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martedì 29 gennaio 2013

IL GASSIFICATORE DI PERSANO. Risposta ORESTE MOTTOLA, direttore del settimanale “UNICO”



[Or.Mo] Di seguito potete leggere la risposta integrale che ho ricevuto dal professore Raffaele Conforti a proposito dell'articolo pubblicato numero 3/2003 del settimanale Unico a proposito del progetto di un impianto di produzione di biocarburanti a ridosso dell'Oasi di Persano gestita dal Wwf.



Il sottoscritto prof, Conforti A.Raffaele con attenzione ha letto l’articolo pubblicato sul settimanale UNICO riguardante l’autorizzazione regionale di un impianto energetico innovativo e sperimentale rilasciato alla società SPHERA S.r.l. con sede a Serre (SA) di cui sono socio.
Con stupefacente meraviglia ho appreso notizie del tutto errate e come tali esplicitate nel suddetto articolo.
Anzi trattasi di notizie false e tendenziose sapientemente e intenzionalmente diffuse, atte unicamente a illegittimamente turbare l’ordine pubblico con informazioni manipolate di rappresentazione alterata della realtà inducendo del tutto artificiosamente un allarme psicologico e sociale nella popolazione, nonchè di un maldestro tentativo di ledere l’immagine del sottoscritto e destabilizzarne la reputazione e l’operato.
Tale uso distorto delle informazioni al pubblico prova che l’irresponsabile condotta giornalistica basata sulla falsificazione dei fondamenti oggettivi delle notizie diffuse abbia determinato un grave allarme sociale altrimenti ingiustificato, per cui l’intervento dell’Autorità Giudiziaria si mostrerebbe ineludibile, non solo in ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale – versandosi nella fattispecie criminale di cui all’art. 650 c.p. – ma, più in generale, della straordinaria gravità di tale prospettato scenario.
Infatti TRATTASI DI IMPIANTO DI PRODUZIONE DI ENERGIA RINNOVABILE e non certo di IMPIANTO TRATTAMENTO RIFIUTI come erroneamente inteso e definito dal Comune di Serre e dallo stesso giornalista, ambedue dotati di completa ignoranza e incompetenza tecnica-ambientale.
Pertanto, vengono qui enunciate, in modo sintetico ma tecnico, note esplicative specifiche onde evitare “interpretazioni soggettive, suggestive, filosofiche e fantasiose” che nulla hanno a che vedere con l’impianto sperimentale proposto : :

1.      IL  PROGETTO  SPERIMENTALE
Il progetto sperimentale presentato è denominato “SERRENERGIA” – “Impianto sperimentale a biomasse con produzione innovativa e sinergica sia di energia elettrica rinnovabile (1,5 MW) sia di biocarburante – biometanolo -da gassificazione al plasma”.
Il progetto, come da fase progettuale esecutiva già predisposta e comunque previa verifica in fase di sperimentazione, già in fase progettuale dimostra l’assenza di problemi di inquinamento nel suolo e nel sottosuolo, nelle acque, assenza di produzione di rifiuti ed ha emissioni “scarsamente rilevanti” non sottoposte ad autorizzazione ai sensi dell’Allegato IV,  Parte I “Impianti e attività in deroga”, comma jj, del D.Lgs n. 128/2010
L’intervento consiste nella realizzazione di n. 2 impianti di gassificazione al plasma di 500 Kg/ora con trasformazione di biomase liquide utilizzate quali SOTTOPRODOTTI ovvero NON RIFIUTI derivanti dalla parte biodegrabile di varie tipologie di sostanze/materiali industriali per la produzione innovativa sia di energia rinnovabile che di biometanolo da utilizzarsi come biocarburante. (Il BIOMETANOLO è classificato quale “Energia Rinnovabile” come previsto dalla Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 23 aprile 2009 e, da ultimo dal Decreto Legislativo 3 marzo 2011).

L’innovazione complessiva è rappresentata dalla trasformazione di biomasse in biocarburante tramite la tecnologia della gassificazione al plasma..
Si fa osservare che il progetto sperimentale proposto deriva dal trasferimento tecnologico della ricerca prototipale e dalla concretizzazione pratica dei risultati pre-industriale attuati da diversi Enti quali ENEA, CNR, UNIVERSITA’ varie, e da ANSANDO RICERCHE S.p.a. (di cui, in particolare, verranno utilizzate le elevate competenze e le tecnologie avanzate di gassificazione), allo scopo di produrre un minimpianto “nuovo” adibito ad uso economico-commerciale.

Si intende dimostrare che nel processo produttivo sperimentale non si brucia e quindi non si producono fumi ma solo gas, non si produce alcun rifiuto, si emettono minime emissioni nell’atmosfera (l’impianto è da considerarsi ad inquinamento atmosferico scarsamente rilevante ai sensi delle vigenti leggi come acclarato dal Settore Ecologia della Regione Campania), non si generano ricadute di sostanze contaminanti/tossiche al suolo, non si ha contaminazione delle acque perché l’impianto opera tassativamente a secco e a caldo senza generare acque reflue tantomeno contaminate, ma tutti i componenti delle biomasse utilizzate vengono trasformati in syngas che, dopo essere stato attentamente purificato a caldo e a secco, risulta alla fine solo composto da idrogeno, ossido di carbonio e piccole percentuali di CO2 e metano, ottenendo la miscela adeguata per generare sia energia elettrica rinnovabile in un motore endotermico, sia un carburante (semi)liquido – biometanolo – con innovativo processo di miscelazione con azoto.
Il processo rispetta in pieno le normative europee della direttiva 2009/28/EU sulle energie rinnovabili (riduzione delle emissioni di CO2, riduzione dei combustibili fossili, risparmio energetico).
In sostanza, si intende dimostrare la validità del processo proposto come “carbon neutral” che non genera effetto serra, né inquinamento atmosferico e ambientale, e che dà sicurezza energetica sia perché produce energia elettrica tinnovabile, sia perché genera un carburante (semi)liquido che sostituisce in parte il petrolio delle cui problematiche e difficoltà siamo tutti al corrente.

Il Progetto sperimentale ha l’obiettivo di acquisire informazioni sulla fattibilità tecnologica della produzione di energia rinnovabile – biometanolo – tramite il processo di gassificazione al plasma con una sperimentazione condotta su un minimpianto di dimensioni ridotte (circa 3.000 mq di impianti tecnologici) ma commerciale e tale da fornire informazioni tecniche significative non influenzate dall’”effetto scala”, che quindi possono “guidare” verso la definizione di affidabili criteri di progetto e di gestione operativa in una successiva fase di “autorizzazione ordinaria”.
RAPPRESENTA L’UNICA INIZIATIVA TECNOLOGICA SPERIMENTALE SPECIFICA IN ITALIA E IN EUROPA
Il progetto sperimentale proposto – sei mesi -  è da autorizzarsi in “via ordinaria” al termine della sperimentazione, se positiva.



