di Oreste Mottola
Parte I - Chi era
Di lui si disse che ne faceva e ne sapeva una più del Diavolo. Amava descriversi così: "per me ci vuole nu chianchiere (macellaio, ndr) buono per tirarne mezzo chilo di carne". Era una pertica: alto, snello e con il corredo di un curato paio di baffi. Tutto muscoli, intelligenza e voglia di vivere alla grande. Lo sguardo era severo, quasi dolente, da cui traspariva un'ombra d’interiore austerità antica. Sempre educato e discreto, di carattere gioviale, non alzava mai la voce.
D’andatura lesta e felpata, indossava sempre un'elegante giacca a quadri e sopra, d'inverno, un cappottone nero che gli dava un aspetto che era per alcuni, da galeotto appena evaso, per altri, invece, da artista raffinato.
Gentiluomo all'antica, con il vezzo di portare all'occhiello della giacca, un bottone scuro che sotto portava scritto la frase: fatevi i cazzi vostri ed era sempre pronto a mostrarlo al malcapitato che gli rivolgeva una domanda importuna. Non si negò niente: da una vivace attività imprenditoriale (Mulino, forno, ed una modernissima officina meccanica) a donne, musica e banchetti. . . fino alle sedute spiritiche e sconfinamenti nello stesso campo della medicina. Una personalità poliedrica, veramente leonardesca che attraversò da protagonista gli anni altavillesi dalla fine dell'Ottocento all'alba degli anni '6O. Ulderico Buonafine, con il "don" acquisito non per le ricchezze ma per l'indiscussa fama e considerazione di cui godeva, questo è il nome del Nostro, seppe vivere davvero bene nell' Altavilla che viveva la grande ondata dell' emigrazione americana, la Grande Guerra, le epidemie di spagnola ed il flagello della malaria, e poi il Fascismo con le guerre coloniali in Africa, la bonifica della Piana e i lutti e le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. Per ricominciare dopo con la Ricostruzione postbellica ed ancora con l'emigrazione verso la Germania, la Svizzera ed il Belgio. Il potere politico rimaneva sempre saldamente accentrato nelle mani di don Ciccio Mottola.
Ulderico Buonafine, l’artigiano eccentrico, insieme con il notaio imprenditore Mottola erano le figure di riferimento di un’Altavilla laica che non aveva certo rapporti facili con il clero locale in anni di cinghia stretta, con foto che ancora oggi ci restituiscono volti emaciati per il poco e cattivo pane che ci si poteva permettere di mangiare. Ed è per questo che sarà proprio il Buonafine che, quando nel 1951, inaugurerà il suo nuovo mulino a promettere: "Pane bianco. . . / Supera ogni rimedio/ E ogni medicina. /Mangiatelo di giorno. . . / Guarisce ogni malato anche se moribondo. Ritorneranno vivi quelli dell'altro mondo!".
Era nato nel 1882 in una famiglia di buon lignaggio che cercò subito di indirizzare l'esuberante intelligenza del ragazzo. Lo mandò, infatti, a studiare in Seminario dove restò fino a sfiorare l'ordinazione sacerdotale. Qui imparò matematica, francese e latino. Quando, dopo il 1910, tornò ad Altavilla fu tra coloro che diedero vita alla celeberrima "Centrale", qualcosa che stava a cavallo tra società segreta, club privato e tabarin equivoco ma con tanto di organigramma di direzione. Forse non era niente di più di una taverna situata in vicoli poco abitati nel centro storico, fuori dagli occhi indiscreti frequentata da qualche donnina allegra dell’epoca.
Di questa vicenda ad Altavilla si è sempre molto favoleggiato. Molto probabilmente fu per questo che, nel 1913, dovette lasciare l'Italia. Raggiunse il fratello Felice in Brasile e lì s'impadronì delle nozioni di meccanica che poi applicherà così brillantemente al ritorno in Italia. E diventò un "mago del tornio" anche perché era uno dei pochi fabbri che conosceva l'uso delle misure logaritmiche.
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