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lunedì 27 luglio 2009

Rosaria Capacchione, la giornalista nel mirino degli ex bufalari


"Non morirò se mi uccideranno, ma se smetterò di cercare la verità”.

Da bufalari a manager, così Rosaria Capacchione, giornalista in forza alla redazione di Caserta de “Il Mattino”, ha disegnato l’irresistibile ascesa dei “suoi” casalesi. Nella terra dove non pagare l’acqua, la tassa sui rifiuti e l’Enel è un fatto di massa. “L’oro della camorra” (edito da Bur) è il titolo del libro che è già alla quarta edizione. Duecento pagine spese per rovistare nel retrobottega di “Gomorra”. Una copia del volume era nel covo del superlatitante Giuseppe Setola. L’incipit è strepitoso: “Un calzino è un calzino. Strumento di seduzione come quello spaiato della Lolita di Nabokov o quello calato della Lulù della Grandes. Quello di Zagaria è corto, in tutte le gradazioni di grigio, adatto ai pantaloni di taglio classico che compra in serie…”, scrive la Capacchione. Ed è anche per questo i camorristi la temono. Il libro spiega come i boss casalesi sono diventati ricchi e potenti manager e che influenzano e controllano l’economia di tutta la Penisola, da Casal di Principe al centro di Milano. Sciascia diceva: “I mafiosi odiano i magistrati che ricordano”. I Casalesi odiano anche gli scrittori che fanno conoscere a tutto il mondo il loro vero volto. Ha paura? “In Campania si può morire anche per un proiettile vagante perché stai nel posto sbagliato. Sì, io voglio rischiare per continuare a tenere la schiena dritta, per fare bene il mio mestiere. Poi la paura seria ce l’hai una sola volta, e se la superi non ti fermi… Sette anni fa davvero l’ho vissuta da vicino. Durante un’udienza il collaboratore di giustizia Dario De Simone, numero tre del clan, riferì dell’esistenza di un piano, risalente agli anni Novanta, nel quale era prevista la mia uccisione; lo stesso, prima con dichiarazioni rese ai pm antimafia e poi in aula, parlò di un odio della famiglia Schiavone nei miei confronti perché con i miei articoli avevo causato tanti fastidi al clan”. Ne vale la pena? “Ho 48 anni e a quest’età non si cambia atteggiamento. Non mi piego e faccio la vita di sempre. Sono fatalista. Prima o poi la mia vita, come quella di tutti, finirà. Intanto sto sempre “buttata” al giornale. Io questo mestieraccio voglio continuare a farlo così. Vado a vedere, verifico, parlo con le persone, i comunicati stampa mi sono utili se li giro e li uso come carta da riciclo. Mi pagano per scrivere ciò che vedo e che capisco”. E’ abituata a spiazzare, ad opporre un’altra domanda all’interrogazione del momento, Rosaria Capacchione. Del “Mattino” oggi pieno d’acciacchi per la crisi d’identità ed una concorrenza molteplice è una delle più belle bandiere. E’ diretta, mai retorica, nel suoi discorsi usa poche parole, si vede che è più adusa alla scrittura ed ancora di più all’azione. Ha una sensibilità che viene da lontano. Aveva dieci anni quando lesse il “Il treno del sole”, libro di narrativa alle scuole medie, che raccontava di mafia ed emigrazione, droga e sfruttamento di chi era in condizione di inferiorità. Sono i temi che si è portata appresso nella sua professione di giornalista e scrittrice.
Ospite della “Tenuta Vannulo” è a Paestum per portare la sua testimonianza e l’iniziativa è stata voluta da Tonino Marino, direttore della Bcc di Aquara, che – in collaborazione con Ornella Trotta, direttrice del mensile “I fatti”, che conduce la discussione. Ad accompagnare la giornalista c’è il magistrato Maggi, che è originario di Aquara. “Rosaria Capacchione è una giornalista impegnata – esordisce Marino -, vive sotto scorta permanente. Tutto questo perché fa un giornalismo diverso. Con questa serata vogliamo testimoniargli la nostra vicinanza. Io che abitualmente mi occupo di cose bancarie so bene quant’è