di Oreste Mottola
RICORDATE LA “CAVALLINA STORNA”?
Mia madre l’abbracciò su la criniera
O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.
La poesia è stata scritta da Giovanni Pascoli in seguito alla morte del padre, avvenuta in circostanze misteriose nell’agosto del 1867.
Il delitto imperfetto, una scia di sospetti ma senza un movente e i colpevoli. E’ quello avvenuto intorno alle 22 del 20 dicembre del 2007, in località Castelluccio, nel comune di Altavilla Silentina. Un colpo di fucile da caccia uccide Antonio Mottola, autista della Sita sulla tratta Salerno – Campagna. Con tante assonanze con la poesia di Giovanni Pascoli che una volta a scuola si faceva imparare a memoria ai bambini e che impressionava tutti, e per sempre, perché parlava del dramma più grande che ti poteva accadere: perdere tuo padre in maniera violenta, immotivata e senza mai avere certezze sui nomi ed i moventi dei responsabili. E’ il dramma che vivono tre giovani di Altavilla Silentina. Che non vedono gli inquirenti venire a capo del bandolo della matassa sul destino del loro papà ed anzi devono assistere ad uno stillicidio continuo di chiacchiere ed illazioni.
IL FATTO
L’uomo aveva appena parcheggiato il suo bus a Campagna e faceva ritorno nella sua abitazione di Olivella di Altavilla anche quella sera. Vicino al luogo dell’agguato c’è una frequentata scuola di ballo. L’azione è fulminea e non sarà impossibile trovare testimoni del fatto. Tre anni di indagini non portano a nulla. Pochi giorni fa il sostituto procuratore Ernesto Stassano, aderendo ad una richiesta del gip Gaetano Sgroia, ha archiviato le indagini. La motivazione: “Non è stato possibile acquisire elementi sufficienti per ricostruire le vicende ed individuare l’autore del delitto”. A tale provvedimento si sono opposti, senza successo, gli avvocati Ezio Catauro e Carmine Gallo, che rappresentano la moglie di Antonio Mottola, Paola Vuolo, ed il figlio maggiorenne, Emilio. Per entrambi la conduzione delle indagini, soprattutto nei primi due – tre giorni, quelli fondamentali nell’individuare i responsabili, è stata lacunosa.”Non è stato rilevato quale marcia ci fosse innestata nella Seat Cordoba di mio marito – rileva Paola Vuolo – così non sappiamo se egli sia stato fermato, magari poche centinaia di metri prima, o se sia stato vittima di un agguato mentre, come era solito fare in quel tratto, avesse innestato la quinta marcia”. “Mio padre verrà trovato quasi subito nell’auto che va a fermarsi da solo nel fossato di Castelluccio. Perchè i carabinieri – dice Emilio – non istituiscono immediatamente dei posti di blocco nella zona?”. C’è ancora un’altra stranezza – fatta sempre notare dal figlio – e che riguarda le almeno cinque telecamere che ci sono nel tratto da Campagna ad Altavilla. Quasi una settimana dopo la sera dell’omicidio tocca a lui, messo sull’avviso da un amico, andare a sollecitare i carabinieri trovare eventuali elementi utili nelle registrazioni delle telecamere fino a quel momento ignorate dagli inquirenti. La stessa vita privata di Antonio Mottola è stata passata ai raggi X, qui gli inquirenti hanno espresso la migliore professionalità, facendo emergere il tratto di un uomo normale, tranquillamente diviso tra lavoro, famiglia ed hobby della caccia. Nient’altro. “Così come non hanno trovato nessuna conferma le infamanti voci fatte circolare sul nostro congiunto spesso da ambienti riconducibili o avvicinabili agli inquirenti”. Fuori da ogni accusa sono i carabinieri della locale stazione di Altavilla Silentina che hanno fatto tutto il possibile. Ma è evidente, anche alla luce dei magri risultati conseguiti, che c’è stato un difetto di coordinamento ed anche di mancata fornitura dei necessari imput investigativi.
Nella memoria inviata ai giudici gli avvocati Catauro e Gallo mettono al centro della loro requisitoria il fucile a canna singola, calibro 12, del tipo di quello usato alla caccia, con appostamento, alla caccia al cinghiale, arma che si trova in possesso di diverse persone che in qualche maniera sono entrati nel raggio d’azione dell’inchiesta sull’omicidio Mottola. Quel fucile è quasi come la “cavallina pascoliana”, continuamente interrogato per arrivare alla verità. E che però non è capace nemmeno di dire sì o no a tutti i nomi dei sospetti proposti di volta in volta.
LO SCAMBIO DI PERSONA
Così come c’è l’inquietante ipotesi di Antonio Mottola vittima di uno scambio di persona, ovvero che l’assassino abbia ucciso la persona sbagliata nell’automobile giusta, per via della generosità di Antonio, uso a dare in affidamento la sua auto, nei turni di lavoro, ad amici rivelatisi poi infidi e con frequentazioni pericolose. Anche in questo caso l’inchiesta, nonostante la famiglia avesse fornito utili dettagli, si è inspiegabilmente fermata.