2.      LOCALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO SPERIMENTALE
Per gli impianti di produzione di Energie Rinnovabili, il decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 prevede la localizzazione in area agricola
Il sito prescelto – area agricola -  rientra nelle aree incluse nella “perimetrazione” annessa alla Delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 28 luglio 2008 del Comune di Serre, con Oggetto : “Perimetrazione delle Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre fonti di energia (FER) nel Comune di Serre” . Tale perimetrazione costituisce atto programmatico territoriale per un sostenibile inserimento delle Fonti Rinnovabili di Energia (FER)”..

In merito, è importante sottolineare che in materia di impianti di produzione di energia rinnovabile sussiste un potere discrezionale pacificamente riconosciuto al Comune di individuare le scelte ritenute migliori per disciplinare l’uso del proprio territorio, al fine di procedere ad un assetto razionale degli impianti in armonia con la tutela del paesaggio e con l’interesse ad uno sviluppo sostenibile dell’energia da fonti rinnovabili (ad es. TAR Napoli, sentenza n. 7547/2009, TAR Napoli, sentenza n. 16938/2010, TAR Lecce, sentenza n. 118/2009, ecc.).
La realizzazione di tali impianti impone un contemperamento tra l’interesse alla tutela del paesaggio e quello alla produzione di energia attraverso forme “pulite” e rinnovabili, e quindi non c’è dubbio che se da una parte tali impianti possono contribuire notevolmente alla riduzione dei gas serra, dall’altra essi possono incidere negativamente sul paesaggio.
Pertanto il Comune di Serre, Amministrazione comunale lungimirante sulle energie rinnovabili (eolica, fotovoltaiuca, biomasse) anticipando quelli che saranno i futuri scenari energetico-ambientali,  ha correttamente ritenuto opportuno dotarsi di un atto di pianificazione al fine di disciplinare gli interventi da assentire. 
Tutta l’area ricade interamente nell’ambito comunale di Serre ed è classificata dal vigente PRG come Zona Agricola – Sottozona E – idonea alla localizzazione di impianti di energie rinnovabili in alternativa ai combustibili fossili, ai sensi della Delibera Comunale n. 26 del 28 luglio 2008,  Delibera che al suo interno individua e seleziona le aree di localizzazione degli impianti destinati all’insediamento di energia elettrica rinnovabile.
Nello specifico, la scelta di tali aree permettono di evitare le azioni dirette sull’ambiente naturale minimizzando le pressioni legate all’occupazione de suolo ed alla sua modificazione
Il Progetto è compatibile con le disposizioni generali, urbanistiche ed edilizie vigenti, essendo inserito nello “Stralcio della mappa catastale comunale con indicazione delle aree incluse nella “perimetrazione” annesso alla Delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 28 luglio 2008 del Comune di Serre, con Oggetto : “Perimetrazione delle Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre fonti di energia (FER) nel Comune di Serre.
Tale delibera comprende la dichiarazione del Sindaco e della Giunta e del Coniglio comunale di “compatibilità urbanistica dell’opera” in quanto tale atto, al pari di un “certificato di destinazione urbanistica”, non fa che dichiarare, con riferimento ad una determinata area, le prescrizioni di carattere oggettivo e vincolato che costituiscono il tipico contenuto della pianificazione urbanistica comunale.
Considerati gli obblighi vincolanti di Kyoto e la liberalizzazione del mercato energetico, associate alle azioni chiavi per la promozione del risparmio energetico e dello sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, il Comune di Serre, con la Delibera succitata, ha svolto un ruolo significativo e trainante nel realizzare iniziative che permettono di determinare una strategia tesa al perseguimento della sostenibilità economico-ambientale del territorio comunale
Per quanto attiene agli aspetti procedimentali concernenti l’esercizio delle proprie funzioni, il Comune ha utilizzato l’ordinario strumento regolamentare, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., il quale dispone espressamente che i Comuni “hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
L’amministrazione comunale, nel favorire l’installazione di impianti di energia “pulita” (rinnovabile)  ha attuato scelte strategiche, lungimiranti e programmatiche, e non inteso conservare in ogni caso un certo potere discrezionale teso a disciplinare – se del caso anche mediante atti regolamentari a carattere generale – il corretto inserimento di tali strutture nel rispetto dei fondamentali valori locali e del paesaggio rurale, nonché un preciso interesse alla conservazione delle matrici ambientali

In conclusione, la deliberazione del Consiglio Comunale di Serre (SA) n. 26 del 28 luglio 2008 avente per oggetto “Perimetrazione delle Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre fonti rinnovabili di energia (FER) nel Comune di Serre” ha inteso costituire un atto programmatico territoriale per un idoneo inserimento di attività produttive di fonti rinnovabili di energia quale “fattore propulsivo per una dinamica di crescita sostenibile” e rappresenta una misura puntuale di zonizzazione territoriale e di localizzazione di opere ed impianti per specifiche finalità produttive, destinata ad imporsi sulle (eventualmente difformi ?????) volontà locali in quanto connessa a localizzazioni di impianti aventi già un dettaglio progettuale tale da potersi sovrapporre in modo automatico alle previsioni dettate dalla pianificazione urbanistica (c.d. operatività diretta e c.d. efficacia indiretta)

Si ribadisce, quindi che la localizzazione in area agricola dell’impianto sperimentale proposto  non solo è esterna alla SIC-ZPS IT8050021. risulta normativamente e giuridicamente legittima ai sensi delle normative nazionali (Decreto 30 novembre 2010 del Consiglio dei Ministri – D.Lgs 29 dicembre 2003 n. 387), rientra nelle aree incluse nella “perimetrazione” annessa alla Delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 28 luglio 2008 del Comune di Serre, con Oggetto : “Perimetrazione delle Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre fonti di energia (FER) nel Comune di Serre” Tale perimetrazione costituisce atto programmatico territoriale per un sostenibile inserimento delle Fonti Rinnovabili di Energia (FER)”ai sensi dell’art. 6 del su citato DPR.




