato alla protesta scappo' di casa e fu poi recuperato – dagli amici - sul lungomare salernitano dopo due giorni. Un bel casino vero per una semplice canzonetta.


 


 

Carmine Senatore e Davide Pacifico

mercoledì 14 aprile 2010

“Altavillesi a chilometri zero o altavillesi nell’anima” - di Tiziana Rubano

Chi sarà mai "la gente"?


 

Una sera dell'estate scorsa, mi trovai, quasi per caso, seduta ad un tavolino del bar centrale di Piazza Castello con alcuni vecchi amici, qualche faccia nuova e altri conosciuti nel pomeriggio. Tra i mille discorsi affrontati quello che fece scaldare maggiormente gli animi fu, come è immaginabile, l'abbandonare o meno Altavilla per cercare la propria realizzazione lavorativa e umana altrove. Premetto che, per quanto possa amare Torino mia città natale, vivo la lontananza dal paese come se fosse un esilio, dunque mi colpì particolarmente un ragazzo, non più giovanissimo che, con aria di sufficienza, si inserì nella discussione gettando un fiammifero acceso sulla benzina che fuoriusciva dalle nostre bocche: "Io torno in estate per vedere mia madre, il giorno in cui lei ci lascerà non metterò più piede qui". Il ritorno quindi vissuto come richiamo di sangue. Nessuna nostalgia per la terra, l'odore, le abitudini, le tradizioni. Provai a farlo ragionare. Io che, nella fredda città piemontese, non passo giorno senza rivolgere a sud un malinconico pensiero. Io che mi addormento ogni sera chiudendo gli occhi alla ricerca di quella pace, che forse voi chiamate tedio, ma per me è impossibile da trovare altrove. Mi resi conto da subito che mi accingevo ad un confronto già perso in partenza. Percorrevamo al contrario due linee parallele che non si sarebbero mai incontrate. Lui fuggito dalla quotidianità noiosa e alienante del paese natio, io attratta da una forza proveniente dalle viscere più profonde di quella terra. Entrambi provammo a sostenere le nostre tesi. Aveva le idee ben chiare. Non era solo la mancanza di lavoro la causa del suo allontanamento, ma soprattutto la "gente". La gente, gli altavillesi. Persone strane. Iniziò con l'espormi un esempio dalle fondamenta poco solide: "Odio stare in coda alla posta ed essere superato da chi è appena entrato perché amico del cassiere o del direttore o di chicchessia". E' vero succede e non solo ad Altavilla, ma proprio qualche giorno prima ero stata in posta e il cassiere si era prostrato per aiutarmi a risolvere un problema senza neanche conoscere il mio nome. Mezz'ora dedicata a me e nessun lamento di chi era alle mie spalle. Anche questo succede, a Torino no, non c'è tempo, si va di fretta, ritieniti fortunato se ti vengono concessi un paio di minuti. Mi raccontò di situazioni politiche particolari, di clientelismo, di nepotismo e così via. Lo bloccai. Non mi interessava. Non è solo la classe politica che fa il paese, come la terra è di chi la lavora, il paese è di chi lo vive. Su questo punto ci trovammo d'accordo, ma proprio questo punto lo infervorò ulteriormente. Ad Altavilla manca la voglia di evolversi, sbraitava. Ad Altavilla manca la forza di vivere la propria realtà, lo corressi, e questo vuol dire renderla il più gradevole possibile. Ho visto amici impegnare anima e corpo per organizzare un qualsiasi evento e avere come risposta sguardi vuoti e ghigni neanche troppo soffocati dalle stesse persone che, passeggiando su e giù per la piazza con le braccia conserte, lamentano la mancanza di stimoli. Ho visto giovani costretti a chiudere locali soffocati dall'invidia. Ho visto, da un'estate all'altra, sparire il "campetto", la "foresta" e così via. Per giocare una partita a tennis bisogna emigrare ad Albanella. Per andare in un locale alternativo bisogna arrivare al mare. Per ballare non ne parliamo. Ho scoperto dell'esistenza degli scavi di San Lorenzo preparando un esame di archeologia medievale a mille chilometri di distanza. Perché ad Altavilla, a differenza di altri paesi, anche limitrofi, nulla di positivo riesce a durare? Chiesi. "Per via della gente" fu la risposta unanime che s'innalzò da quella piccola tavola rotonda improvvisata. La gente. Ma chi sarà mai questa "gente"? La "gente", elemento astratto e inafferrabile, si