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lunedì 12 aprile 2010

Donato Galardi: maestro, ultimo segretario del Fascio e consigliere della povera gente


 


 

"Uomo estroverso e fantasioso. Gli altavillesi e persone di paesi vicini si recavano, da tempo immemorabile, da lui per consigli o per inoltrare istanze ad Uffici o personalità del mondo politico e aiutava tutti gratuitamente... ". A parlare è il professor Paolo Tesauro Olivieri, uno dei più illustri allievi del maestro Donato Galardi. Era davvero troppo piccola Altavilla per quel ragazzo che d'inverno lavorava nel frantoio della famiglia Galardi. In lui lo spirito d'avventura ed il bisogno di vivere in orizzonti più vasti si univa al possesso dei numeri per poter andare lontano. A capirlo fu proprio il maestro Donato Galardi. Prese a cuore il caso e v'interessò il fratello Nicola, che era capodivisione al Ministero della Difesa, e gli trovarono così un posto da cameriere in un prestigioso ristorante romano. Da quell'intuizione ebbe origine la bella favola di Alberto Califano, questo è il nome del nostro eroe, che passò da Roma a Parigi, dalla Spagna alla direzione del Mocambo, uno tra i locali più in di Los Angeles, dove incontrò l'attrice americana Virginia Belmond (interprete di film come Il bacio di una morta e Ponte della Concordia) con la quale iniziò una storia d'amore lunga una vita.

Questa piccola storia racconta bene il carattere del personaggio Donato Galardi. Non un notabile di paese ma il punto di riferimento obbligato soprattutto per chi veniva da umili origini. A tutti riusciva a dare un suggerimento, un consiglio.

E quelle consulenze non gli venivano ripagate in denaro ma con minestra di rape, uova e qualche raro pollo. Dall' aspetto fisico imponente, alto e robusto, e con un'aria severa da simpatico burbero benefico. Non si separava mai da un bastone (di cui avrebbe potuto fare a meno) che portava sulla testa per alzarlo ritmicamente con le due mani, come a voler fare ginnastica. Appariva così nella Piazza d'Altavilla Silentina il maestro Donato Galardi con pesanti gambali ai piedi ed il portamento solenne e la curiosa abitudine di andare (di prima mattina) ad arrampicarsi ad un albero di leccio vicino a dov'era allora il Monumento ai Caduti, per tenere il fisico in esercizio. Sì, perché del Fascismo (di cui fu l'ultimo segretario del locale Fascio, con Ferdinando Napolitano come impiegato) a Donato Galardi piacquero soprattutto lo sforzo vitalistico, i salti nel cerchio di fuoco, le esercitazioni premilitari per i ragazzi e le canzonette che esaltavano la Patria guerriera e che incitavano a costumi di vita più spartani, nell'attesa degli scontri decisivi. Non era un fanatico e non fece ingoiare a nessuno l'olio di ricino ma fu un inflessibile cerimoniere del mito.

UN ROMANTICO ESTETA. La "tessera" la prese nel 1925 ma la carriera nel PNF altavillese riuscì a farla solo dopo aver stipulato un momentaneo armistizio con il suo storico antagonista, il notaio podestà Francesco Mottola. Galardi, dicevamo, fu più un esteta del Fascismo e della sua retorica che un aderente alla politica mussoliniana. Forse anche per questo quando ci furono le terribili giornate conseguenti allo sbarco dell'otto settembre del 1943 non si scompose eccessivamente. Lo videro continuare a passeggiare in Piazza, con l'immancabile "cimice" (un distintivo metallico) fascista appesa al petto. Gli amici lo imploravano invano di farla sparire, come facevano in tanti. Oltre a seppellire i morti e cercare qualcosa da mangiare, l'altra occupazione principale degli altavillesi era proprio quella di sbarazzarsi di distintivi, accette, littori e fasci del Pnf. A queste preoccupazioni il maestro Galardi sembrava indifferente, così come guardava con sufficienza a chi accendeva ceri alla Madonna e a S. Antonio affinché i grappoli di bombe o i colpi d'artiglieria che venivano dalla marina di Paestum e di Salemo e dalle pance degli aerei smettessero di trasformare le case prima in grandi colonne di fumo e poi in macerie. Gli raccontavano anche che alcuni giovani aspettavano impazienti l'allarme aereo per darsi alla fuga nei campi, per ore e di libertà, per quegli spazi d'intimità tra ragazzi e ragazze che ad Altavilla essi non avevano mai avuto. Insomma, il paese, da qualsiasi parte venisse guardato, appariva come un gigantesco caos. La vita e la morte, la codardia e l'eroismo entravano contemporaneamente nella vita di tutti. Di questo clima anche Piero Chiara, nel "Balordo", ci offre un significativo spaccato e fa parlare proprio il gruppetto dei maggiorenti del paese che si rinfacciano a vicenda la passata adesione al Fascismo e l'esaltazione del progresso dei lavori della Bonifica fatti durante il Ventennio che tutti d'orbace faceva vestire.