3.      UTILIZZO DI RIFIUTI
La parola “rifiuti” ha sempre identificato due aspetti tra loro fortemente contrapposti, ovvero quello del “problema” e quello della “risorsa”.
La gestione integrata di biomasse da rifiuti speciali, industriali, (utilizzate tra l’altro nell’impianto proposto come SOTTPPRODOTTI ovvero NON RIFIUTI) si presenta come la metodologia più corretta per il loro utilizzo per produrre energia che ben si armonizza con la necessità sempre più sentita da parte degli amministratori pubblici e degli operatori del settore, di ridurre al minimo, o eliminare, l’impatto sull’ambiente prodotto dalle attività umane attraverso modalità e tecnologie in termini di “risorsa”.
La Società proponente trasforma le biomasse da rifiuto in una risorsa e ne ricava bioenergie.
Dal rifiuto alla risorsa : un concetto ormai largamente condiviso dalla società attuale, ed è indispensabile in un Territorio che vuole crescere, essere competitivo e vincere

a.      UTILIZZO DI BIOMASSE
BIOMASSA è un termine che riunisce una grande quantità di materiali, di natura estremamente diversificata ed eterogenea ed assume diverse accezioni a seconda del contesto in cui viene utilizzato.
In generale, con tale termine si designa ogni sostanza organica da cui sia possibile ottenere energia attraverso processi di tipo termochimica o biochimico.
In sostanza, nel novero di biomassa possono rientrare sia quelle sostanze che costituiscono la produzione primaria destinata a fungere da combustibile che le altre che invece rappresentano lo scarto di una lavorazione, di un processo, di una filiera fino alla parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.
Da questi materiali possono essere ottenuti – con processi biologici, meccanici o termici – dei biocombustibili solidi, liquidi o gassosi di diversa purezza e qualità con i quali alimentare impianti di ogni tipo per la produzione, anche combinata, di energia termica, meccanica ed elettrica.
Si evidenzia come il legislatore italiano inserisce fra le “fonti rinnovabili” anche i rifiuti, secondo una politica energetica che caratterizza il nostro ordinamento interno il quale regola il mercato dell’energia (e dei certificati verdi) includendo tanto i rifiuti urbani che quelli industriali, in considerazione della loro parte biodegradabile come di quella non biodegradabile (riferimento al decreto “Bersani” del 2000, alla legge Comunitaria del 2001, alla dichiarazione del Governo italiano riportata in allegato alla direttiva 2001/77/CE sulle fonti rinnovabili, al d.d.l. “Marzano”, al D. Lgs.29.12.2003 n. 387, ecc.).
In particolare, come definizione nazionale, l’art. 2 del D.Lgs 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 2001/77/CEE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinovabile nel mercato interno dell’elettricità” e in particolare quello contenuto nel’art. 2, lettera a) e b) della stessa direttiva citata, cita :
fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili” : le fonti enrergetiche non fossili (eolico, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomassse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.
In particolare, per biomasse si intende : la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendenti sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Resta fermo che tale indirizzo legislativo non possa non risultare che “ecocompatibile”, non solo nel senso di consentire la riduzione del consumo di combustibili convenzionali e quindi le emissioni di CO2, ma anche in considerazione del fatto che gli impianti di produzione di energia elettrica devono rispettare la normativa sulle emissioni in atmosfera secondo i noti principi delle migliori tecnologie disponibili a condizioni tecnicamente ed economicamente valide.

La necessità di inquadrare una biomassa come combustibile o come rifiuto o come sottoprodotto sussiste unicamente in relazione agli aspetti autorizzativi.
Infatti, un impianto che utilizza residui, anche se catalogabili come biomasse, potrebbe essere considerato come impianto di “trattamento rifiuti” e quindi richiedere tutte le autorizzazioni e procedure necessarie ad un impianto che “tratta rifiuti”.
Le caratteristiche del combustibile utilizzato – BIOMASSE E NON RIFIUTI – per l’alimentazione dell’impianto sperimentale energetico proposto mutano, di fatto, la natura autorizzatoria del procedimento e le finalità per il quale il provvedimento conclusivo verrà emesso.
Infatti proprio la tipologia del materiale combustibile e la sua provenienza sono stati oggetto di dinieghi e ricorsi in merito alle procedure autorizzative di impianti a biomasse.
Il discorso è complesso e non esauribile nella breve trattazione di questo documento ma è importante sottolineare come questo sia attualmente uno dei principali problemi di settore, soprattutto in quanto la normativa è in continua evoluzione e soggetta, nel caso specifico, ad “interpretazioni” delle amministrazioni interessate difficilmente prevedibili a priori e che introduce una nota di incertezza al momento dell’istruttoria delle pratiche auorizzative.

Appare, quindi, necessario chiarire l’attuale assetto dell’impianto sperimentale proposto e l’iter autorizzativo alla luce  della normativa nazionale afferente il sistema delle fonti rinnovabili, ovvero vale a dire il Dlgs 387/2003 e il successivo D.Lgs 28/2011 quale criterio per le soluzioni di eventuali conflitti interpretativi (quale che ne sia la sede).

A riferimento principale dell’iter autorizzativo si prende il contenuto e le decisioni della sentenza del TAR Piemonte, Torino, n. 1563/09 del 5 giugno 2009 che fissa un importante principio giurisprudenziale sugli stringenti temi delle energie rinnovabili dal quale trarre certezze su un percorso autorizzativo condiviso di approfondimento.
La sentenza costituisce un ottimo esempio di corretta e puntuale applicazione dei fondamentali principi del diritto comunitario, spesso purtroppo trascurati, e fornisce importanti indicazioni per un settore nel quale l’Italia è in forte ritardo rispetto agli altri Stati membri.
Questo è peraltro quanto ci contesta la stessa Commissione europea quando avverte che in tema di rinnovabili “l’Italia è ancora lontana dagli obiettivi fissati a livello sia nazionale e sia europeo, rilevando che tale ritardo è determinato da vincoli di carattere amministrativo, quali ad esempio le complesse procedure di autorizzazione a livello locale”.