è inserita nella mia vita da quando ragazzina in vacanza ad Altavilla sentivo ripetere "Non stare davanti al bar se no la gente…Non stare in piazza fino a tardi se no la gente….Non uscire con quello perché porta l'orecchino se no la gente…." Una litania che a me suonava come un bombardamento di timori esasperati ed esasperanti. Immaginavo gruppi di persone ferme agli angoli delle strade in attesa del mio passaggio per poi bisbigliarsi cattiverie all'orecchio e lanciarmi anatemi. Solo una persona, nella mia famiglia, riusciva a sdrammatizzare. Mio nonno materno, forse forte della sua esperienza americana ironizzava ribadendo che "le critiche giunte alla fine del paese non possono che tornare indietro", dunque tragitto breve e pochi giorni di sopravvivenza. Così, negli anni, pezzo per pezzo sgretolai l'immagine fantastica e fantasiosa che avevo creato della gente. Alla fine gente, la gente siamo noi, la gente siete voi. La gente siamo tutti e tutti dobbiamo guardare nella stessa direzione. E'controproducente ridere di chi con impegno lavora per migliorare quello di cui tutti godiamo, che si tratti dell'apertura di una nuova attività o dell'organizzazione di una serata di festa poco importa, ogni briciola è parte di un pezzo di pane che poi sazierà un po' tutti. E' controproducente crescere i figli con il mito del Nord ricco e efficiente, al contrario facciamoli innamorare delle loro origini al punto che li sentiranno sempre imprescindibili dal proprio essere, anche perché, una volta partiti, non solo non mangeranno fusilli al pranzo della domenica o struffoli la sera di Natale, ma vivranno lontani dal calore che unicamente la propria terra e la propria gente possono donare e inevitabilmente, strappati dalle loro radici e da tutto quello che è la loro storia saranno persone a metà, forse con un lavoro più sicuro, forse, ma pur sempre persone a metà. "E' facile per voi, con uno stipendio fisso a fine mese, suggerire agli altri come dovrebbero reagire di fronte alle difficoltà imposte dalla propria situazione", mi hanno attaccata, quasi all'unisono, i partecipanti, via via sempre più numerosi, di quella intensa conversazione estiva. Questo è indubbio, ma credetemi, quassù è raro leggere negli occhi di qualcuno quel senso di appartenenza che traspare dai vostri e l'essere parte di una comunità, quest'ultima intesa come gruppo di persone che condividono qualcosa di importante, è il primo passo verso la realizzazione di qualsiasi progetto, è impresa titanica scalare una montagna in solitudine. Non so se quella sera di mezza estate sono riuscita a convincere il mio nuovo amico, certamente lui mi ha lasciato una riflessione che giro a voi con la speranza che troviate le risposte che vagano, da mesi ormai, negli strati più bui e profondi della mia mente. Apparirà retorica, ma come può un paese sito alle porte del Parco Nazionale del Cilento, con alle spalle dei monti superbi e di fronte una delle coste più belle d'Italia, con un centro storico invidiabile e una vista sulla piana del Sele da togliere il fiato, con un potenziale immenso e assopito, in attesa da anni di essere sfruttato, lasciare che i propri figli fuggano e che lo facciano con il desiderio di non tornare più, quasi, e questo mi viene da pensare, a scappare da un amore troppo grande, un amore che li ha delusi, li ha feriti , li ha lasciati andare dandogli probabilmente anche un leggera spintarella sulla schiena per facilitarne il distacco…


 

Tiziana Rubano

LA MERICA Altavillese: Altavillesi oltreoceano – di Bruno Di Venuta


 

LA REGIONE CAMPANIA ha finanziato, nel mese di luglio, la ristampa di 500 copie del libro "LA MERICA ALTAVILLESE". L'impegno preso, durante la presentazione del mio libro tenutasi ad Altavilla due anni fa, dall'allora Assessore alle Politiche Sociali Rosetta D'Amelio è stato mantenuto e la Regione Campania, alla quale va il mio ringraziamento, ha approvato, con firma dell'assessore alle Politiche Sociali, Dr.ssa Alfonsina De Felice, il finanziamento per la ristampa dimostrando l'intenzione di voler favorire e mantenere i legami con i campani residenti oltreoceano al fine di rinsaldare i rapporti con la terra natìa.