Non sufficientemente battuta è anche la pista, affacciata già nelle prime ore dal fatto, di un possibile incidente venatorio. “Nelle sere successive all’omicidio – fanno notare gli avvocati Catauro e Gallo – tale nutrito gruppo di cacciatori non è stato più visto nei soliti luoghi, nei bar e ristoranti soliti, ritornando a frequentarli nuovamente molto tempo dopo la sera del 20 dicembre 2007″. Perchè, come scrive nella sua relazione, il medico – legale Giuseppe Consalvo: “l’omicidio commesso con un colpo esploso da un fucile a carica singola di calibro 12, a distanza superiore a 100 metri, alle spalle della vittima con direzione antero posteriore, dal basso verso l’alto, appaiono verosimilmente NON incompatibili con il tipico appostamento utilizzato nella caccia al succitato animale selvatico”. IL PERSONAGGIO. Per i compaesani da sempre era Kociss, per via del suo del suo amore giovanile per gli indiani d’America. “Briciola” era per i passeggeri abituali dei suoi bus. Incensurato, nessun problema sul posto di lavoro (dipendente della Sita, impegnato da anni sulla tratta Salerno-Campagna). Nessuna particolare difficoltà di natura economica: insomma, nulla che potesse spingere qualcuno a tendergli un agguato. La vita privata di Antonio Mottola degli ultimi vent’anni passata al setaccio dagli inquirenti. Nessuna particolare zona d’ombra.
“Rimarrai sempre il miglior autista del mondo”. Lo sottoscrissero, su di un piccolo manifesto fotocopiato ed attaccato ai muri di Campagna, con i loro nomi e cognomi, decine di ragazze . Dopo centinaia di chilometri fatti assieme, le giovani che frequentano il magistrale “Teresa Confalonieri” l’avevano ribattezzato “Briciola”, forse per il suo fare simpatico e da amico. Un rapporto costruito giorno dopo giorno con centinaia di persone. Con tutti l’autista di Altavilla era cordiale e affabile.
CHI SA PARLI
Alla fine della lettura vi sarete resi conto che queste note non sono state scritte per far riemergere una vicenda che si voleva, da più parti, seppellire nell’oblio, o peggio, rendere di nuovo sanguinanti ferite che, per chi ha conosciuto e voluto bene ad Antonio, sono sempre aperte nel nostro animo.
No, il mio è un vero e proprio appello ad andare a rendere noti ai Carabinieri quei pezzi di verità che in tanti affermano di sapere.
Altavilla,”Vogliamo la verità sull’omicidio”
Articolo de “La Città di Salerno”, di Angela Sabetta
“Vogliamo la verità sulla morte di mio padre, gli inquirenti non hanno affrontato il caso con la necessaria oculatezza. Le indagini devono proseguire, il caso non può e non deve essere archiviato. Qualcuno sa e non vuole parlare”. E’ l’appello che Emilio Mottola lancia alla magistratura affinché, sia fatta luce sull’omicidio del padre Antonio 54 anni, autista della Sita di Altavilla Silentina, consumatosi la sera, intorno alle 22, del 20 dicembre del 2007 in località “Castelluccio”, mentre l’uomo tornava da lavoro. Antonio Mottola, padre di tre figli, è stato ucciso da un colpo di fucile da caccia, che lo ha raggiunto alle spalle, mentre si trovava nella sua autovettura, una Seat Cordoba.
Delitto passionale, incidente di caccia, scambio di persona, sono queste le piste più battute. Di fatto, per quell’omicidio non esistono indagati, e il caso è stato archiviato dal pm del tribunale di Salerno, Ernesto Sassano, perché “le indagini non hanno consentito di acquisire elementi sufficienti per ricostruire la vicenda ed individuare l’autore del delitto”. Nonostante la richiesta di opposizione presentata dai legali dei familiari di Mottola, gli avvocati Ezio Catauro e Carmine Gallo, lunedì il caso è stato definitivamente archiviato, a seguito della Camera di consiglio, presieduta dal giudice Gaetano Sgroia. “Sono troppi i lati oscuri – evidenzia la moglie della vittima, Paola Vuolo – che hanno caratterizzato l’inchiesta, ci sono state delle false testimonianze, delle quali la magistratura non può non tener conto, delle omissioni da parte delle persone chiamate a testimoniare, che si sono palesemente contraddette. Vogliamo che a mio marito sia restituita la sua dignità ed onorabilità, è stato detto di tutto”.
Dopo un mese dall’uccisione, durante la notte, sulla macchina della moglie qualcuno ha scritto “Ti ammazzo”. I familiari vivono anche con l’incubo che possa accadere loro qualcosa, non conoscendo chi di fatto ha sparato al proprio congiunto, e perché. Il figlio Emilio denuncia di “non essere stato mai interpellato dai magistrati” nel corso dell’inchiesta. “Gli inquirenti nell’immediatezza dei fatti – sottolinea Emilio Mottola – non hanno avuto la necessaria oculatezza, non hanno fatto un tempestivo sopralluogo, non hanno visionato le telecamere in tempi utili, né attivato posti di blocco. In generale non hanno approfondito le indagini, lanciavano delle piste ma senza raccogliere tutti gli elementi utili. Chiediamo che il caso venga riaperto e sia fatta chiarezza”. Chiave di volta dell’inchiesta, come risulta dalle istanze istruttorie, per la soluzione del caso, secondo i familiari, sarebbe un amico di Mottola, più volte caduto in contraddizione, che potrebbe essere il custode di quel segreto costato la vita all’autista. Innumerevoli sarebbero le volte in cui durante gli interrogatori, l’uomo è caduto in contraddizione o è stato smentito dalle affermazioni di altre persone informate sui fatti.
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