difficile oggi accompagnarsi con l’etica e la legalità. Nella mia banca c’è un dipendente che si occupa quasi solo delle procedure per la prevenzione dal riciclaggio. Io però sento che resistere a questa deriva è fondamentale per lo sviluppo futuro di queste nostre realtà”. Che tipo di giornalismo? “Spesso ci si dimentica che l’articolo di un giornalista deve rispondere a cinque domande: chi, come, dove, quando e perché. Proprio quest’ultima viene sistematicamente omessa riducendo, così, di significato l’articolo. Solamente spiegando i “perché” possiamo offrire un buon servizio al lettore, come ci richiede la deontologia di questa professione». Rosaria è una donna colta, intelligente, coraggiosa, dalla conversazione sobria ed affabile, mai priva di umorismo e nello stesso tempo mai banale. Ama con passione verace la sua terra, ne soffre terribilmente le ferite ma non si ripiega in un affranto ed impotente vittimismo, ma cerca con perizia e lucidità le cause scatenanti del male. E a volte ti sorprende, con i suoi rimandi ad autori letterari di spessore e non certo noti al grande pubblico per esemplificare alcune sue convinzioni, oppure indirizza il lettore verso il senso del contenuto con le citazioni a ripetizione di Leonardo Sciascia nelle introduzioni ai capitoli del suo libro.
Nel dibattito da Vannulo arrivano dai giornalisti presenti le domande più semplici a farsi, ma che sono da sempre croce e delizia del cronista che con “il pericolo è il mio mestiere” ci convive per davvero e non ne fa solo una manfrina per impressionare il prossimo. “Pessimo” è il suo giudizio sul livello complessivo dell’informazione in Italia. “Internet però ha restituito ai lettori – utenti un grande potere. Se ognuno di noi va sul sito del giornale che ha acquistato e manda il suo parere su ciò che ha letto contribuisce a far sì che certi fatti e personaggi non possano più essere ignorati”. Cosa possono fare i cittadini per contrastare nel loro piccolo il "Sistema"? La risposta di Rosaria è stata semplice: cominciare dagli acquisti. Come si sceglie di comprare “Equo e solidale”, ogni cittadino può scegliere di acquistare i propri prodotti in negozi che notoriamente non pagano il pizzo, ed evitare quei marchi delle industrie che, anche se non si dice, sono notoriamente colluse con la camorra. “Anche nel caseificio dove la mozzarella costa un euro di meno al chilo ma il proprietario è colluso o in quel bar dell’amico dove il caffè o lo zucchero della ditta chiacchierata”. Diverso è stato il pensiero del magistrato Maggi, presente alla discussione, originario di Aquara, che ha sottolineato il ruolo dei “poteri forti” capaci di sviluppare una forte capacità di condizionamento della politica, magari anche “disertando” i luoghi di tradizionale decisione”. Quella di Pasquale Zagaria, imprenditore edile, fratello di un camorrista lui stesso, è una casa sobriamente arredata con mobili di design e sofisticati impianti hi-fi. Si trova a Casapesenna, alla tredicesima traversa di Corso Europa. Quel vicolo è il cuore dell'agro aversano, enclave criminale della provincia di Caserta e della Campania. E' anche la centrale operativa di una delle più influenti cosche criminali d'Europa, il luogo dove è stata decisa e realizzata la trasformazione dell'economia camorristica da rurale e parassitaria e capitalistica e industriale, capace oggi di autoriprodursi e moltiplicarsi in forza del suo stesso denaro. Facile a dirsi. Però il tema della paura torna: "Ho paura per la mia famiglia. Ma mai nessuno di loro mi ha detto: Rosaria statti zitta. Mai". Le sue inchieste danno fastidio ai boss, che l'hanno messa nel mirino. Ora è sotto scorta. Ma non ha nessuna intenzione di fermarsi: "Non morirò se mi uccideranno, ma se smetterò di cercare la verità”.

Pagina a cura di Oreste Mottola

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