"Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituirono saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra"
GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA IL GATTOPARDO
Il fascismo ad Altavilla fu "importato" da due giovani studenti: Raffaele Suozzo ed Angelo Molinara, quest'ultimo morì nel 1929 dopo un acceso discorso. I due trovarono nel giovane maestro elementare Felice Cavallaro la loro prima guida. Furono loro ad accapigliarsi con le ex Guardie Regie Francesco Tesauro e Vito Guerra che, per l'istituzione della Milizia fascista, avevano perso il posto. Fu il proprietario terriero ed industriale, Farina, già deputato popolare poi confluito tra i fascisti, un "riciclato di lusso" del tempo, a pilotare l'ingresso dei vecchi notabili di paese già cattolici o liberali nelle file fasciste. Fu così anche per don Ciccio. Il 25 febbraio del 1924 il Sottoprefetto di Campagna, militante fascista, scrive al Prefetto di Salerno per rassicurarlo che: "...il sindaco di Altavilla, Cav. Mottola, venuto qui per conferire ha assicurato la sua adesione (..) al movimento in favore della lista Governativa, ove è stato incluso un suo amico personale e cioè l'onorevole Farina. Sarà opportuno, comunque, che per accertarsi della sincerità del Cav. Mottola, che l'onorevole Farina lo chiami e gli faccia impegnare la sua parola di gentiluomo". Quando ci fu da votare per dare il via all'instaurazione del regime, furono solo due gli altavillesi che dissero di no. Uno era il sarto Antonio Morra, antifascista irriducibile, che varie volte fu picchiato perchè non voleva scappellarsi davanti alle sfilate di regime. Gli resero la vita talmente impossibile che scelse di andarsene definitivamente a Napoli. L'altro era Enrico Galardi.
Francesco Mottola, notaio e grande proprietario terriero del paese, tratta da pari a pari con l'apparato statale e fa pesare il suo legame con l'ex deputato popolare Farina e diventa fascista. La sua fu un'adesione all'acqua di rose, un modo per restare nel "club" dei potenti. Nel 1936 dovette anche lui era podestà tenere un discorso per la conquista dell'impero d'Etiopia e non trovò di meglio che ironizzare sulla nebbia inglese che rendeva cieca l'odiata Inghilterra. La camicia nera, la tessera e la "cimice metallica" furono nient' altro che il prezzo per tenere sotto controllo l'altra fazione paesana che faceva capo a Donato Galardi, Gaetano Mazzei, i Sassi, il maestro Suozzo ed Antonio Cancro. In palio c'era il controllo sia dei pochi impieghi comunali ma soprattutto di alcuni beni comunali come le terre di Ferragine che già allora venivano fittate dal Comune a terzi. Verrà, infatti, firmata da Antonio Cancro una lettera al vetriolo che accuserà Mottola "di essere il vero fittuario di Ferragine nascosto dietro il prestanome di Antonio Pacifico ed insieme con il consigliere comunale Giuseppe Cennamo". Dietro questa denuncia che cadrà nel vuoto molti ci vedranno una "manona" più importante.
Forzando gli avvenimenti si può notare come dietro a Mottola ci fosse molta della vecchia Altavilla (Pipino, Di Verniere, Cembalo, Morrone, Guerra, Carrozza, Cennamo, Gallo, Ingenito, sono i cognomi dei sostenitori del sindaco podestà), mentre dall'altra parte sono i calabresi Sassi, il rocchese Galardi e da Piaggine venivano i Mazzei. Ed alla fazione di Mottola andranno anche importanti incarichi extra locali come la carica di podestà di Albanella (lo stesso Francesco Mottola) e quella di Capaccio, che sarà tenuta dall'avv. Antonio Carrozza.
