Carmine Pascià nacque buttero e morì beduino
Repubblica — 03 gennaio 2009 pagina 36 sezione: CULTURA
Mi accorgo, alla stazione Centrale di Milano, di aver dimenticato il libro da leggere in viaggio. Nel cercar di rimediare, mi balza agli occhi una copertina a strisce color deserto, che si accompagna al titolo: Carmine Pascià. Quel che mi sorprende, è la definizione di Romanzo, insieme al nome dell' autore, Gian Antonio Stella (Rizzoli, pagg. 140, euro 13,50 ndr). Mi dico che il successo costringe a portare maschere ufficiali, nel caso quella di Grande Giornalista specializzato in Inchieste. Difficile uscirne. Della stessa opinione, come parte il treno, sembra un altro viaggiatore, seduto di fronte a me. Occhieggia, e siamo appena arrivati a Piacenza, che si informa. «Ma certo che mi interessa. E' la storia di un povero buttero analfabeta, che finisce cooptato quale soldato semplice nella Cirenaica del 1912. Con dei superiori aguzzini. E una disperata nostalgia per le sue terre. Chi mi ricorda? Quando va bene Stevenson. Meno bene Salgari». Siamo a Bologna che l' interrogazione continua: «Sta accadendo una virata sorprendente» affermo «Carmine si è allontanato dal campo causa sbornia, ed è stato catturato dai ribelli beduini». Ma sarà la fine, a lasciarmi incredulo. Il nostro buttero si ritrova a indossare la inimmaginabile maschera di Yussef Pascià, diventa marito, e padre di due arabetti, capo dei ribelli e, alla fine catturato e giustiziato dai suoi ex commilitoni. La sorpresa più grande - informo il mio interlocutore scendendo a Firenze - è che questa favola per grandi era vera. Ritornato cronista d' inchieste, il romanziere giunge a citare non meno di 24 fonti ufficiali. Chapeau. - GIANNI CLERICI
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