Il libro sarà distribuito gratuitamente ad Altavilla, ai cittadini che ne faranno richiesta, in occasione delle festività natalizie con modalità che saranno comunicate con appositi avvisi pubblici. Chi volesse prenotare la copia già da oggi, puo' inviare una mail all'indirizzo emigrati@divenuta.it riportando nell'Oggetto la dicitura "Richiesta libro"

La "Merica altavillese" sta producendo i suoi effetti ovvero quello di ripristinare i rapporti con i discendenti degli altavillesi emigrati nelle americhe agli inizi del 1900. Il mio sito www.divenuta.it ha centinaia di visite giornaliere che accedono all'archivio online degli emigrati altavillesi e grazie ad esso alcune famiglie altavillesi si stanno ricongiungendo.


 

13 settembre 2008. La famiglia di Oreste Acito, con il fratello Ezio, di Altavilla vola negli Stati Uniti per conoscere e ricongiungersi ai parenti americani residenti nel Massachusetts. Sono stati ospiti, per sette giorni, di CarolAnn Acito e Jack Bowers che nell'aprile 2006 erano venuti in Italia proprio per conoscere il paese e le località da dove nel 1901 il bisnonno Angelo Acito, all'età di 9 anni, era partito insieme ai genitori.

Angelo sposerà, poi, l'altavillese MariaRosaria Strafella dalla quale avrà 8 figli oggi tutti residenti in USA.

La moglie di Oreste, Sig.ra Giovanna, Oreste ed Ezio, dicono: "…è stato un sogno bellissimo, un'accoglienza indimenticabile!. Indescrivibili sono la gioia e le emozioni provate nel momento dell'incontro con tutti i parenti fino ad oggi mai conosciuti e per i quali ignoravamo l'esistenza. Merito di tutto ciò è di CarolAnn e Jack, nostri cugini americani che, grazie a Bruno Di Venuta, abbiamo conosciuto ed ospitato ad Altavilla nel 2006 e 2007".

Oreste e famiglia hanno visitato NewYork, in particolare Manhattan, . la statua della Libertà e il museo degli emigranti di Ellis Island, l'isola nella quale approdarono i propri avi nel 1901. Oreste ricorda il momento in cui CarolAnn ha fatto leggere il nome degli Acito sul muro di Ellis Island, il muro commemorativo adiacente l'edificio principale del museo sul quale è è riportato un elenco di nominativi di oltre 500mila immigrati, di cui oltre 600 hanno origine altavillese. Girando per le strade NewYork e Boston gli italo-americani che incontravamo si avvicinavano e ci salutavano; non potevo mai immaginare, alla mia età, una cosa simile !

Il tour degli Acito è continuato fino a raggiungere Boston e poi Sharon la città in cui risiedono CarolAnn e Jack Bowers. A casa di quest'ultimi si è riunita tutta la famiglia Acito rappresentata da 25 persone tra le quali spiccava la 93-enne Eugenia moglie di Salvatore Acito emigrato da Altavilla nel 1912. che ha salutato Oreste e famiglia cantando le piu' belle canzoni napoletane.


 

La sig.ra CarolAnn mi ha inviato una mail nella quale ha detto:" …il ricongiungimento familiare è stato un sogno per tutta la nostra famiglia; il tempo trascorso insieme è volato in fretta. Comunque ricorderemo questi momenti per tutta l'eternità. Ti ringrazio per aver unito le nostre famiglie."


 

Sono diversi i cittadini americani che scrivono al Comune di Altavilla e al sottoscritto per avere informazioni su probabili origini altavillesi.