Che si tratti di rifiuto o di un sottoprodotto non rileva ai fini dell’applicabilità alle biomasse della normativa sulle fonti di energia rinnovabile, di cui al D.Lgs n. 387/2003.
Questa è, in sostanza, la “morale” della sentenza del TAR Torino n. 1563/09 del 5 giugno 2009,
Fra fuorvianti richiami contenuti nelle nostre leggi sibilline (oltre che nei decreti applicativi, sparsi qua e là) e “ragioni di confusione normativa” (frutto di incerti passaggi legislativi), dopo un esaustivo richiamo alla copiosa giurisprudenza comunitaria in materia di rifiuti e al suo coordinamento con la politica energetica comunitaria, il TAR di Torino stabilisce che in tema di procedura di autorizzazione per l’installazione di una centrale elettrica a biomasse (art. 12 del D.Lgs 387/2003) l’unica definizione di “biomassa” presente nella legislazione italiana – rilevante al fine di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina afferente le fonti rinnovabili di energia – è quella dettata dall’art. 2 della direttiva 77/2001/CE di cui il D.Lgs n. 387/03 costituisce attuazione.
Di conseguenza, risulta superfluo valutare e una determinata sostanza possa o meno rientrare nel concetto di “sottoprodotto”(escluso dalla nozione di “rifiuto” dal D.Lgs 3 dicembre 2010 n. 205) e con ciò comunque sfuggire all’inquadramento quale “rifiuto”, in quanto, secondo la direttiva 77/2001/CE e quindi il D.Lgs 387/2003, anche veri e propri “rifiuti”, purchè biodegradabili, sono certamente suscettibili di utilizzazione quali biomasse in centrali di produzione di energia.
Il TAR ha quindi ribadito che le norme nazionali sullo sfruttamento di fonti di energia rinnovabile devono essere interpretate alla luce della normativa comunitaria “per la necessità imprescindibile di garantire la “primazia” del dritto comunitario, il suo effetto utile, nonché di interpretare la normativa nazionale in senso conforme alle regole di cui costituisce attuazione”, evitando posizioni contradditorie e alla fine dannose per tutti, quindi, che in special modo penalizzano poi l’ambito delle biomasse, dove troppo spesso fonti energetiche vocate vengono confuse e assimilate ai rifiuti e gli impianti per la loro trasformazione in calore e energia vengono valutati alla stregua di dannosi inceneritori.
Ne consegue che sia per la procedura autorizzativa di un impianto a biomasse che per l’utilizzo di biomasse come combustibile o per la gestione di biomassa intesa come rifiuto o sottoprodotto dovrà essere utilizzata la definizione della normativa che in quel momento si sta utilizzando.
Tutto ciò può creare difficoltà di attribuzione, dato che le diverse fonti legislative e istituzionali la definiscono in maniera diversa e, talvolta, contradditoria. Infatti, proprio la tipologia del materiale combustibile e la sua provenienza sono stati oggetto di dinieghi e ricorsi in merito alle procedure autorizzative degli impianti.
Il primo approccio alla definizione di biomassa si ha confrontandosi con la procedura autorizzativa dell’impianto, in caso che essa sia dedicato alla produzione di energia.
L’art. 2 del D.Lgs 387/2003 riprende testualmente la direttiva 2001/77/CE e stabilisce che “… per biomassa si intende “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti o residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali o animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Nel contesto della disciplina delle fonti di energia rinnovabile questa è l’unica definizione di biomassa – presente nella legislazione italiana – che sia rilevante e congruente con la pertinente direttiva (TAR Piemonte, Sezione I, sentenza n. 1563 del 5 giugno 2009).
Il D.Lgs 387/2003 si estende a  tutta la parte biodegrabile dei prodotti, rifiuti e residui.
Per evitare “confusioni interpretative”, dalla breve analisi sin qui effettuata, emerge con chiarezza che non solo è fisiologico che la problematica dei rifiuti e quella delle biomasse si intersechino, ma è anche naturale che, all’interno del sistema normativo, possano coesistere più definizioni di biomassa, ognuna funzionale ad una determinata disciplina..
Il ruolo della giurisprudenza, in questo senso, è stato fondamentale, e ha consentito di interpretare in modo dinamico concetti giuridici troppo “statici” per rappresentare “la modernità” sostenibile, ovvero se è vero che la politica di incentivazione delle fonti di energia rinnovabili non può vanificare la politica di corretta gestione dei rifiuti, è altrettanto vero che “il coordinamento delle due politiche non si realizza ipotizzando una reciproca esclusione tra il concetto di biomassa fonte di energia rinnovabile e il concetto di rifiuto.
In sostanza, per applicare correttamente la normativa, occorre effettuare un’analisi del testo nel contesto, ovvero “comprendere a quale fine e in quale contesto la definizione di biomassa deve essere ricostruita, per poter procedere all’individuazione della giusta definizione. Ne deriva la fisiologica possibilità che, ciò che in un determinato contesto è soltanto un RIFIUTO, in un altro contesto possa assumere il valore di FONTE RINNOVABILE DI ENERGIA
Ai fini che qui interessano – “autorizzazione di un impianto sperimentale a biomasse” – l’unica definizione di biomassa (testo) pertinente, nell’ambito della disciplina afferente le fonti rinnovabile di energia (contesto) è quella dettata dall’art. 2 del D.Lgs 387/2003.
Non sono pertinenti – ancorché suggestive – diverse interpretazioni  che pongono altre normative (come quelle sui rifiuti) falsamente idonee ad escludere l’utilizzabilità quale biomassa-fonte di produzione energetica particolari sostanze annoverate, ad altri fini, qualirifiuti”.

IN CONCLUSIONE, NON ESISTE NELLA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE LA DEFINIZIONE DI BIOMASSA QUALE RIFIUTO
Da quanto su esplicitato risulta infatti che NON ESISTE A PRIORI UNA DEFINIZIONE NORMATIVA DI BIOMASSA come RIFIUTO essendo unicamente LA PARTE BIODEGRADABILE DEL RIFIUTO E NON IL RIFIUTO.




b.      NON UTILIZZO DI RIFIUTI MA DI SOTTOPRODOTTI-NON RIFIUTI
Né il Comune di Serre nè il giornalista sa che negli ultimi tre anni varie sono state le disposizioni legislative che hanno profondamente modificato le normative sui rifiuti e sull’energia.
Mentre in passato la tendenza del legislatore comunitario (e di riflesso quello nazionale) era quello di ampliare il più possibile la nozione di rifiuto (qualcuno ha sarcasticamente osservato che prevaleva il PARTITO  DEL C.D. TUTTO RIFIUTO) ricomprendendo in essa praticamente ogni tipo di fattispecie, progressivamente si è fatta strada la tendenza opposta che ha portato, da una parte, ad escludere dal novero dei rifiuti, a particolari condizioni, varie sostanze od oggetti (i c.d. sottoprodotti) e dall’altra, a far uscire dal novero di rifiuti sostanze che in precedenza erano state qualificate come tali (cd. “cessazione della qualifica del rifiuto  o end of vaste o materie prime secondarie).
Nel citato scontro tea i PARTITI DEL TUTTO RIFIUTO e i PARTITI DEL NIENTE RIFIUTO si è pervenuti a una posizione mediana per la quale l’insieme dei rifiuti può dirsi limitato e intaccato dai contigui sottoinsiemi dei sottoprodotti e della cessazione della qualifica di rifiuto (o end of waste).
Con la presente nota si intende motivare il convincimento, argomentando in merito.
L’argomento logicamente e necessariamente prodromico alla disamina della specifica tematica rifiuto-non rifiuto, è quello relativo alla definizione sia della nozione di rifiuto (introdotto nel testo originario del D.Lgs 152/2006 e s.m.i.) sia del concetto di sottoprodotto (come da ultimo delineato  nell’art. 184-bis, introdotto dal D.Lgs 205/2010) e dai presupposti che devono ricorrere affinché cessi la qualifica di rifiuto.

