presentazione
Nelle pagine che seguono è possibile constatare, con grande ammirazione, la bellezza artistica e monumentale del convento San Francesco di Altavilla Silentina.
L'autore, da vero appassionato d'arte, con grande impegno ed intelligenza ha presentato la vera storia artistica del nostro convento attraverso lo studio delle opere (statue e dipinti) e dei dati storici che il convento conserva. Il testo è una vera e propria descrizione del convento e della chiesa di San Francesco, per far conoscere a tutto il popolo, e non solo agli esperti, la bellezza e la ricchezza d'arte che è presente nel nostro territorio.
Dobbiamo essere grati all'autore per questo enorme sforzo che ha fatto, d'ora in poi ciò che vedremo non ci sarà più estraneo e lontano, ma ogni quadro o statua con la sua storia, dall'autore ben descritta, avrà un messaggio da dirci.
Per la devozione del popolo è molto interessante il capitolo III: "Eventi legati al convento".
L'autore presenta la figura del grande taumaturgo Antonio di Padova, ma in maniera attenta presenta la devozione del popolo altavillese verso S. Antonio, ripercorrendo la storia e le varie forme di devozioni attuate in questi anni.
L'atro evento riportato nel terzo capitolo è il miracolo avvenuto nel lontano 1938 all'effige del Sacro Cuore di Gesù.
Nel ringraziare l'autore, per il lavoro svolto a beneficio dell'intera popolazione auspichiamo che il libro sia di aiuto a tutti coloro che vogliano riscoprire i tesori storici del nostro convento.
Ad multus annos!
PADRE COSTANTINO LIBERTI
S.D.V.
INTRODUZIONE
Questa pubblicazione nasce con il proposito di far conoscere ai cittadini altavillesi "e non", la qualità artistica e monumentale presente nella storia del nostro territorio tra cui risalta "Il Convento dei Padri Vocazionisti e la Chiesa di San Francesco".
L'idea di pubblicare quest'opera ha inizio qualche anno fa quando sostenendo un esame universitario che aveva come tema il Convento, iniziai una ricerca, negli archivi storici, di testi che mi portassero alla conoscenza di una storia più approfondita rispetto a quelle già scritte, continuando le mie ricerche anche in seguito. Si è spesso cercato di raggruppare le testimonianze fino ad ora raccolte, tutto ciò è stato vano solo aumentando l'incertezza dei nostri concittadini.
L'obiettivo della pubblicazione, è la condivisione della nostra storia e delle nostre tradizioni per far si che vengano apprezzate da tutti e in tutti i luoghi.
La pubblicazione presenta nella prima parte, una rassegna di notizie sul comune di Altavilla Silentina, con delle tavole inedite del 1703 tratte dal libro "Il regno di Napoli in prospettiva" di G. B. Pacichelli, in modo da inquadrare e conoscere la storia del paese che accoglie il Convento.
Nella seconda parte, viene presentato e descritto il Convento dei Padri Vocazionisti e la Chiesa di San Francesco, mettendo a confronto tre inventari per capire le variazioni avvenute, dalla nascita fino ad oggi.
La terza parte, invece, espone degli eventi legati al convento, con delle storie che riguardano la devozione da sempre, degli altavillesi per Sant'Antonio da Padova, e di miracoli e leggende legate al Convento. Il tutto viene concluso con un extra di disegni tecnici e immagini storiche ed attuali sul Convento e su Altavilla Silentina.
Ringrazio anticipatamente tutti coloro che si appresteranno a leggere l'opera, in questo modo la storia non finirà mai, si divulgherà per generazioni.
Un ringraziamento particolare ad Angelo e Bruno Di Venuta, che hanno creduto nel mio lavoro, aiutandomi con pazienza alla pubblicazione dell'opera; e ai Padri Vocazionisti di Altavilla Silentina per la disponibilità recata.
ARCANGELO BELLISSIMO
CAPITOLO primo
introduzione
Altavilla Silentina
C
omune in provincia di Salerno, situato strategicamente su una collina ricoperta di olivi a 275 metri s.l.m. della soglia della "Porta San Biagio", che era l'ingresso della città medievale, fino ad arrivare ai 313 metri s.l.m. del castello Normanno e dell'attuale Piazza Umberto I. Il territorio comunale di 52 Km quadrati, è posto parte in collina e parte in pianura, conta 6.724 abitanti di cui 2000 nel capoluogo, esteso su due dorsali della collina, avendo il centro storico verso sud-est, mentre la parte nuova, costruita dopo la seconda guerra mondiale verso nord-est. Il capoluogo è posizionato strategicamente avente a est il monte Pizzuto (1403 metri s.l.m.)della catena dei monti Alburni, a ovest la piana del fiume Sele e il Mar Tirreno. La vista panoramica spazia dall'Isola di Capri, alla costiera amalfitana e copre tutta la parte centro nord della piana del Sele. Il territorio comunale è bagnato dal fiume Calore Salernitano; altre importanti città vicine sono: Eboli situata a 20 Km, Battipaglia a 25 Km e Capaccio-Paestuma a 25 Km.
cenni storici SU ALTAVILLA SILENTINA
Il rinvenimento di un'ascia neolitica alla località Pietra Marotta fa risalire l'origine dei primi insediamenti nel territorio al tempo degli Enotri. Con i Lucani si ebbero i primi villaggi fortificati, che si estendevano verso il fiume Calore; alla contrada Portiello vi era un piccolo porto per l'attracco delle imbarcazioni. I molti sarcofaghi e monete antiche, trovate nelle varie contrade del territorio altavillese, monete greche, arabe, romane ci fanno pensare che Altavilla sia antichissima e che sia esistita con un altro nome.
Si è incerti sull'origine pestana, romana o normanna: la più attendibile delle ipotesi è che essa sia sorta sulle ceneri dell'antica Carilla (ora Carillia), menzionata da Silio Italico. Carilla pare che si estendesse nella contrada Feo, dove si fece strage di un popolo lungo le rive del Calore, e che comunicasse col mare attraverso la via fluviale del Calore e del Sele ed avesse il suo porto dedicato al Dio Alburno (Porto Alburno). Molti avelli , infatti, sono stati rinvenuti nelle varie contrade, dove passava il tronco della via Aquilia, che congiungeva Carillia con Serre e, attraverso il Tanagro, con la Marcellina e la Cesariana.
Inoltre, affiora l'idea che Carilla poteva anche essere un insieme di villaggi sparsi, e dovette subire anche l'influenza dei greci dai quali prese usi e costumi, come testimoniano oggetti ed armi rinvenute.
Alleata dei Tarantini, subì una sconfitta nei pressi dell'antico posto denominato Aurielli, quando erano consoli Druso e Carina (nell'anno 278 a.C). Fu coinvolta nelle guerre puniche, dove subì l'ira del cartaginese Annibale, che la rase al suolo il 208 a.C. Per sedare i contrasti tra pastori ed agricoltori , nel 183 a.C., dovette intervenire il pretore L. Postumio. Spartaco, ribelle a Roma, venne in questi luoghi con i suoi gladiatori; secondo la tradizione orale, una parte dei ribelli fu massacrata dai legionari di Crasso, in località Scanno.
Augusto ed Adriano, coi loro rimaneggiamenti amministrativi, tentarono il miglioramento della zona; in seguito, l'impiego altrove degli schiavi, il regresso demografico e l'incalzare della malaria portarono all'abbandono del latifondo e le terre ritornarono incolte e selvagge.
Nel tardo Medioevo si ebbe il primo insediamento urbano alla località S. Lorenzo.
Le continue scorrerie di Saraceni e Berberi ed ancora di più per la presenza della malaria costrinsero la popolazione ad abbandonare l'insediamento urbano, spostandosi sulla collina predominata da ulivi.
Intanto i monaci Basiliani eressero la chiesa di S. Nicola, ora scomparsa, in via Chianiello e intorno furono erette le prime case dell'attuale Centro Storico. Sul finire del secolo XI, con l'arrivo dei Normanni, ad Altavilla venne eretto il castello, la chiesa e alcune case aventi come pareti le mura del paese. La tradizione vuole, che il paese venne eretto da Roberto il Guiscardo e il nome di Altavilla derivato da Hauteville, (casato di detto signore). Il Catalogo dei Baroni informa che, dopo il 1140 Roberto Vosville (Bassavillanus), conte di Loritello ne teneva il possesso.
Con Roberto, Altavilla divenne una vera e propria fortezza a forma triangolare, con l'abitato circondato da spesse mura per una lunghezza di circa 1200 m , e da fossi, con tre porte d'accesso.
Il conte Guglielmo Sanseverino, signore di Capaccio e Altavilla, vissuto nel periodo del passaggio dalla dominazione normanna a quella sveva, nel 1245 congiurò contro Federico II, che nell'aprile del 1246 assediò Altavilla e dopo aver sfondato le mura nei pressi del suddetto "Murorutto", la distrusse. Dalla distruzione venne risparmiata solo la Badia Nullius di S. Egidio perché era Regia.
Inizialmente le mura avevano tre porte: Porta di Suso; Porta Carina (Accarino); Porta S.Biagio; dopo la distruzione del 1246 fu aperta Porta Nova. Ogni porta aveva due torri cilindriche, delle quali una soltanto resta presso Porta di Suso, che con i bombardamenti del 1943, insieme alle torri laterali, fu parzialmente distrutta. All'eccidio dei Sanseverino si salvò, perché non riconosciuto, Roberto Sanseverino di nove anni. Questi cresciuto alla corte papale, venne nel 1254 reintegrato dei beni che già erano stati della sua famiglia. Questo Roberto riedificò Altavilla a forma quadrilatera.
Successivamente il feudo fu concesso da Carlo d' Angiò a Martino De Dardano, che nel 1277 ottenne dal Re di Napoli il privilegio di far mercato, (nella Terra di Altavilla), dal 10 al 14 agosto di ogni anno per la festa di San Lorenzo. Tradizione questa che ancora si tramanda col nome di (Fera r'austt) (fiera di Agosto).
In seguito il feudo passò alla famiglia Bursone.
Nel 1363 la regina Giovanna concesse Altavilla a Ruggero Sanseverino, conte di Mileto, come compenso delle spese sostenute durante la guerra contro alcuni signori del Regno.
Il paese fu quindi in possesso, con alterne fortune, dei Sanseverino fino al 1504, quando Bernardo di Villamarino ottenne dal re Federico d' Aragona i beni confiscati a Guglielmo Sanseverino conte di Capaccio.
Isabella, sposa di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, successe al padre Bernardo.
Nel 1562 Maria de Cardona Ila, ottenne la successione dei possedimenti di Capaccio e Altavilla che poi, per la morte senza eredi della stessa Maria, furono devoluti alla Corte regia.
Il feudo fu acquistato nel 1578 da Nicolò Grimaldi, duca d'Eboli e da questi passò prima al figlio Agostino e poi al nipote Nicolò, il quale lo vendette a Beatrice Patigno per 33.100 ducati. Fu acquistato successivamente per 45.100 ducati da Pompeo Colonna Romano.
A questi successe il figlio Giacomo, che nel 1641 ebbe il titolo di marchese e nel 1646, importò il bufalo e costruì il primo caseificio. A lui si deve la costruzione del primo mulino, nel 1668 distrutto nel 1710 da una piena del fiume Calore.
Nel 1694 il feudo passò a Giuseppe Colonna, nipote di Pompeo che cedette i beni nel 1718 a Giuseppe Spinelli.
Nel giugno del 1720 il sindaco Giovanni Mottola, gli eletti e i deputati nella città di Napoli fecero giuramento di fedeltà a Fabrizio Spinelli, signore di Altavilla, che promise di osservare e far osservare i capitoli, le consuetudini e i privilegi dell'Università.
Il 22 marzo 1741 fu concesso il Regal Assenso alla vendita fatta da Troiano Spinelli, conte di Bovalino, in beneficio di Gabriele Solimena, il quale rinunziò a favore del fratello Gennaro, presidente della Real Camera della Sommaria: questi morì il 20 novembre 1786, e gli successe il figlio Tommaso, ultimo feudatario di Altavilla.
Con la Rivoluzione Francese, ad Altavilla iniziarono a sorgere delle idee liberali. Nel Marzo del 1799, sessanta Altavillesi, si unirono alle forze del generale Schipani, che aveva assediato i Borboni di Gherardo Curcio, detto Sciarpa, nella fortezza della Castelluccia (oggi Castelcivita).
Nel conflitto rimase ucciso Biagio Portanova, la cui testa infilata ad una picca, rimase sulle mura della Castelluccia, quale trofeo. Per l'arrivo delle forze borboniche del generale Fabrizio Ruffo, gli altavillesi ripiegarono asserragliandosi entro le mura assediate dallo Sciarpa.
Il 14 gennaio 1806, gli altavillesi esultarono per la conquista di Napoli da parte dei Francesi.
Per le leggi dell'Eversione Feudale (1806) una parte dei terreni del marchese Solimene, del
principe Doria, e di alcune famiglie benestanti (Vecchio, Perrotta ) vennero attribuite al comune di Altavilla che in data 10 settembre 1810, diede la terra tramite sorteggio, a 293 famiglie di coloni.
Con la Restaurazione ad Altavilla tornò la tranquillità e la pace, anche se alcuni altavillesi si associarono a sette di carbonari.
Il 1 settembre 1860 degli altavillesi partirono per Sala Consilina, e si allearono alle truppe garibaldine. Il 19 marzo 1861 la popolazione, insorse contro il sindaco e la Guardia Nazionale, esponendo come pretesto l'intenzione di rubare l'oro di Sant'Antonio.
Dopo il 1860 una piaga per il paese fu il brigantaggio, infatti numerosi altavillesi divennero complici della banda Tranchella/Scarapecchia.
Intorno al 1867 con l'arrivo del colera morirono in poco tempo una centinai di persone, e a causa di carestie e malattie, molti altavillesi emigrarono in America.
Con l'arrivo del fascismo, molte furono le adesioni, e gli altavillesi accolsero con auspicio il Regime Fascista soprattutto per le numerose opere di bonifica iniziate, come la costruzione dei canali d'irrigazione e la costruzione di un acquedotto per acqua potabile con una fontana per ogni contrada della pianura.
Tutto il territorio fu interessato da numerosi bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. I primi bombardamenti su Altavilla si verificarono la sera del 10 settembre 1943, quando arrivarono le truppe tedesche motorizzate. La sera dell'11 settembre gli americani già si trovavano in paese.
Nella notte tra il 13 ed il 14, una compagnia di SS Tedesche, assaltò un comando americano insediatosi nel Castello dove avvenne un combattimento corpo a corpo che durò alcune ore. La mattina del 14, Altavilla era di nuovo in mano ai Tedeschi.
Il 17 settembre gli Americani avevano definitivamente occupato tutto il circondario. Un cimitero provvisorio, per i caduti Americani fu allestito in località Biancofiore. Le vittime Tedesche furono seppellite dagli Altavillesi, reclutati con la minaccia delle armi da reparti americani.
Nell'immediato dopoguerra, la Riforma Fondiaria diede un podere a numerose famiglie. Nel maggio 1970 gli altavillesi festeggiarono il completamento del nuovo acquedotto.
Negli anni 50-70 ed ancora oggi, si è sviluppato molto l'allevamento e l'agricoltura con la produzione di meloni, tabacco, cetrioli e pomodori, ma i terreni col tempo si sono impoveriti per l'inadeguata rotazione delle colture e per la coltivazione praticata in modo intensivo. (notizie storiche tratte da: A. A. Ferrara, Cenni storici su Altavilla Silentina, 1898, pp. 113-140; G. Galardi R. Messone, Altavilla Silentina profilo storico, monumentale e paesaggistico, 1987, pp. 13-26).
"regno di Napoli in prospettiva"
G.B. Pacichelli
Immagine e descrizione del Principato Citra
Immagine e descrizione su Altavilla silentina Altavilla Silentina: da un disegno di G.B. Pacichelli, tratto dal libro "il Regno di Napoli in prospettiva", Napoli 1703.
In questa incisione, dell'artista Giovan Battista Pacichelli, è rappresentato l'allora borgo di Altavilla di Principato Citra, con i monumenti, non tutti esistenti ancora ai giorni nostri: A) Al centro si nota chiaramente il castello; B) Subito sotto possiamo vedere la chiesa di S. Egidio ancora esistente; C) Alla sua sinistra si nota la chiesa di S. Sofia ora non più presente; D) In basso la chiesa di S. Antonino ancora oggi utilizzata per i riti sacri; E) A sinistra si vede chiaramente il campanile della chiesa di S. Biagio ora in fase di restauro; F) In alto a sinistra vediamo il convento di S. Francesco; contrassegnate dalle lettere G)La chiesa di S. Antonio; e H) Quella dell'Annunziata oggi non più presenti sul territorio; I) A destra possiamo vedere la chiesa del Carmine; e K) quella di Montevergine ; L, M, N) Sono le tre porte d'ingresso alla città (porta di Suso, porta di S. Egidio, porta di S. Biagio) non più visibili; O) Nel pieno centro possiamo intravedere un gazebo in pietra di forma quadrangolare con due lati aperti e due chiusi, avente una panca in marmo che corre lungo l'intero perimetro denominato "il seggio"; P) In basso a destra possiamo vedere il mulino; Q) Al disotto del mulino il fiume Calore che ancora oggi bagna il paese; R) In basso a sinistra si vede chiaramente la chiesa della Madonna delle Grazie.
DI ALTAVILLA
"Quattro miglia distante dalla già famosa città di Pesti, e sei dal mare, fuor dalle sue rovine, ha nome questa terra, in un colle dolce, ed ameno, dell'inferiore Principato, esposta all'aspetto Meridionale. Si spande per il giro di quasi quaranta miglia, poco montuoso, e per la maggior parte piano, il suo territorio è valevole a nutrire fino à diciotto mila Animali di varia specie, ed à produrre quaranta mila tomoli di Frumento, e dodici mila litri d'Oglio squisito.
Fiori di soggetti illustri, più volte innestati con le famiglie nobili di Salerno, siccome furono particolarmente, i signori Guerra , e i Granato, dei quali i secondi sono istinti, a causa dei civili tumulti, che a ben poche ridussero le sue ottocento case, le quali però sono tornate oggi à ripopolarsi, ed à moltiplicare la terrazzana popolazione.