Pablo Bertora di Montevideo ha come antenati gli altavillesi Pasquale Laurino e Fortunata Morra che  si sono sposati nel 1867, e nel 1876 sono emigrati in Uruguay . Pablo mi ha incaricato di trovare eventuali altavillesi che discendono dalla stessa famiglia e ha intenzione di contattarli e conoscerli personalmente. 


 

Robin DeRue invece, incontrerà il 29/30 novembre 2008 ad Altavilla, i parenti    altavillesi. Robin ha come antenati Giuseppe Mottola, che ha sposato Carmela Arena,  ed entrambi raggiungevano i propri familiari a Ryland (OHIO) prima del  1900. Il bisnonno di Robin, Giovanni Mottola era cugino di Pasquale Mottola, sposato con Angela Maria Acito. Questi ultimi emigrano in USA agli inizi del 1900. Robin è laureata all'"Universita del Michigan State" e ha una laboratorio di zootecnica altamente specializzato nel settore equino. 

Ultimamente sono stato contattato dal Dr. Peter Molinaro che secondo le informazioni da me raccolte discende da Molinara Germano (o Gennaro), sposato con Maria Quagliati. Germanao arriva in USA nel 1921 con il figlio Angelo per raggiungere il fratello Angelo Molinara residente in 69 Haver St. Brooklyn (N.Y.). Il Dr. Molinaro nei mesi prossimi sarà ad Altavilla per conoscere il paese e i parenti residenti.


 

Un secolo di vita attraversato da Fiorinda Grippa

Un secolo di vita attraversato da Fiorinda Grippa

  "Una grande donna. Che si è sacrificata per la sua famiglia, l'assistenza alla madre e la crescita delle nipoti, ma che ancora oggi segue tutto quello che avviene a parenti anche lontani ed amici. Sempre animata dalla fede…". Chi la conosce bene così descrive Fiorinda Grippa.  Fiorentina lo è per l'anagrafe, Fiorinda l'hanno chiamata così tutti, quasi a partire dal 22 dicembre del 1909 quando nacque tra Falagato ed il Feo, terre fertili d'estate e veri e propri acquitrini d'inverno. Ora nonna Fiorinda, circondata dalle tre nipoti Antonietta, Lucia e Gerardina Guarino, è arrivata al secolo di vita e si preoccupa dei preparativi della sua festa che si concluderà al Sentacrutz di Eboli. "Ha voluto bene a tutti ed ora vorrebbe far partecipi non solo i parenti ma le tante persone che ha sempre frequentato, a partire dai medici che la curano", aggiunge la nipote Antonietta. Ricorda la sua giovinezza Fiorinda, trascorsa a lavorare sulle terre del barone Ricciardi, al "Varrizzo", ovvero Ponte Barizzo, come accadeva a tante famiglie di Altavilla ed Albanella. "Io, siccome ero la più piccola andavo a prendere l'acqua da bere al Brecciale. Mio fratelloLuigi conduceva i buoi. Con mio padre, mia madre e mia sorella si lavorava tutti uniti. Zappuliavamo il grano. Cantavamo o ci raccontavamo i cunti della Madonna. Poi a sera si tornava con l'asino". Mattina e sera a piedi, dalla Piana d'Altavilla fino a Capaccio, per almeno due ore all'andata ed altrettante al ritorno, sull'asino si portavano piccole some. Sono gli anni terribili della Grande Guerra, tutto è requisito o requisibile, i giovani sono tutti lì a farsi massacrare nell'inutile strage, come la chiamerà il Papa di allora. A questo si aggiunge la "Spagnola", la terribile epidemia che farà – solo in Italia – altre centinaia di migliaia di morte. Non tornerà dal fronte intorno al Piave suo suocero Antonio, "ci dissero morto a Gorizia, ma chissà", ricorda, e si commuove, Fiorinda. Chiede alle nipoti di far vedere la medaglia. La Guerra finisce e la vita ricomicia. Fiorinda non va a scuola, "da noi non c'erano maestri", ricorda oggi, ma è più probabile che non ci fossero solo per le bambine del tempo. E' diseducativo farle imparare a scrivere perché poi potranno scrivere ai futuri fidanzati, si diceva. 

La svolta.

