di Bruno Di Venuta jr.
Ho deciso di scrivere questo articolo dopo aver letto l’ultimo lavoro, ancora non pubblicato, di Padre Antonio Polito “L’artigliere altavillese sopravvissuto a Cefalonia”.
In esso, Padre Antonio, ha voluto ricordare la figura di Biagio Paruolo, artigliere della Divisone Acqui dislocata nell’isola greca di Cefalonia nell’ultimo conflitto mondiale, scampato per miracolo, insieme al compaesano Pasquale Acito, all’eccidio perpetrato dai Tedeschi sull’isola greca nel settembre 1943.
“Dopo aver letto il suo diario di guerra”, dice Padre Antonio, “si capisce come la paura , il terrore, i sacrifici hanno “massacrato” in quei tristi giorni, e nei successivi due anni, il cugino Biagio e l’amico Pasquale. Lo scritto vuole essere un riconoscimento a Biagio Paruolo e la sua famiglia, quel riconoscimento che avrei voluto rendergli in vita cristiana ma che varie circostanze, nonché la sua morte prematura, l’hanno impedito”.
Sull’isola greca di Cefalonia fu compiuta dai tedeschi , durante la II guerra mondiale, una strage nella quale furono trucidati migliaia di soldati italiani, i superstiti furono pochissimi e tra di essi i due altavillesi. Il presidio italiano dell’isola greca all'epoca era formato dalla Divisione Acqui dell'esercito e da altre diverse compagnie per un totale di circa 12.000 uomini comandati dal Generale Gandin.
Quando l’8 settembre venne reso noto che il governo italiano, con a capo il maresciallo Badoglio subentrato a Mussolini, aveva firmato l'armistizio con gli americani le prime reazioni da parte della Divisione Acqui, consapevole del fatto che la guerra volgesse al termine, furono di grande stupore ma anche di gioia. Ma non fu così! La gioia durò poche ore in quanto, tra la notte dell'8 e del 9 settembre, una comunicazione del generale Carlo Vecchiarelli affermava che i rapporti tra tedeschi e italiani dal quel momento cessavano di essere di alleanza e che l'ex-alleato era ora da considerarsi come nemico.
Oggi, all’età di 86 anni, Pasquale Acito mi racconta, emozionato e con orgoglio, la sua triste storia: "Dopo l’armistizio avremmo dovuto attaccare i Tedeschi. Avremmo dovuto combattere contro quelle persone con le quali fino al giorno prima avevamo condiviso gioie e dolori!”.
Il generale Antonio Gandin si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi. Gli italiani si rifiutarono ed infuriò una battaglia durata 10 giorni che costrinse gli italiani ad arrendersi. La città di Argostoli, capoluogo di Cefalonia, venne quasi totalmente distrutta. Era il 22 settembre 1943. Dopo la resa 5035 militari, di cui 305 ufficiali e il Generale Gandin, furono condotti dietro la penisola di San Teodoro presso la casetta rossa dove furono fucilati.
Pasquale Acito, caporale maggiore, si salvò grazie all’intervento di un ufficiale tedesco, che aveva conosciuto durante la collaborazione italo-tedesca. “Dopo la battaglia e la resa, noi italiani fummo raggruppati in un cortile; si avvicinò l’ufficiale tedesco e mi disse: "Accillo (così pronunciava il mio cognome il comandante tedesco) vieni con me". Insieme ad altri due commilitoni ci portò via per portare da mangiare ai muli. Dopo pochi minuti sentii le mitragliatirici tedesche che facevano fuoco sui soldati italiani prima raggruppati! Sono stato veramente fortunato e divenni prigioniero dei tedeschi, mandato al campo di prigionia di Argostoli."
"Un giorno mentre ero in fila per ritirare la razione quotidiana di viveri (“la mezza pagnotta e il litro d’acqua”) il commilitone Bilancieri di Roccadaspide, anch’ egli prigioniero, mi chiamò ad alta voce esclamando il mio cognome: “Acito, Acito”. A quel punto si avvicinò Biagio Paruolo che avendo sentito il mio cognome mi chiese da dove venissi. Quando gli dissi Altavilla, mi abbracciò forte piangendo”.
Biagio Paruolo era giunto a Cefalonia il 15 maggio 1943 ed appartenva al 33° Reggimento Artiglieri della Divisione “Acqui”. Ricopriva il ruolo di tiratore e aiutante puntatore alla guida del capitano Amos Pamploni che l’11 settembre 1943 diede ordine di aprire il fuoco contro due motozattere tedesche, che volevano sbarcare ad Argostoli, affondandole. La sorte di sparare il primo colpo, contro i tedeschi, toccò proprio all’altavillese Biagio Paruolo!