Molto prima ritrovasi memoria di Goffredo di Altavilla nipote di Guglielmo II, di Malgerio di Altavilla signor della Polla, e di altri originari di questa terra, e compagni dei Normanni nel conquisto delle Provincie, e da loro ripagati. Così Giannottello di Giovannitello caro al Re Ladislao, e suo familiare, premiato, per servigi, dei Beni burgensatici tolti a Gio. Mordente di Diano, e alla moglie, per le audaci aderenze al figliuolo del Duca di Angiò.
Contro anche uomini di intelletto elevato, e di espedienti, dottori, e altri massimamente Camillo, e Giuliano Ferrilli, della più unita attinenza dell'insigne fisico Paolo Emilio, quegli che, prestando servigio al Duca di Montelione quando condusse in Francia la Regina, sorella del Re di Spagna Filippo III, accompagnando in Costantinopoli un Bailo Veneziano, e vedendo l'Inghilterra, e altri reami, con gran peculio acquistato si legò in matrimonio con una dama genovese della stirpe d'Oria, e decrepito lasciò in eredità alla figliola il bel Marchesato di Cerza maggiore. Fra i Minori Osservanti rispondono oggi i padri, Pietro e Buonaventura, quegli lettore, e predicatore generale, questi vocale della provincia applica alla giurisprudenza con laude Carmino Guerra.
In tre chiese, cioè a dire di S. Egidio, che si conferisce da Monsignore il cappellano Maggiore del Regno, di S. Antonio, e nella-
-collegiata decorosa di S. Biagio, si porge spiritual nutrimento alle anime, in numero forse di mille e cinquecento. I padri ancor francescani dell'Osservanza, col tempio dedicato al loro Santo, nel luogo stabilito da S. Bernardino da Siena, e con una selva deliziosa, giovane con la pietà degli esercizi. Custodiscono altresì nell'antico edificio e alla grangia, una devota immagine di Nostra Signora, i Monaci di Monte Vergine. Frequentansi fuori la Cappella, di Santo Antonio di Vienna, beneficio che si provvede dall'Abate del Santo nel Borgo di Napoli, e la Santissima Nunziata, già servita da gli estinti padri Turchini, ora dal Clero. Sento soppresso il Convento dei Carmelitani, sparsi per tutto benefizi di antico fondo dei nativi del luogo.
Ella fu nobile feudo de signori principi di Salerno, Sanseverini, passato a diversi baroni di sfera, dopo che quei primi la videro diroccata da Federico II Imperatore, stretto dalle censure, e deposto nel Concilio di Lione da Papa Innocenzo IV, sentendosi egli fedelmente uniti nella Congiura, che si dice di Capaccio. A quella città, e a quella scala si uguagliava allora Altavilla ne oggi a quella dissomiglia ancorché minora. Chiamassi nella riparazione Castello in riguardo all'antica sua Fortezza. Fu nel dominio di Giacobetto Bursone conte di Satriano, donata poi dal Re Roberto ad Agnese Duchessa di Durazzo sua cognata, e a Carlo di Durazzo di lei figliuolo, e a Roberto fratello di questi.
L'acquistò nel 1608 da D. Pompeo Colonna, trasferito in questo reame da quel di Sicilia, possedendo in Calabria le terre, del Bianco, Palazzi, e Pietrapannata; Valle in terra di lavoro, e il casal di S. Giovanni a Teduccio vicino a Napoli. Pervenne quindi a D. Giacomo suo nipote, che la nobilitò col titolo di Marchesato, col quale oggi la gode il Signor D. Giuseppe nipote di questi, di doti assai chiare, e degno figliuolo della signora Donna Vittoria Barile coerede con la signora Principessa di S. Arcangelo sua sorella, dei beni del sig. D. Antonio suo padre, dei quali è in porzione di lei passato l'uffizio di segretario del Regno, con le terre, dell'Accettura Guardia Gorglione, e Spinoso in Basilicata.
Vale in fine a tesser elogio ad Altavilla, fra le comuni, e popolari sollevazioni dell'anno 1647 con la sua fede al monarca di Spagna. E non piccola fu la sorte che le toccò nel 1656 vedendosi scura dall'infettiva pestifera; mercé, fuor di dubbio, della singolar tutela di Santa Sofia, la quale, con titolo di protettrice, si venera in una chiesa di vecchia idea, attigua al castello, che è meta consueta del Barone.
Di minor fama si vede un'altra Altavilla nel superiore Principato posseduta otre montuoso, con titolo però speciosissimo di contea per molti secoli dalla famiglia di Capua, e dai signori principi della Riccia."
GIOVAN BATTISTA PACICHELLI
(CENNI BIOGRAFICI)
Era nato a Roma, da famiglia pistoiese, nell'anno 1634. Laureatosi giovanissimo in teologia a Roma e in diritto a Pisa, fu nominato Protonotario Apostolico. Nel 1672, venne destinato da Clemente X ad Auditore della Nunziatura di Colonia dove si era aperto una Conferenza di pace per far terminare le guerre, che proliferavano in Germania. Viaggiò molto, in Germania fu Giudice delegato della Congregazione Benedettina di Brusfeld; in Inghilterra, a Londra, fu ascritto a quella Real Accademia; ed in Olanda si legò in forte amicizia con gli intellettuali dell'epoca.
Ritornato a Roma nel 1677 fu ben accolto da Innocenzo XI e fu chiamato alla Corte di Parma come Consigliere del Duca Ranuccio II. Fu spedito quindi da questo Principe alla Corte di Napoli, come suo Ministro per gli stati che possedevano i Farnese nel Regno, tra cui la città di Castellammare di Stabia. Restò nel Regno di Napoli ben quindici anni, girandolo in lungo e in largo, avendo una cattedra nell'Università di Pisa, e l'impiego di Storiografo del re di Spagna, e del Sovrano Militare Ordine di Malta, oltre al Vescovado di Ferentino offertogli da Innocenzo XII. Si spense in Roma nel 1695 all'età di 61 anni.
La sua opera più importante è la già citata "Il Regno di Napoli in prospettiva" in tre grossi volumi, opera corredata da centinaia di incisioni raffiguranti i paesi del Regno. Il titolo con l'aggiunta "in prospettiva" fa subito capire al lettore che ci troviamo di fronte ad un libro con illustrazioni, un libro di viaggio per il turista dell'epoca. (tratto dal sito www.wikipedia.it)
CAPITOLO SECONDO
IL CONVENTO DEI PADRI VOCAZIONISTI
e
LA CHIESA DI SAN FRANCESCO
introduzione
Per alcuni secoli, Altavilla di Principato Citra possedeva ben quattro Conventi: due intra moenia (nelle mura) e due extra moenia (fuori le mura).
Il primo, situato nella cerchia muraria del paese, era sul lato nord-est del Castello con la chiesa dedicata all'Annunciazione di Maria Vergine, e apparteneva ai Padri Cruciferi. In seguito, il convento fu soppresso con la Bolla di Innocenzo X a causa di insufficienti rendite. Negli anni settanta al suo posto fu eretta l'attuale Casa Comunale.
L'altro Convento dentro le mura, con attigua chiesa era quello della Madonna del Carmine ed era situato a pochi metri da quello dei Padri Cruciferi. Fu fondato tra il 1400 e il 1500 da Padre Eugenio Rubino. Fu soppresso anch'esso per insufficienti rendite nel 1649.
Il terzo Convento fuori le mura, fu eretto a circa un miglio ad oriente del centro abitato. Fu fondato dai Padri di S. Guglielmo da Vercelli, e dipendeva dall'Abbazia di Montevergine di Avellino. La zona in precedenza, era una boscaglia dove era costruita una cappella dedicata a Santa Maria della Foresta. Dopo la fondazione, il Convento prese il nome di Montevergine. Rimase in vita fino all'inizio del 1800, successivamente fu abbandonato, e venduto a privati fu convertito in abitazione civile.
Il quarto Convento con attigua chiesa, fuori le mura, fu dedicato a S. Francesco d'Assisi, ed è l'unico superstite anche se oggi è passato ad altro Ordine religioso (Padri Vocazionisti). Esso si trova a pochi metri a nord-ovest dal centro abitato.
Planimetria del comune di Altavilla Silentina con collocazione e veduta del convento di S. Francesco.
Storia del convento e della chiesa di san francesco dalle origini ad oggi
Il monastero di San Francesco, come si evince dal De Origine Seraphicae Religionis Franciscane del Gonzaga o dagli Annales Minorum seu Trium Ordinum a S. F. istitutorum del Wadding, fu eretto verso il 1435 nell'anno V del pontificato di Eugenio IV, e dalla tradizione risulta che il fondatore fu S. Bernardino da Siena.
La primitiva chiesa era di forma quadrata a tre navate in stile gotico, con l'entrata a livello dell'antico prato, ma nel 1554 subì il primo intervento architettonico che la ridusse a una navata per permettere al convento di impiantarsi addosso alla chiesa, ed attaccarla al campanile.
Per il rifacimento, le sole offerte della popolazione non bastarono, si narra che intervennero i Signori feudatari dell'epoca, come i Villamarino, i Sanseverino e i De Cardona.
Nel ricostruire il tempio, si pensò di far l'entrata preceduta da alcuni gradini, allo scopo di realizzare nella chiesa delle fosse tombali.
Nel 1750 Carlo III di Borbone, grande sovrano illuminato, comprò il monastero da parte dei fratelli Solimena, e la nomina a Guardiano del Monastero dei frati Minori del Frate Padre Simeone da Paduli, furono eventi di grande rilevanza religiosa, artistica e sociale per il Comune di Altavilla di Principato Citra; infatti tutte le parrocchie del comune compreso il monastero di S.Francesco, furono arricchite di pregevoli quadri di pittori della scuola del Solimena.
Nel 1806 un decreto a firma di Giuseppe Bonaparte, soppresse gli ordini religiosi nel Regno. La chiesa e il Monastero di S. Francesco, furono risparmiati dalla chiusura perché l'Intendente della provincia di Principato Citra, signor Blanc de Volx, sostenne che i religiosi del convento servivano gli abitanti del real bosco di Persano e perché la fabbrica era una delle più antiche e magnifiche. Il monastero di Altavilla, accolse i Frati Minori dei soppressi Conventi di Laurino, Polla, S. Angelo a Fasanella e S. Nicola di Salerno. Dopo la restaurazione del 1815, i Conventi soppressi furono riaperti e i Frati vi fecero ritorno.
Il 7 luglio 1866 con l'Unità d'Italia fu emanata una legge firmata da Vittorio Emanuele II, con la quale furono aboliti tutti gli ordini religiosi e i beni trasferiti al Demanio. Il monastero così fu occupato dalla "Guardia Nazionale", che arrecò molti danni imbrattando una parte artisticamente affrescata. Solo la chiesa si salvò, perché affidata al monaco francescano officiante Padre Alberto da Pisciotta (ex Minore), che provvedeva al culto ed alle feste di S. Antonio e S. Francesco.
La chiesa venne chiusa nel 1893, dopo la lapidazione sulla strada dei Franci (oggi Via Roma) dell'ultimo francescano, Padre Raffaele Barra, e veniva aperta al culto solo per le feste di S. Antonio e S. Francesco. Successivamente chiesa, monastero e terreno circostante passarono allo Stato, che a sua volta li affidò nel 1929 al vescovo di Vallo della Lucania Mons. Francesco Cammarota, che poi lo cedette ai Padri Vocazionisti di don Giustino Russolillo.
Nel 1947-48 la chiesa venne ristrutturata a seguito degli eventi bellici esternamente con un nuovo intonaco e inserito un nuovo corpo di fabbrica, destinato alle Suore e per scopi abitativi. Scomparvero le pietre tombali e il vecchio pavimento di ceramica; oggi sotto l'attuale pavimento sono ancora conservate le antiche tombe e la cripta con le ossa dei frati. (notizie storiche tratte da: A. A. Ferrara, Cenni storici su Altavilla Silentina, 1898, pp. 68-69; G. Galardi R. Messone, Altavilla Silentina profilo storico, monumentale e paesaggistico, 1987, pp. 49-50; P.T. Olivieri, la Chiesa di San Francesco Piccola Santa Croce di Altavilla Silentina, 2003, pp. 7-8)
I PADRI VOCAZIONISTI
I Padri e i Fratelli Vocazionisti sono una Congregazione Religiosa Cattolica, che si dedica a formare vocazioni al Sacerdozio e allo Stato Religioso, specialmente tra i poveri. Il suo compito principale e' la ricerca e la guida di coloro che sono chiamati a servire il Signore, o come Sacerdoti o come Fratelli laici. La Società delle Divine Vocazioni, comunemente chiamata dei "Padri Vocazionisti" fondata dal Sacerdote Giustino Maria Russolillo, attualmente serve il popolo di Dio in Italia, in Brasile, in Argentina, negli Stati Uniti, in Nigeria, nelle Filippine e in India. Svolgono il loro ministero nelle Parrocchie, nelle Scuole, nelle Missioni e nel Vocazionario, luogo per il discernimento vocazionale e per la formazione religiosa. I Padri e i Fratelli Vocazionisti vivono in Comunità e fanno i voti di povertà, castità e ubbidienza.
LA CASA RELIGIOSA DEI PADRI VOCAZIONISTI AD ALTAVILLA SILENTINA
Nasce grazie all'interessamento, negli anni '20, dell'Amministrazione comunale, presieduta all'epoca dal Podestà, il farmacista Alessandro Ferrara, in sinergia col parroco di S.Egidio, D. Francesco Cantalupi e col vescovo della diocesi di Vallo della Lucania Mons. Cammarota. Al fine di sollevare a livello socio-religioso l'infanzia del paese essi presero contatto con il parroco di Pianura, il sacerdote D. Giustino Russolillo.
L'inaugurazione della Casa Religiosa altavillese delle Suore della Società delle Divine Vocazioni avvenne il 20 luglio 1928. Ad essa furono assegnate la Suora M. Eva Fontana, con l'incarico di Superiore locale, e le Suore Maddalena Migliaccio e Carmela Polverino. Esse furono accompagnate dalla Superiore Generale. Furono accolte dalla popolazione con giubilo, entrando nel centro abitato processionalmente, al suono della musica e delle campane. La processione si concluse nella Parrocchia di S.Egidio dove si cantò il "Te Deum". La residenza era presso una casa, nel rione di S.Egidio, da poco alienata dalla famiglia dei Baroni Perrotti al possidente Donato Guerra, che il comune di Altavilla prese in affitto. Le suore compirono una vera missione: insegnavano alle giovani altavillesi il taglio e il cucito, e ai piccoli, invece, fornirono un'adeguata formazione religiosa con l'apertura di un asilo.
Le suore furono da "battistrada" ai Padri Vocazionisti che, nel 1931, presero ospitalità nel Monastero di San Francesco dove fu aperta anche una seconda residenza delle suore Vocazioniste.
Così, dal 1931, l'ex convento passava di diritto ad un altro Ordine Religioso. Da Convento dei Frati Minori dell'antica Osservanza, veniva appellato "Vocazionario della Società delle Divine Vocazioni".
Il primo padre vocazionista assegnato al vocazionario fu D. Nicola Verde, al quale il vescovo assegnò la titolarità della parrocchia di S. Antonino.
Il Vocazionario fu scelto sia per l'aria salubre che per la serenità come sede di studentato e noviziato. Furono destinati dal Padre fondatore due sacerdoti novelli: uno D. Francesco Guerriero e l'altro D. Ciro Russolillo, fratello del venerabile D. Giustino.
VENERABILE DON GIUSTINO MARIA RUSSOLILLO
(CENNI BIOGRAFICI)
"Il venerabile Giustino Maria Russolillo, nacque a Pianura, oggi quartiere occidentale di Napoli, ma in quel tempo Comune autonomo, il 18 gennaio 1891, il padre Luigi era muratore, la madre Giuseppina Simpatia casalinga.
Da ragazzo studiò con le zie paterne, poi entrò nel Seminario di Pozzuoli per gli studi liceali, proseguendoli poi con quelli teologici nel Pontificio Seminario Campano di Napoli (1911-1913).
Ancora seminarista cominciò a pensare alla realizzazione di un Istituto religioso a carattere vocazionale, per il quale cominciò a stendere anche le Costituzioni. Ordinato sacerdote il 20 settembre 1913, prese a dedicarsi con generosità all'apostolato, specie all'insegnamento del catechismo ai fanciulli di Pianura.
Pieno di fervore sacerdotale, tentò anche un esperimento di vita comune con alcuni giovani del paese, che più chiaramente erano orientati alla vita sacerdotale; ma l'iniziativa non venne accettata dal vescovo di Pozzuoli nella cui diocesi si trovava e si trova tuttora Pianura, il quale la proibì.
Dopo aver partecipato nei reparti sanitari, alla Prima Guerra Mondiale, ritornato a Pianura, vide lentamente realizzarsi i suoi progetti.
Il 1 febbraio 1919 veniva riconosciuta la Pia Unione delle Divine Vocazioni, che accoglieva le fanciulle del paese, che aspiravano alla vita religiosa, con la guida di Rachela Marrone, sua collaboratrice. Ad esse spettò il compito dell'istruzione religiosa dei fanciulli; di animare l'apostolato missionario e di collaborare alla nascente e parallela Opera maschile.
Il 18 ottobre 1920 il vescovo di Pozzuoli, Mons. Ragosta diede il consenso di riprendere la vita in comune dei giovani, questa volta nella casa canonica della parrocchia di S. Giorgio, dove don Giustino Maria Russolillo, era stato nominato parroco da pochi mesi.
Così nasceva la Società delle Divine Vocazioni, che ebbe un rapido sviluppo nei due rami dell'Opera, il vescovo mons. Petrone firmò il decreto di erezione canonica diocesana, il 26 maggio 1927. Nonostante gli ulteriori progressi e la apertura di nuove Case anche oltre Oceano, i due rami dei Vocazionisti (come saranno chiamati i padri e le suore) dovettero affrontare numerose e serie difficoltà, prima di ottenere l'approvazione pontificia. L'Opera dovette subire due severe visite canoniche, una nel 1941 dal padre Raffaele Baldini dei Servi di Maria e l'altra nel 1945 dal padre Serafino Cuomo francescano. Ma poi la luce poté risplendere liberamente e il 3 maggio 1948, il sospirato riconoscimento pontificio, finalmente giunse.
Don Giustino guidò le sue Congregazioni infondendo nei suoi figli e figlie, una spiritualità ed un carisma che ruotano intorno al suo motto: "Fatti santo"; ad un giovane diceva: "Fatti santo davvero, che tutto il resto è zero".
