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mercoledì 24 settembre 2008

Parla Pasquale Acito, altavillese sopravvissuto a Cafalonia grazie a un tedesco



di Vincenza Civale

Fucilazioni sommarie, corpi ammassati in fosse comuni improvvisate o lasciati per strada: in pochi riuscirono a salvarsi dall'inferno di Cefalonia. Nella provincia di Salerno furono 15: tra di loro Pasquale Acito (nella foto a sinistra), che oggi ha 86 anni e vive nella natia Altavilla Silentina, dove gli ulivi che punteggiano i campi ricordano molto quelli dell'isola greca. Il caporal maggiore Pasquale Acito riuscì a tornare a casa nel luglio del 1945, dopo una serie di rocamboleschi avvenimenti che ancora adesso lo fanno sentire un uomo fortunato. La sua avventura a Cefalonia cominciò nel luglio del 1943, due mesi prima dell'armistizio. «Facevo parte del 110° Battaglione Mitraglieri. Dopo l'8 settembre avremmo dovuto attaccare i tedeschi, ma come potevamo? Fino al giorno prima eravamo insieme! Io mi trovavo proprio con una batteria tedesca. Dopo la resa, il comandante mi disse: Accillo (non riusciva a pronunciare bene il mio nome), vieni fuori con me! Mi portò via insieme ad altri due miei compagni con la scusa di dar da mangiare ad alcuni muli. Quel gesto mi salvò la vita. Passarono pochi minuti e sentimmo i mitragliatori che fucilarono tutta la nostra compagnia».
Prigioniero dei tedeschi, un mese dopo Acito (a destra, con la moglie) fu imbarcato su una nave diretta al Pireo, affondata al largo di Argostoli, città capoluogo di Cefalonia: «Eravamo partiti alle 11 di mattina, la nave fu affondata alle 10 di sera - racconta - Mi sono salvato perché mi sono calato in acqua con delle funi e sono rimasto aggrappato a delle assi di legno che trasportava la nave. La mattina successiva eravamo ancora in 200 aggrappati a questi pezzi di legno: poi, man mano che passava il tempo, qualcuno spariva tra le onde. Intorno a mezzogiorno passò un idrovolante, ha lanciato un paio di fumogeni per farci capire che ci aveva visto, poi se n'è andato. A quel punto ho pensato che ormai fosse finita, invece il nostro naufragio fu segnalato al Pireo e un aereo venne in nostro soccorso. Quando è arrivato, io ero stremato: ricordo solo che mi hanno preso e buttato su una branda. Dopo 5-6 giorni mi sono ritrovato in ospedale, al letto numero 537: questo sì, non lo dimentico mai».Dopo la convalescenza Pasquale Acito viene trasferito in un campo di lavoro, una fabbrica di munizioni a pochi chilometri da Lipsia, dove resta fino all'arrivo degli americani. Anche lì la vita non é facile: «Quello che ricordo di più è la fame: il cibo era sempre poco ed io prendevo le bucce di patata che buttavano nella spazzatura, le pulivo ai pantaloni e le mangiavo». Quando torna a Salerno, al distretto militare incontra un colonnello: «Quando gli dissi che ero stato a Cefalonia - racconta - mi chiese: come fai ad essere ancora vivo?».

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