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giovedì 15 aprile 2010

L’irresistibile fascino della maschera: Alfredo Crisci . Articolo di Antonietta Broccoli

L'irresistibile fascino della maschera

di Antonietta Broccoli

Spesso, nella vita, ci troviamo a impersonare chi non siamo, a vestire gli abiti di uno sconosciuto, di un burattino che, puntualmente ogni giorno, mette in scena una nuova identità, a calare sul nostro viso una maschera che, col passare degli anni, diventa più pesante e oppressiva.

Miserie umane cui noi tutti dobbiamo o vogliamo, almeno una volta nella nostra vita, assoggettarci per tirarci d'impaccio da una situazione pericolosa o per pura vanità e desiderio di nasconderci dietro un'apparenza che non è la nostra. La maschera, o meglio, il velo che si frappone tra quello che siamo e quello che vorremmo essere è un antidoto alla vita quotidiana che per alcuni è insostenibile e difficile, per altri vuota e priva di una qualsiasi luce. Ma non solo.

È anche e soprattutto uno strumento divenuto parte integrante del teatro che riproduce sul palcoscenico, in piccolo ma con la stessa intensità, il microcosmo che si racchiude tra le nostre mura domestiche, custodi di felicità e, a volte, di veri e propri drammi. In tale ambito, la maschera va in aiuto di chi, per mestiere o talento, dà voce e corpo a un personaggio che assume valenza, per tale motivo, universale, un personaggio che soffre e si dispera per il destino avverso, per l'amore negato, per una società che non lo vuole, ma anche che gioisce, che si burla, in modo irriverente, di chi gli sta intorno e mette alla berlina i costumi perbenisti dell'epoca in cui vive. Per dirla in breve, il teatro diventa, allora, riproduzione di una realtà che viviamo con maggiore o minor successo, in un'altalena di speranze che vorrebbero realizzarsi e paure che vorrebbero frenarci dinanzi al nuovo, segnando una sottile linea di demarcazione tra ciò che è reale e ciò che è, invece, soltanto finzione.

Palcoscenico privilegiato su cui rappresentare le alterne facce della vita è stata, da sempre, la città di Napoli, la cui innegabile vocazione teatrale è testimoniata da un lussureggiante fiorire di generazioni di autori, attori, capocomici. Sin dai tempi della Commedia dell'arte, il "mestiere" dell'attore, antico quanto l'uomo, si è tramandato di padre in figlio, si è moltiplicato tra fratelli dando vita a una moltitudine di "dinastie e stirpi" teatrali. I grandi e irripetibili Petito, Scarpetta, Viviani, De Filippo sono protagonisti di una tradizione che rivive ancora oggi sulle scene, infusa in storie che, lungi dall'appartenere esclusivamente a un determinato periodo o a una determinata società, svelano la loro anima immortale e per questo attuale, capace ancora di ammonire e insegnare.

Emozioni e sentimenti che hanno coinvolto e fatto vibrare i cuori di Altavilla Silentina, in occasione della festa della Parrocchia di quest'anno, grazie alla commedia "Io, Pullecenella e 'o triato 'e donna Peppa" scritta e diretta dal bravo attore-regista altavillese Alfredo Crisci e interpretata dalla locale Compagnia teatrale "La proposta". Il canovaccio è ispirato alla vita del grandissimo Antonio Petito la cui storia teatrale non può prescindere dalla leggendaria maschera di Pulcinella portata ai trionfi proprio da lui che fu innovatore di un simbolo e di un'espressività dell'intera città di Napoli.

Con Antonio Petito, Pulcinella diventa il personaggio umanissimo del napoletano medio, più comico che ridicolo, cantante, mimo: sulla maschera mette un cilindro, sul camiciotto bianco una redingote e mescola il maccheronico napoletano con errori di lingua voluti, esprimendosi, di sovente, in francese e italiano. È un po' quello che ci propone Alfredo Crisci che, novello Pulcinella, ha rivissuto per gli altavillesi una vita senza tempo, sospesa tra il canto, la danza fatta di saltelli e leggere moine, il sospirare per una ragazza che non si affaccia alla finestra e gli stratagemmi per vederla di nascosto dal padre. Le vicende sono ben costruite e raccontate ora da una turista francese che gira virtualmente nelle stanze di un museo della memoria napoletana, ora dalla madre di Totonno 'o pazzo (così era chiamato Antonio dal padre), donna Peppa, energica e produttiva, dotata di severe doti manageriali dimostrate nel creare un Teatro senza trascurare un marito genio e dongiovanni e sette figli vispi e intelligenti. Un'intera esistenza, quella di Petito, passata sul palcoscenico del San Carlino che lo vide, letteralmente, nascere e, soprattutto, morire sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l'ultimo e il più fragoroso degli applausi. Magia e fascino misterioso che l'attore altavillese ha ricreato, sapientemente, sabato 6 settembre in piazza Umberto I mostrando, ancora una volta, la sua grande competenza attorniato da attori ugualmente preparati e capaci. È un grande rammarico, tuttavia, notare che di tali esperienze artistiche non se ne parli spesso o se ne parli troppo poco nel nostro paese dove, a volte, la creatività e tutto ciò che si sviluppa intorno a questo concetto, così vasto e multiforme, passi in secondo ordine rispetto alle altre cose del vivere comunitario. Sarebbe, invece, di grande utilità per Altavilla, incentivare e valorizzare maggiormente questi e altri "percorsi", di cui è ricca, promuovendo dei vivai d'idee, di progetti, di crescita intellettuale e, in questo caso, artistica in grado di dare e non di strappare le ali a chi è pronto a spiccare il tanto sperato volo.


 



 

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