UN ARTICOLO DEL MANIFESTO CHE PARLA DI GRANO E DI CILENTO
Aliano, a scuola di paesologia
di Angelo Mastrandrea
Nel paese del confino di Carlo Levi si ritrovano contadini contemporanei, neoruralisti, seguaci della decrescita e della paesologia. Un anno di azioni politiche e culturali per combattere lo spopolamento delle aree interne del sud. Nel segno della vita «slow» Cicinieddo, quattrocento, serpentino, curdone, ramato, vietro, carosedda rossa, carosedda bianca, mazzuto, cappella, maionica, granuario, grano bianco, maccarunaro, riscuolo. I nomi delle antiche varietà di grano sono diventati una filastrocca cilentana, con influssi agro-nocerino sarnesi, nella bocca di Angelo Avagliano. Lo ascoltano in trecento, nel nuovissimo auditorium comunale di Aliano, a cinquanta passi dalla casa in cui fu confinato Carlo Levi e un chilometro circa dal cimitero in cui lo scrittore del Cristo si è fermato a Eboli si fece seppellire. Angelo Avagliano si definisce un «contadino contemporaneo». Quasi vent'anni fa decise di lasciare la sua città, Salerno, per ritirarsi sui monti del Cilento, a Pruno, uno dei pochissimi borghi rurali sopravvissuti in Europa, dove per arrivarci fino a qualche anno fa bisognava scarpinare per sette chilometri. Anche i pastori lo abbandonavano per andare a svernare verso il mare, dove il clima è decisamente più mite. Oggi una strada per fortuna è stata costruita, ma il paese più vicino continua a chiamarsi Piaggine e non New York, e come buona parte dei paesi dell'entroterra appenninico si va svuotando perché il turbocapitalismo impone una velocità doppia o perfino tripla rispetto ai ritmi che la vita ha da queste parti, e chi rallenta è perduto. A Pruno sono rimasti in venticinque. Uno di questi è Avagliano, l'unico ad aver compiuto il percorso inverso, dalla città alla campagna, in direzione della decrescita e della slow life, una vita a misura di Magna Grecia. A Pruno il «contadino contemporaneo» Avagliano, refrattario alla modernità ma perfettamente globalizzato («la prima volta che in vita mia ho messo piede in una banca è stato per sottoscrivere le azioni del manifesto», ci fa sapere) ha messo in piedi un progetto di ruralità contemporanea, fatto di «accoglienza per viaggiatori lenti, decrescita tra nomadesimo e radici, permacoltura indigena non accademica», recupero dei grani antichi che nessuno più coltiva. Le trecento persone che stanno ad ascoltarlo sono state radunate qui ad Aliano da Franco Arminio, scrittore-poeta-paesologo,
sarebbe meglio
definirlo agitatore culturale, che a questo punto della sua vita si è
posto un obiettivo: far rivivere un paese semi-abbandonato del sud
Italia chiamandovi scrittori, artisti, seguaci della decrescita e
neoruralisti a occuparlo per un anno intero, per farne un laboratorio
culturale che rimetta al centro il tema della bellezza e del rapporto
con il paesaggio. Aliano è un luogo altamente simbolico, oltre ad essere
particolarmente suggestivo: il fatto che quassù si salisse «a
balzelloni», come raccontava Levi, che la strada si arrotolasse come un
verme tra due burroni e poi finisse nel nulla lo rendeva un ideale luogo
di confino agli occhi del fascismo. Così, quando l'antifascista
torinese arrivò, nell'agosto del '36, vi trovò già una decina di altri
esiliati e un podestà la cui principale attività era quella di
controllarli.