IL PERSONAGGIO. Nei primi anni del dopoguerra al giovane carabiniere altavillese Virgilio Di Lucia capitò una volta di viaggiare in treno nello stesso scompartimento dell'avvocato Enrico De Nicola, che diventò di lì a poco primo presidente della nostra Repubblica. Ed ebbe così la fortuna di avere una conversazione con il celebre ed estroverso avvocato napoletano che, quando seppe il paese di provenienza del giovane, gli confidò d'essere "grande amico" del notaio Francesco Mottola che già nel 1919 era stato insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia.
E dell'ambiente liberale e massonico di Salerno e Napoli don Ciccio, come lo chiamavano tutti, fece sicuramente parte perchè conoscitore di molti di quelli che contavano. Cognato di due avvocati napoletani: Amerigo Crispi e Antonio Orilia, il primo (che aveva sposato Angelina Mottola) era un vero e proprio "principe" del foro partenopeo e difese, su richiesta di don Ciccio, sia Ulderico Buonafine, per la zecca clandestina, che il barone Ricciardi di Capaccio incappato in una storia di borsa nera nel secondo dopoguerra. Crispi veniva ad Altavilla a far visita al cognato con una lussuosa Rolls Royce nera, che sfidava le strade ancora precariamente imbrecciate.
CON AMENDOLA. Già sostenitore di Giovanni Amendola, Mottola era in contatto stretto con gli uomini dell'Unione Democratica Meridionale, del prestigioso uomo politico salernitano con la proprietà e la casa di famiglia nella Valle dell'Imo, e che morì per le bastonate fasciste. Carlo Liberti, Clemente Mauro, Ruggiero Moscati, Giovanni Cuomo e Giovanni Salvi, gli uomini del liberalismo salernitano, furono da sempre i suoi punti di riferimento. Il fascismo azzerò questo ceto politico e lo costrinse a fare i conti con i nuovi padroni dell'Italia. Caduto il regime furono alcune di queste amicizie che gli avrebbero permesso d'intervenire a favore del prefetto Fritz D'Aiuto, originario di Serre, che rischiava l'epurazione da parte di Mario Berlinguer e Tito Zaniboni, i due incaricati dal governo di Badoglio di individuare i fascisti più compromessi.
IL CARATTERE: LUCI ED OMBRE. Personalità dalle forti luci ed ombre. Per alcuni benefattore illuminato, per altri dittatorello di paese. Nato in un'Altavilla dove votavano in 102 elettori conservò sempre una concezione molto elitaria della vita politica e sociale. C'è chi ricorda ancora la vita della famiglia Mottola separata dal resto del paese da quel cancello monumentale vicino a dove fu l'albero del Buon Cazzone. Chi lo ha conosciuto, come il professor Paolo Tesauro Olivieri, ha scritto: "Uomo di poche parole, quasi introverso, preparato, fermo nelle decisioni, apparentemente distaccato, ma sempre disponibile ai bisogni "spiccioli" del popolo". Alto e robusto dal fisico gagliardo tanto che gli anziani ricordano ancora di quando si metteva a caricare le cassette di pomodoro sul camion o quando sulle strade comunali si metteva a lavorare con i due fratelli Giuseppe e Buonaventura Poppiti, instancabili spaccatori e posatori di pietre, per ricavare quella "massicciata" precariamente ricoperta di breccia che era propria delle nostre strade più trafficate.
LE ORIGINI FAMILIARI. Nacque nel 1881 e si sposò nel 1908 con la rofranese Chiquita Francesca Sofia che nel nome di battesimo già rivela il sangue spagnolo della madre, che era una Rodriguez De Sousa. Cattolicissima mentre il marito era quantomeno freddo con la religione la signora Chiquita era sempre pronta ad accorrere al capezzale di malati e partorienti. La mamma di don Ciccio era invece l'irpina Giuseppina Berrilli, che veniva da Calitri. Appena sposato, venne anche eletto per la prima volta sindaco.
