di Antonietta Broccoli
È da un po’ di tempo che, ad Altavilla Silentina, si respirano gli effluvi di un nuovo vento, primizia e crogiolo di rinnovata vitalità che si tinge dei colori del mondo. Ritratti e mosaici di terre lontane che s’intrufolano tra le pieghe della quotidianità e del vissuto e che coinvolgono con immediatezza e singolarità. Soprattutto nel Centro storico, non è raro scorgere qua e là vezzosi e policromi sari indossati con classe e disinvoltura o visi che svelano, nei tratti e negli occhi, le caratteristiche dell’est Europa con i suoi blu cobalto e d’argento. È sorprendente, poi, lasciarsi guidare, “nella via delle Indie” (al secolo via Municipio), da profumi speziati e dal ritmo di una musica incalzante che ti cattura e ti immerge in una favola senza tempo dal sapore d’oriente. Tutto coesiste con il lento susseguirsi dei giorni e lo snocciolarsi delle abitudini, il ragù domenicale, le canzoni napoletane e le piantine di basilico sdraiate sotto il sole che inonda le nostre finestre e balconi. Ebbene sì, anche questo è il risultato della globalizzazione, di un processo incessante e ineluttabile che interessa tutte le nazioni europee e non solo; ormai siamo diventati una società multietnica, un sistema sociale in cui convivono soggetti con identità etniche diverse che cercano un dialogo costruttivo e rispettoso su ciò che divide, nella prospettiva di trovare ciò che unisce. Il principale, ma non unico, fattore di genesi della società multietnica è costituito dal fenomeno delle migrazioni internazionali che hanno spostato e, per certi versi, cambiato, in maniera quanto mai inconsueta, l’asse dei normali equilibri già precostituiti nella località di accoglienza, sia essa una grande città o anche soltanto un paese di provincia. Immediatamente connesso con questo nuovo tipo di sistema sociale è il problema della regolazione della convivenza tra minoranze e maggioranza, o tra immigrati e società di “ricezione”, che in varie realtà civili, di ieri e di oggi, ha innescato e innesca, spesso e purtroppo, a torto o a ragione, scintille di razzismo e di non o scarsa accettazione del diverso che si trova a condividere la nostra stessa fetta di cielo.La comunità altavillese, come buona parte del Meridione d’Italia memore di forti emigrazioni verso il nord per sfuggire alla miseria, ha ben accolto gli “ospiti” e ha dato vita, negli anni, a politiche sociali d’integrazione, volte a fornire gli strumenti primari per una reale fusione etnica e razziale all’interno della società. Ne sono esempi, i corsi di lingua italiana per consentire una più agevole acquisizione delle regole grammaticali di base su cui s’innesta il linguaggio e il corretto scrivere e le tante iniziative, anche di festa, per avvicinare delle culture, apparentemente lontanissime, ma negli aspetti e valori principali comuni. Un esercito ben nutrito di badanti, muratori, colf, manovali, addetti all’allevamento delle bufale è entrato a far parte del tessuto lavorativo del paese assumendo i lavori dismessi dalla manodopera del posto (un trend, questo, in ascesa su scala nazionale), ma, allo stesso tempo, molto importanti per lo sviluppo e la sopravvivenza della nostra economia locale. Vite, identità, destini che vengono a intrecciarsi con quelli della popolazione locale fino a creare un immenso patchwork, confortevole e caldo antidoto nelle notti della fredda intolleranza. Vite, identità, destini che offrono una riflessione sulla propria identità individuale e comunitaria, la cui rilevanza emerge solo grazie al confronto con l’altro che ci sta di fianco. Ecco la dimostrazione di come la diversità possa arricchire e colmare le indubbie distanze che ci separano: ecco provato come l’integrazione, (e non l’assimilazione che comporta il sostanziale abbandono della cultura d’origine) che accetta e valorizza il pluralismo culturale, crei molteplici opportunità da cogliere e utilizzare a vantaggio di tutti.
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