Per accertare la sussistenza delle qualifiche di “sottoprodotto” fin dall’origine delle sostanze/materiali utilizzati, occorre verificare la ricorrenza delle singole condizioni prescritte per i sottoprodotti dall’art. 184-bis citato – come introdotto nel D.Lgs dall’art. 12 del D.Lgs n. 205 del 2010 :

punto 1 : E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni :

a)      le sostanze o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primari non è la produzione di tale sostanza od oggetto,

b)      è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi,

c)      la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale,

d)      l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

Queste condizioni, però, da sole non bastano in quanto taluni prodotti dell’attività di impresa – che pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego – possono essere esclusi dal regime dei rifiuti a patto che rispettino contemporaneamente tutte le condizioni elencate dall’art. 5 della Direttiva 2008/98/CE come recepite nell’art. 184-bis del D.Lgs 152/2006.
Alla luce del termine letterale della norma, la sussistenza delle condizioni indicate deve essere contestuale e, anche in mancanza di una di esse, tali residui rimangono soggetti alle disposizioni dei rifiuti (ex multis Corte Cassazione Penale, Sez. III, n. 47085, 19 dicembre 2008).
Infatti, come emerge chiaramente dalla disposizione in esame, quella dei sottoprodotti è una disciplina che prevede l’applicazione di un diverso regime gestionale in condizioni di favore, con la conseguenza che l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge incombe comunque su colui che l’invoca.
Si tratta di un principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione Penale, anche con riferimento ad altre discipline derogatorie in tema di rifiuti
LA DIMOSTRAZIONE CHE TRATTASI DI UTILIZZO DI SOTTOPRODOTTI ovvero di NON RIFIUTI è stata corposamente dimostrata al Settore Ecologia Regionale che ha dato per iscritto conferma positiva con propria nota in merito inviata ala Regione per il procedimento autorizzativo dell’impianto-
Si ritiene, per quanto suesposto pur in modo sintetico e non eccessivamente ampliato né eccessivamente restrittivo che non si possa giungere a diverse “interpretazioni” da quelle enunciate, ovvero che l’impianto non tratta RIFIUTI ma solo BIOMASSE quali sottoprodotti
Alla luce delle suddette considerazioni, appare dunque certa nella fattispecie dell’impianto proposto la sussistenza dei fondamentali requisiti richiesti dall’articolo 184-bis del D.Lgs 152/2006, e pertanto può quindi concludersi che le biomasse utilizzate nell’impianto sperimentale proposto – derivanti da vari e diversi processi produttivi – possono essere qualificate giuridicamente SOTTOPRODOTTI, ai sensi dell’art. 184-bis, comma 1, del D.Lgs 152/2006  e s.m.i., nel rispetto delle condizioni descritte e con le connesse conseguenze sotto il profilo delle loro modalità di gestione come prodotti (e non rifiuti).




c.       UTILIZZO DI SOSTANZE LIQUIDE PERICOLOSE

L’utilizzo di sostanze pericolose è da sempre alla base della storia dell’uomo come strumento di progresso e di innovazione delle conoscenze.
Negli ultimi due secoli il progresso scientifico e tecnologico ha determinato una accelerazione nelle conoscenze e soprattutto nell’utilizzo di sostanze chimiche naturali e anche di sintesi che hanno concorso alla rivoluzione dei costumi della società odierna.

Le sostanze pericolose sono tutti quei materiali, soluzioni e componenti, i cui ingredienti sono potenzialmente pericolosi e le cui proprietà possono mettere a rischio la salute pubblica e l’ambiente.
Le problematiche connesse alla produzione di sostanze pericolose hanno assunto negli ultimi decenni proporzioni sempre maggiori in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire dello sviluppo industriale, all’incremento della popolazione e delle aree urbane.
La produzione di sostanze pericolose è, infatti, progressivamente aumentata quale sintomo del progresso economico e dell’aumento dei consumi.
La gestione delle sostanze pericolose è diventata sempre più di rilevanza nazionale  e direttamente sotto gli occhi dei cittadini.

Oggi il numero di sostanze e preparati pericolosi presenti in commercio e utilizzati nelle diverse attività lavorative è molto elevato e in continuo aumento, in modo tale che ciascuno, nei diversi momenti della vita lavorativa, può essere esposto a numerose tipologie di inquinanti con diversi effetti sulla propria salute che a volte sono difficilmente prevedibili.

È importante ricordare che l’utilizzo di sostanze pericolose non è unicamente legato alle attività lavorative, poiché numerose sostanze pericolose entrano quotidianamente negli ambiti di vita (si pensi ad es. ai prodotti detergenti, ai cosmetici, ai prodotti legati all’hobbistica, ecc.), ed è quindi necessario acquisire una corretta percezione del rischio chimico e incidere sui comportamenti dei lavoratori e di tutti gli utilizzatori al fine di adottare procedure di lavoro corrette che riducano al minimo l’esposizione di agenti chimici pericolosi.

Alla luce di ciò ne consegue che, se il sistema di gestione di sostanze pericolose non è efficace, queste possono diventare una vera e propria minaccia ambientale.
La certificata pericolosità del residuo NON esclude l’utilizzo quale sottoprodotto, se il suo impiego non determina un impatto ambientale significativo, in considerazione dell’ idoneo confinamento e dell’adeguata gestione ai sensi del prioritario principio di prevenzione e riduzione della pericolosità.

Nell’impianto proposto non si ritiene che non sarà di per sé in grado di determinare un peggioramento degli impatti ambientali ( e sulla salute umana) derivanti dal processo di produzione energetica.

Ciò dipenderà, in primo luogo dalle modalità di stoccaggio e di movimentazione delle sostanze. Allorché queste siano debitamente confinate nell’ambito dell’impianto energetico produttivo, all’interno di serbatoi dedicati, e poi immessi, con le precauzioni dovute, nelle torri di gassificazione, ben potrà escludersi tale peggioramento

L’impianto sperimentale proposto si avvale delle migliori tecnologie disponibili nel rispetto prioritario dei vincoli che governano l’equilibrio del territorio e per consentire il miglior adattamento alla complessità del luogo.

L’utilizzo di queste sostanze sarà, quindi, attento e responsabile e sarà necessaria un corretto stoccaggio  Una difforme e superficiale gestione delle sostanze pericolose può causare, infatti, problemi sanitari ed ambientali.

Negli ultimi decenni ha suscitato grande interesse il tema della riduzione degli effetti dei rifiuti sulla natura e sull’ambiente (sia riguardo alle componenti naturali – aria, acqua, suolo -, sia  alle componenti  culturali  - beni culturali in senso stretto, bellezze naturali e paesaggistiche -, sia alle componenti territoriali – habitat).
È avvertita diffusamente la necessità di ridurre la produzione dei rifiuti con l’obiettivo di non sottovalutare eventuali possibilità di ricavare risorse da essi (“Considerando” n. 28 della direttiva 2008/98/CE : “La presente direttiva dovrebbe aiutare l’Unione Europea ad avvicinarsi ad una “società di riciclaggio” cercando di evitare la produzione di rifiuti e di utilizzare i rifiuti come risorse”. Inoltre – “considerando” n. 42 della direttiva  2008/98/CE – “Spesso i rifiuti hanno un valore in quanto risorse e un maggior ricorso agli strumenti economici può consentire di massimizzare i benefici ambientali, il ricorso a tali strumenti dovrebbe quindi essere incoraggiato al livello appropriato sottolineando al tempo stesso che i singoli Stati membri possono decidere circa il loro impiego”).