In tempi in cui la santità era ancora un traguardo riservato solo ad alcune categorie di persone, agli aristocratici dello spirito, agli addetti ai lavori, come si suol dire, don Giustino seppe cogliere i segni dei tempi, si fece promotore e sostenitore convinto, del movimento della santificazione universale, che allora nasceva in Europa.
Dall'Associazione da lui fondata è nato poi l'Istituto secolare delle "Apostole Vocazioniste della Santificazione Universale" che secondo il carisma del fondatore, ha come scopo principale la santificazione dei suoi membri e di tutto il popolo di Dio; esse come Vocazioniste collaborano con i padri e le suore nella pastorale vocazionale, estendendo da consacrate laiche, la loro opera nel sociale, facendosi compagne di viaggio degli anziani, delle persone sole ed abbandonate, dei sofferenti.
Padre Giustino Maria Russolillo oltre a guidare le sue Famiglie religiose, portò avanti con zelo, il compito di parroco della chiesa di S. Giorgio Martire per oltre 30 anni, parrocchia che è considerata la culla dell'Opera Vocazionista.
Morì a Pianura il 2 agosto 1955 e il 14 aprile 1956 le sue spoglie furono solennemente tumulate nella Casa madre dei Vocazionisti di Pianura.
Il 18 gennaio 1980 fu aperto a Napoli il processo per la sua beatificazione; la Congregazione delle Cause dei Santi, ha riconosciuto le sue virtù, dandogli il titolo di venerabile, il 18 dicembre 1997." (tratto dal sito www.padrivocazionisti.it)
"Il nostro fine ultimo e' raggiungere la Divina Unione con la Santissima Trinità. Siamo chiamati a vivere le relazioni di anima-sposa, anima-figlia, anima-madre della Trinità sul modello della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. La Santa Chiesa, la Sacra Famiglia e La Santissima Trinità sono centro e asse della spiritualità vocazionista, che può essere riassunta nel motto: "Cammino ascensionale verso la Trinità con la Santa Famiglia, nella Chiesa."
Ven. Don Giustino Maria Russolillo
Tavole del 1700 sul convento di altavilla
Platea del convento san francesco di altavilla di principato citra
Trascrizione del manoscritto di P. Bonaventura d'Atina (1693)
Alla fine del 1600, Frate Bonaventura d'Atina, lasciò un manoscritto su tutti i Conventi dei Frati Minori della Provincia dell'Antica osservanza. Il manoscritto, rimase inedito fino al 1985, quando Padre C. G. Cuomo trascrisse e pubblicò l'opera col titolo: " Fondazioni di tutti i conventi della Provincia dei Frati Minori Osservanti di S. Francesco: raccolte da P. Bonaventura Tauleri d'Atina O.F.M. nell'anno 1693."
Nelle pagine seguenti viene descritto il Convento di S. Francesco della Terra di Altavilla (tratto dal foglio 199 del manoscritto; ventiduesimo Convento dei Frati Minori ubicato nella Diocesi di Capaccio).
Tavola prima
Fondazione del convento di san francesco della terra di altavilla e sue cose memorabili
"Tra i Luoghi e Case più antiche ritirate e raccolte et altresì devote formate dal nostro humile e povero stato ch'abbia la nostra Provincia, una è questa all'istesso nostro Glorioso e Serafico Padre conservata e dicata. E fu per quanto ne dice il Padre Gonzaga nella sua Cronica e da Gonzaga il Padre Vuadingo ne' suoi Annali fondata e principiata circa l'Anno del Signore 1435, essendo Eugenio Quarto, sommo Pontefice di Santa memoria, l'anno quinto del suo Pontificato.
Sta situata bellamente in quadro posta in una Campagna fuor dell'habitato, distante da quello quasi un miglio, ove si gode bellissima vista di Terra, Mare, Paesi, e d'aria temperata e perfetta per la salute. Ond'è che volentieri ivi dimorano i Fratri e per chi si vuole ritirare e ricorre del tutto in se stesso per servire maggiormente al Signore è unico Luogo e albergo. Un tempo fa, fu deputato per questo e per altri rispetti, per Novitiato e Seminario de' Giovani. Non solo nell' Atrio del Convento e Chiesa, ma in molte altre parti delle mura del Convento sta depinta l'immagine di S. Bernardino -
-da Siena e la pittura è antica, dal che e dalla tradizione ancora de' nostri Padri vecchi s' ha che questo Convento sia stato pigliato et accettato dall' istesso Santo Padre, però non c'è scrittura o altro monumento che accerti di tal verità, si come non si trova scrittura, nè traditione che affermi chi propriamente fusse stato il primo e principale promotore e fondatore; ma dall'armi o imprese, che sin'hoggidì si veggono nelle mura della chiesa quali son di due nobilissime et antichissime famiglie del Regno, cioè Cordoniana e Sanseverina. E per lo che dimostra una pietra posta in un Arco dell'istessa Chiesa, si può ridurre e raccorre che da loro fosse stato fondato et eretto e questo argomento e discorso fa il medesmo Padre Gonzaga e da questo Vuadingo, qual benche non sia affatto e del tutto certo, è nondimeno assai verosimile; si per antichità e grandezza dell'edificio e fabrica si anche perche da questa Devotissima famiglia Sanseverina sono stati edificati e fondati altri conventi della nostra Provincia nelle Terre da lei possedute, come fra gl'altri son li conventi di S.Francesco nella Padula e della Pietà di Diano e fra le molte Terre e città, che anticamente son state sotto il temporale util Dominio e Signoria di questa Illustrissima Casata e famiglia, non è gran cosa che vi fosse stata questa d'Altavilla di Capaccio. Dicono sin'hora ch'Altavilla viene dominata da Villa alta et eminente, così stando situata e che quivi il Principe di Salerno Antico, ch'era di detta famiglia Sanseverina, soleva venire a diporto a'tempo di caccia, perché ve n'era abbondanza -
-talmente che li Cignali e Caprij sono passati per dentro l'habitato, e da dentro l'habitationi l'hanno uccisi. Oltre che somiglianti edificij non si sogliono fare, si non da Gran Signori e dalle Communità istesse , ove site si trovano. Mentre dunque quest'edificio non è stato fatto dalla Communità d'Altavilla, perche (vi) sarebbe qualche traditione o monumento, segno o memoria e si vederebbero in qualche parte l'armi e l'imprese. Resta chè il Fondatore, sia stato, come s'è detto e di cui si veggono l'Armi. E' questo Convento assai commodo e la sua Chiesa non molto lustra, per essere fatta all'antica con certe lamie difformi dalle moderne; nondimeno è assai devota e ci sono belle Cappelle con devote e pietose Immagini .
Ha il suo Choro dietro l'Altare Maggiore e l'altro sopra la Porta della Chiesa per la notte ov' è anco situato l'organo; la sacri stia a man sinistra del Choro di basso con ogni suppellettile necessaria per la Chiesa. Il Chiostro è pittato et similmente come la Chiesa non troppo lustro, ma incita mirabilmente a devozione. V'è nel mezzo di quello una Cisterna e di là andando al Refettorio et altre officine tutte commode e ben proviste. S'esce al Giardino e da questa alla selva, che l'uno e l'altra son spatiosi, ampij e delitiosi con acque sorgenti e vive in più parti; il tutto murato e ripieno di frutti e d'ogni sorta d'albori. Nel Dormitorio sono sopra quindici celle tutte con bella vista di mare, di fiumi e di diversi paesi. Sono -
-libri da studiare per ogni professione, benché non in molta quantità. Potrebbero in detto Convento vivere commodamente quindici e diciotto Frati, hoggi non sono più di dieci.
L'anno del Signore 1625, essendo collocato di famiglia in questo Convento il Padre Fra Francesco della Cava sacerdote, stimato comunemente di vita spirituale, s'infermò e dopo alcuni giorni aggravandosi il male, si partì per andare ali 'Infermaria di Salerno, ma il poveretto non hebbe tanto tempo dal male che potesse giongere all'Infermaria, perché se ne morì per strada e morto fu portato al nostro Convento della Santissima Pietà di Eboli a seppellirsi, come più vicino. Due mesi in circa dopo la morte di questo Fratre, fu sentita di notte da più Religiosi la sua voce flebile e pietosa nel Dormitorio.
Onde stimando, come dovevano i Fratri e Superiore che quell'anima havesse havuto bisogno d'essere suffragata, la mattina devotamente tutti i sacerdoti celebrarono per lei et i Laici fecero particolari orazioni.
Et ecco che all'istessa hora e luogo la notte seguente si sentì la medesma voce, non già flebile, come prima, ma allegra e disse: vi ringrazio, vi ringrazio Paesani e Fratelli per la Carità fattami; adesso me ne vado al Cielo. Erano in questo Convento due altri Fratri Paesani del Fratre defonto, fra le Celle de quali fu udita l'una e l'altra notte tal voce e questi conobbero e avvertirono buonissimo essere stata sua e non de altri e tal lo attestano. Il frontespitio di questo Convento risguarda fra l'Oriente e Settentrione, com' anche quello della Chiesa."
Tavola seconda
De' legati che rendono a' questo convento
" Il quondam Lutio Enrico sotto li 18 settembre 1686 nel suo testamento rogato per mano di Notar Giovanni Mottola d'Altavilla, lasciò al Convento di S. Francesco di detta Terra un Anniversiario in pertetuum per l'Anima sua. Hoggi si paga da Diego suo figlio et herede annui carlini cinque.
La quondam Livia Calcagna della Terra d'Altavilla legò nel suo ultimo Testamento rogato dal quondam Notar Girolamo Busio in data 19 giugno 1594 annui ducati Cinque al Venerabile Convento di S. Francesco d'Altavilla con conditione che se ne fussero celebrate Messe cinquanta per l'Anima d'essa Testatrice e suoi benefattori, e dopo l'heredi di detta quondam Livia li femo pagare dal quondam Silvio Caruso, mediante istrumento rogato da detto Notar Girolamo in data 24 settembre 1608 e perché Silvio cedé detta possessione al quondam Matteo d'Ottato per il medesimo prezzo di ducati 80 con peso di pagar a detto convento di S. Francesco li detti docati 80, come appare percautelarogate per mano di detto otar e per essi annui docati cinque per capitale di docati 80 e più et ordinato dalla Corte d'Altavilla che si fosse venduta detta Possessione al R. D. Michele Capopizzo di detta Terra, come più offerente -
-per docati 64, accioche da questi se ne potessero esiggere annui docati cinque per la celebratione di dette Messe 50.
Qual i docati 64 sono stati pagati al detto Convento dal detto D.Michele e da esso Convento sono stati dati a cenzo al Signor Gio: Andrea di Nicolò, Barone della Terra di Pietra Ferrazzana della Provincia d'Apruzzo Citra, come da publiche cautele rogate per mano di otar Gioseppe Cerbino di apoli sotto li 19 dicembre 1692.
Quali docati cinque si esigono dalla sua Casa sita nella città di Napoli e proprio dove si dice la Cappella di S.Francesco per la quale si saglie nella S. Casa dell'Incorabili, confinante con li beni del Magnifico Oratio Paolo Colacino e li beni di Angelo di Vito, Via publica, la quale Casa sta in specie obligata per detto pagamento come appare ancora per le scritture del Convento.
Mastro Michele Marra della Castelluccia deve pagare annui carlini sedeci per capitale di docati 20 che tiene a cenzo di questo Convento, per li quali vi sta obligata una casa con più membri, sita dentro la detta Terra, confinante con li beni di Marco di Ottilia e Mastro Tomaso d'Ottilia, via publica et altri confini, quali docati 20 furono girati dal signor Lutio Enrico al detto Mastro Michele con l 'istesso peso col quale lo tenne tant'anni esso medesimo e di detti carlini sedici che entrano annui a questo Convento se ne devono dire altre tante Messe per l'Anima del testatore, il di cui nome non si sà."
Tavola terza
De' legati che non rendono a' questo convento o perche' i legatarij non corrispondono o perche' sono estinti
" Lanora di Ruperto paga docati cinque annui per altre tante Messe. Francesco Antonio li Rubbino lasciò docati sette annui per altre tante Messe perpetue.
Don Leone Rubbino lasciò carlini 24 in perpetuum per un Anniversario l'anno.
Livia Granato lasciò docati due annui per venti Messe perpetue. Lelio Pozzuto lasciò carlini 15 annui per altre tante Messe perpetue. Giovan Battista Maione lasciò carlini 15 annui per altre tante messe perpetue.
D.Giovan Battista Rizzo d'Albanella lasciò carlini 20 in perpetuum per altre tante Messe.
L'Arciprete d'Altavilla il di cui nome non si sa lasciò docati 7 annui, che sè nè comprasse cera per la Chiesa, senza peso. -
-Stefano Fasulo, come herede de suoi Antecessori deve annui carlini 25 lasciati per altre tante Messe perpetue, Lungo tempo ha corrisposto e da lungo tempo che non corrisponde.
Tutti li suddetti legati sono stati raccolti da una relatione che si mandò in Roma, che si conserva nell' Archivio di Napoli e perchè non vi sono i nomi de' Notari, che hanno fatte dette scritture, nè le copie antiche si trovano in detto Archivio, nè pari mente si trovano nel Convento di S.Francesco d'Altavilla, n 'ho posta qui la notizia affinchè con maggior comodità si possano sempre far diligenze per trovarle a fine di far corrispondere da gl'heredi de' Legatarij et acciocchè noi possiamo sodisfar le messe."
Tavola quarta
Delle messe affrancate
" Il quondam Propertio Guerra, affittatore del Casale del Castagneto sotto 1'8 del mese di dicembre 1651 per testamento fatto di Notar Pietr' Antonio Longobardo di S.Manco di Cilento, lasciò al Convento di S.Francesco di Altavilla la metà del suo oliveto sito nel luogo detto Monte Roberto, confinante con li beni di S.Biase, Francesco Busio, di valuta di docati 100 in tutto, con conditione, che dalli frutti ne perveneranno da detta metà, sè nè debbiano celebrare tante Messe nella cappella sita in detto Convento intitolata S.Maria delle Grazie, quale parte d'oliveto si è venduta alli R.R. Preti di S.Biase per docati 60, atteso l'altra metà fu lasciata a detta Chiesa dal medesimo Testatore perché il Convento teneva bisogno del danaro, è restato il peso a detto Convento di S. Francesco di celebrare messe 48 annui alla ragione d'ottoper cento.
Gio: Vincenzo Cerasino pagava annui carlini otto per il capitale di docati 10, che teneva a cenzo, quale capitale era per otto messe l'anno e perche fu restituito al convento et è stato speso per li bisogni di detto Convento et è restato il peso di celebrare otto Messe l'anno per l'Anima di quel particular Testatore il di cui nome non si sà, ma s'è revoluto (?) da certe note, che si serbano nell' Archivio di Napoli. -
-Questo Convento possedeva una vigna nel luogo detto Albanella lasciata dagli Antecessori di Gio: Di Roberto con peso di sei Messe l'Anno e perché detta vigna fu venduta a beneficio di detto Convento, è rimasto l' obbligo di soddisfare le dette sei Messe annue."
Tavola quinta
Delle pretendenze
" La quondam Comelia Cea della Città di Capaccio et habitante da lungo tempo in Altavilla sotto li 5 di Febraro 1687 nel suo ultimo Testamento ad pias causas
rogato per mano del R.Abbate D.Giuseppe Fiano della Real Chiesa di S.Egidio di detta Terra d'Altavilla; fra gli altri legati , lasciò alla sua Cappella di S.Lorenzo sita nella chiesa del Venerabile Convento di S.Francesco d'Altavilla docati 80, hoe modo
VB, docati 50 sorta principale da ponersi in compra sicura, e quello nè pervenirà sè nè dovessero celebrare per l'Anima sua tante Messe a raggionedi carlini due la Messa e li
duca di 30 complimentando (?) dalli docati 80 si debbiano spendere a beneficio di detta sua Cappella, a quello sarà più necessario. La copia del suo testamento si conserba fra le scritture del Convento.
Il Clerico Gio: Giacomo Mazzaccaro come figlio et heredi (sic) di Beatrice Granata figlia di Gio: Giacomo Granata, quale prese a cenzo da questo Convento docati 25, per li quali deve rendere a ragione d'8 per cento carlini 21 annui. Si deve fare diligenza per le sedie de'Notari di quest'Università, acciocchè si possa costringere a pagare, stante da molto tempo non ha corrisposto. "
Tavola sesta
Delli stabili
" Il quondam Francesco Antonio Rubbino della Terra d'Altavilla nel suo ultimo Testamento rogato per mano del quondam Notar Girolamo Butio di detta Terra sotto l' 8 di settembre 1622, lasciò a questo Convento di S.Francesco di Altavilla docati cento quali si dovessero mettere in compra in beneficio di detto Convento senza peso, ma per riparatione di detto Convento et in luogo di detti docati cento gli heredi di detto quondam Francesco Antonio assignorno a detto Convento un oliveto sito nel luogo detto S.Martino, confinante con li beni di Montevergine, di Franco Fresengna e d'altro lato con li beni di Gioseppe Cannicchio e la Chiesa di S.Egidio e via pubblica, qual oliveto rende annui fra fertile et infertile tre quarantini d' oglio in circa.
Il quondam D. Carlo Corrente d'Altavilla sotto li 20 del mese di settembre 1689 per suo testamento rogato per mano di Notar Giovanni Mottola di detta Terra. Lasciò al Venerabile Convento di S.Francesco d'Altavilla e per esso alla cappella di S.Antonio da Padova della sua famiglia la metà dell'emolamenti, che perveneranno dalli suoi Protocolli, senza peso, ma solamente per reparatione di detta sua Cappella, quale sedia si conserva nelle mani di Notar Gioseppe Cantalupo suo genero e marito di Lucrezia Corrente, figlia et herede di detto Carlo Corrente. -
-Possiede questo convento un horto con un albero di celso sito nel luogo detto li fossi, confinanti con li beni di Flavio della Strada e di Girolamo Capaccio e via pubblica, quale ci proviene dal quondam Nicolò Bruno e rende annui carlini due senza peso. Non vi sono scritture autentiche, ma il Convento ne stà in pacifica possessione e si corrisponde, come si raccoglie da' libri de' conti e da un notamento che si ritrova nell' Archivio di Napoli.
Fabio Guerra deve annui docati sette al Convento di S. Francesco d'Altavilla per un oliveto censuato da detto Convento,qual oliveto proviene al Convento per 100 scudi, che lasciò il quondam Francesco Antonio Rubbino, come appare per testamento rogato per mano di Notar Girolamo Butio fatto nell'anno 1622, la cui sedia hoggi si conserva da Notar Simone di Mottola."