Del ramo altavillese della famiglia Mottola avevano fatto parte giudici, notai, avvocati, pittori ed abati che nel 1831 avevano acquistato a Napoli, ad un'asta, il Castello che era stato dei Solimena . Nato e cresciuto in Altavilla contrassegnata da una nuova borghesia fondiaria dedita all'incremento della terra posseduta ed alle lotte per la gestione amministrativa del Comune, da plebi rurali affamate da un'eccessiva parcellizzazione della terra, da un'economia di sussistenza incapace di organizzarsi secondo i criteri capitalistici o del solidarismo cooperativo, il paese presenta tutti i tratti tipici delle aree marginali del Mezzogiorno ottocentesco. Le cospicue proprietà fondiarie, la professione di notaio ed il possesso del prestigioso Castello avrebbero potuto consentirgli una tranquilla vita di rentiers, d'agrario assenteista come facevano molti altri, ma don Ciccio, scelse la via dell'imprenditoria ed aprì una delle prime fabbriche conserviere nate nel Salernitano.
LA FABBRICA E LE ALTRE ATTIVITA' IMPRENDITORIALI. Per quasi diciotto anni la vita di Altavilla Silentina è stata scandita dal suono della sirena della fabbrica di conserve di don Ciccio Mottola. Nel 1912 parte la produzione della "menestrella", un particolare tipo di concentrato di pomodoro. Tutto intorno al Castello ferveva l'attività. C'era un sistema semiautomatico di grossi secchi che si sollevavano e mandavano il prodotto finito nei "buattoni" di latta da 25 Kg che costruivano uno ad uno Luigi ed Ermenengildo Guerra. Le lastre di metallo arrivavano alla stazione di Albanella a 100/200 q.li alla volta e agli inizi di febbraio Giuseppe Di Matteo, Vincenzo Baione, Vito Gargano e Roberto Perito costruivano i contenitori in cui s'inscatolava il pomodoro lavorato. A dirigere i lavori erano due fratelli di Nocera: Francesco e Giovanni Mosca. Della segheria si occupava Luigi Soriente, un altro nocerino, e Diamante Marra l'aiutava. Erano loro a costruire le casse che servivano per raccogliere i pomodori nei campi. Cerrocupo era la contrada altavillese al centro d'entrambe le produzioni: sia i pomodori che gli alberi di pioppo per i contenitori. Dalle proprietà di famiglia lungo il Calore, con due "traini" a trazione animale (affidati a "Cicchiello" e Nicola Ruggiero ed un camion Fiat 15/ter con i pneumatici a gomma piena, guidato da Donato Lauria e dallo stesso don Ciccio. E con il camion dal fiume si portavano fin su Altavilla delle cisterne d'acqua. Il capo/fabbrica era Antonio Perillo, un uomo alto, bruno, con i baffetti, gran lavoratore ed altrettanto grande bevitore di vino. Il capo dei fuochisti era Giuseppe Iuliano. Il pomodoro d'Altavilla era allora assai rinomato. Le "lampadine" (S. Marzano) avevano tanto un nome che i conservieri del nocerino, venivano anch'essi a fare provviste di concentrato da Mottola. ad Altavilla. La fabbrica chiuse nel 1930 perchè incappò sia nella grande crisi per il crollo di Wall Street per il "giovedì nero" che per l'imprevidenza del socio di Serre, Tancredi, che vendette in America un intero piroscafo di pomodori ma senza ... essere pagato. Fu un buco da 37.000 lire, una cifra stratosferica per l'epoca. Quello di Mottola non era l'unico conservificio di Altavilla perchè un altro (più piccolo) funzionava a Quercioni ed era di Luigi Cennamo e Francesco Lanza. I pomodori erano trasportati con il camion Ford guidato da Carlo Brunetti.