Una volta all'anno, alla festa della Madonna della Neve, Falagato e il Feo diventavano affollatissimi. I fedeli non scendevano solo dalle colline di Altavilla, ma anche dai paesi dell'entroterra, soprattutto Castelcivita. L'eco del ritrovamento della statuina, a seguito del prodigioso sogno di Antonio Di Masi, è ancora vivo. Le cronache del tempo parlano di decine di migliaia di persone che accorrono. E di scavi spontanei alla ricerca di reperti religiosi, segue un processo a danno dei parroci altavillesi che non smentiscono il miracolo. Tra tutte queste persone c'è un giovane alto e con gli occhi azzurri che con determinazione non ha voluto fare più il contadino ma è un provetto muratore e carpentiere. Si chiama Rosario Garofalo, ha anche studiato ed ha modi assai distinti. Fiorinda se ne innamora e decide che quello è l'uomo della sua vita. "Anche perché, pensai, questo ha un mestiere e possiamo costruirci più facilmente la casa". Rosario, ovviamente, capitola di buon grado.

La giovinezza

Casa, famiglia e lavoro nei campi. Questa fu la vita di Fiorinda durante gli anni Trenta. Nel 1932 arriva l'unica figlia, Carmelina. La bambina è molto studiosa e le sue pagelle piene di bei voti sono gelosamente conservate. La guerra, arrivata nel suo pieno svolgimento nel 1941, si prenderà Rosario. Dai fronti di combattimento però trova il modo di scrivere quasi ogni giorno alla moglie: sa che ci sarà Carmelina a leggerle a Fiorinda. Fatto prigioniero dagli Alleati viene trasferito, per oltre due anni, ad Orano, in Algeria. E Rosario continua a scrivere a Fiorinda e Carmelina le legge e le comprende.  

Il dopoguerra

La Guerra finisce, Rosario torna a casa e la vita della famiglia Garofalo riprende a scorrere serena. La ricostruzione prima ed il boom economico dopo rendono la professione di mastro Rosario molto richiesta ed anche discretamente redditizia. Ed arrivano gli agi: "Una bella casa. Il primo frigorifero, il primo apparecchio televisivo. Le nipotine". La vita scorre tranquilla. Rosario ogni domenica va in paese e porta in dono alla moglie qualche dolce di Verrone, gli compra i collant di nylon. Ogni mattina è lui che gli porta il caffè a letto. Tenerezze e la dimostrazione di un amore profondo che a quei tempi era molto inconsueto. Il destino però ha deciso diversamente. Carmelina si ammala, e giovanissima, a soli 42 anni, si spegne. Ha anche tre bambine. Un dolore  immenso, indescrivibile ed incommensurabile. Ed è qui che Fiorinda tira fuori la sua grande forza d'animo. Dopo aver assistito per sei anni sua madre si ritrova a prendersi cura delle sue uniche nipoti. "Me la ricordo camminare con quella sua cesta portata sulla testa, con dentro di tutto, e l'asino per i  carichi pesanti", ricorda Antonietta.

La vecchiaia

La lascia anche Rosario, il suo compagno di vita, quando ha ottant'anni. Ed anche Fiorinda comincia ad essere soggetta a malanni molto seri. Tumori e cardiopatia, per dire. Ed ogni volta, smentendo le pessimistiche previsioni mediche Fiorinda ce la fa. Ha l'appuntamento con il secolo di vita da toccare. E la piccola, adorabile, debolezza per tutto ciò che è bello e che vede indossato dai più giovani. "Si tiene aggiornata", commenta una delle nipoti. L'aver opposto l'amore alle traversie che non l'hanno risparmiata, le più dolorose per una madre, è forse il segreto di "Nonna Fiorinda", che idealmente rappresenta tutte le donne d'Altavilla.

Oreste Mottola

Due nuove pubblicazioni di Paolo Tesauro Olivieri.


 

"Cenno Brevissimo sull'Istruzione , sulla scuola, sui maestri ad Altavilla Silentina" e "Canti della sera" sono gli ultimi due lavori prodotti, dal Professore Paolo Tesauro Olivieri, nel mese di settembre 2008.