Tavola settima
Dell'esigenze
" L'Università di questa Terra d'Altavilla paga annui docati cinquanta per il vestimento et altri servitij de' frati, come appare dal parlamento della fondatione e stato del signor Reggente Carlo Tappia e della continuatione di tant'anni, che si vede apertamente dalle ricevute, che fa il nostro sindico Apostolico..…………..50
Dal signor Giovanni Andrea di Nicolò paga annui a nome di Livia Ca1cagna docati cinque, come appare dalla Tavola de' legati che rendono……………..5
Dà gli heredi di Lutio Enrico si ricevono annui carlini cinque, come nè legati che rendono…..………………0-2-10
Da Mastro Michele Malta si ricevono annui carlini sedeci, come nè legati che rendono ……………………………………...………………………………1-3
Dall'horto sito alli fossi si ricevono annui carlini due, come nella tavola de' stabili ……………………………………………………………………………………………………0-1
Antonio Demuludeo, come herede di Francesco Demuludeo, al quale fu girato da Giacomo Antonio Pezzulo il capitale di docati venti paga annui carlini 15............................................ 1-2-10
La Confraternita della Santissima Concettione paga annui docati quattro per la messa cantata nel giorno della (festa) e per la processione, che si fa ogni seconda domenica del mese nella quale anche si canta la messa ………………………...........................................................................4-0 - .-Fabio Guerra paga annui docati sette per un oliveto, che tiene a cenzo come appare nella Tavola de' stabili …………………...7-0"
Tavola ottava
Tabella da riponersi in sagrestia
" Per l'Anima del quondam Lutio Enrico si deve celebrare un anniversario in perpetuum,
come appare nella Platea del Convento nella Tavola de' Legati, che rendono.
Per l'Anima della quondam Livia Calcagna si devono celebrare messe cinquanta l'anno, come appare nella Platea del Convento nella Tavola de' legati che rendono.
Per l'Anima del quondam Mastro Michele Marra della Terra della Castelluccia si devono dire messe sedeci l'anno per il capitale di scudi 20, come appare nella Platea del Convento nella Tavola de' legati che rendono.
Per l'Anima del quondam Propertio Guerra si devono celebrare messe 48 l'anno nella Cappella di Santa Maria delle Gratie, come appare nella Tavola delle messe affrancate del Convento.
Per il capitale di docati 10 che teneva a cenzo Giovanni Vingenzo Cerasino restituito al Convento et applicato a beneficio di esso Convento, si devono dire 8 messe l'anno per l'Anima di quel particolar Testatore il di cui nome non si sa. Come appare nella Platea del Convento nella Tavola delle messe affrancate.
Per l'Anima de' gl'interecessori di Gio: di Roberto -
-si devono celebrare sei messe l'anno per una vigna lasciata al Convento, e poi venduta a beneficio di detto Convento, come appare nella Platea del Convento nella Tavola delle messe affrancate.
Per l'antecessori di Donato di Costanzo si devono celebrare Messe sette l'anno, dopo la morte di Don Donato si devono celebrare per la sua Anima per una donazione fatta per mano del Sig. Don Giuseppe Cantalupi al Proc. re pro tempore di carlini tredeci e grana sei annui, e il Proc. re deve far celebrare dette Messe, e detti carlini 13 e grana 6. Li devono pagare Lorenzo e Gio: di Matteo la donatione si fece il 22 settembre 1699."
ATTESTATO DI CONSACRAZIONE DE' DUE Altari de' ss. Francesco e teresa
" Si certifica, ed attesta da me qual inviato Rev: attual guardiano del venerabile Convento dei minori osservanti di S. Francesco in sita Terra d Altavilla, come oggi 5 del mese di Febbraio del corrente anno 1784 in giorno Giovedì, si è degnato monsignor vescovo di Capaccio Angelo Maria Zuccari, portarsi di persona nella nostra Chiesa accompagnato dal Reverendissimo Clero di essa suddetta Terra, ove giunto, e vestito dalle pontificali vesti, ha con tutta pompa consacrato i due Altari ivi siti, ed eretti in onore di S. Francesco di Assisi, e S. Teresa di Gesù, assegnando giorni quaranta di indulgenza a chiunque nell'anniversario di consacrazione degli Altari Li visiterà. Che per osservare, ed affinchè passi in notizia de' nostri successori, ne sia fatto firmare il presente attestato, firmato di proprio mio pugno, e munito col suggello del Convento "Altavilla"S. Francesco Oggi suddetto di 5 Febbraio 178quattro."
" Nel nome di cristo provvedimento del santo padre e nostro superiore
Papa benedetto XIII
A favore dei frati minori dell'ordine
di san Francesco
Poiché viene ordinato ai sacerdoti che guidano il corteo Sacro di essere allegri dappertutto, sia nelle processioni, che nelle altre azioni pubbliche e private e nel loro compito verso tutti i Fratelli Francescani, sono soggetti al Sacerdote Generale di tutto l'Ordine. "
Roma 1726
Stato dei Conventi Osservanti al 1693, secondo Padre Bonaventura Taulieri d'Atina.
(documento di M. Ambrogi)
inventario del 1807 sul convento di altavilla
CHIESA DI SAN FRANCESCO E MONASTERO
Distretto di Salerno Circondario di Capaccio Comune di Altavilla
Inventario si fa da me sottoscritto attual Guardiano Frate Michelangelo di Diano in questo Monistero non soppresso dei Minori Osservanti di S. Francesco di Assisi di tutti gli oggetti di arti sistenti nello stesso, e nella Chiesa, prescritto da S.E. Signor Intendente della Provincia nella sua Circolare de' 5 Giugno ultimo inserita nel giornale degli atti Intendenza Numero XXIV, in esecuzione del Real Decreto dei 30 Aprile 1807, e delle Sovrane ulteriori disposizioni, e di quelle ancora de' 29 caduto Maggio di S.E. il Signor Ministro dell'Interno ed è come segue.
Entrandosi dalla porta Maggiore della Chiesa consistente in una nave, a mano destra di essa si trova un Confessionile di pigna (oggi scomparso), siegue appresso in una nicchia la statua del titolo S. Maria delle Grazie, di legno mal miniato, ed ancora di scultore incognito (ora risiede l'antica statua di S. Giuseppe).
Siegue l'Altare colla statua di legno nella nicchia di S. Pascale Baylon (oggi sostituita dalla statua di S. Bonaventura), anche antica di scultore incognito con un puttino in sua destra, un piccol quadro in piedi (scomparso), e corrispondente cornice indorata, di S. Vito Martire (scomparso) di buon pennello, e di pittore incognito, vi sono vecchi fiori, candelieri e crocifisso. Più appresso travasi l'Altare di marmo col quadra serrato da ottima cornice tra cristalli, e portiera di seta color rosa, e de' titoli di S. Pietro Alcantara e S. Teresa con due mezze corone di argento indorato in testa di essi santi di ottimo pennello del Pittore Solimena nel 1772, a di vozione del Padre Francescantonio di Paludi, come vi sta scritto sotto pendili ad una zigarella vi sono due piccoli circhietti di argento, due picciole crocettine, un spillo, ed un cerchio di argento, e due anelli anche d'argento con pietre false, che stanno chiuse dalla cornice a due chiavi; nell'altare la portellina del Tabernacolo è di ramocipro ha pochi fiori e candelieri di menomo momento, come pure nove voti di cera appesi simbolegianti sei tibie d'uomo lo dippiù teste. In seguito vi è l'Altare con fiori usati di semprevivo ( ... ) dieci candelieri corrispondenti l'arte di gloria, ed una piccola crocettina di matreperle col Cristo di ottone (oggi non più visibbile); nella nicchia superiore la adorabile statua di S. Antonio da Padua, ben disposta di legno indorato con corona di pagliglio gialla pende al cordone diadema di argento sul capo di esso Santo, e simile in testa del Bambino sistente nella sua destra mano, nella sinistra, poi il giglio di argento di sei piccioli globi "sguigliati", la medesima viene coverta da bianco armesino a divozione di Angelo Monaco vi esistono lateralmente, ed in lato dell' Altare due piccioli cornocopi di legno.
Fin qui poi si giunge al Presbiterio chiuso da un palaustro di ben scorniciato marmo poggiato su del lungo grado di marmo bianco, freggiato di più colori il palaustro medesimo in mezzo del quale vi è l'ingresso per mezzo di due portelline di ottone ben lavorate, del peso più di cantajo.
Entrandovisi a man dritta si trova in una nicchia senza Altare l'antica bellissima statua di S. Pietro di Alcantara penitente di sculture incognito (sostituita oggi dalla statua di Maria con Gesù Bambino).
Indi sotto l'arco maggiore avanti il coro vi è l'ottimo Altare maggiore di marmo fino di bravo disegno, al quale si ascende per quattro gradi di marmo la portella del Tabernacolo è effigiata con un calice, ed ostia è d'argento, equalmente ch'è la sacra Pisside. Stà adornata in tre gradini di fiori semprevivo ottimi candelieri, e giarle indorate, e ben intagliate, un Crocefisso con immagine a pie del quale vi è la corona di legno indorato, che covre il baldacchino. Vi stanno esposti dodici ostensorj inticanti ogn'un mese, e contiene tante Reliquie d' Santi, quanti giorni compone ciascun mese (tutto questo ad oggi è scomparso); ognuno di essi ha la prospettiva di ramocipro bianco corrisponde nel lato evangelico dell' Altare un comodo Pulpito coll'emplema avanti in oro del serafico Padre corona sopra, ed il corrispondente Crocefisso.
Sortendo dallo stesso Presbiterio e prossimo al Pulpito trovasi l'Altare con Croce, Candelieri, ed altri vecchi arredi con statua nella nicchia del titolo di S. Rosa di Viterbo (oggi è presente la statua lignea di S. pasquale Baylon) pur di legno, d'incognito Scultore col Crocefisso in mano, e due devoti puttini, che li sustengono la corona, che viene coverta d'armesino color celeste.
Consecutivamente trovasi altro Altare di marmo con portellina di ramocipro alla custodia, Candelieri (scomparsi), e dieci frasche di semprevivo, suppellettili, e Croce di ottone (scomparsa), coll'insegne Reliquie del Sangue del Patriarca S. Francesco, il cui quadro con ottima cornice è del celebre Pittore Francesco Solimena; Altare quotidianamente priviligiato.
Più avanti vi è con medesimi suppellettili l'altro Altare coll'ottima antica Statua Scultore del Patriarca S. Giuseppe (oggi sostituita dalla statua in legno di S. Pietro d'Alcantara) col picciolo bastongino Diadema e Corona del Bambino di argento: Cappella di padronato Laicale della Comune. La statua vien chiusa d'armosino color marino chiaro.
Siegue appresso un Cappellone sfondato; nel principio trovasi un mal tenuto Altare (oggi ne rimane solo la nicchia) colla Statua entro la nicchia del titolo S. Bonaventura dottor di S. Chiesa (oggi vi è collocata la statuetta della Madonna di Medjugorje).
Nel fondo del Cappellone vi è l'Altare con i necessari suppellettili su ( ... ) in una nicchia serrata con cornice a due chiavi, e vitrata corrispondente l'adorabile Statua di Maria Immacolata (sostituita oggi dalla statua di S. Antonio che viene portata in processione nel giorno della festa del santo) fatta dallo scultore Paolo Annollo nel 1737 con due interi puttini a piedi, ed altre tre testoline di essi. Tra la corrispondente corona d'argento indorato, due fila di piccioli segnacoli d'oro al collo, e due anella alle dita d'oro con pietre false. La statua viene coverta d'armosino color marino chiaro. Nel fondo istesso esiste altro confessionile (oggi scomparso) al pari del primo portato nell'incresso della Chiesa. Vi è una vecchia catreda portatile (scomparsa); e finalmente nel piano interamente rigiolato a stelle, e fiori, vi sono due distinti sepolcri marmorei colla seguente iscrizione:jus Patronatus Magnificae Universitatis A.D. 1766 tra le quali è quello dei Religiosi.
Fuori del fondo, suddetto trovasi l'Altare con vecchi suppellettili su del quale dentro la nicchia esiste l'adorabile statua del Crocefisso (oggi è presente la statua del Sacro Cuore di Gesù) di Scultore incognito a piè del quale sta un quadrino di Maria Addolorata del Pittore Saverio Mottola vien coverto di armosino rigato, di più colori: Altare arrecchito d'Indulgenze.
Usciendo dal Cappellone trovasi un consimile terzo confessionile posto dietro la porta maggiore d'ingresso della Chiesa (oggi spostato di fronte); ne di cui pavimento riggiolato (oggi sostituito dal cotto), e stellato insieme colle predelle degli Altari a stucco vi sono diciassette lapidi sepolcri marmorei (successivamente all'inventario ne furono erette altre sette, di queste oggi, ventuno sono state asportate) indicanti ciascuno la propria Famiglia di, più particolari della Comune, tutte fatte nell' anno 1762.
Dal ingresso della Chiesa sino al descritto Altare Maggiore, stanno nelle corrispondenti pilastrature al di sotto del cornicione, a stucco, quattordici quadri di circa due palmi l'uno e di Pittore incognito, indicante il viaggio doloroso di Gesù Cristo.
Sopra la porta maggiore poi, v'è un bravo, orchestro ben scorniciato, indorato e quatrificato di color turchino sul fondo bianco, in mezzo del quale v'è l'organo fatto dal celebre Carelli del Vallo di Novi di questa Provincia, di dieci registri la di cui cassa ben intagliata, ed indorata, sta colorata anche al Orchesto.
Da sopra al Cornicione ad Oriente esistono quattro complete vitrate sostenute da croce [ ... ] di ferro in mezzo, rimpetto ad esse come attacca il Romitorio vi sono soltanto i sfondi chiusi senza ferro nei vetri. Per quanto contiene l'altura delle vitrate, già dette, stanno ordinatamente, e ben dipinte dal Pittore Nigrola Brancia. Immediatamente su di ciò siegue altro Cornicione su del quale sta l'intero Cielo a Tavole con buon gusto dipinto, e fregiate dallo stesso Pittore, ed in mezzo quindi v'è un gran Quadro con cornice dipinta il quale spinge tutto la venerazione al sacro Tempio dovuta, mentre contiene effigiata nel suo principio la Triade Sacrosanta poi tra la schiera dei Cherubini la Vergine Immacolata, e quindi più sotto il Patriarca S. Francesco, tanti altri Saliti dell'Ordine con S. Lodovico vescovo di Tolosa (tela scomparsa, e sostituita oggi da una tela raffigurante la Deposizione di Gesù dalla Croce). In mezzo della nave di essa Chiesa sei palmi avanti la porta del palaustro evvi la seguente marmorea lapide sepolcrale fregiata (oggi asportata e posta nel chiostro del convento) ne suoi quattro ancoli di quattro stemmi simbolegiato i due destri con cimieri eguali palme [ ... ] con una torre in mezzo d' ognuna, e quelli due senistri della stessa guisa indicanti soltanto nel loro corpo per metà divisi da linea perpendicolare a destra cioè un toro fascia sotto di lui piedi, ed altre tre obliquamente sotto, o siano transversali, nell'altra metà di ciascuno fissa una Torre a tre divisioni. Siegue in mezzo di essa lapide quanto d'appresso: "Caesar Calcaneus vivens mortuus - Isabellae Valois Uxori - benemerentissimae Atque unanimi generi forma et animo - Clarissimae ubi post tot lacrimas - simul quiesceram: sepulcrum posui - Ipsa enim paulo maturius quam parerat - In filiorum rediens complexum - Illis in coelio semper vivit; Michi vero - Perpetuo moerenti in Terra obiit - Proh dolor et pietas - Abiit MDLXXI".
Ritornando per la Chiesa istessa indietro l'Altare maggiore si trova il fondo del Coro con due vitrate ad oriente, e a mezzo dì. Nel alto di esso entro una nicchia v'è l'antica statua di legno, e di scultore in incognito del Serafico Penitente S. Francesco. V'è nel basso poi il Coro composto di ben diciannove sedili di legno di pigna (oggi ne sono rimasti solo tre) tutto intagliato, scorniciato, e colorato a noce col appoggio avanti del primo, e poi il sedile inferiore con immezzo un quadrato picciol bancone e stipo per chiudervi la leggenda delle ore canoniche (scomparso), e quindi su di esso un latternino sostenuto da piramide corrispondente intagliato per mezzo di un baston di ferro arcato a croce; e fiori di ferro medesimo, e sopra il cornicione del coro di legno negli quattro ancoli vi sedono quattro statue antiche di legno, di cui s'ignorano i titoli (oggi anche questi scomparsi). Vi esistono similmente una sedia grande di legno indorato con drappo rosso e galloni, ed altre due picciole per servizio dei sacrificj sollenni (scomparsa); dal coro entrando in sacrestia lato evancelio del Altare Maggiore si trova il campanello circa tre rotola la porta di essa di castagno con mostre torchine scorniciate di color cece. Nel piano di essa v'è la sepoltura colla lapide marmorea dell'anno 1766 delle famiglie Francesco Rosario, e Giuseppe Peduto. Vi sono due grate di ferro corrispondenti nel giardino come pure due vitrate cinque quadri d'incognito Pittore, due con comici rilevanti picciolo intaglio in oro, e bastone di legno in mezzo dell'Addolorata e Concezione, il terzo di S. Antonio con cornice ordinaria, il quarto più piccolo del Salvadore con cornice consimile, il quinto di S. Berardino tutto lavorato colla cornice stessa: Contiene di più al lato destro della porta uno stipo con bussola avanti, sgabello di preparatoria al sacreficio cassa coll'orologgio di ottone; due lunghi scanni da sedere di pigna, asta della croce d'argento, un ombrello e altre cose di meno momento (tutto quanto descritto sopra, oggi è scomparso). Siegue il gran stipone dello stesso legno ben scorniciato su del bancone a tre Registri, il primo con sei teratoja per borse, veli, ed altri sacri arredi. Tanti altri secondi per Calici, tre dei quali sono col piede di ramocipro, e bicchieri di argento indorato e respettive patène, il terzo finalmente registro consistente in tre stiponi a due porte: l'uno contengono l'uso di conservare la parete di frasche. Tutti chiusi con chiave, ad in impronto al di fuori di ottone; egualmente un picciolo stipetto a sinistra del bancone con mascatura, ad impronte come sopra, nel quale si conservano li dodici ostensorj per l'Altare maggiore. II bancone contiene tre divisioni, ciascuna composta di tre tiratoja con maniche, e lande di ottone, in ciascuno di essi, cioè i sei, uno serve per la cera, l'altri due inferiori per camici e cotta tanto festive, che giornali, camice in tutto nove, collo numero tre, tovaglie per le mense degl'altari sistenti nel quarto Teratojo festivi, e giornali numero diciotto; il quinto e sesto Teratoio contengono un temo color nero con due altre pianete; altro temo di lana rosso in oro con gemelli, altro fiorato, e dieci pianette di più colori per uso giornale. Tutti completi, e quasi usi consunti co' rispettivi veli, e borse egualmente che tanti corrispondenti corporali, a palla, il sesto contiene altre di due pianeti di raso figurato antico color rosa, da ( ... ) con pianete di raso bianco, ed ancora un temo color verde ricamato in argento, ed oro, gallonato con borsa ( ... ) corrispondente.