La necessità di recuperare i ritardi accumulati si scontra con un clima di ostilità verso tecnologie di riutilizzo/trasformazione che si sono profondamente evolute, assicurando prestazioni elevate e impatti ambientali e sanitari del tutto accettabili.
In Italia, e in particolare in Campania, occorre fare oggi un grande sforzo per vincere pregiudizi e disinformazione.
Lo smaltimento in discarica si presenta oggi, infatti, come spreco di risorse oltre che di rischio ambientale.
L’interramento in discarica di “rifiuti” costituisce ancora l’opinione più diffusa di smaltimento, nonostante la vigente legislazione UE ne preveda invece la progressiva eliminazione a favore del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero con valorizzazione anche energetica.

Da qui, l’orientamento legislativo di trasformazione COMPATIBILE anche di sostanze pericolose, in quanto essenziale tassello per una loro moderna e attenta gestione improntata a criteri di sostenibilità ambientale, che peraltro facilita fortemente anche l’obiettivo di riduzione dei quantitativi e della pericolosità dei rifiuti conferiti in discarica.
Il rispetto di precise indicazioni e l’esperimento di determinate cautele è ritenuto come indispensabile dalla direttiva 2008/98/CE quando si parla di sostanze pericolose.
Data la loro alta potenzialità lesiva è opportuno osservare una soglia di rigore più alta per quanto riguarda la loro gestione che si presenta attenta ma che, nel complesso, costituisce una sfida severa da affrontare dal punto di vista tanto ambientale quanto economico.

La legislazione europea è, di conseguenza, in costante evoluzione e aggiornamento, in quanto il legislatore ceca di trovare un giusto bilanciamento tra i due obiettivi di :
o   Massimo riutilizzo di risorse in maniera ambientalmente sostenibile,
o   Restrizioni e rigidità per prevenire che sostanze pericolose vengano allocate erroneamente e causino problemi per la salute pubblica o danni ambientali.
I piani di azione si basano sui seguenti obiettivi fondamentali :
o   Ridurre la produzione dei rifiuti,
o   Prevenzione, protezione e riduzione della pericolosità delle sostanze,
o   Utilizzo delle sostanze pericolose come fonti di energia,
o   Minimizzare l’uso delle discariche valorizzando la produzione energetica.

Rimanere al passo degli aspetti normativi e regolatori è importante, e la gestione operativa della logistica dei sottoprodotti nel rispetto delle normative vigenti è un requisito fondamentale.
La conoscenza delle normative è anche importante per individuare applicazioni ottimali per i vari /sotto)prodotti.
Un’approfondita conoscenza degli aspetti normativi, sempre in cambiamento, è, quindi, un fattore di professionalità.
A proposito,  si chiarisce che ai sensi dell’art. 34 del Decreto Legge crescita e sviluppo 22 giugno 2012 saranno utilizzati solo quei sottoprodotti, in deposito come rifiuti con codice CER, che non presentino altra utilità produttiva o commerciale al di fuori del loro impiego per la  produzione di carburanti o ai fini energetici, e pertanto, in relazione all’enorme varietà, si indica, nel progetto sperimentale, una lista identificativa di sottoprodotti che soddisfano i suddetti parametri legislativi a condizioni economiche favorevoli nella cessione del sottoprodotto per il produttore/detentore attraverso un effettivo risparmio nella gestione.  (Legge 8 agosto 2012 n. 134 – “Conversione in legge del decreto-legge 22 giugno 2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese” – al Capo IV – “Misure per lo sviluppo e il rafforzamento del settore energetico” – art. 34 – “Disposizioni per la gestione e la contabilizzazione dei biocarburanti”, comma 2).

Si ritiene opportuno perciò sgomberare il campo da possibili equivoci  derivanti dall’inclusione delle sostanze utilizzate nell’impianto proposto nel Catalogo C.E.R.
Al riguardo va ribadito, in diritto, che l’attribuzione di un qualsiasi numero di codice C.E.R. ad un determinato residuo produttivo NON corrisponde, come conseguenza giuridica, alla  natura di rifiuto in assenza della volontà di “disfarsi” di esso da parte del loro produttore, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), come specificato nella “introduzione” premessa all’Allegato D) della Parte Quarta del T.U.A. (che detta “La classificazione di un materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all’art. 1, lettera a) della direttiva 75/442/CEE”.

In termini storici e/o tecnologici, si può riscontrare che molti “residui produttivi” – oggi qualificati o qualificabili “sottoprodotti” – non sono stati in precedenza considerati come beni e quindi hanno avuto in sorte di essere smaltiti o recuperati come rifiuti (per ragioni di mercato, per assenza du tecnologie appropriate che ne permettevo il reimpiego, per motivi economici, e soprattutto, per lo “stato arretrato” della legislazione).

Tra l’altro, la nozione di rifiuto e le espressioni che la qualificano non possono essere interpretate in senso restrittivo, come peraltro reiteramente affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione Penale (ex multis Sez. III, 200208520, Leuci, RV 221273) mentre devono formare oggetto di interpretazione restrittiva le esclusioni di determinate sostanze dall’ambito di applicazione della disciplina generale sui rifiuti.

Pertanto verranno utilizzate biomasse depositate come rifiuti presso i detentori con codice CER in quanto non commerciabili ma destinate allo smaltimento, ed utilizzate quali sottoprodotti-non rifiuti senza codice CER nella cessione e nel trasporto all’impianto in quanto impiegati per la produzione di biocarburante (biometanolo) ed energia elettrica rinnovabile.

Progetto anticamorra”
Per tacitare definitivamente eventuali fantasiose ipotesi, nebulose illazioni ed equivoche filosofie a detrimento dell’impianto sperimentale proposto, tale impianto NON è idoneo a smaltimenti irregolari e/o a traffici illeciti nel settore dei rifiuti da parte di settori malavitosi e/o di criminalità organizzata in quanto è da definirsi quale “impianto anticamorra” perché NON è di alcuna “utilità economica” conferire materiali pericolosi classificandoli come NON pericolosi, bensì il contrario.
È da sottolineare inoltre che il rigetto di tali impianti, ambientalmente compatibili, ed assenti nella Regione Campania, potrebbe sembrare quasi una complicità con la camorra, come hanno dimostrato palesemente i continui interramenti di liquidi tossici e nocivi nei terreni dell’agro nocerino e nel casertano, con conseguenze ambientali e sanitarie inimagginabili.