Si accese una battaglia, Biagio fu ferito ad una gamba e ricoverato nell’ospedale di campo. Questa è stata la sua fortuna, in quanto Biagio venne poi trasferito nella caserma Mussolini di Argostoli, adibita a prigione. Cosi’ Biagio sfuggì alla rappresaglia tedesca iniziata dopo la resa degli italiani.
Ad Argostoli vi erano circa 3000 superstiti italiani che il 13 ottobre furono caricati su tre navi con destinazione Pireo da dove poter raggiungere poi i lager tedeschi. Una prima nave, l'Ardena, saltò in aria al largo del porto: l'equipaggio tedesco si salvò ma degli 840 italiani chiusi nelle stive, solo 120 scamparono all'annegamento. Altre due navi urtarono contro le mine e affondarono causando la morte di circa 650 prigionieri. I pochi sopravvissuti finirono nei lager tedeschi.
Pasquale Acito racconta così l’ulteriore tragedia: “Il 13 ottobre, alle ore 11.00, fummo imbarcati insieme ad altri 1200 italiani sulla nave mercantile Alba per essere trasportati al Pireo. La nave trasportava materiale edile e vi erano numerose tavole di legno. Poco dopo la partenza sentimmo un’esplosione e un forte boato e la nave incominciò ad affondare. Io e Biagio ci precipitammo a buttare in mare tutte le tavole di legno perché potevano essere utili in quanto galleggiavano. Era il momento di lasciare la nave e tuffarci nel mare, quella notte alquanto mosso. Con Biagio decidemmo di calarci in mare attraverso una fune, se ci fossimo tuffati avremmo potuto urtare una tavola di legno con tutte le conseguenze del caso. Purtroppo la fune era corta e rimanemmo sospesi con la paura di tuffarci nelle alte onde del mare. Dovevamo prendere una decisione perché la nave stava affondando, alla fine decidemmo di lasciarci andare tuffandoci nel mare grosso. Con il tuffo avevo perso di vista Biagio. Mi aggrappai, insieme ad altri commilitoni, ad una tavola e tutta la notte chiamavo “Paruolo, Paruolo, Paruolo” ma non ebbi risposta. Le ore passavano e vedevo i miei compagni lasciare la tavola e scomparire tra le onde. Io ed altri 7 commilitoni fummo salvati da un idrovolante tedesco che fece intervenire mezzi di soccorso; ci portarono all’ospedale del Pireo, buttato su una branda e poi sul letto numero 537; rimasi ricoverato per quattro mesi. Qui seppi che dei 1200 prigionieri solo 200 furono salvati dai barconi della Croce rossa, in quei giorni nessuno sapeva darmi notizie di Biagio Paruolo.
Una volta guarito fui trasferito e destinato ai lavori forzati incominciando a peregrinare per campi di concentramento fino a raggiungere quello vicino Lipsia. In questo stesso campo era stato destinato anche Biagio Paruolo, eravamo separati da una rete metallica, ma nessuno dei due lo sapeva. Fummo liberati in aprile del 1945 dagli americani e riportati in Italia.
Ho incontrato Biagio solo quando sono arrivato ad Altavilla , mi aveva preceduto di qualche giorno. Eravamo diventati ottimi amici, purtroppo il Signore l’ha chiamato a sé qualche anno fa.”
E’ senza dubbio una bella storia altavillese immersa in una pagina buia della storia italiana e sconosciuta ai cittadini altavillesi. Andrebbe divulgata e portata a conoscenza di tutti. Altavilla nasconde pagine di storia importanti, ignorate dalla stragrande maggioranza dei cittadini e purtroppo nascoste e non divulgate da chi potrebbe o dovrebbe farlo!
Il presidente Pertini, nel 1980, denunciò la congiura del silenzio su Cefalonia e disse: “Questo olocausto è stato dimenticato per omertà tedesca ed ignoranza italiana”. Ancora oggi i familiari delle vittime attendono giustizia sui tragici fatti accaduti nelle isole greche. Anche se essa tarda ad arrivare comunque la memoria e il ricordo di coloro che hanno difeso la Patria rifiutando, in cambio della vita, la collaborazione con i tedeschi e con i fascisti della Repubblica di Salò rappresenta l’unico modo per rendere omaggio ai familiari e ai loro cari.
La mostra a Salerno...E ad Altavilla?