Vi è ancora uno scatolo continente due Messali fascioli, ciappatii, e muniti col emplema del serafico di argento, il settimo contiene una croce di argento, Incenziere, o sia Turibolo con Navetta mancante porzione del coverchio, con cocchiarino anche di argento, sicchietto, ed aspergillo d'argento picciol mortale di legno per pistare l'incenzo.
L'ottavo contiene due sfere riposte nelle respettive ( ... ); una picciola d'argento col piede di ottone, l'altra sfera col piede d'argento, lo dippiù d'argento in dorato. Finalmente il nono ritiene tre messali giornali altro migliore di seconda classe, e quattro messaletti per i defonti; tre palliotti per la croce d'argento il di cui piede e di ramocipro, uno nero, l'altro rosso invecchiato, il terzo festivo colar latte di seta fiorato ricamato in parte d'oro, ed in seta foderato di armosino rosso con galloni d'oro; effigiato di S. Francesco e S. Antonio con cincoli, a fiocchi rossi numero due. (tutto quello descritto sopra, compreso lo stipone e il bancone oggi non esistono più).
Più appresso si entra nello dietro della Sacrestia: ivi travasi lo stipone, che corrisponde al Pulpito servibile per riporvi i candelini dell' Altari nella Settimana santa, una custodia per lo stesso oggetto, il lavatorio di marmo con conca dello stesso genere, e chiave di ottone sortendo dalla stessa per dietro l'Altare maggiore (oggi trovasi nel chiostro), s'incontra la porta interna corrispondendo al Monistero al lato della quale vi è lo stipetto nel muro del Santissimo Viatico, il di cui sacro vasettino è d'argento; entrandivisi si trova una antichissima immagine di Cristo Crocefisso di stucco (oggi scomparsa), ove pendono lateralmente li sarti della campana grande di circa cantara sei, e due campanelle di circa un cantaio. Si entra nel chiostro immezzo del quale vi è il pozzo con quattro lamine di ferro tese con due secchielli di rame. Corrisponde alla porta maggiore del Chiostro il campanello di chiamata per sostegno del Chiostro quadrato alle dodici colonnette vi sono tanti punti sospensivi (oggi sono sedici, ed hanno incorporato le vecchie colonne del Convento).
Tutto il Minostero quasi cadente perché edificato dal 1500, o prima, si compone di stanze quaranta (ad oggi quelle superiori si sono ridotte a quindici, oltre alla foresteria ed infermeria), tanto superiori, che inferiori: cucina, refettorio, e bassi. Altro non vi è essenziale nella stanza dello studio con pochi libri, che la statua della Risurrezione, di S. Pascale e S. Antonio portabili in procesione (oggi trovasi nella capella della SS. Concezione). Il Romitorio non tiene che miserabili cenci avanzo della miseria e nove piccioli balconi di ferro. La cocina sprovvista de' necessari comodi di rama, e creta. AI Refettorio precede il campanello, entro vi sono due quadri a mezza luna, uno indicante Cristo alla Cena con due Apostoli, opera di Giuseppe Guerra nel 1728. L'altro delle nozze di Canean del pennello de Sanctis, veramente aggregio quattro altri piccoli rotondi di S. Giuseppe, S. Antonio, S. Giovanni Capistano, e S. Giacomo della marca dello stesso de Sanctis, e nel Cielo del Refettorio altro ben grande della Immacolata Vergine tutti a tela (tutti gli affreschi citati sopra, oggi non sono più visibili, perché furono imbrattati dalla Guardia Nazionale nel 1866). Vi è il lumiere di ottone a sei mecci. Nel fondo della fabrica esiste l'uso del cellaio con otto botti quasi fracide alla porta (di) ceraso e clausura del giardino (oggi non è più presente).
Io intanto attuaI Guardiano in obbedienza del prescritto del adorabile Real Decreto, e citate istruzioni ministeriali in regola date, sotto la mia risponsabilità al Governo mi obligo tutto e quanto stà scritto nel presente Inventario cautamente conservarlo a disposizione del Governo in comprova, ed accerto ne sottoscrivo il presente roburato col sugello dello stesso Monistero.
F. Michelangelo di Diano Guardiano mi consegno la sopradetta rabba.
Il Suddetto F. Michelangelo è tale, come si asserisce.
Vincenzo Rocco Sindaco
Timbro del Comune e Timbro del Monastero
Testo tratto da: "Inventario degli oggetti esistenti nelle Chiese di Altavilla Silentina" di Paolo Tesauro Olivieri (pag. 15- 20).
descrizione del convento e della chiesa di san francesco
L'edificio è situato ad occidente a circa 500m dal castello e dalla piazza centrale del paese. Da lì, si gode l'intera distesa di monti, fiumi e la piana del Sele. Da un'ampia scala si accede al vestibolo, sorretto da due massicce colonne in muratura che presentano due ampie arcate; sotto l'atrio, dal soffitto a volta crociata, a sinistra sono eretti i due portali: della chiesa e del chiostro. Nelle pietre del portone di quest'ultimo è scolpito: "DE I NOMINE TUO SALVU ME FAC 1554", cioè "Domine in momine tuo salvum me fac" (Signore nel Tuo nome salvami).
Salendo due scalini ed attraversando un portale rinascimentale i cui stipiti marmorei sono sostenuti da due leoni in bassorilievo, si entra nella chiesa ad una sola navata, di stile barocco lunga 26.90m, larga 8.30m ed alta 11m. Entrando, vi sono due acquasantiere di travertino con bassorilievi, a sinistra una porta ad arco immette nei due settori della cappella della SS. Concezione.
Nel primo settore a destra, c'è una nicchia datata 1726 con la statuetta della Madonna di Medjugorje, e a sinistra la nicchia con dentro la statua del Sacro Cuore di Gesù; nel secondo settore, una cupoletta realizzata con ottimi stucchi, sovrasta due finestre che danno luce alla cappella. Nella parte centrale, risalta la nicchia con la statua di S. Antonio che viene portata in processione di casa in casa in occasione della festa del Santo il 13 giugno, e al di sopra di questi, c'è lo stemma dell'abate di S. Egidio (tre torri in campo azzurro, con una croce sulla torre centrale, ed una stella su ogni torre laterale).
Sotto la nicchia con la statua di S. Antonio, vi era un altare di pietra e stucchi del 1757 (tolto nel 1947) e detto della S.S. Concezione perché lì si trovava la statua dell'Immacolata concezione opera dello scultore Paolo Annollo, fatta nel 1797. In questo settore, sono conservati i due coperchi tombali del 1766 con la scritta "IUS PATRONATUS MAGN.cae UNIV.tis A.D. 1766"
La chiesa ha sette altari. Sulla parete destra, una nicchia raccoglie l'antica statua del patriarca S. Giuseppe (già patrono di Altavilla dal 1729 al 1796) con in braccio il Bambino; segue l'altare con la statua di legno nella nicchia di S. Bonaventura. Il secondo altare, in marmo, con angeli alle estremità, e tabernacolo riccamente cesellato, è detto di S. Teresa e porta la data 1772, nella nicchia si trova la pala attribuita al pittore Gabriele Solimena, che raffigura S. Chiara assorta ad ascoltare la voce di S. Francesco. Questo altare simmetrico ed uguale a quello di S. Francesco porta scolpito nell'elemento basale un medaglione con la testa di S. Teresa e la data 1782. Dietro la nicchia, risalente al 1400, è possibile ammirare un affresco raffigurante secondo gli esperti S. Margherita da Cortona (vedi pag. 91), il tutto ritrovato mentre si procedeva alla restaurazione della nicchia. In seguito vi è l'altare detto di S. Antonio fatto di marmi pregiati nel 1859, con nella nicchia la statua di S. Antonio da Padova in legno indorato, con nella mano destra il Bambino e nella sinistra , il
giglio di argento con sei piccioli globi. La statua, di autore sconosciuto, fu regalata alla chiesa dal notaio Altavillese Carlo Corrente nel 1680.
Dopo la balaustra, in una nicchia è collocata la statua di Maria con Gesù Bambino.
Sulla parete sinistra il primo altare detto di S. Giuseppe, con statua di legno nella nicchia di S. Pietro di Alcantara, porta nell'elemento basale la scritta "A SPESE DEL CONVENTO E DELLA POPOLAZIONE 1859" .
Il secondo altare, detto di S. Francesco, è di marmo ben rifinito, con testa di angelo ai lati; nella nicchia si trova una pala raffigurante S. Francesco, attribuita al pittore Francesco Solimena; alla base è disposto in bassorilievo lo stemma dei Minori Osservanti francescani, e la data del 1782.
La tela unica per bellezza e fattura, raffigura il santo genuflesso, virile nella maestà, ed entusiasta nell'indicare la croce. Lo sguardo penetrante del Santo segue chi lo contempla, e il pallore nel volto contrasta quello degli angeli.
Il terzo altare, in marmo pregiato è detto di S. Rosa e fu fatto nel 1859. Oggi nella nicchia c'è la statua lignea di S. Pasquale Bajlon.
Dopo la balaustra, v'è il pulpito in legno di noce con l'emblema in oro con sopra una corona, ed il corrispondente Crocefisso.
L'altare maggiore, è preceduto da una balaustra di marmo disegnata dal Vanvitelli e donata dal re di Napoli al Convento di Altavilla nel 1763, poggiato su un lungo scalino di marmo bianco in mezzo del quale vi è l'ingresso per mezzo di due portelline di ottone lavorato.
Sotto l'arco grande, al centro della chiesa sorge l'altare maggiore opera di marmorai napoletani con marmi policromi in cui sono stati incastonate pietre colorate e madreperle, donato alla chiesa dal re Carlo VII di Borbone. In cornu epistolae , su di un piedistallo, c'è una grossa Croce, opera settecentesca di autore ignoto.
Dietro l'altare maggiore c'è il coro, con il soffitto a volta, e nell'abside una nicchia con stucchi accoglie la statua di S. Francesco. Su questa nicchia c'è una scritta che dice:"DOM. S.P.N. S. FRAN. D.D. MDCCXXXXVI". Al di sotto della nicchia, c'è il coro, composto da ben diciannove sedili di legno di pigna tutto intagliato, scorniciato, e colorato a noce con l'appoggio davanti al primo; poi i1 sedile inferiore con in mezzo un quadrato e uno stipo per chiudervi la leggenda delle ore canoniche, e su di esso un lanternino.
Dall'ingresso della Chiesa sino al descritto Altare Maggiore, sono collocate tra le pilastrate, al di sotto del cornicione a stucco, quattordici quadri indicante il percorso doloroso di Gesù Cristo (via Crucis).
Da sopra al cornicione ad Oriente esistono quattro vetrate sostenute in mezzo da croci in ferro, di rimpetto ad esse, altrettante vetrate a muro, con sfondi chiusi senza ferro, ne vetri. Al di sotto del soffitto ed attorno alle pareti, dal cornu epistolae al cornu evangeli, vi sono affrescati a grandezza naturale i dodici apostoli con il proprio emblema risalenti al 1606. Questo scenario viene racchiuso con lo splendido soffitto in arco ribassato, realizzato nel 1761 dal Solimene e raffigurante scene del Vangelo, con tavole di pino finemente dipinte. Al suo centro, fino al 1960, conservava una bella tela raffigurante la Trinità, opera di Francesco Solimena; oggi al centro si trova una tela risalente al 700 Napoletano, di autore ignoto, raffigurante Gesù deposto dalla croce tra le braccia di Maria, con le pie donne alla sua destra, e una corona di angioletti al di sopra della croce, il tutto circondato d'arabeschi e fiorami maestrevolmente dipinte.
Al di sopra della porta maggiore vi è l'organo, opera del celebre Caselli di Vallo di Novi, datato 1755 grandioso, sonoro e tutto dorato. Ad oggi, molte canne dell'organo sono mancanti perchè asportate durante la guerra 1940-43.
Da una porta sulla sinistra dietro l'altare maggiore, si entra nella sacrestia, grande locale illuminato da due finestre. Nel suo centro c'è ancora oggi una fossa tombale del 1767 dei fratelli Rosario, Franco e Giuseppe Peduto.
Sulla sinistra uno stretto passaggio porta ad un locale di accesso al pulpito. Da questo locale attraverso una scala di legno, si accede ad un altro locale attiguo alla chiesa di modeste dimensioni. Osservando attentamene il locale ci si accorge che la sua parete, era una navata della primitiva chiesa in stile gotico.
Dall'atrio, e tramite un portale di granito del 1554 si accede al chiostro a parallelogramma fatto di sedici pilastri che hanno incorporato le vecchie colonne sorreggenti gli archi del sovrastante convento, con al cento una cisterna settecentesca e alcune piante. Le pareti erano un tempo decorate di buone pitture, rappresentanti miracoli dei Santi dell'ordine, ma oggi sono ricoperte di calce. Nei corridoi a pian terreno vi sono stanze adibite a magazzini: il corridoio a destra immette nel refettorio, nella dispensa e in una piccola cella; a sinistra, nella cucina e in tre stanze per il deposito della legna. Al dormitorio si sale per la scala grande centrale e per un'altra segreta. Nel piano superiore quattro corridoi girano intorno e danno ingresso a quindici celle, oltre alla foresteria, l'infermeria e un piccolo locale abitato dal padre guardiano.
Al primo piano del chiostro, una scala immette al campanile, a due ripiani e terminante con una cupola, che ha conservato fino al 1946 una campana del 1592.
Si racconta che questa campana avesse un suono particolare e suggestivo da attirare in quelle zone il pirata barbaresco Biserta, al quale si deve il nome dell'omonima contrada.
I DIPINTI DELLA CHIESA DI San FRANCESCO
(critica di m. giovanna sessa)
SAN FRANCESCO CONSEGNA LA REGOLA A SANTA CHIARA
Iscr: A di ne del P. Fran. Ani di Paduli A D 1772 - Solimo F
GABRIELE SOLIMENA
L'idea matrice del dipinto appare desunta dall'episodio della visione di suor Agneta, facente parte del ciclo di affreschi della chiesa di S. Giorgio a Salerno raffigurante le Storie di S. Tecla, Arcbelaa e Susanna, eseguito in forti accenti cortoneschi da Francesco Solimena nel 1680.
Lo stesso esempio guidò la mano di Giovan Battista Vela nella rappresentazione su tela della Visione di S. Francesca Romana, nella chiesa di S. Giacomo a Cicciano, in cui l'autore replica integralmente il brano della suora genuflessa sullo sfondo delle marmoree architetture in cui sono inserite le quattro suorine incuriosite dal divino evento.
Nell'opera in esame, invece, la citazione solimenesca è circoscritta alla figura della S. Chiara riproposta nel medesimo atteggiamento della S. Agneta e con lo stesso animistico moto della veste: l'unico riferimento architettonico è costituito dal loggiato che si intravede a destra.
La paternità del dipinto, dichiarata dalla dicitura apposta in basso e sostenuta dalla storiografia locale (GALARDI-MESSONE, 1987, p. 57) è contraddetta dalla cronologia, posteriore all'operato di Francesco.
La tela si rivela poco affine ai modi pervasi di demuriana sensibilità del Vela che pure ne riprese il soggetto nello stesso anno, e linguisticamente difforme ai canoni stilistici fortemente barocchi di Orazio Solimena, più famoso nipote dell' "Abate Ciccio" che a quella data elaborava un discorso fluido e vivace dando spazio a "nuovi e inattesi fremiti luministici", la cui attività pittorica, apprezzata dal De Dominici (PAVONE, p. 80), abbraccia un arco temporale 1744-72 in cui l'opera in esame potrebbe andare a collocarsi.
Se si ipotizza in questa sede sulla scorta di fonti documentarie, l'attribuzione a Gabriele Solimena, "nobile della città di Nocera de' Pagani" e "barone di Altavilla" prima dei fratelli Orazio e Gennaro. L'artista, ignorato dai repertori biografici, è menzionato da un erudito settecentesco che, narrando la storia del feudo di Altavilla, precisa che "ai nostri tempi" Carlo di Borbone ne investì Gabriele Solimena "in ricompensa di alcuni quadri da lui dipinti ed al medesimo donati e collo' sborso di ducati 60.000". (DI STEFANO, 1781-83) tale citazione costituisce l'unica testimonianza dell'inclinazione artistica del nipote di Francesco e delle sue opere, finora ignote, presumibilmente prodotti dell'attività di un pittore non professionista che si dilettava a riproporre sperimentati temi desunti dai disegni preparatori di cui il celebre zio fu sempre munifico con i nipoti "diletti sopra ogni altra cosa", tanto che "il troppo amore di alcuni de' suoi nipoti ha tolto a' pittori la speranza di aver più disegni, perciocché da molti anni se ne son fatti padroni e non dan nulla nemmeno per gratitudine ... " (DE DOMINICI, 1742-44, pp. 615-616).
Dai libri dei defunti di S. Matteo si apprende inoltre che "Don Gabriel Solimena, secondo figlio di Tommaso, primo marchese di Altavilla Silentina, è deceduto il 21 giugno 1775" (Catalogo Mostra, 1990, p. 127), data che non contraddice quella posta in calce al dipinto in esame.
SAN FRANCESCO
ORAZIO SOLIMENA
Anche quest'opera, modesta copia da più nobili esemplari potrebbe, in linea con la precedente analisi, essere ricondotta alla mano di Gabriele.