4.      LA GASSIICAZIONE
Le conoscenze sulle torce al plasma sono una delle tante ricadute dell’industria aerospaziale americana ed in questo caso direttamente dalla NASA, che circa vent’anni fa doveva dare una risposta alle esigenze di ricerca e sviluppo di materiali in grado di resistere alle altissime temperature generate dall’attrito dell’aria, pur se rarefatta, durante il rientro di capsule spaziali nell’atmosfera terrestre.
Da allora le torce al plasma hanno avuto un grande sviluppo industriale e numerosissime sono oggi le applicazioni nel settore metallurgico e siderurgico, in quello delle lavorazioni meccaniche, per non parlare naturalmente di settori ecologici quali le biomasse con particolari sostanze tossico-nocive.
Ed è proprio in questo ultimo settore che tale applicazione riveste una particolare importanza per gli aspetti energetici, ma soprattutto per quelli ambientali.
La tecnologia al plasma consente il trattamento di un ampio spettro di biomasse organiche, anche pericolose e/o contaminate, provenienti da ospedali, cimiteri, di origine industriale, sostanze residue degli inceneritori.
La combustione senza fiamma – o “mild” – rappresenta una tecnologia sviluppata principalmente per far fronte al problema dell’inquinamento da ossidi di azoto, ma in grado di inibire efficacemente anche la formazione dei principali inquinanti  caratteristici dei processi di combustione, quali ad esempio, il monossido di carbonio (CO) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA o PAHs). In fase di combustione senza fiamma è possibile ridurre la produzione di ossidi di azoto di circa 100 volte (da 1000 fino a 10 ppm), mantenendo un rendimento energetico confrontabile con quello dei processi di combustione tradizionale a fiamma diffusiva o premiscelata.
La gassificazione di materiali solidi e liquidi è nota da quasi duecento anni ed è stata ampiamente impiegata per la produzione di gas di città nell’ultima parte del XIX e del XX secolo. Da allora, sono stati introdotti numerosi miglioramenti in termini di soluzioni impiantistiche e di condizioni di processo che consentono oggi di offrire una tecnologia più economicamente competitiva, di elevata efficienza energetica e con un impatto ambientale molto contenuto.
Il processo di gassificazione fu originariamente sviluppato negli anni 1800 per produrre gas di città per l’illuminazione e per cucinare. Il gas naturale e l’elettricità rimpiazzarono successivamente il gas di città per queste applicazioni, ma il processo di né è stato utilizzato per la produzione di prodotti chimici sintetici e di combustibili fin dagli anni 1920.
I generatori a gas di legna, ovvero i gasogeni, furono utilizzati anche per fornire energia ai veicoli a motore in Europa durante lo scarseggiare dei combustibili nel periodo della seconda guerra mondiale.
Questa tecnologia deve il proprio nome alla sua caratteristica più evidente, cioè all’assenza di una fiamma definita e visibile durante lo svolgimento della reazione di combustione. Attraverso un forte preriscaldamento dell’aria di combustione ed un elevato ricircolo dei gas combusti è infatti possibile sviluppare una reazione di combustione “distribuita” all’interno della camera di reazione e non più concentrata su di un fronte di fiamma. Come immediato risultato dell’allargamento della regione di combustione vi è una marcata omogeneizzazione della temperatura all’interno del bruciatore che comporta, a sua volta, un appiattimento dei picchi di temperatura responsabile della formazione degli ossidi di azoto di origine termica.
Per gassificatore si intende, quindi, un impianto che a partire da vari materiali ricava combustibili gassosi impiegabili per la produzione di energia. La gassificazione  è un processo endotermico irreversibile, che, sotto l’aspetto tecnico, si differenzia dalla combustione diretta dei rifiuti (incenerimento), sia per le condizioni operative (ossidazione parziale in difetto di ossigeno e ad alta temperatura), sia per le modalità di recupero energetico sui prodotti intermedi (produzione di un gas detto “syngas”, costituito da una miscela di idrogeno, monossido e biossido di carbonio, metano, azoto e vapore, che rappresenta un vettore energetico facilmente trasformabile in energia, sia perché converte qualsiasi combustibile in un prodotto gassoso con un potere calorifico utilizzabile (escludendo quindi la combustione perché in tale processo i gas effluenti non hanno un potere calorifico residuo).
Il processo è quello che si verifica quando si trattano ad elevate temperature (3.000-7000°C) ed in carenza di ossigeno (atmosfera controllata) masse organiche preventivamente concentrate per essiccazione. I legami chimici delle molecole si indeboliscono (pirolisi) fino a collassate e scomporre la massa in due frazioni, una aeriforme e l’altra solida. Si viene così a creare una condizione di “non combustione” per la quale i composti del carbonio, non trovando ossigeno con cui legarsi con l’idrogeno e successivamente, combinandosi con l’ossigeno liberato nel corso del processo, formano CO e CO2 ed altri idrocarburi in % minore.
Tutto il carbonio contenuto nella massa viene interessato alla reazione.
Il calore necessario alla reazione è ottenuto per gassificazione della biomassa stessa ed avviene con un’efficienza di conversione compresa tra il 70 e l’80%.
A causa delle temperature di esercizio e del controllo dell’atmosfera di processo (> 3.000°C) è garantita la totale eliminazione delle sostanze organiche indesiderate eventualmente presenti nei substrati di partenza.
Viene considerata una delle tecnologie più valide e promettenti ai fini della produzione di energia per quanto riguarda l’impatto ambientale sia perché consente di trasformare un combustibile solido in combustibile gassoso (matrice carboniosa ossidata parzialmente ad alta temperatura (T = .3000-7000°C), sia perché consente di sostituire i tradizionali combustibili liquidi e gassosi con quelli solidi residui dell’attività produttiva.
I gassificatori sfruttano il calore per convertire direttamente i materiali organici in gas. Le biomasse sono completamente distrutte scindendone le molecole, generalmente lunghe catene carboniose, i molecole più semplici di monossido di carbonio, idrogeno e metano che formano un “gas di sintesi” (syngas), costituito in gran parte da metano e anidride carbonica.
Non si tratta, è opportuno precisarlo, di tecnologia a impatto zero, tuttavia presenta diversi vantaggi. Si tratta di una tecnologia decisamente ambientalmente più pulita di molte altre e ha dalla sua il vantaggio di poter sviluppare dispositivi sempre più in linea con le esigenze dell’ambiente e con la valorizzazione dei prodotti di scarto. L’impatto ambientale è praticamente nullo o comunque largamente contenuto nei limiti di legge.

La legislazione italiana include gli impianti di gassificazione nel D.Lgs 11 maggio 2005 n.133 (Attuazione della direttiva 2000/78/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti ” che si pone in termini di “specialità” rispetto alla disciplina generale riguardante gli impianti di smaltimento e recupero rifiuti contenuta negli artt. 208 e segg. del D.Lgs 152/2006 -Testo Unico Ambientale (Corte Costuzionale, 27 luglio 2011, Ordinanza n. 253), e che prevede, per detti impianti, specifici valori limite di emissioni, metodi di campionamento, analisi e valutazione degli inquinanti, nonché norme tecniche riguardanti le caratteristiche tecniche e funzionali.