Ieri e oggi
Oggi Aliano non è più quella descritta da Carlo Levi. Il paesaggio
rimane immutato, «da ogni parte non c'erano che precipizi di argilla
bianca, su cui le case stavano come librate nell'aria», ma la
popolazione è quasi dimezzata rispetto ad allora. Tra il comune e la
frazione di Alianello, qualche chilometro più in giù, vivono appena
1.100 persone. Uno di questi ha costruito una casa blu notte che spicca
tra i colori lunari di questo posto come un monumento alla caduta del
gusto e ai danni, estetici prima di tutto, provocati da una crescita
mal-educata. La casa di Levi rimane l'ultima del paese, affacciata su
una distesa sterminata di calanchi, è stata ristrutturata come tutto il
quartiere attorno, fino alla piazza su cui affaccia il Municipio, e il
tutto diventerà un borgo albergo, ci spiega il sindaco Luigi De Lorenzo,
riparato da malelingue e tirapiedi grazie alle tipiche facciate «con
gli occhi» anti-malocchio che ricordano come i tempi in cui Ernesto de
Martino arrivava da queste parti a indagare sul sud e la magia non sono
poi così lontani.
Benvenuti al Sud
E' il turismo l'ultimo miraggio per questi luoghi, ora che è chiaro che
il sogno di diventare il Texas italiano grazie alle non ancora
precisamente quantificate riserve petrolifere rimarrà tale. A ricordarlo
è l'oleodotto, un altro monumento alla modernità fallita, che
attraversa la valle e fa da bussola ai viandanti sperduti: seguendolo si
arriva a Taranto, a sud c'è il Pollino, a nord si risale verso Matera. I
pozzi della val d'Agri pompano 15 mila barili al giorno di petrolio,
che finiscono in questo gigantesco tubo metallico che sega in due il
panorama desertico. Da tempo è in corso una battaglia tra chi, le
compagnie petrolifere, vorrebbe mano libera per ulteriori trivellazioni e
chi invece, gli ambientalisti, denuncia lo sfruttamento del territorio.
Il presidente della Regione Vito de Filippo, a capo di una giunta di
centrosinistra, proviene da Sant'Arcangelo, un paese vicino ad Aliano,
per questo motivo sente particolarmente la questione e coraggiosamente
promette: «Finché ci sarò io non autorizzerò alcun altro pozzo». Vedremo
come se la caverà con il piano Passera e gli facciamo i migliori
auguri.
Da queste parti ha destato molta impressione come il paesino cilentano
di Castellabate sia stato rivoluzionato nella sua quiete da un film che
ha avuto un gran successo di pubblico: Benvenuti al sud. In fondo, il
sogno di chi vive in questi luoghi è semplicemente quello di evitare che
quest'ultimi si trasformino in paesi per vecchi, come ospizi di gran
lusso, mentre i giovani continuano a essere costretti a emigrare. Pure
il «modello Castellabate» mostra però i suoi limiti: nessuno ne può più
dei vacanzieri alla ricerca dell'ufficio postale, che non esiste se non
nel film, mentre la dura realtà è che a Castellabate la Posta è stata
soppressa.
L'albergo diffuso
Morigerati è un piccolo comune del Cilento nell'entroterra del golfo di
Policastro, pressoché ignoto alle mappe geografiche. Il sindaco Cono
D'Elia e la sua amministrazione hanno avviato un progetto che si chiama
«Radici». In buona sostanza, l'idea è quella di riallacciare un rapporto
con gli emigranti, ormai diventati più numerosi dei cittadini. Così
D'Elia e i suoi assessori e consiglieri hanno sistemato le case
inutilizzate per accogliere chi è andato via e i loro discendenti. In
particolare, spiega il sindaco, «abbiamo un rapporto con la comunità di
San Paolo, in Brasile, e ogni anno ospitiamo una quarantina di
italo-brasiliani».
A Caselle in Pittari, non molto lontano, un gruppo di giovani non
disposti a lasciare il paese come la gran parte dei loro coetanei hanno
invece messo in piedi una Festa del grano. Agli stage sulla mietitura
prendono parte tanti ragazzi che, cancellata dai loro padri la cultura
contadina, hanno voglia di recuperare la memoria dei luoghi. Il Palio
del grano, in estate, è una gara di mietitura tra gli otto rioni e otto
paesi «compari» gemellati con essi.