L'immagine del Santo dalla salda volumetria, genuflesso in adorazione del crocifisso accanto ai simboli dell'umana vanità e sullo sfondo di paesaggio, risulta speculare a quella della tela del Duomo di Lucera, già attribuita a Francesco Solimena quale sua "opera caratteristica verso il 1725" (Bologna, 1958, p. 257). La tela pugliese, accanto al teschio ed al libro, presenta la variante della clessidra, inesorabile misura del tempo, della brocca e del drappo barocco, insieme ad un più meditato studio della coeva Crocifissione di Troja (D'ELIA, 1968, p. 18, fig. 20). Di tale dipinto vi è una replica nella chiesa napoletana di S. Anna alle Paludi, di cui si conserva anche una copia ottocentesca ad Andria, nella chiesa di S. Maria Vetere (Bologna, p. 257). Un altro passo dei "Discorsi" del Di Stefano, lodando la chiesa "ornata di varie pitture tra quali un quadro di S. Francesco" assegna quest'ultimo al pennello del "Solimena Barone di essa Terra", definito "celebre", attributo che non si accorda alla ignota personalità artistica del fratello maggiore e risulta invece congeniale a quella del più famoso Orazio che esercitò la sua attività pittorica in Campania: eseguì a Barra nel 1749 per l'omonima chiesa, la tela dell' Annunciazione che riecheggia il più aulico assunto del dipinto di S. Maria Donnalbina e due tele immediatamente posteriori per la chiesa di S. Domenico a Barra, di cui una raffigurante la Madonna del Rosario e Santi e l'altra San Domenico alla battaglia di M. Muret, esemplata sulla Battaglia di Alessandro contro Dario, opera del più famoso Francesco per il Palazzo Reale de la Grancja presso Segovia, databile tra il 1735 ed il 1736 (Spinosa, 1988, p. 88, scheda 60).
L'artista è, altresì presente a Nocera, sua terra natale, nella chiesa di S. Anna, con la tela firmata e datata 1772 raffigurante l'Adorazione dei Magi, ulteriore replica dal ciclo di S. Maria Donnalbina, eseguita da Francesco intorno al 1700 (Bologna, 1958, fig. 123). Fino a questo punto del suo percorso, il pittore, privo di consapevolezza delle "differenziate qualità stilistiche" che connotano la vicenda artistica dell'illustre parente e memore delle inflessioni devozionali del De Majo, si rivela passivo ripetitore di sperimentati moduli solimeneschi. Il Ritratto di donna dell'Istituto Suor Orsola Benincasa, attribuitogli di recente dal Bologna (1980, p. 66, fig. 59) denota, invece, una migliore sensibilità naturalistica con aperture al primo Traversi.
FRANCESCO SOLIMENA
(CENNI BIOGRAFICI)
Francesco Solimena nacque a Canale di Serino, Avellino, il 4 ottobre 1657, (detto l'AbateCiccio), fu un pittore italiano.
Considerato uno degli artisti che meglio incarnarono la cultura tardo-barocca in Italia, l'artista si formò presso la bottega del padre Angelo, rifacendosi dapprima alle opere di Francesco Guarino e successivamente, resosi autonomo nello stile cominciò a guardare con interesse alla pittura scenografica e fantasiosa di Luca Giordano ed a quella tenebrista di Mattia Preti.
Le opere tra il 1670 e il 1680 tra cui si ricordano Il Paradiso nel duomo di Nocera e la Visione di S. Cirillo d'Alessandria nella chiesa di San Domenico a Solofra furono eseguite in collaborazione col padre.
Le opere eseguite successivamente al 1680, manifestarono sempre più il distacco dalla pittura naturalista che diverrà progressivamente adesione al gusto barocco. Vanno menzionate a questo proposito gli affreschi di San Giorgio a Salerno, e le tele delle Virtù della sacrestia di San Paolo Maggiore a Napoli.
Nella tela di San Francesco rinunzia al sacerdozio nella chiesa di Sant'Anna dei Lombardi (1691-1692) è invece evidente l'influenza di Mattia Preti.
Lo stile pittorico nuovo, con l'avvicinamento all'Arcadia, ebbe la sua consacrazione ne La cacciata di Eliodoro dal tempio al Gesù Nuovo e negli affreschi della cappella di San Filippo Neri ai Gerolamini.
Un ritorno ai lavori giovanili si andò evidenziando a partire dal 1735 come ad esempio nei dipinti realizzati nella Reggia di Caserta su committenza di Carlo di Borbone.
Lavorò per le maggiori corti europee, pur senza muoversi quasi mai da Napoli.
Morì nella sua villa di Barra presso Napoli, nel 1747. (tratto dal sito www.wikipedia.it)
Le statue DELLA CHIESA DI San FRANCESCO
SAN FRANCESCO
Nacque ad Assisi nel 1182, dove ivi morì nel 1226, a 44 anni.
La famiglia era tra le più agiate; i primi anni egli visse tra agi e ricchezze. Successivamente volle diventare il più povero dei poveri, finanche nel vestire prese un saio. Fondò l?ordine francescano dei Minori.
Si spense il 4 ottobre dell'anno citato sopra. Fu nominato per la sua virtù Patrono d'Italia.
I frati minori, ispirati dal rifondatore S. Bernardino da Siena, dedicarono la chiesa a S. Francesco.
La statua trovasi collocata sullo sfondo della chiesa.
SAN giuseppe
Il Patriarca San Giuseppe, padre di Gesù e sposo di Maria, e il Patrono della Buona Morte. Visse a Nazaret, esercitando l'umile mestiere di falegname.
Per la Chiesa cattolica è il protettore dei lavoratori, istituendo i solenni festeggiamenti il 1° Maggio.
L'altare-cappella, alla fondazione della Chiesa di San Francesco, era Jus Patronatus del Comune.
Nel Settecento, per circa mezzo secolo il Comune proclamò San Giuseppe patrono del paese.
SAN bonaventura
"Bonaventura (nato nel 1218 a Bagnorea, l'attuale Bagnoregio) disse di aver dato le sue preferenze all'Ordine fondato da S. Francesco per aver riscontrato una mirabile somiglianza tra la crescita della Chiesa e quella della famiglia francescana: entrambe annoveravano agli inizi uomini semplici, pescatori e contadini, e più avanti uomini di scienza. Quando Bonaventura entrò nell'Ordine, i figli di S. Francesco, al pari di quelli di S. Domenico, si erano spinti fino a Parigi, a Oxford, a Cambridge, a Strasburgo e in altre università europee.
A frate Egidio che nella sua semplicità gli chiedeva come avrebbe potuto salvarsi lui, privo di ogni scienza teologica, fra Bonaventura rispose: "Se Dio dà all'uomo soltanto la grazia di poterlo amare, questo basta… Una vecchierella può amare Dio anche più di un maestro di teologia". Dotato di buon senso, pratico e speculativo al tempo stesso, Bonaventura aveva saputo applicare al solido tronco francescano gli innesti delle giovani generazioni con le accresciute esigenze, anche culturali, smentendo quanti paventavano, come Jacopone da Todi, che la scienza portasse detrimento alla semplicità della regola francescana.
Bonaventura, discepolo di Alessandro di Hales a Parigi, come S. Tommaso era rimasto in questa città dapprima come maestro di teologia, poi come generale dei frati Minori, carica alla quale venne eletto a soli trentasei anni. Creato cardinale, dovette accettare anche la consacrazione episcopale, precedentemente rifiutata per umiltà, ed ebbe la sede suburbicaria di Albano Laziale. Da papa Gregorio X ebbe l'incarico di preparare il secondo concilio di Lione, al quale era stato invitato pure Tommaso d'Aquino, morto due mesi prima dell'apertura avvenuta il 7 maggio 1274. Il 15 luglio dello stesso anno moriva anche fra Bonaventura, assistito personalmente dal Papa." (tratto dal sito www.santiebeati.it)
SAN pietro d'alcantara
"Pietro nacque ad Alcantara, piccola città dell'Estremadura (Spagna), ai confini con il Portogallo, nel 1499. A sedici anni prese l'abito di San Francesco e per tutta la vita volle riportare l'Ordine al rigore della prima Regola.
Cercava di dare l'esempio della più severa penitenza e della più dura povertà. Non meraviglia se incontrò in molti confratelli un'accanita resistenza. Non tutti avevano la sua tempra di penitente.
Un giorno andò a trovarlo un religioso di un altro Ordine. Lo trovò dentro una grotta nell'orto, nudo, con addosso il solo mantelletto. " Come mai siete vestito così poco decentemente? ", gli chiese l'ospite. Il Santo si scusò: " Oh, padre mio, leggete il Vangelo. C'è scritto di avere soltanto una tunica. Ho lavato la mia pochi momenti fa, e l'ho stesa su quella pietra. Appena sarà un po' asciugata, me la rimetterò addosso ".
L'Imperatore Carlo V, il conquistatore del mondo, lo avrebbe voluto per confessore. Il francescano gli si gettò ai piedi, e baciandogli la mano, disse: " Vostra Maestà cercherà certamente di fare la volontà di Dio. Se io non tornerò più, vorrà dire che Dio non ha voluto che io accettassi questa carica ". E non si fece più rivedere.
Morì, dolcemente, il 18 ottobre 1562. Santa Teresa scrisse di avere avuto più volte la visione del penitente nella gloria di quell'eterna patria celeste da lui desiderata e conquistata con la penitenza.
La Famiglia Francescana lo celebra il 19 ottobre." (tratto dal sito www.santiebeati.it)
SAN pasquale baylon
"Nacque il 16 maggio 1540, giorno di Pentecoste, a Torre Hermosa in Aragona (Spagna); fin da bambino dimostrò una spiccata devozione verso l'Eucaristia, che sarà poi la caratteristica di tutta la sua vita religiosa.
Da fanciullo fu garzone di un allevatore di pecore. Manifestò fin da piccolo la sua vocazione spirituale trascorrendo le lunghe ore del pascolo del gregge in meditazione e preghiera. Imparò a leggere da autodidatta esercitandosi sui libri di preghiere.
A diciotto anni chiese l'ammissione al noviziato presso il convento di Santa Maria di Loreto della congregazione dei Frati Minori aderenti alla riforma di San Pietro d'Alcantara, ma riuscì ad esserne ammesso solo due anni dopo. Nel frattempo, lavorando presso il ricco allevatore Martino Garcia, che lo aveva preso a ben volere, rifiutò l'offerta di quest'ultimo di divenire suo erede.
Il 2 febbraio
1564 fece la professione solenne di fede come frate converso. Fu per anni addetto al servizio di portineria, anche nei conventi di Játiva e Valenza.
L'eucarestia fu il centro della sua vita spirituale. Pur essendo illetterato, seppe difendere coraggiosamente la sua fede, soprattutto riguardo l'eucarestia, rischiando anche la vita durante un difficile viaggio che, nel 1576, fu incaricato di compiere fino a Parigi, attraversando la Francia
calvinista dell'epoca.
Dopo il viaggio Pasquale scrisse un libricino di sentenze per comprovare la reale presenza di Gesù nell'eucaristia ed il potere divino trasmesso al papa.
Morì all'età di 52 anni, il giorno di Pentecoste, nel convento del Rosario a Villarreal, anche a causa delle frequenti mortificazioni corporali alle quali si sottoponeva."(tratto dal sito www.santiebeati.it)
CAPITOLO terzo
Eventi legati al convento
SANT'ANTONIO DA PADOVA
(CENNI BIOGRAFICI)
"Non poteva mancare nel nuovo calendario della Chiesa la memoria solenne per l'intera cristianità, di uno dei personaggi più clamorosi della storia della santità, più universalmente noti ed amati, invocati e rappresentati.
Un personaggio veramente internazionale, anche per le vicende biografiche, perché il Santo di Padova era nato a Lisbona, nel Portogallo, verso il 1195, e prima di indossare il saio francescano era entrato, a quindici anni, nell'Ordine Agostiniano, dove studiò profondamente le Scritture, tanto da essere chiamato, più tardi, "L'Arca del Testamento"
Ma il giovane intellettuale fu colpito dalla semplicità e dall'umiltà dei primi francescani, la cui vita gli parve l'attuazione più fedele del Vangelo. Quando nel 1220, giunsero in Portogallo le reliquie dei cinque francescani martirizzati in Marocco, chiese anch'egli di entrare nell'Ordine dei mendicanti e di andare missionario nel Marocco. Giunto sulla costa africana, si ammalò e venne rimbarcato. Una tempesta gettò la nave sulle coste della Sicilia. Antonio visse qualche tempo in un convento di Messina, nascondendo la sua grande dottrina sotto il saio dell'umiltà. Il suo superiore lo condusse nel 1221, al capitolo di Assisi, dove poté avvicinare San Francesco, che lo rapì con la sua sopranaturale e geniale condotta di "giullare di Dio". Destinato alla provincia emiliana, Antonio nascose la sua dottrina e la sua cultura tra le pentole, in un eremo presso Forlì. Un giorno a Forlì ci fu bisogno di un oratore sacro, per le cerimonie di una ordinazione sacerdotale non trovandosi di meglio, venne chiamato Antonio, che fece stupire tutti. Venne tolto tra le pentole e la sua fiaccola fu posta sopra il moggio: gli fu imposto cioè di predicare. La sua preparazione dottrinale appariva così solida e profonda, che San Francesco lo chiamava confidenzialmente "il mio vescovo".
Predicava a Rimini, ma la popolazione della città, quasi completamente eretica, disertava le sue prediche. Frate Antonio, allora, si recò sulla spiaggia e si mise a predicare ai pesci, che accorsero, addensandosi sulla riva. Fu il primo, ma non fu l'ultimo miracolo, perché la sua straordinaria dottrina fu, d'allora in poi, accompagnata da prodigi strepitosi.
Il taumaturgo così sopravanzò il
teologo. Perciò fu inviato nelle province più tormentate dagli errori e più avvelenate dall' eresia.
A Verona predicò contro il tiranno della città in favore dei prigionieri guelfi. Il crudele Ezzelino da Romano fu più volte investito dall'oratoria dell'intrepido difensore dei deboli.
Fuor delle mura di Padova, a un chilometro, dalle porte, si trovava un piccolo convento, chiamato dell'Arcella, Frate Antonio si fissò lì.
Una sera, non potendo entrate nella sua cella, rimase in città, ospite del conte Zini Camposampiero, che fu testimone di un fatto prodigioso. Vide frate Antonio che teneramente tratteneva fra le braccia Gesù Bambino.
Avrebbe voluto far penitenza nei luoghi dove già San Francesco si era mortificato, alla Verna, alle Carceri di Assisi. Ma la sua salute non gli permetteva quella vita desiderata. L'idropisia lo tormentava.
Nella Quaresima del 1231, fu colto da un malore nel romitorio di Camposampiero. Sopra un carro, fu trasportato verso Padova, ma giunto all'Arcella, dovette fermarsi lì, nella sua cara celletta. Fissava lo sguardo in alto. I compagni gli chiesero che cosa vedesse; rispose: "Vedo il mio Signore" . Serenamente si spensero i suoi occhi e la sua bella anima volò verso Dio.
Non aveva che trentasei anni, quando spirò il 13 giugno 1231, e sembrava impossibile che in così pochi anni avesse potuto studiare tanto, predicare tanto, operare tanto.
Non era passato un anno e già il Papa Gregorio
IX lo proclamava Santo; Pio XII, nei nostri tempi, lo ha proclamato Dottore della Chiesa universale." ( tratto da G.A.U.D.I.U.M., 1996, pp. 2-3)
Rassegna su alcuni miracoli di sant'antonio
S. Antonio è conosciuto come il Taumaturgo, ovvero l'operatore di prodigi. Meglio noto come il Santo dei miracoli.
Miracolo deriva dal latino "mirari", provar meraviglia, stupore. Indica un evento che sorprende chi ne è testimone diretto o indiretto. Nell'ambito della teologia cattolica il miracolo viene definito come un fatto sensibile (che cioè viene udito, visto, toccato, sperimentato dalle persone), operato da Dio per lo più tramite un santo. Fatto che va o contro, o si situa sopra, oppure al di fuori delle comuni "leggi" della natura, come sono recepite in un determinato ambiente ed epoca.
Innumerevoli sono i miracoli attribuiti al Santo di Padova, di seguito viene data una breve rassegna dei miracoli compiuti in vita, con il racconto delle prime biografie.
Il miracolo della mula
"Nella regione di Tolosa il beato Antonio, avendo disputato con veemenza intorno al salvifico sacramento dell'Eucaristia contro un eretico incallito, e lo aveva quasi convinto e attirato alla fede cattolica, sennonché colui, dopo molti e vari argomenti cui si sforzava di sottrarsi, aggiunse queste parole:
"Lasciamo le chiacchiere e veniamo ai fatti. Se tu, Antonio, riuscirai a provare con un miracolo che nella Comunione dei credenti c'è, per quanto velato, il vero corpo di Cristo, io, abiurata assolutamente ogni eresia, sottometterò senza indugio la mia testa alla fede cattolica".
Il servo del Signore con grande fede gli rispose: "Confido nel mio salvatore Gesù Cristo che, per la conversione tua e degli altri, otterrò dalla misericordia di lui quanto richiedi". Si alzò allora quell'eretico e, invitando con la mano a far silenzio, parlò: "lo terrò chiuso il mio giumento per tre giornate e gli farò provare i tormenti della fame. Passati i tre giorni, lo tirerò fuori alla presenza della gente, gli mostrerò la biada pronta. Tu intanto gli starai di contro con quello che affermi essere il corpo di Cristo. Se l'animale così affamato, trascurando la biada, si affretterà a adorare il suo Dio, crederò sinceramente alla fede della Chiesa". Subito il padre santo diede il suo assenso. Allora l'eretico esclamò: "Udite bene, popoli tutti!".
A che indugiare con molte parole? Arriva il giorno stabilito per la sfida. La gente accorre da ogni parte e affolla la vasta piazza. E' presente il servo di Cristo, Antonio, attorniato da una fitta folla di fedeli. Vi è l'eretico, con la caterva dei suoi complici. Paratosi per celebrare in una cappella che sorgeva vicino, il servo di Dio vi entrò con gran devozione per il rito della Messa. Terminato questo, uscì verso il popolo che stava in attesa, portando con somma riverenza il corpo del Signore. Il mulo affamato è menato fuori della stalla, e gli si mostrano cibi appetitosi.
Finalmente, imponendo il silenzio, l'uomo di Dio con molta fede comandò all'animale dicendo: "In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto ne sia indegno, tengo veramente tra le mani, ti dico, o animale, e ti ordino di avvicinarti prontamente con umiltà e di prestargli la dovuta venerazione, affinché i malvagi eretici apprendano chiaramente da tale gesto che ogni creatura è soggetta al suo Creatore, tenuto tra le mani della dignità sacerdotale sull'altare". Il servo di Dio nemmeno aveva finito queste parole, quand'ecco la bestia, trascurando il foraggio, chinando e abbassando la testa fino ai garretti, si accostò genuflettendo davanti al vivifico sacramento del corpo di Cristo."