Nel primo lavoro, il Professore racconta la sua vita scolastica ricordando le diverse località altavillesi nelle quali veniva erogata l'istruzione, nonché gli insegnanti e i direttori didattici che si sono succeduti ad Altavilla a partire dall'anno scolastico 1925/26, anno in cui il Professore inizia la sua carriera scolastica che terminerà a Salerno il 30 settembre 1977.

Se questo scritto è dedicato al Prof. Donato Galardi, insegnante di Paolo Tesauro di quarta e quinta elementare perché "…fu anche mio maestro di vita", dice l'autore, il secondo lavoro è dedicato alla memoria di Giuseppe Galardi, suo amico nella storia e nella sfortuna in quanto, quasi nello stesso anno, furono accomunati nel dolore per aver perso familiari a loro cari.


 

"Canti della sera" è una raccolta di 10 poesie dedicate quasi tutte ai propri familiari, e dalle quali emergono i sentimenti d'amore verso chi ti è stato vicino e i momenti tristi causati dagli eventi funesti che si verificano nella nostra vita; il Professore però in esse lancia sempre un messaggio di fede e di speranza che tende ad incoraggiarti nel prosieguo della vita. Sono momenti riscontrabili in tutte le famiglie e leggendo le poesie ognuno può immedesimarsi identificando i propri cari.;

In "Rimembranze (Marzo 1942-Agosto 1945)" si può ben capire lo stato d'animo di chi viene obbligato a separsi, per tre lunghi anni, dal proprio Amore per una "questione ingiusta ed inconcepibile". Bella è la descrizione delle due foto, quella dell'8 aprile 1942 piena di dolore ed amarezza(Il ritorno in Grecia del Professore e il ritorno a Portanova del proprio amore) e quella dell'agosto 1945 piena di felicità per l'avvenuto ricongiungimento e la fine della guerra.

Bello è anche il ricordo della sorella Margherita in "Mia sorella Margherita", che pur avendo avuto una vita molto travagliata ha sempre affrontato la vita, fino agli ultimi momenti, sempre con una calma e una pacatezza invidiabile : "…Tu, mite, semplice,buona,paziente, tetragona alla sorte ria, abbracciasti a capo chino la Croce di Gesù…."


 

La raccolta si chiude con il canto dedicato a Giuseppe Galardi. Il Professore ha voluto ringraziare nuovamente l'amico Peppino per avergli fornito, senza mai averli richiesti, notizie ed appunti sulla dinastia Olivieri che si sono rilevati molto importanti per gli studi che stava facendo e per . ricordare quei bei momenti in cui ci si incontrava ad Altavilla durante i quali Peppino gli chiedeva sempre di non andare via.!


 

Bruno Di Venuta jr.

Si, io mi ricordo – un mio personale blob

SÌ, IO MI RICORDO - 1


 

"Zia" Teresa Arietta e la Foresta. Nel mese di settembre faceva celebrare una Messa per i caduti del 1943 che vide riversi nel vallone della Foresta. E poi suoi racconti dei briganti, con l'indicazione dei loro discendenti, dei terribili misfatti nella zona del Convento nel suo periodo di decadenza, prima del 1928, e poi le ricette per guarire con le erbe del bosco i malanni. Era convinta che fossi io, quando avevo intorno ai vent'anni, ad illudere alcune ragazze. Capiva tutto, zia Teresa, tranne quest'ultimo capitolo. La realtà, già allora, era diversa.

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Il mio bisnonno Domenicantonio Di Marco, che veniva dal Cilento, che amò l'America e l'anarchia. L'unico non prete a possedere una Bibbia che conosceva benissimo. E "suppontato" Vito i suoi figli li volle chiamare Alessandro, Adelina, Alberigo, Amerigo ed Alberigo. Tutti con l'inizale "A". Un solo figlio lo seguì: Alessio, Antonio e Adelina. Avveniva nell'Italia dei primi due decenni del Novecento. Ai tempi era una singolarissima forma di anticonformismo. Oggi si scelgono i nomi suggeriti dalle mode televisive.