LA FAMIGLIA. I Galardi sono originari di Roccadaspide e sono spinti ad Altavilla dalle vicende politiche del 1848. Da noi dove c'era maggiore tolleranza e soprattutto una tradizione liberale e massonica che affondava le sue radici nei fatti del 1799 quando Altavilla fu fieramente giacobina. I tempi erano pieni di novità e di tragedie. Il giovane Donato crebbe negli anni più difficili d'Altavilla. La ferita del brigantaggio era ancora aperta e molti erano in galera. Nel paese s'era scavato un solco profondo tra le famiglie che furono dalla parte di Tranchella e di Scarapecchia e chi aveva collaborato con le truppe d'occupazione piemontesi. In questo piccolo mondo antico in cui le signorine spesso conoscevano il fidanzato ...sull'altare, la politica era affare di pochi e con una lotta feroce quanto mediocre che coinvolgeva anche i nuclei parentali. Su tutti incombeva un groviglio di grossi problemi, alcuni erano addirittura primordiali. Le malattie, le epidemie, le infezioni, il tifo erano all'ordine del giorno. Molte parti del paese erano un vero e proprio letamaio. Un nido di vespe. In mezzo c'erano i malsani ricoveri di miseria in cui la gente dormiva accanto ai canali di scolo, tra frotte di topi in grado di divorare bambini. Accanto a qualche commerciante benestante sopravvivevano tanti artigiani che sbarcavano a fatica il lunario ed una massa di contadini e braccianti che mangiavano una sola volta al giorno. Il ceto medio era ridotto a qualche medico, il notaio e i maestri elementari che campavano più per le proprietà temere che per i proventi della loro professione. Il paese aveva allora poco più di 3.300 abitanti, divisi in 841 nuclei familiari Solo 300 altavillesi sapevano leggere e scrivere e pochi, 229, non risiedono nel capoluogo. Dal 1871 al 1896 quasi mille altavillesi prendono la via delle lontane Americhe. Si moriva facilmente: nel 1867 il colera uccise 234 persone. Nel 1871 la maggior parte bambini viene falciata dalla difterite. Nel 1887 arrivò il vaiuolo arabo e nel 1890 l'influenza a fare altri morti. C'era la fame: nel 1871 e nel 1878 non ci furono raccolti e nel 1879 crebbero solo pochi fichi che, mangiati avidamente, provocarono infezioni viscerali e fecero morire molti vecchi. Ci furono anche avvenimenti eccezionali come le aurore boreali del 1870 e 1872 e con cadute di meteore. Nel 1880 il sindaco Achille Alberto Baione implicato in numerosi scandali locali fu ucciso alla località Fontanella. Nel 1893, padre Raffaele Barra, l'ultimo francescano officiante nel Convento, fu addirittura lapidato ed il complesso ecclesiastico chiuso.

IL SISTEMA D'ISTRUZIONE PUBBLICA. "Sono a carico delle finanze comunali gli stipendj del segretario e vice segretario, di due maestri e maestre, del medico condotto, del banditore, del regolatore dei pubblici orologi, di quattro becchini, la pigione delle scuole, del custode del camposanto e del cappellano". Così scrivono i Ferrara nel 1898 e ci fanno intuire un sistema d'istruzione pubblica gestito interamente dal Comune di Altavilla Silentina, certamente senza scialo di fondi. Esemplare è la vicenda dell'asilo infantile aperto nel 1865 e che ebbe tribolate vicende e fu più volte chiuso per mancanza di fondi. I maestri elementari erano quindi di nomina comunale ed è in questo quadro che Donato Galardi matura le sue prime esperienze di lavoro. Agli inizi del nuovo secolo comincia ad aumentare la popolazione che risiede in campagna cosi che a Cerrocupo è istituita una scuola elementare affidata al maestro Giuseppe Di Masi e molto tempo dopo la siciliana Rosa Galafioti va ad insegnare a Sgarroni. Di scuole nella Piana ancora non se ne parla. Ad Altavilla paese c'erano (con Galardi) Angelo Belmonte, Elisa Iavarone, Vespasiana Carrozza e Rocco Morrone. Le scuole elementari erano all'ultimo piano del Palazzo Brunetti che si affaccia su Piazza Umberto Io e prima ancora nel Granile dei Mottola, adiacente al Castello.