In pochi sanno che da quelle parti c'è stata una «repubblica rossa», per
37 giorni dal 16 ottobre del 1943. La fondarono i contadini di Sanza,
guidati da un emigrante di ritorno, Tommaso Ciorciari, comunista e
antifascista. Fu una repubblica autarchica che riuscì a inglobare anche
Caselle in Pittari, il socialismo in un paese solo ma di appena tremila
abitanti, dove meno di un secolo prima aveva provato a portare la
rivoluzione Carlo Pisacane, al prezzo della vita sua e dei trecento
«giovani e forti» che lo avevano seguito nell'impresa.
I «parlamenti comunitari»
Tutte queste storie le abbiamo apprese partecipando ai «parlamenti
comunitari» di Aliano, seguendo le tracce di Franco Arminio e della sua
paesologia. «Non sono un filosofo, non sono uno che produce concetti.
Non sono un politico, uno che dovrebbe risolvere problemi. Sono uno che
scrive, produco visioni senza l'obbligo che siano coerenti», ha scritto
qualche tempo fa sul suo blog Comunità provvisorie. Arminio è convinto
che se ci sarà una rinascita in Italia, verrà dai paesi e non dalle
città, e che se dovesse scoppiare un nuovo '68, sarà «il '68 delle
montagne» e non quello di Saint Germain o Valle Giulia. Intanto gli va
riconosciuto un merito: di riuscire a smuovere energie laddove tutto
appare fermo, di creare spazi pubblici di discussione nei luoghi più
impensati, di innescare scintille che un giorno potrebbero provocare
incendi o fuocherelli. Per niente facile, qui a Mezzogiorno. Peccato che
la politica segua poco le sue «visioni», come quando propose di
ripopolare i paesi dell'Appennino con gli immigrati. Ne avrebbero
beneficiato gli uni e gli altri, probabilmente.
di Angelo Mastrandrea
Nel paese del confino di Carlo Levi si ritrovano contadini contemporanei, neoruralisti, seguaci della decrescita e della paesologia. Un anno di azioni politiche e culturali per combattere lo spopolamento delle aree interne del sud. Nel segno della vita «slow» Cicinieddo, quattrocento, serpentino, curdone, ramato, vietro, carosedda rossa, carosedda bianca, mazzuto, cappella, maionica, granuario, grano bianco, maccarunaro, riscuolo. I nomi delle antiche varietà di grano sono diventati una filastrocca cilentana, con influssi agro-nocerino sarnesi, nella bocca di Angelo Avagliano. Lo ascoltano in trecento, nel nuovissimo auditorium comunale di Aliano, a cinquanta passi dalla casa in cui fu confinato Carlo Levi e un chilometro circa dal cimitero in cui lo scrittore del Cristo si è fermato a Eboli si fece seppellire. Angelo Avagliano si definisce un «contadino contemporaneo». Quasi vent'anni fa decise di lasciare la sua città, Salerno, per ritirarsi sui monti del Cilento, a Pruno, uno dei pochissimi borghi rurali sopravvissuti in Europa, dove per arrivarci fino a qualche anno fa bisognava scarpinare per sette chilometri. Anche i pastori lo abbandonavano per andare a svernare verso il mare, dove il clima è decisamente più mite. Oggi una strada per fortuna è stata costruita, ma il paese più vicino continua a chiamarsi Piaggine e non New York, e come buona parte dei paesi dell'entroterra appenninico si va svuotando perché il turbocapitalismo impone una velocità doppia o perfino tripla rispetto ai ritmi che la vita ha da queste parti, e chi rallenta è perduto. A Pruno sono rimasti in venticinque. Uno di questi è Avagliano, l'unico ad aver compiuto il percorso inverso, dalla città alla campagna, in direzione della decrescita e della slow life, una vita a misura di Magna Grecia. A Pruno il «contadino contemporaneo» Avagliano, refrattario alla modernità ma perfettamente globalizzato («la prima volta che in vita mia ho messo piede in una banca è stato per sottoscrivere le azioni del manifesto», ci fa sapere) ha messo in piedi un progetto di ruralità contemporanea, fatto di «accoglienza per viaggiatori lenti, decrescita tra nomadesimo e radici, permacoltura indigena non accademica», recupero dei grani antichi che nessuno più coltiva. Le trecento persone che stanno ad ascoltarlo sono state radunate qui ad Aliano da Franco Arminio, scrittore-poeta-paesologo,
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