di Carmine Senatore
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
La bottega di Michelino era ,usando un termine vetero-comunista, una fucina artigianale. Quante persone hanno imparato da lui il mestiere! Rassomigliava per un verso ad una bottega artigianale, per un altro , per il numero dei praticanti, ad un vero e proprio laboratorio. La bottega era situata in via Roma,laddove ora vi è il negozio gestito dal figlio Fernando. Era un ampio locale con ampie scaffalature ricavate nelle pareti dei muri. Era lì che Michelino metteva le stoffe da confezionare. Le sue abili mani tagliavano e cucivano con maestria ….e diventavano giacche cappotti , pantaloni e gilè. Due o tre macchine Singer , una nuovissima, automatica, e un ampio tavolone con un piano di legno di cinque centimetri ,ben saldo e difficile, per il peso, da spostare, erano gli arredi. Faceva bella mostra posto su un supporto in ferro l’immancabile attrezzo: un ferro da stiro a carbone . Aghi, bottoni, fodere, ditale e rocchetti di filo erano sparsi dappertutto. Sento ancora nel naso l’odore acre , reso ancora più pungente dall’uso di una pezzuola,che veniva bagnata e strizzata, del vapore che si spandeva quando si stirava. Un pezzo di gesso per sarti era orgoglio e simbolo della sua autorità. Spesso per dargli il “filo” lo grattava con le formici, tante, da quelle più piccole ai forbicioni . Il suono cupo e deciso del taglio risuonava tutto attorno. Successivamente la bottega si trasferì laddove era il retrobottega,mentre quella antistante divenne negozio di tessuti e, seguendo una vecchia tradizione, anche in parte oreficeria. Poteva soddisfare tutte esigenze dei promessi sposi e della clientela, compresa quella femminile. In un angolo un separè con un ampio specchio, per le misure. Pezzi e ritagli di stoffa , sparsi dappertutto, alla fine del lavoro venivano raccolti da tirocinanti. Una porta separava le due parti ed era proprio attraverso di essa che Michelino passava da mastro sarto a negoziante. Il fratello Bruno,prima che diventasse barista e poi maestro , era stato uno primi ad imparare il mestiere e credo che Bruno abbia conservato ancora le abilità acquisite. Rappresentava il primogenito,ed essendo il padre alquanto anziano ne faceva le veci. Era lui che provvedeva alle esigenze di tutti. Tanti giovani avevano imparato: da Ferdinando Russo, finito poi a lavorare nella Marzotto a Salerno, Peppe Arietta poi bidello e i tanti altri finiti al tempo della migrazione meridionale in Europa: chi,come Carmine Liccardi ,in Francia , chi in America latina. Dominavano laboriosità, ordine e rispetto. La sua parola rispettata non tanto perché era il mastro,ma per i suoi consigli ed anche , spesso per i rimproveri . Era anche luogo di discussioni e di divertimento sano e genuino e all’insegna dello sfottò,ma sempre nei limiti della misura e della decenza. Io, da giovane adolescente, già diplomato,mi recavo nella sua bottega, sempre ben accolto non solo per i legami con mio padre, a cui Mastro Antonio,il padre , aveva insegnato il mestiere. Amicizia e rispetto che si era consolidato nel tempo,essendo io stato garzone nella bottega del fratello Dino e compagno di studi di Giovanni. Erano momenti di discussione politica, essendo un accanito liberale di fede malagodiana. Erano ovviamente scontri, però sempre all’insegna del reciproco rispetto. Era stato, però, nell’elezioni del 1953 monarchico,amico e sostenitore di Covelli, uno dei maggiori rappresentanti del partito e un oratore di qualità con una facondia oratoria che sconfinava spesso nella retorica.
Nessun commento:
Posta un commento