Il comma 5 del D.Lgs 28/2011 cita : “Per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti (sottoprodotti e non rifiuti nel caso in esame), è fatto salvo quanto disposto dall’art. 182, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 1252 e s.m.i.”
Ai presenti fini si può rilevare quanto segue :
a)      il comma 4 dell’art. 182, rinviando per la disciplina degli impianti in parola, al DLgs 11 maggio 2005 n. 133, di attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti (???), è stato introdotto al fine di prevedere che la realizzazione e la gestione di nuovi impianti di incenerimento e coincenerimento sia consentita solo dove il relativo processo di combustione sia accompagnato da recupero energetico, con una quota minima di trasformazione del potere calorico dei rifiuti (???) in energia utile, stabilita con apposite norme tecniche.
b)      Lo stesso D.Lgs n. 133/2005 autorizza la distinzione tra le varie tipologie di impianti, nel differenziare :
a.       gli impianti di incenerimento, nei quali viene operato il “trattamento termico dei rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione”,
b.      dagli impianti di coincenerimento, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti (sottoprodotti e non rifiuti nel caso in esame) come combustibile normale o accessorio”.
c)      Lo stesso D.Lgs n. 133/2005 all’art. 5 – “Realizzazione ed esercizio di impianti di coincenerimento”, comma 3, recita : “Per gli impianti di produzione di energia (elettrica) disciplinati dal decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387, le disposizioni di cui alle lettere a) – impianti non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale – e b) – impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale -  del comma 2 – “impianti di coincenerimento” – si attuano nell’ambito del procedimento unico previsto dall’art. 12 del medesimo decreto legislativo 29 dicembre 2007 n. 387”.
E tale è stato il PARERE ESPRESSO IN MERITO DAL SETTORE ENERGIA DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO che in riposta ad un preciso quesito esposto dal sottoscritto, ha non solo fatto rientrare l’impianto energetico sperimentale nella determinazione dell’art. 12 del D.Lgs 387/2003 e non del D.Lgs 152/2006, ma ha rinviato anche lo stesso “concenerimento” previsto come processo tecnologico, pur disciplinato dal D.Lgs 133/2005, allo stesso art. 12 del D.Lgs 387/2003 (e non all’art. 208 o 211 del D.Lgs 152/2006) considerando il razionale e completo utilizzo delle sostanze utilizzate a fini energeici.
Si ritiene, infatti,  che la disciplina del coincenerimento – attinente al progetto sperimentale proposto – debba essere considerata privilegiata con le conseguenti ricadute in punto di provvedimento autorizzatorio alla costruzione e alla gestione dello stesso impianto presentato.

A proposito della conversione energetica delle biomasse, si vuole citare l’importante sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 6117 del 07/10/2009 riguardo al problema se un impianto di produzione di biogas (biogas assimilabile al syngas prodotto nella gassificazione !!!) possa essere assimilato ad un impianto di trattamento rifiuti.
La risposta è, molto semplicemente, negativa : un impianto a biogas è un impianto di produzione di energia, e NON è un impianto di trattamento rifiuti né un impianto per il loro smaltimento, in quanto vengono inizialmente introdotti residui (organici) che non sono utilizzati per essere smaltiti o in qualche modo trattati, ma servono solo ad “iniziare l’attività di decomposizione delle sostanze immesse” ai fini della produzione energetica. Sostanze che altrimenti, in mancanza di tecnologia specifica sarebbero stati considerati rifiuti.
In pratica, la sentenza afferma che l’utilizzo tecnologico per la produzione di un gas energetico consente di utilizzare come fonte energetica primaria di un impianto per la generazione di energia l’energia proveniente da materiali che prima erano considerati rifiuti e che ora, grazie allo specifico impianto di conversione, divengono “carburante”.



5.  CONCLUSIONI
Per concepire un’innovazione sostenibile, saperla tradurre in investimenti mirati all’eco-eficienza, all’energy-saving, al controllo del ciclo di vita dei prodotti è la chiave per evitare il rischio “grenwashing – imprese con la coscienza sporca,” (ovvero il tentativo da parte di un’organizzazione di crearsi un’immagine positiva e virtuosa dal punto di vista ambientale tramite operazioni poco trasparenti e superficiali perché non basate su strategie, metodologie e pratiche ecologiche affidabili e certificabili, creando un “mercato non credibile”, rischiando di compromettere il presupposto fondamentale di qualsiasi relazione, commerciale e non, e la fiducia da parte dei mercati e un più remunerativo rapporto tra impresa e collettività), il progetto sperimentale proposto ha scelto di adottare un comportamento socialmente responsabile perseguendo un approccio multidisciplinare che tenga conto dei molteplici riferimenti legislativi ed etici.
L’evoluzione tecnologica e di mercato ha indirizzato il progetto verso prodotti e processi a basso impatto ambientale spingendo la fase realizzativa ad adottare strumenti innovativi in grado di supportare scelte sostenibili.

Pertanto con il progetto in esame ci si propone, in un’ottica di gestione sostenibile del territorio, di salvaguardia e valorizzazione delle risorse naturali, di tutela della natura e degli ecosistemi, di mettere in sinergia varie iniziative produttive appositivamente selezionate, tramite un’analisi approfondita degli aspetti ambientali e tecnici, con lo scopo di valutare l’effettiva sostenibilità del progetto.
La sperimentazione tende in particolare a dimostrare non solo la fattibilità e la flessibilità tecnologica del processo di gassificazione al plasma con le tipologie individuate di materiali prescelti, ma soprattutto la scarsa emissione in atmosfera (97/99 % di capacità depurativa del gas) come previsto dal progetto di produzione, ovvero la maggior parte delle emissioni prodotte dall’impianto sono utilizzate tal quali – dopo depurazione - per la produzione sia di energia elettrica rinnovabile da utilizzarsi in parte all’interno dell’impianto, sia di biometanolo con caratteristiche soddisfacenti per l’uso quale biocarburante.
Da precisare infine che nella Conferenza dei Servizi per l’approvazione del progetto energetico-sperimentale approvato poi dalle Regione, solo il Comune di Serre ha dato parere negativo su 24 Enti convocati, parere tra l’altro non ritenuto attinente al progetto presentato perché riferentesi ad impianto di trattamento rifiuti e non ad impianto di produzione energetica innovativa, per cui il ricorso al TAR da parte del Comune di Serre potrebbe anche configurarsi come palese prevaricazione amministrativa fuori luogo se non proprio di lucida persecuzione.
Bastava consultare un esperto tecnico ambientale in materia.
In serena attesa dell’esito del ricorso al TAR da parte del Comune,

                                                                                        prof. A. Raffaele Conforti




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