Fu per fare il maestro che venne ad Altavilla Domenico Cavallaro, primo elemento di spicco del gruppo dei fascisti altavillesi "della prima ora", che spalleggerà Donato Galardi nella sua lunga guerra contro don Ciccio Mottola. Sugli inizi di questa contrapposizione la tradizione orale offre una spiegazione che si rifà al celeberrimo "cherchez la femme", cercate la donna: la nota intimazione dei vecchi poliziotti e cronisti di nera. Si dice infatti che furono i begli occhi e le generose forme di una popolana altavillese del centro storico a dividere i due illustri contendenti. La contesa politica coprì solo uno scontro per contendersi i favori di una donna che accontentò entrambi, stante ad una vox populi che ancora oggi a più di mezzo secolo dalla morte di entrambi sopravvive?

No, ci furono sicuramente altre motivazioni. Venivano entrambi da due famiglie, della cosiddetta nuova borghesia dei galantuomini, emerse dalla liquidazione delle proprietà feudali e dalla divisione dei demani. La formazione di cospicue proprietà temere, anche ad Altavilla, affonda le sue radici nei traffici per acquisire le quote già assegnate a cittadini che non avendo soldi per pagarle preferirono vendere tutto e prendere la via dell'emigrazione americana. Le famiglie borghesi e sia i Mottola che i Galardi vantavano oltre a solidi patrimoni anche ascendenze liberali e risorgimentali si differenziarono quando si ebbe a che fare con i briganti (vedi la vicenda di Rosario Galardi) e si unirono quando ci fu da far sopprimere il diritto del "focatico": l'uso di raccogliere liberamente la legna nei boschi e nei terreni ex universali, che cozzava contro i diritti della proprietà piena del bene posseduto.

Già sul finire del XIX Secolo comincia un'aspra lotta tra le famiglie più in vista (Galardi, Mottola, Sassi, Cennamo, Ferrara, Contini, Mazzei, Cancro, ecc.) per il controllo assoluto del potere locale. In questa contesa Donato Galardi scelse di rappresentare il popolo minuto e la nascente piccola borghesia intellettuale. Gettò sul piatto anche il grande prestigio culturale di cui godeva come educatore di diverse generazioni d'altavillesi.

L'ORATORE. Fu oratore di grande efficacia. La parola gli veniva facile ed era bravo nel collocarla al punto giusto dei suoi discorsi. Amava anche la battuta dialettale, si sforzava insomma di rendere "popolare" la sua esposizione. Alcune sue frasi sono ancora oggi tramandate dalla tradizione orale: quando fu eletto sindaco disse: "non aspettatevi da me grandi cose, non sono un taumaturgo". Si ricordano anche i suoi necrologi: Per il maestro Belmonte disse: "si sacrificò tutto per la scuola, invecchiò anzitempo" e per la giovane maestrina Vitalina Di Matteo commosse tutti quando racchiuse la sua breve vita con queste semplici parole: "io che ti vidi bambina ...e più tardi giovane insegnante". Galardi è stato anche l'autore delle più belle epigrafi funerarie presenti nel nostro cimitero. Da ricordare, la semplicità e l'efficacia, quella dedicata ad Armando Di Masi, un giovane di vent' anni, figlio di una sua cugina, che si uccise, assieme alla fidanzata, perché i genitori di entrambi non acconsentivano all'unione: "Visse e morì di amore". Di formazione classica ma d'impronta retorica Galardi fu sempre un purista, della lingua italiana. Sul suo tavolino, fino alla morte, ci fu sempre un vocabolario della lingua italiana frequentemente consultato... E se per strada incontrava qualche ragazzo in età scolare amava metterlo in imbarazzo con qualche fulminante domanda a bruciapelo. Giuliano De Rosa, che lo ebbe come vicino di casa, ricorda ancora le domande su il "cercine" e la "naticchiola". Amava molto anche gli aforismi e gli piaceva giocare con i cognomi delle persone. Così apostrafava un malcapitato Guarino: bevi vino? o un Mordente che non morde mai. Con il calzolaio Valitutto cominciava ogni volta una lunga filastrocca di "vali tutto... vali molto ... vali niente..."

ORESTE MOTTOLA

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