La predica ai pesci
"Una volta alcuni eretici, nei pressi di Padova, disprezzavano e deridevano le sue prediche, il Santo si portò ai bordi del fiume, scorrente a breve distanza, e disse agli eretici in modo che tutta la folla presente sentisse:
"Dal momento che voi dimostrate di essere indegni della parola di Dio, ecco, mi rivolgo ai pesci, per confondere più apertamente la vostra incredulità".
E con fervore di spirito cominciò a predicare ai pesci, enumerando i doni loro elargiti da Dio: come li aveva creati, come aveva loro assegnato la purezza delle acque e quanta libertà aveva loro concessa, e come li nutriva senza che dovessero lavorare.
A questo parlare i pesci cominciarono a unirsi e avvicinarsi a lui, elevando sopra la superficie dell'acqua la parte superiore del loro corpo e guardandolo attentamente, con la bocca aperta. Fintanto che piacque al Santo di parlare loro, lo stettero a sentire attentissimi, come esseri dotati di ragione. Né si allontanarono dal posto, se non dopo aver ricevuto la sua benedizione."
Il piede riattaccato
"Un grande stupendo miracolo fu causato da una confessione. Un uomo di Padova, di nome Leonardo, una volta riferì all'uomo di Dio, tra gli altri peccati di cui s'era accusato, di avere percosso con un calcio la propria madre, e con tale violenza da farla cadere malamente per terra.
Il beato padre Antonio, che detestava fieramente ogni cattiveria, in fervore di spirito e in aria di deplorazione, commentò: "Il piede che colpisce la madre o il padre, meriterebbe di essere tagliato all'istante".
Quel sempliciotto, non avendo capito il senso di tale frase, nel rimorso per la colpa commessa e per le aspre parole del Santo, tornò in fretta a casa e subito si recise il piede. La notizia di una punizione tanto crudele si diffuse in un baleno per tutta la città, e fu riportata al servo di Dio. Il quale si recò difilato da colui e, premessa un'angosciata devota orazione, congiunse alla gamba il piede mozzato, facendovi il segno della croce.
Cosa mirabile! Non appena il Santo ebbe accostato il piede alla gamba tracciandovi il segno del Crocifisso, passandovi sopra dolcemente per un poco le sue sacre mani, il piede di quell'uomo restò inserito nella gamba così celermente, che tosto colui si alzò allegro e incolume, e si mise a camminare e saltare, lodando e magnificando Dio e rendendo grazie infinite al beato Antonio, che in maniera così mirabile lo aveva risanato."
La conversione di ezzelino
"Quel despota arrogante e perfido, il crudele tiranno Ezzelino da Romano, nel principio della sua tirannide, aveva compiuto una enorme strage di uomini in Verona.
Il padre intrepido, appena venne a sapere l'accaduto, s'arrischiò d'andar di persona da colui, che risiedeva in quella città.
E lo apostrofò con queste parole:
"O nemico di Dio, tiranno spietato, cane rabbioso, fino a quando continuerai a versare sangue innocente di cristiani? Ecco, ti pende sopra il capo la sentenza del Signore, terribile e durissima!".
E molte altre espressioni veementi ed acerbe gli disse in faccia. Le guardie del corpo stavano sulle mosse, aspettando che Ezzelino, come al solito, desse l'ordine di trucidarlo. Ma avvenne ben altrimenti, per disposizione del Signore.
Infatti il tiranno, colpito da quelle parole dell'uomo di Dio, depose ogni ferocia e diventò simile a un agnello. Poi, appesosi il cinturone al collo, si prostrò davanti all'uomo di Dio e confessò umilmente i propri misfatti, dando assicurazione che, secondo il beneplacito di lui, riparerebbe il male compiuto.
E aggiunse: "Commilitoni, non stupitevi di ciò. Vi dico in tutta verità, che ho visto emanare dal volto di questo padre una specie di fulgore divino, che mi ha atterrito al punto che, di fronte a una visione così spaventosa, avevo la sensazione di precipitare subito all'inferno".
Da quel giorno Ezzelino ebbe sempre grandissima devozione al Santo e, finché questi visse, si tirò indietro da molte atrocità che avrebbe voluto perpetrare, secondo che il tiranno stesso confidava."
La visione
"Trovandosi una volta il beato Antonio in una città a predicare, venne ospitato da un abitatore del luogo. Questo gli assegnò una camera appartata, affinché potesse attendere indisturbato allo studio e alla contemplazione. Mentre dunque pregava, da solo, nella camera, il padrone moltiplicava i suoi andirivieni per le sue case.
Mentre osservava con sollecitudine e devozione la stanza in cui pregava sant' Antonio da solo, occhieggiando di nascosto attraverso una finestra, vide comparire tra le braccia del beato Antonio un bimbo bellissimo e gioioso. Il Santo lo abbracciava e baciava, contemplandone il viso con lena incessante. Quel cittadino, stupefatto ed estasiato per la bellezza di quel bambino, andava pensando fra sé donde fosse venuto un pargolo così leggiadro.
Quel bimbo era il Signore Gesù. Egli rivelò al beato Antonio che l'ospite lo stava osservando. Dopo lunga preghiera, scomparsa la visione, il Santo chiamò il cittadino e gli proibì di manifestare a chiunque, lui vivente, ciò che aveva veduto. Dopo il trapasso dei padre santo, quell'uomo raccontò con lacrime l'episodio, giurando sulla Bibbia di star dicendo la verità."
Il cuore dell'avaro
"In Toscana, grande regione d'Italia, si stavano celebrando con solennità, come succede in questi casi, le esequie di uno straricco. Al funerale era presente il nostro S. Antonio, il quale, scosso da un'ispirazione subitanea, si mise a gridare che quel morto non andava sepolto in luogo consacrato, bensì lungo le mura della città, come un cane.
E ciò perché la sua anima era dannata all'inferno, e quel cadavere era privo di cuore, secondo il detto dei Signore riportato dal santo evangelista Luca: Dov'è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore.
A questa intimazione, com'è naturale, tutti rimasero sconvolti, ed ebbe luogo un eccitato scambio di pareri. Furono alfine chiamati dei cerusici, che aprirono il petto al defunto. Ma non vi trovarono il cuore che, secondo la predizione del Santo, rinvennero nella cassaforte dov'era conservato il denaro.
Per tale motivo, la cittadinanza lodò con entusiasmo Dio e il suo Santo. E quel morto non fu deposto nel mausoleo preparatogli, ma trascinato come un asino sul terrapieno e colà sotterrato."
Il neonato che parla
"Una donna a Ferrara, fu salvata da un atroce sospetto. Infatti, il Santo riconciliò con la consorte il marito, personaggio illustre tra i maggiorenti della città. E, cosa ancora più grande, un vero miracolo, fece parlare un infante, nato pochi giorni innanzi, il quale rispose alla domanda rivoltagli dall'uomo di Dio.
Quell'uomo dunque era roso da sì sospettosa gelosia riguardo alla moglie, che nemmeno volle toccare il bimbo natogli alcuni giorni prima, convinto che fosse frutto di un adulterio di lei. S. Antonio prese allora in braccio il neonato e gli parlò: "Ti scongiuro in nome di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nato da Maria vergine, di dirmi a voce chiara, così che tutti sentano, chi è tuo padre".
E il bimbo, non farfugliando come fanno i piccini, ma con voce nettamente comprensibile quasi fosse un ragazzo di dieci anni, fissando gli occhi sul genitore, giacché non poteva muovere le mani, legate dalle fasce, disse: "Ecco, questo è mio padre!". Voltosi all'uomo, il Santo soggiunse: "Prendi tuo figlio, e ama tua moglie, che è intemerata e merita tutta la tua riconoscenza"."
Il giovane resuscitato
"Nella città di Lisbona, di cui S. Antonio fu oriundo,(mentre ancora vivevano i parenti del Santo, cioè il padre, la madre e i fratelli), due cittadini erano nemici e si odiavano a morte. Accadde che il figlio d'uno di costoro, un ragazzo, ebbe a incontrare il nemico di famiglia, che abitava vicino ai genitori del beato Antonio.
Colui, spietato, afferrò il ragazzo, lo portò in casa e subito lo uccise. Poi, nel profondo della notte, entrato nel giardino dei parenti del Santo, scavò una fossa, vi sotterrò il cadavere e fuggì.
Poiché il giovane era figlio di persona notabile, si inquisì sulla scomparsa di lui, e si appurò ch'era transitato per la contrada dove abitava il nemico. Furono allora perquisiti la dimora e l'orto di questo, ma non si scoprì nessun indizio. Facendo un sopralluogo nel giardino dei familiari del beato Antonio, fu ritrovato il ragazzo, seppellito nell'orto. Per questo, il giustiziere del re fece arrestare, come assassini del giovane, il padre con tutti quelli di casa.
Il beato Antonio, sebbene fosse a Padova, seppe del fatto, per ispirazione divina. Di sera, chiesto il permesso al guardiano, uscì dal convento. E mentre camminava nella notte, fu con divino prodigio trasportato fino alla città di Lisbona. Entrando in città di mattina, si diresse dal giustiziere, e cominciò a pregarlo di prosciogliere dall'accusa quegli innocenti e rilasciarli. Ma non volendo colui per nessuna ragione far questo, il beato Antonio ordinò che gli venisse portato davanti il ragazzo assassinato.
Portato il corpo, gli comandò di alzarsi e dire se a ucciderlo fossero stati i suoi parenti. Il ragazzo si destò da morte e affermò che i familiari del beato Antonio erano del tutto estranei al delitto. Di conseguenza, essi furono prosciolti e liberati dal carcere. Il beato Antonio restò in loro compagnia tutta quella giornata. Poi, a sera, uscì da Lisbona e il mattino seguente si ritrovò a Padova." (testi tratti dal sito
www.santantonio.org)
La rivoluzione e il miracolo di Sant'Antonio
Un altro evento degno di nota nella storia del paese si ebbe nel 1799. Quando l'eco della rivoluzione francese raggiunse anche il Sud d'Italia, ad Altavilla fu proclamata la repubblica. La popolazione di Altavilla si schierò con i giacobini della repubblica partenopea e anche nella piazza principale di Altavilla si piantò l'Albero della libertà. Un gruppo armato di sanfedisti provenienti dalla vicina Eboli si prese carico di prendere con le armi la ribelle Altavilla. Il loro capo si era trincerato dietro gli alberi della foresta adiacente al paese e con un cannone da campagna comincio a colpire l'abitato. Gli abitanti, poco atti alle armi, cominciarono a disperarsi e ricorsero all'aiuto di Sant'Antonio di Padova, la cui statua era venerata nella Chiesa del Convento dei Francescani. Gli Altavillesi vestirono la statua del santo in modo goffo con sciabola a tracolla e giberna, con schioppo e cappello a due punte e la collocarono in mezzo alla piazza. Tale vista provocò il riso beffardo del capo sanfedista che disse sprezzante: "Lo farò saltare in aria questo 'struppone furmiculusu'" e sparò. Il suo cannone si spezzò in tredici parti e sbigottito scappò tra le bestemmie e gli sguardi attoniti dei suoi compagni. Gli Altavillesi gridarono al miracolo e istituirono una speciale devozione per il santo di Padova: è da allora che ogni anno il 13 giugno, giorno liturgico della sua festa, la statua del santo visita le famiglie del paese entrando di casa in casa. La processione del santo inizia la mattina alle 9 e termina verso le 12 di sera con grande partecipazione del popolo.
LA FESTA DI Sant' ANTONIO ad
altavilla silentina
Nelle pagine che seguono, viene descritta la festa di S. Antonio e la devozione verso il Santo degli altavillesi, attraverso gli scritti di: Antonio Bassi, Oreste Mottola, Paolo Tesauro Olivieri, Arduino Senatore, Piero Di Matteo, Fernando Iuliano.
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"Il 31 maggio 1998 la reliquia del Santo è giunta (da Cava) in Pellegrinaggio ad Altavilla Silentina. Il culto delle due città spinge i fedeli a formare una sola famiglia, creando un gemellaggio di fede e di tradizioni.
La comunità Francescana di Cava ha accolto l'invito degli abitanti di Altavilla e, nella persone di padre Luigi Petrone, divulgatore del culto antoniano, esprime tanta gratitudine ed affetto verso tutti i devoti del Santo."
(tratto dal giornale La Collina degli Ulivi)
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"E da dire che la venerazione al Santo risale al miracolo di cui sono testimoni le 13 schegge di cannone conservate al Convento. Miracolo che si racconta si è tramandato come , una leggenda da padre in figlio e di cui è inutile parlare dato che anche il più piccolo dei miei compaesani lo conosce. Io credo che tutto si possa "toccare" all'altavillese fuorché "Antonio" che per loro è l'ancora di salvezza nei tempi bui. La fede (religiosa e civile) per il Santo è un momento di fratellanza di tutti davanti al Santo dei miracoli.
Ci sono donne che partono di notte da casa (fuori paese) per portare la "centa" grandissima e circondato da grandi ceri alla chiesa del Convento e durante la processione : è bello vedere il sacrificio di queste donne e l'entusiasmo con cui portano la centa e mi auguro che questa tradizione non scomparirà mai perché su quei ceri ci sono le preghiere di tutti ed il grande amore per il Santo. C'è chi trasporta sulle spalle il Santo per tutta la giornata, c'è chi lo trasporta (quando il Santo arriva a casa sua) nel suo quartiere : è un modo per ringraziare il santo per tutto quello che ci ha dato durante l'anno.
I trasportatori "continui" si chiamano "padovani" e ci tengono al loro appellativo ed al loro "lavoro" ritenendosi per una giornata i "padroni" di "Antonio" che quasi con "ritrosia" fanno trasportare a chi vuole prendere il ruolo di "padovano occasionale". Ci si inerpica dappertutto con il Santo sulle spalle perché tutti lo vogliono in casa e vogliono avere l'onore di "parlare" con lui. Al Santo si offre di tutto: oboli, ori, e altri oggetti." (di A. Bassi, tratto da Antonio sol novello, 1995, pp. 23-25)
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LE USANZE
"Il paniello di S. Antonio
era la panella di pane che ogni famiglia offriva al Convento e che Fratel Errico o Fratel Salvatore, i laici del Convento ritiravano e che serviva per sfamare i tanti giovani seminaristi che allora l'affollavano. Nella "Collina degli Ulivi"
non mancava il contributo dei frantoiani e dei proprietari di uliveti: in ogni frantoio c'era una fusina
(anfora di terracotta) dove ognuno offriva una tazza d'olio (nappata)
per S. Antonio e per il Convento dei Vocazionisti.
Ed ogni 13 giugno si mobilitavano anche gli emigranti.
Prima dall' America e dall' Australia e poi anche da Germania e Svizzera arrivavano moneta forte ed era tutta per i Vocazionisti del Convento di S. Francesco."
LE CENTE
"E' uno strano rapporto quello tra gli altavillesi ed il mare.
Con un mare che è sull'uscio di casa, con il suo blu carico, bordi celeste madonna e striature vinose. Che era anche dentro Altavilla con una lingua marina
che invadeva tutta Cerrocupo. Noi che dal mare siamo venuti, forse scacciati da Paestum, e dal mare arrivavano i predoni saraceni dal piede leggero e dalle vesti lunghe che saccheggiavano le case, bruciavano i raccolti e violentavano le donne. Dal mare venne il re Federico a distruggere e massacrare per la nostra fedeltà al Papa ed alla famiglia Sanseverino. Dal mare molti se ne andarono per le Americhe e non sono più tornati. Dal mare vennero le centinaia di tonnellate di bombe che distrussero il paese durante "l'operazione Avalanche" del 1943. E' da questo intricatissimo rapporto d'amore ed odio (e da sovrapposizioni su mai abbandonati riti pagani) che viene la tradizione delle cente, ex voto con forma di grosse barche di cera che per l'intera giornata della festa di S. Antonio vengono portate a spalla da gruppi (spesso famiglie) di devoti. E' una tradizione che attirò l'attenzione del documentarista Folco Quilici che, nei primi anni settanta, venne ad Altavilla a girarvi un documentario per la RAI." (di O. Mottola, tratto da Antonio sol novello, 1995, pp. 36-37)
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"Il Popolo altavillese nutre per S. Antonio una grande devozione. E' secolare tradizione suonare a distesa la campana diverse volte nelle ventiquattro ore: prima al mattutino, una seconda alle undici (in vernacolo "terza"), una volta ancora un' ora prima del tramonto (in vernacolo "ventitré ore"). Essa, poi, è suonata tutte le volte che le procelle non accennano a cessare.
La popolazione del paese e delle campagne, ascoltando il suono della campana si raccoglie per un attimo in preghiera, rivolgendo un pensierino al Santo. Un' altra antica usanza era (adesso il pane viene preparato ai forni pubblici) quella di offrire, ogni volta che la famiglia faceva il pane, una bella forma per il Convento e, dopo gli anni Trenta, per il Vocazionario.
Un' altra secolare tradizione altavillese in onore di S. Antonio è la processione che si effettua ogni anno il 13 di giugno. Essa ha inizio alle ore 10 e termina dopo il tramonto del sole. La statua, secondo la espressa volontà delle famiglie, deve entrare in tutte le abitazioni e dove essa non può essere portata per motivo di spazio, deve far sosta innanzi alla porta per tutto il tempo necessario alla recitazione del "responsorio". Una devozione che raggiunge il parossismo: la popolazione sarebbe capace di riposare il 13 giugno e lavorare la domenica e negli altri giorni di feste comandate!." (di P.T. Olivieri, tratto da Antonio sol novello, 1995, pp. 27-28)
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"Fiducia e consolazione: non è retorico il legame che unisce gli altavillesi a S. Antonio. Il 13 giugno tutto si svolge secondo un rituale consapevole in cui si fondono sofferenza ed intima spera, così come si incontrano primavera e estate e, durante la processione, la luce del giorno cede il posto ad un altro spettacolare tramonto ed alle luminarie della Piazza e di Via Roma.
Nonostante l'evoluzione dei tempi e nell'incalzare di problemi vecchi e nuovi da fronteggiare, S.Antonio deve veramente rappresentare un punto fermo nell'animo di ognuno di noi se ancora oggi sono ben vivi la fiducia e il senso di aspettazione serena che hanno segnato la nascita e l'evolversi della devozione spontanea e indissolubile per il Santo di Padova e il sentimento di unità e compattezza che gli altavillesi ritrovano nel giorno della sua festa." (di A. Senatore, tratto da Antonio sol novello, 1995, pp. 7-8)
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"Inizio con un aneddoto personale, per dire come S. Antonio viene considerato, dalla comunità degli Altavillesi, un Santo "nostro".