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Gerardo Fasano ed il suo modo di domare da fuoriclasse del surf, la vita collettiva in un paese come è il nostro. Altavilla lui se l'è respirata tutta. La fabbrica, il frantoio e la farmacia. I boschi per i funghi ed il fiume per la pesca. Poi la piazza e le cuzzupiglie con gli amici. E' un vero colto con i molto presunti tali, buono e popolare con gli indifesi. Ama ache il gossip, però quello che strappa un sorriso e non graffia la faccia dei malcapitati. Fortunate le donne che stanno nelle tue giornate.

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Franco, Germano, Rosario ed ancora Franco. E Piero. Alla rinfusa: sono stato compagno di banco dell'uno, ho avuto tante dimostrazioni d'amicizia dagli altri e di un altro ancora sono stato compagno di "formidabili quegli anni" di quando vedevamo il mondo solo in bianco e nero ma io stavo con quelli che lo preferivamo rosso, non troppo però. Restiamo ancora amici, come lo eravamo ai nostri tempi delle mele. Nessuno più di me sarà contento se avrete il successo che sperate. Nella piazza Castello c'è l'officina delle mie sconfitte dalle quali vi ho tenuto doversosamente lontano.

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Sì, io mi ricordo. Anche "Lisa dalle vesti trasparenti" versi di un amico che alla fine degli anni Settanta voleva sfondare come cantautore: un po' Lolli ed il resto... Baglioni. Gerardo sa di chi parlo.


 

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Mi ricordo bambino con i tagli alle dita per via di una scatoletta tipo Simmenthal che volevo apririmi durante una festa di S.Antonio. Inutile dire che era la prima volta che ne potevo comprare una da solo su di una bancarella...

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I racconti che mi hanno fatto querce e lecci del bosco della Foresta. Le mille storie dello "Scivolaturo" sono lì. Di briganti o di amori più o meno di contrabbando, l'anima romantica di Altavilla vivente tutta da lì. Con più esagerazioni che realtà. E poi una fontana... come quella dei Franci dove se ne bevi l'acqua nel paese ci resti... da decenni l'acqua non è potabile.

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Ci sono domeniche che vorrei non aver mai fatto il mestiere che faccio. Con gente che ti rimprovera per cose che non hai scritto e che loro non hanno mai letto. Però gliele hanno raccontate. Sotto non c'era la tua firma. Ma che importa...sono arrabbiati e ti tengono il broncio. E nel frattempo nel bar dove prendi il caffè entra uno del quale veramente non hai potuto scrivere ... bene.

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Giumentari o butteri, che li vogliano chiamare è dal mio paese che vengono i migliori cow boy di Persano. Che si misero in tasca i butteri maremmani che fecero mordere la polvere agli uomini di Buffalo Bill. Altavillesi, come i più bei meloni d'Italia. Tutto perso, finanche la memoria.

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Mi ricordo di Giovanni Giello, fondatore della sezione del Pci, che si arrabbiò quando io, pur ventenne contestatore, da sinistra, dei comunisti "ortodossi", proposi - era il 1980 o giù di lìdi dare vita ad una lista civica. "Lo fa la Dc, facciamolo anche noi" fu il mio ragionamento.

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L'aspirante cantautore un po' Baglioni e tanto Lolli era Attilio Senatore, il giovane però, che oggi fa il bidello. Le montagne di Magliano Vetere, Attì te le ricordi? Io, sì. Ma mai mi sono fermato a rimirarle.

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Ricordo di essere uscito a pezzi da alcune complicate storie d'amore perché di un paio di ragazze ho scoperto dopo diversi anni di non volerle perdere. Loro però già si erano scocciate di me. Lo diceva Aristotele: "Certe cose si capiscono solo alla fine".

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Nella mia vita molti giorni sono stati lunghissimi. E ringrazio Marina che c'era sempre.

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Si parlava di donne, lontananze e sogni nelle lunghe passeggiate con Piero. Molti pensavano che ordissimo congiure ed altri che semplicemente stavamo a perdere tempo.

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Ricordo com'era l'aula del mio primo giorno di scuola e la maestra che teneva a bada una quarantina di bambini e ragazzi delle vituperate pluriclassi dove ho imparato a leggere, scrivere e a non far di conto. Quest'ultima lacuna non l'ho mai colmata.

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Sì, io mi ricordo.