La politica economica fascista, dominata dalla parola d'ordine "dell'autarchia" fece il resto. Con le esportazioni bloccate l'intero sistema delle fabbriche conserviere del Salernitano fu quasi tutto spazzato via: sulle 102 industrie del 1928, ben 48 furono costrette a chiudere. Resistono alla crisi, grazie all'intervento massiccio del capitale pubblico, siamo alle prime operazioni del neonato Iri, solo le aziende collegate alle grosse concentrazioni industriali come Cirio. Le medio piccole fabbriche altavillesi sono invece spazzate via e solo nella seconda metà degli anni Trenta il rampante imprenditore (ed importante gerarca fascista) Carmine De Martino industrializza Carillia con un conservificio, un tabacchificio ed una segheria. Occorre precisare che De Martino aveva acquistato (a prezzi politici) larghe parti del demanio di Persano che aveva disboscato e stava mettendo a coltura. Si trattava di imprenditoria protetta e sostenuta dal Regime. Ciò che nonostante ascendenze e conoscenze non verrà nemmeno proposto a Don Ciccio Mottola! Nel dopoguerra, Dc imperante, lo Stato ricomprerà a prezzi di mercato quelle stesse terre debitamente disboscate e le distribuirà ai contadini con i poderi della Riforma Fondiaria.
Sopravvisse al conservificio l'attrezzato frantoio per la lavorazione delle olive. Con cinque presse e due frantoi circolari, un cassettone in cemento armato costruito da De Blasio a mo' di bilanciere e su tutto la pressione costante fornita da un motore a gas povero,"tipo 8" della tedesca Landeen & Wolf. Ci lavoravano 15 operai e la direzione era sempre del "caporale" Antonio Perillo con Antonio Cupolo. Con due turni di lavoro si arrivava a "macinare" fino a 100 tomoli di olive al giorno. L'olio veniva recapitato a domicilio nei recipienti di pelle di capra ma il grosso della committenza veniva dalle 2.000 piante d'ulivo che erano direttamente di proprietà della famiglia di Francesco Mottola.
LE TESTIMONIANZE UFFICIALI. Il 10 gennaio 1930 fu consegnata la relazione sull'ispezione fatta fare dalla Prefettura di Salerno sulla conduzione dell'Amministrazione Comunale di Altavilla Silentina. Per l'ampiezza e la meticolosità è sicuramente un documento storico di notevole affidabilità. Sulla figura di Mottola c'è un'ampia trattazione: "Il Cav. Mottola, notaio del luogo, industriale, fornito di cospicuo censo, fu all'epoca dell'antico regime capo del partito della democrazia liberale, mentre i suoi oppositori (...), il Sassi () ed il maestro Galardi, erano gli esponenti locali della democrazia sociale. Pel gioco dei partiti di un tempo, il Mottola subì (nel 1908) un'inchiesta dall'Ispettore Generale Ferri. Il Consiglio Comunale fu sciolto, ma fatte le elezioni tornò al potere e delle risultanze dell'inchiesta non si parlò più. Entrato nei ranghi fascisti fu Sindaco e sarebbe stato Podestà se alla vigilia della nomina, dai suoi avversari artificiosamente non sarebbe stata promossa una azione popolare per una pretesa usurpazione di suolo nella piazza del paese alto adiacente alla sua ricca abitazione, tratta dalla trasformazione di un antico Castello. Il Mottola è persona attivissima; nella sua fabbrica di pomodori e nell'azienda agricola impiega da 120 a 130 operai. Durante il suo sindacato diede energico impulso al miglioramento del paese; l'ampliamento del cimitero, l'acquedotto sono opere sue. E' opinione generale ch' egli avrebbe sempre dato pel Comune, mai preso e profittato. (...) Al Mottola i suoi avversari non danno tregua: il prof. Galardi dal seggio magistrale ed il dottor Sassi sono ritenuti gli ispiratori degli attacchi che gli vengono mossi da ogni lato, quale professionista, quale contribuente, quale amministratore del Comune, nella famiglia, nell'onore, in tutto".
Il documento trascritto introduce all'accesa contrapposizione di Mottola con Galardi. Ne fornisce comunque un'analisi fredda e distaccata che il cultore di cose storiche ripropone con sicurezza: "... (il Mottola) "fatto segno a calunniose e velenosissime accuse da parte dei suoi avversari, che gli hanno attribuito financo dei reati, come risulta dalle copiose e frequenti inchieste dell'Arma dei Carabinieri, ha finito per odiare il dottore Sassi ed il maestro Galardi, che ritiene gli ispiratori di ogni ricorso ed anonimo. Quindi lotta ad oltranza di costoro contro di lui e contro costoro: lotta che continua da anni e di cui non si scorge la fine".