Nel traumatico e lacerante passaggio dalla "civiltà contadina" alla "civiltà dei consumi", stanno venendo meno i tradizionali "luoghi" d'incontro. Quelli nei quali tutta la Comunità si ritrovava, e nei quali si esprimeva l'identità della stessa, con i suoi valori.
"A ciascuno il suo". A noi spetta S. Antonio." (di P. Di Matteo, tratto da Antonio sol novello, 1995, p. 9)
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"Un'occasione per ritrovarsi. Una volta l'anno, la nostra comunità, superando steccati veri o presunti, riscopre il senso di appartenenza, le radici profonde che sottendono il nostro paese, che, come una sorta di linfa, animano il nostro spirito collettivo. E' un vero "miracolo", che si compie, in occasione della festività di S. Antonio. Mai come in questa ricorrenza, cara a tutti gli altavillesi vicini e lontani, motivazioni squisitamente devozionali e religiose, si integrano a meraviglia con una dimensione più vasta, più strettamente civile, sociale e culturale." (di F. Iuliano, tratto dal giornale la Collina degli Ulivi, 1998)
La leggenda dell'agnellino di sant' antonio
"Una leggenda popolare narra che anticamente i monaci del convento di S. Francesco ogni anno ricevevano in dono un agnellino che gli Altavillesi chiamavano comunemente" ù puchurieddo r' Sant' Antoniu". La bestia si allevava da se, perché vagava indisturbata per i fondi vicini e la sera si ritirava al convento. Tutti nutrivano rispetto, perché era la bestia del Santo. Poco lontano dalla chiesa e dal convento, in località Peschiera (qualche decrepito la ricorda), una fornace che preparava la calce. Un giorno si volle fare uno scherzo ai monaci e forse anche al Santo dei Miracoli. Alcuni operai addetti alla fornace ne pensarono una veramente curiosa: uccidere l'agnellino, che per la libertà che aveva, appariva ai loro occhi ben pasciuto.
Tra il dire ed il fare il passo fu breve. Acchiapparono il lanuto, lo uccisero; lo mangiarono e gettarono le ossa nella fornace. I monaci lo cercarono di qua e di là, mentre gli operai se la ridevano. Il Padre Guardiano, conoscendo bene l'animo degli altavillesi, fece prendere la statua del Santo e la fece porre nella piazzetta antistante il convento e aggiunse: "Sant' Antò, tuo è ù puchurieddo e tu cià truvà". I monaci lasciarono la statua nel piazzale e si ritirarono. Era notte alta; un proprietario di Altavilla nei pressi del Convento percorreva a cavallo la strada per casa (c'è chi riferisce che si trattasse di un Contini e c'è chi dice di un Olivieri).
Comunque, chi fosse il personaggio in questione non ha importanza rilevante ai fini della presente descrizione. Il viandante assieme al suo "fattore"
scese dalla sua cavalcatura e si portò a fianco di un fraticello che, seduto su di un muricciolo presso una pianta d'ulivo, sulla stradetta comunale (oggi provinciale 88), a un tiro di schioppo dal convento, si lamentava solo soletto.
Il succitato altavillese gli domandò perché si lamentasse e perché stesse solo a quell'ora in quel luogo. Al che il fraticello rispose: "Sto qua perché mi hanno cacciato dal convento". A queste parole il passeggero si impietosi; e si recò al vicino convento per parlarne al Padre Guardiano. Il Superiore della Comunità, stupito, fece subito la conta dei religiosi nelle celle, ma non rilevò alcuna assenza. Allora questi pensò che si trattava di un fraticello di passaggio; e si portò assieme ai due civili sul luogo indicato. Il fraticello era scomparso. La statua che era nel piazzale, il giorno successivo fu riportata in chiesa. La notizia si sparse in paese. Gli operai della fornace, venuti a conoscenza del fatto, furono presi da indescrivibile paura, anche perché ogni tanto udivano venir fuori dalla fornace i belati dell' agnellino. Per diversi giorni non trovavano requie; poi si decisero di portarsi al convento e raccontarono la verità al Superiore del Convento. Da quel momento il posto in cui fu veduto il fraticello venne dal popolo appellato "Sant' Antunieddu". A seguito dell' evento descritto, stando alle voci correnti, sarebbe stata eretta l'edicola. La parete frontale della nicchia sarebbe stata affrescata con l'immagine di un fraticello e di un albero d'ulivo. L'edicola, poco dopo, ebbe un quadretto raffigurante la Vergine Immacolata che nel 1935 venne sostituita con l'attuale effigie dedicata al Sacro Cuore di Gesù." (di P.T. Olivieri, tratto da Antonio sol novello, 1995, pp. 28-29)
1938: E' miracolo al cuore di gesu'
"Il 25 marzo 1938 si verificò un evento ad Altavilla che merita un cenno di ricordo. La signora
Marandino, il mattino del 25 marzo detto, aveva addosso una certa inquietudine e non se ne sapeva spiegare il motivo. Si sentiva, comunque, amareggiata per un torto subito e in un certo modo avversata dalla cattiva sorte. L'intensa fede, però, per il Sacro Cuore di Gesù le consigliava di portarsi all'edicola, eretta qualche anno prima non lungi dal Vocazionario S. Francesco. La Marandino condusse con sé anche le due figlie: Anna, oggi defunta, e Dora.
Ella s'inginocchio innanzi alla Sacra Immagine, ne fissò il volto e tra gemiti e pianti, esclamò: "Signore, che cosa ho fatto per essere tanto avversata?" .
Passarono alcuni minuti. Che cosa vide? Vide prima l'Immagine diventare gialla e poi chiazzarsi di nero; dopo coprirsi di gocce di sudore. Le prime apparse sulla fronte lentamente scesero sul Cuore. La donna presa da stupore non ebbe la forza di parlare, di gridare. Il sudore era rilevato pure dalle figlie. Riavutasi dopo pochi istanti, ella pensò di partecipare quella visione alle persone che tenevano in custodia l'edicola e quindi ne possedevano le chiavi; prima fra tutte alla signora Mazzei; alla signora Raffaella Tedesco Carrozza e, infine, ad altre che lungo il percorso avrebbe incontrato. Portatesi tutte all'edicola, rilevarono le gocce di sudore. Si trovarono in quel frattempo a passare di là Gaetano Cimino e Carmelo Mordente. Entrambi furono invitati ad esprimere il loro giudizio sul sudore. Essi constatarono il sudore detto, con una certa perplessità.
Il podestà dell'epoca, il notaio Francesco Mottola, udita la notizia, mandò sul posto la guardia municipale, Claudio Criscuolo, il quale aprì la nicchia per riscontrare eventuali tracce di umidità. Umidità, però, non ve n'era; le pareti erano asciutte. Da diversi mesi non pioveva! Viene ricordato il particolare: la guardia trasse un fazzoletto e pulì tanto all'interno quanto all'esterno, il quadro. Fu così inutile! Le gocce si moltiplicarono! Erano tanto luccicanti che sembravano gemme. Si recò sul posto anche il podestà: si suonarono a distesa le campane delle chiese di Altavilla. Il padre vocazionista D. Giorgio Mele si recò pure lui sul posto e invitò gli astanti a recitare il Rosario, litanie ed altre preghiere con intenso raccoglimento. Veniva pure disposto, dalle ore 17 al giorno seguente, un servizio di ordine pubblico, tanta era la folla colà raccolta. Tutti pregavano con vivo fervore.
Le gocce di sudore scomparvero alla ore 3, 30 del mattino del 26 successivo. Il 25 marzo 1938 era caduto di venerdì. Il sudore si ripeté alla distanza di una settimana. Vi furono anche devoti che promisero di offrire il lavoro gratuitamente, nel caso in cui fosse stata intrapresa una fabbrica in detto luogo. La famiglia D'Auria promise di offrire gratuitamente l'impianto elettrico. Una signora di Altavilla, Aida Molinara, maritata Scorzelli, avendo ricevuto una grazia, offrì al Cuore di Gesù degli oggetti d'oro. Il fotografo Francesco Iorio scattò delle fotografie; molte famiglie del luogo posseggono l'immagine recante le gocce di sudore." (di P.T. Olivieri, tratto dal giornale la Collina degli Ulivi, 1995)
LA Scoperta dell'antico affresco
Poco dopo la fine del 1989, il restauratore Renato Valletta nel rimuovere la tela del Solimena si accorse che al di sotto dell'intonaco c'era un affresco ben conservato, racchiuso in un semicerchio che occupa metà dell'intera nicchia. Nel semicerchio vi è un'ellisse, in cui si può ammirare la Madonna che regge, in braccio, con la destra Gesù Bambino e con la mano sinistra gli sfiora il piede destro. Maria ha la veste rossa e il manto arabescato, il Bambino ha il vestito marrone chiaro, e col braccio destro regge la croce; entrambi circonfusi dall'aureola.
Al di fuori dell'ellisse, nel semicerchio, al lato destro del dipinto è raffigurata una Santa, che secondo alcuni esperti raffigurerebbe Santa Margherita da Cortona, però molto probabilmente raffigura Santa Caterina d'Alessandria. La Santa sul capo reca la corona di principessa, nella mano destra regge la palma del martirio e con la mano sinistra regge una ruota, strumento con il quale l'imperatore Massimiliano nella persecuzione la condannò.
La singolare scoperta, attirò ad Altavilla molti visitatori anche forestieri.
L'affresco ora è ricoperto di nuovo dalla tela del Solimena, e sicuramente meriterebbe più attenzione e soprattutto uno studio approfondito dai critici dell'arte. (notizie storiche tratte da: P.T. Olivieri, affresco da sotto l'intonaco nella Chiesa di San Francesco di Altavilla Silentina)
1946: fusione e ricostruzione della campana
Nell'aprile del 1946, la vecchia campana del Convento dei Padri Vocazionisti aveva delle grosse lesioni al punto che doveva essere restaurata o ricostruita tramite fusione.
Allora si decise di formare, per la ricostruzione della campana un comitato composto da: Antonio Mazzeo, Vincenzo Bassi, Antonio Belmonte, Angelo Pacifico e Ulderico Bonafina.
Per l'occasione venne costruito un grande forno sotto l'attento consiglio di Antonio Mazzeo. La campana, venne fusa nel piazzale antistante al Convento dalla ditta Marinelli Felice di Agnone, e venne ricostruita sulla stessa dimensione e lo stesso suono di quella precedentemente fusa (il peso era di circa 7,50 quintali).
Con il rimanente della fusione, e le offerte di piccoli gioielli in oro da parte della popolazione altavillese, sfruttando il forno a loro disposizione, vennero realizzate altre due campane, la prima, di modeste dimensioni, venne donata alla chiesa del comune di Postiglione; l'altra, di piccole dimensioni rimase al Convento.
La campana, dopo una solenne celebrazione, venne posta sul campanile della chiesa il 12 giugno 1946. (notizie storiche di R. Mazzeo)
Appendice I
disegni tecnici e galleria fotografica
PIANTA CON VARIE POSIZIONI FOTOGRAFICHE
1. Foto esterna del Convento
2. Foto entrata principale
3. Foto portale d'ingresso al chiostro
4. Foto cappella SS. Concezione
5. Foto affresco del Solimena raffigurante San Francesco e particolare dell'emblema basale dei Minori Osservanti di San Francesco
6. Foto affresco del Solimena raffigurante Santa Chiara e particolare dell'emblema basale del medaglione di Santa Tersa
7. Foto altare principale e particolari
8. Foto entrata principale ed organo
9. Foto dall'alto dell'altare
10. Foto del pulpito e particolare dell'emblema in oro con sopra la corona e il corrispondente crocifisso
11. Foto interno del chiostro e veduta dall'alto
Appendice II
Documenti Reperti
e
immagini storiche
documenti storici
spese e consacrazione della citta' di altavilla silentina al sacro cuore di gesù
(documenti storici dell'archivio privato di L. Tierno, anno 1935)
permessi in onore della festivita' di s.Antonio
Ill.mo Signor Sindaco del comune di
Altavilla Silentina
Il sottoscritto Marra Saverio fu Cesare prega la S. V. Ill.ma volergli concedere il permesso di poter sparare mortaletti e bombe carte, nei giorni 12 e 13 giugno, in questo comune, in onore di S. Antonio.
Altavilla Silentina 12 giugno 1920
Marra Saverio
Altavilla Silentina 11 giugno 1926
Ill.mo Signor Sindaco del Comune di
Altavilla Silentina
Mi pregio comunicare alla V. S. Ill.ma che nel giorno 13 corrente mese ci sarà la tradizionale processione di S. Antonio, che uscendo dalla Chiesa del Convento percorrerà le vie del paese.
Il nulla osta da parte della S. V. terrà la bontà di darmene avviso ed in pari tempo la prego d'impartire gli ordini per il mantenimento dell'ordine pubblico.
Ringraziandola anticipatamente con ogni stima e tutta considerazione
Sono della V. S. Ill.ma
Reverendo Parroco Francesco di Paola Cantalupi
Incaricato della ChiesaLe pietre tombali
Dio onnipotente e misericordioso
Don crescenzo cantalupo e i figli nicola prosa e i suoi posero questa lapide a divino antonio di padova, fece…….
Anno del signore 1745
Reverendissimo padre gaetano polito di laurino superiore di tutto l'ordine dei minori e di questo, ricordò dopo la visita per la sua clemenza, dopo il suo nuovo ritorno alla citta' di roma. Questa casa che onorò con la sua presenza padre francesco andrea di altavillapose questa lapide in perenne memoria di tanta onorificenza il 27 giugno del 1741.
Per la famiglia francesco vecchio
Anno del signore 1754
Sepolcro
per la famiglia
don antonio maria domenico di masi
anno del signore 1766
Immagini storiche di altavilla silentina e del
convento dei padri vocazionisti
Indice
Capitolo I: Introduzione
-Cenni storici su Altavilla Silentina pag. 5
-Il regno di Napoli in Prospettiva, G. B. Pacichelli pag.11
Immagine e descrizione del Principato Citra pag.12
Immagine e descrizione su Altavilla Silentina pag.14
-Giovan Battista Pacichelli (cenni biografici) pag.18
Capitolo II: Il Convento dei Padri Vocazionisti e la Chiesa di San Francesco
-Planimetria del Comune di Altavilla Silentina con collocazione del Convento di
San Francesco pag.21
-Storia del Convento e della Chiesa di San Francesco dalle origini ad oggi pag.22
-I Padri Vocazionisti ad Altavilla Silentina pag.24
-Il Venerabile Don Giustino Maria Russolillo (cenni biografici) pag.26
-Tavole del 1700 sul Convento di Altavilla Silentina pag.28
-Tavola Seconda:De' legati che rendono a' questo Convento pag.33
-Tavola Quarta: Della Messe affrancate pag.37
-Tavola Quinta: Delle Pretendenze pag.39
-Tavola Sesta: Delli stabili pag.40
-Tavola Settima:Dell'esigenze pag.42
-Tavola Ottava: Tabella da riponersi in Sagrestia pag.44
-Attestato di Consacrazione de' due Altari de' SS. Francesco e Teresa pag.46
-Inventario del 1807 sul Convento di Altavilla pag.49
-Descrizione del Convento e della Chiesa di San Francesco pag.55
-I dipinti della Chiesa di San Francesco pag.60
San Francesco consegna la regola a Santa Chiara pag.60
-Francesco Solimena (cenni biografici) pag.64
-Le statue della chiesa di San Francesco pag.65
Capitolo III: Eventi legati al Convento
-Sant'Antonio da Padova (cenni biografici) pag.71
-Rassegna su alcuni miracoli di Sant'Antonio pag.73
-La Rivoluzione e il miracolo di Sant'antonio pag.80
-La festa di Sant' Antonio ad Altavilla Silentina pag.81
-La leggenda dell'agellino di Sant'Antonio pag.87
-1938: E' miracolo al Cuore di Gesù pag.89
-La scoperta dell'antico affresco pag.91
-1946: Fusione e ricostruzione della campana pag.92
Appendice I
-Pianta con varie posizioni fotografiche pag.98
Foto esterna del Convento / foto entrata principale pag.99
Foto portale d'ingresso al chiostro pag.100
Foto cappella SS. Concezione pag.101
Foto affresco del Solimena raffigurante San Francesco e particolare pag.102
Foto affresco del Solimena raffigurante Santa Chiara e particolare pag.103
Foto altare principale e particolari pag.104
Foto entrata principale ed organo pag.106
Foto dall'alto dell'altare pag.107
Foto del pulpito e particolare pag.108
Foto interna del chiostro e veduta dall'alto pag.109
Appendice II
Spese e atto di consacrazione della Città di Altavilla Silentina al S. Cuore di Gesù pag.112
Permessi in onore della festività di S. Antonio pag.117
-Immagini storiche di Altavilla Silentina e del Convento dei Padri Vocazionisti pag.122
BIBLIOGRAFIA
G. Galardi R. Messone, Altavilla Silentina, Salerno 1987
A. Ferrara A. Ferrara, Cenni storici su Altavilla Silentina, Salerno 1898
P.T. Olivieri, Inventario degli oggetti esistenti nelle Chiese di Altavilla Silentina, Salerno 1999
P.T. Olivieri, Vicende dell'antico convento di San Francesco, Salerno 2001
P.T. Olivieri, La chiesa di San Francesco piccola santa croce di Altavilla Silentina, Salerno 2003
O. Mottola, La collina degli ulivi, Altavilla Silentina 1992
G. B Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1703
Associazione Culturale Altavilla Viva, Antonio sol novello, Castelcivita 1995
Associazione Culturale Altavilla Viva, La Collina degli Ulivi, Altavilla Silentina 1995
Associazione Culturale Altavilla Viva, Una Festa, un paese, Altavilla Silentina 1998
Associazione Culturale Altavilla Viva, Sant'Antonio, la festa nel bicentenario del Miracolo,
Altavilla Silentina 1999
Comitato festa Sant'Antonio, Il Santo, Altavilla Silentina 2000
Comitato festa Sant'Antonio, Il Santo, Altavilla Silentina 2002
SITOGRAFIA
www.conventodialtavillasilentina.it
www.brunodivenuta.it
www.comune.altavillasilentina.sa.it
www.padrivocazionisti.it
www.santantonio.org
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