Il 24 settembre presso il Complesso Monumentale S.Sofia di Salerno si terrà la mostra “I ragazzi del ’43 – L’eccidio della divisione Acqui a Cefalonia e Corfù nel settembre 1943”, organizzata dalla Prof.ssa Luciana Baldassarri, docente del Liceo Scientifico “Da Procida” di Salerno. In 15 pannelli saranno rappresentati i documenti dei tragici fatti che hanno portato alla uccisione di 52 militari salernitani, in un’altra sezione della mostra saranno raccontate le testimonianze dei 15 sopravvissuti della nostra provincia, tra le quali spiccano quella di Pasquale Acito e di Biagio Paruolo.
E ad Altavilla? tutto tace! Non sarebbe il caso nella ricorrenza del 55° anniversario dell’eccidio, dare un giusto riconoscimento ai due altavillesi coinvolti nella triste avventura?
Nella foto (sulla sinistra) Pasquale Acito insieme al compaesano Francesco Cembalo in partenza per l'arruolamento a Vibo Valentia
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martedì 26 agosto 2008
Cefalonia. I due sopravvissuti altavillesi ignorati e dimenticati dalla loro Altavilla
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Sarebbe interessante una testimonianza su come erano "sistemati" i deportandi sulla nave, e quale fu il comportamento dell'equipaggio tedesco. Si è detto che i mezzi di soccorso a bordo (scialuppe) furono utlizzati solo dai tedeschi, mentre i prigionieri mororno o si salvarono fortunosamente.
RispondiEliminaCorrisponde al vero?
Grazie
Vincenzo - Roma
Ciao Vincenzo, Grazie per il tuo intervento. Anch'io abito a Roma e durante la mia permanenza estiva ad Altavilla, ho conosciuto Pasquale Acito e la sua bella storia che certamente merita di essere approfondita. Dovrei ricontattarlo per avere una risposta certa alla tua domanda, cosa che faro' appena ritorno ad Altavilla. Intanto ti comunico il mio indirizzo email bruno@divenuta.it per contattarmi e trasmettermi un tuo riferimento.
RispondiEliminaComunque i due altavillesi si salvarono fortunosamente anche perche' la loro nave incomincio' subito ad affondare e fecero giusto in tempo a "scaricare"qualche tavola di legno che poi realmente ha rappresentato la loro salvezza.
A presto
Ciao Bruno.
Ciao Bruno, ritengo che Tu abbia riportato alla luce una "storia" conosciuta da pochi per cui, grande gesto è stato il Tuo, nel farci leggere tale drammatica testimonianza. Cefalonia è stata una gravissima "piaga" dell'ultima grande guerra, una storia che forse in molti hanno voluto dimenticare e lasciare nei meandri dell'oscuro menefreghismo. Oggi commemoriamo le cose più assurde e lasciamo nel "dimenticatoio" ciò che riporterebbe alla Società attuale un minimo di rincrescimento per quello che è stato, per quello che ha segnato gravemente fisico e mente dei protagonisti.
RispondiEliminaSono d’accordo con Te che l’olocausto, perché di ciò si è trattato, di Cefalonia e Corfù è stato dimenticato per omertà Tedesca e ignoranza Italiana, un ignoranza che spero sia colmata dalla conoscenza che, oggi più che mai, dobbiamo noi tutti nel ritrovarci ed essere partecipi ad innalzare a ricordo le gesta di tanti Italiani che si sono sacrificati nel nome della Patria Italia.
Ragion per cui, sono d’accordo con quanto Tu sostiene tra le righe del Tuo post: che sarebbe opportuno, anche ad Altavilla, ricorrere con sincero favore a quel “dovere” che Cittadini, Istituzioni e Governi hanno nei confronti della storia e dei suoi protagonisti.
Altavilla ha molto da raccontare a proposito della II GM, non dimentichiamo le vittime civili che sono perite durante i bombardamenti di quei stessi Eserciti che, con frenetica attività e sbalorditivo accanimento, corriamo ogni anno a commemorare, vestendoci tutti da “assaltatori da sbarco” piuttosto che volgere un ricordo a chi ha sofferto.
Non perché io abbia a criticare tale manifestazioni o le Nazioni che bene o male hanno contribuito alla “cacciata” del Nazismo dall’Italia, ma preferirei, invero, che si desse un po’ di spazio anche a chi, di quelle Navi, ne ricorda (chi in vita) solo le cannonate.
Come Te anch’io non vivo in Altavilla, tuttavia, oltre a significarti tutta la mia solidarietà, nel caso Tu volessi intraprendere attività verso tali indirizzi e seppur non so come, ritienimi a disposizione per eventuale collaborazione.
Cordialmente
Glicerio Taurisano