LA GUERRA Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Castello dei Mottola fu teatro di vari avvenimenti e lo visitò il generale italiano Chatrian, già reduce dalla sfortunata difesa della Sicilia dall'invasione degli alleati e, da badogliano e seguace di casa Savoia, in contatto con il Comando Alleato per aver fatto parte del gruppo che trattò l'armistizio. Il generale Chatrian, che conosceva don Ciccio Mottola, venne ad Altavilla durante un giro segreto d'ispezione per vedere come il generale tedesco Rommel stava impostando il ritiro delle sue truppe dalla Calabria. Troveremo poi lo Chatrian nelle alte sfere del governo Badoglio a Salerno.
Diversa la storia che porterà don Ciccio a diventare amico del poliziotto americano Rodolfo Sturm. Quando, dopo aspri combattimenti, gli alleati riescono a riconquistare la collina d'Altavilla Silentina partono le prime denunce per collaborazionismo, spionaggio ed intesa col nemico. L'agricoltore Antonino Gallo ed Antonio Guarino rischiarono addirittura la fucilazione: il primo perchè dalle adiacenze della propria abitazione vicina alla Chiesa del Carmine operava con una mitragliatrice un pericoloso cecchino tedesco ed il secondo (Guarino) siccome era stato a lavorare in Germania aveva fatto da interprete per i tedeschi. Furono addirittura condotti davanti al plotone d'esecuzione già schierato in Piazza e solo le preghiere di Antonino Gallo alla Madonna del Carmine (di cui era un acceso devoto) convinsero un ufficiale americano a cercare di capire le reali responsabilità dei due, fu quella sommaria istruttoria ed il pronto intervento del parroco don Domenico Di Paola che permise di scagionarli e salvò la vita ad entrambi. Vengono arrestati anche Luigi Cennamo, commissario prefettizio del tempo, ed il notaio Francesco Mottola. Quest'ultimo viene condotto a Capaccio, ma dopo un sommario interrogatorio, il poliziotto Rodolfo Sturm, si rende conto di avere di fronte un rispettabile notabile di paese non certo un gerarca fascista e lo rilascia subito. Da qui nasce un'amicizia che continuerà negli anni successivi.
Nei primi giorni dalla Liberazione anche ad Altavilla s'insedia un Comitato di Liberazione Nazionale formato dai rappresentanti altavillesi dei vari partiti. I problemi dell'approvvigionamento alimentare, la rimozione delle macerie dei bombardamenti e la restaurazione della democrazia erano gli ambiti d'intervento e di discussione. Ne facevano parte: Aurelio Pipino e Oscar Cimino per la Democrazia Cristiana, Giovanni Di Feo e Giovanni Giello per il Partito Comunista, Aniello Mazzeo e Carmine Cembalo per la Democrazia del Lavoro, Daniele Guerra e Gennaro Di Marco per i socialisti, Francesco Lettieri e Donato Rizzo per gli azionisti. Il presidente era un grande invalido di guerra che aveva lasciato gli arti in Russia ma s'era dotato di una coscienza politica e civile: Gennaro Di Marco, socialista, originario di Sgarroni ma dimorante nel Borgo e qui a casa sua si svolsero le prime riunioni.
Nel dopoguerra la "Stella" di don Ciccio continuò a brillare nelle elezioni del 1946, vinte con Saverio Pipino sindaco. Fu sconfitto nel 1952, quando vince Donato Galardi (muore dopo pochi mesi), si afferma nel 1958, e come per il suo storico antagonista, è costretto ben presto a lasciare il potere municipale. Il paese volta pagina, e si affida ad Antonio Tedesco. L'era Mottola, durata per un Cinquantennio, è finita. Ora è la volta della Democrazia Cristiana.
ORESTE MOTTOLA
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