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venerdì 3 aprile 2009

La mia estate

La mia estate

di Carmine Senatore

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La mia estate, da ragazzo,non coincideva con quella astronomica. Iniziava il mese di maggio,quando l’aria mite invitava alle passeggiate in campagna. Intanto le messe vespertine , essendo il mese dedicato alla Madonna, erano l’occasione per andare a fare un salto in chiesa. Il tutto con l’intenzione di vedere la propria innamorata e scambiarsi un timido sguardo. Era il mese dei fiori. Ovunque rose ( “a proposito come mai le rose non profumano più?”),ginestre e i fiori a grappolo delle acacie mandavano nell’aria i loro effluvi e allietavano l’anima. Le scorpacciate di ciliegie erano la norma,il luogo, la campagna sul Piano delle Rose e non solo. Se ne mangiavano talmente tante che le conseguenze erano improvvise scariche diarroiche con immancabile concimazione del sito. Ancor nell’anima sento la fragranza delle ginestre ,nell’attraversare dopo una ripida salita,una zona quasi pianeggiante fatta di arbusti e ginestre, piene di sentieri, a volte bel delineati, a volte appena accennati. Massi di arenarie affioranti, in qualche punto facevano da tetto durante le pioggerelline di maggio col pavimento di arena. Arbusti di spine e roselline di maggio( quelle a cinque petali) si inframmezzavano alle siepi di ginestre . La sera si scendeva in fondo al vico da dove si vedeva tutta la piazza. Ognuno si portava la sedia e lì , sotto il lampione,si raccontavano fatti e storielle. Col calare profondo della sera,un veloce saluto, e il ritiro a casa con l’immancabile sedia. La raccolta delle nocciole, ovunque fossero,era il nostro passatempo. Io con Totonno “u patrone” e con altri compagni ci recavamo nei luoghi già predefiniti .Povero Don Ferdinando ! Il suo era il luogo privilegiato delle nostre scorrerie. Alla fine della raccolta la divisione, che avveniva mettendo tutte le nocciole in comune e poi a turno ognuno ne sceglieva due fino al superamento. La messa in comune conveniva a tutti,perché il più esperto in assoluto era Totonno che ne raccoglieva il doppio di quante ne avevamo raccolto ognuno di noi. Seguiva poi la “tredicina” una serie di messe vespertine in occasione della festa di S.Antonio. La passeggiata serale dal Convento, passando per la Croce, in piazza era il percorso obbligato. Qualche bagno ,al lido Laura (l’unico del tempo),in quel di Paestum. I più fortunati avevano l’abbonamento con i pullman della ditta Belmonte.

Da adolescente, alla fine dell’anno scolastico,la mattina ci recavamo insieme a mio cugino Antonio da Virgilio di Mari, dove trovavamo Gigino Guerra. Qui a giorni alterni,in occasione della fiera dalla casa, si trasmetteva a livello sperimentale un film. Erano prove sperimentali delle future trasmissioni regionali. Nei giorni senza film, i si andava nell’orto a giocare a carte. Massima attenzione e concentrazione durante il gioco. Sembrava veramente una cosa della massima serietà! Ogni tanto mangiavamo un’albicocca e qualche prugna .Una bevuta d’acqua scaturente da una sorgente naturale ci dissetava . Per arrivarci una ripida discesa, piena di sassi e di buche, lungo l’orto di Carletto Brunetti. A ritorno, essendo mezzogiorno,una faticata e una sudata. Così per tutta l’estate. Nel pomeriggio la giocata a dama nella bottega di Ferdinando Russo,immediatamente sotto all’abitazione di don Amedeo,ne era la continuazione Interrompeva il lavoro,forse perché non aveva tante commesse, essendo all’inizio della sua attività artigianale (Ferdinando finirà poi per andare a lavorare alla Marzotto) ed iniziavano le partite a dama. Colpi e trucchi appositamente studiati per intrappolare l’avversario. Venivano messi a dura prova. La notte , ricordo,nella mia mente non si vedevano altro che dama e pedine. Il gioco qualche volta continuava anche la mattina.

Da giovane, le passeggiate per i sentieri della macchia, la pizza al ristorante Moro ad Eboli o da Carola ad Agropoli: tutti nella seicento di Mario Guerra. A sera osservazione e contemplazione delle stelle. Il luogo della contemplazione: la Croce. Poi, fino ad ora tardi, si godeva il fresco stesi su una panchina di ferro in piazza. Le giornate passavano con un bagno a Paestum e più spesso nel fiume Calore. Lì, vi era una cascatella di un piccolo canale, la cui acqua , quasi calda, essendo una piccola lama, ci cadeva addosso. Un fatto curioso: la pesca di qualche carpa e di qualche tinca con una bilancia quadrata nei tombini delle canalette del consorzio insieme a Cecchino Di Verniere. La chiamavamo”la pesca dei morti”.

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