“Padre Giuseppe Feola deve morire”
Campora, un film riapre il caso di don Feola il
prete ucciso dal brigante Tardio
ORESTE MOTTOLA
Campora, l’omicidio in pubblico, compiuto 150
anni fa, del monaco Feola da parte
dell’avvocato capobrigante Tardio sta per diventare un film. Lo dirigerà
Massimo Smuraglia, direttore della scuola di cinema di Prato e figlio del
presidente nazionale dell’associazione dei partigiani. Facile prevedere come “il
caso Feola” sia destinato a riaprirsi. Innanzitutto perché una parte del suo paese
volle o accettò inerte l’uccisione di un uomo quasi in odore di santità. “Tu
devi morire perché quest'ordine mi è venuto da Roma”, Tardio così motivò la sua
volontà di fucilare padre Feola. Poco prima gli aveva chiesto una cifra enorme,
duemila ducati, poi finanche di inneggiare a Francesco II di Borbone, per aver
salva la vita. Il cappuccino resiste sprezzante. Tardio getta la maschera e
ammette dice che Feola “deve” morire per forza. Punito per il libro scritto
contro il potere temporale della Chiesa? Siamo Campora, il 3 giugno del 1863.
Era di mercoledì. Il religioso i briganti vanno a prenderlo direttamente casa.
In piazza improvvisano una sorta di processo popolare. Sono tranquilli, sanno
di controllare tutta l’Alta Valle del Calore. Il Cervati allora era come il
Supramonte. A Campora risiedono i migliori tiratori di fucile della zona. I
briganti festeggiano per l’intera giornata. Comanda davvero Tardio l’avvocato.
E’ stato liberale, per motivi politici si è fatto anche un anno di carcere
sotto i Borboni, con l’Unità d’Italia fa domanda come ispettore di polizia e
quando, nel 1862 lo accettano, lui è già capobrigante sui suoi monti. Vendette
di paese lo avevano travolto e convinto a passare dalla parte opposta. Ha 29
anni, è giovane e irruente. Vito Antonio
Feola è un cattolico liberale e popolare. Con i suoi cinquant’anni ai tempi è
un anziano. E’ solo, non ha mai messo nel conto di doversi difendere con le
armi. Una bella figura, il cappuccino Feola. Un vero filantropo illuminato:
aprì la prima scuola pubblica del Cilento e la società di mutuo soccorso.
Coltissimo: traduceva dal latino e dal greco senza l’uso di vocabolari. La
Divina Commedia la conosceva a memoria. Un grandissimo oratore: le sue prediche
erano impregnate di profonda fede religiosa e di patriottismo. Controcorrente:
da prete aveva scritto un libro contro il potere temporale del Papa. Quando era
nel suo paese si sentiva protetto. Mai avrebbe immaginato che Tardio era li per
lui, chiamato da cittadini della sua Campora.
“Uomini bruti, io vi maledico fino alla settima generazione”, così padre
Giuseppe, il suo nome da frate, secondo la versione ancora oggi tramandata a
Campora, gridò proprio ai suoi compaesani che vedendolo barcollare gravemente
ferito dalle pallottole ne pretesero la morte immediata. L’avvocato brigante
inferse un’ultima e decisiva sciabolata. Il sostegno della piazza lo eccitava
ancora di più alla ferocia. Quella giornata sembrava cominciata sotto un altro
segno. Da una cronaca locale: “I briganti avevano fasce rosse ai cappelli e
molti cittadini erano andati loro incontro. Il giorno dell´invasione – come
sostenne il giudice Guerriero al processo -, Carlo Veltri e Andrea Perriello
andarono incontro alla banda per la strada di Santa Maria e si abbracciarono e
si baciarono "in segno di antica amnistia e di vecchia conoscenza".
La banda di Tardio era composta da 33 persone, fu accolta trionfalmente e
l´indomani mattina, eccitati dall’eccidio di Feola, conquistati dal fascino
brigantesco e antiunitario, circa quaranta cittadini la seguirono”. La
maledizione di padre Feola non porterà bene al piccolo esercito dei briganti
chiainari: fin dal giorno dopo, a Magliano nuovo, cominciano la serie degli
insuccessi che si concludono con la completa disfatta. Tardio quella sera non
sa che ha i giorni contati come “condante”. Ferita ancora aperta, questa
dell’uccisione di Vito Antonio Feola, nel piccolo ma delizioso paese, più
dell’Alto Cilento che della Valle del Calore. Eppure di tempo ne è passato.
Questo è l’anno 149, oltre sei generazioni sono passate, un tempo assai lungo
nella storia di una comunità. Quella
maledizione tiene sempre banco. “Sono sei generazioni, manca ancora la
settima”, spiega Turibbio Feola, il pronipote che ancora oggi custodisce la
stanzetta dell’antenato. Campora è "covo di bruti più chè uomini" ci
va subito giù il procuratore generale del re presso la Corte di Appello di
Napoli durante" durante il processo per quei fatti. Tutta la storia ora si
appresta a diventare un film grazie al regista toscano Massimo Smuraglia che di
questa strana storia se n’è innamorato grazie ai racconti di un suo vicino di
casa, il medico Angelo Galzerano, carattere scoppiettante e natali a Campora. Smuraglia,
che dirige la scuola di cinema di Prato intitolata ad Anna Magnani, è anche un
appassionato studioso del contributo che il cinema italiano ha fornito nella
rappresentazione del Risorgimento. Fin dai tempi del cinema muto. Per giungere
a Blasetti e Visconti. Smuraglia fa sul serio con le riprese fissate già dal 21
luglio al 5 agosto, la sceneggiatura già scritta e basata su 43 scene. “Ho
bisogno ancora di attori, mandate i vostri curriculum a
info@scuoladicinema.org, con una foto e un curriculum”. In paese sono in molti
a darsi da fare per trovare i soldi necessari per coprire almeno le spese. Un
finanziamento è arrivato già dalla provincia tramite l’assessore Marcello
Feola, 2000 euro. Angelo Rizzo, presidente della comunità montana, è anche lui
un sostenitore attivo dell’idea da oltre dieci anni. Un atto dovuto da parte di
parenti di padre Feola? “Che c’entra – dice Rizzo – gli esperti parlano di
historical reenactment e living history come strumenti privilegiato per il
lancio turistico di paesi dimenticati e devastati dallo spopolamento e c’è chi
si attarda ancora su questo? E se qualche altro mio parente probabilmente fu
dall’altra parte. E allora?”. E torniamo a padre Feola. Padre Giuseppe Feola,
al secolo Vito Antonio, nacque a Campora il 23 maggio 1813. Fu allievo del
Vicario Foraneo di Gioi e di Don Saverio Guida di Stio che ne apprezzarono le
eccellenti doti intellettuali e religiose e lo spronarono a proseguire gli
studi. Devotissimo di San Francesco d'Assisi, ne studiò le opere che lo
corroborarono nella fede e gli aprirono le porte dell´ordine cappuccino, di cui
indossò il saio. Si distinse nella dedizione totale al servizio dei poveri che
necessitavano di aiuto materiale e spirituale. E di imparare a scrivere e a
leggere. Resta il dilemma: le varie ricerche storiografiche pur accurate come
quella di Infante non hanno ancora risolto il dilemma sul vero movente
dell’omicidio Feola. Lo stesso Tardio dopo la cattura a Roma nel 1870, grazie a
una soffiata del compaesano Nicola Mazzei, si difende così: "io non sono colpevole di reati comuni
poichè il mio stato, il mio carattere e la mia educazione non potevano mai fare
di me un volgare malfattore; io non mi mossi e non agii che con intendimenti e
scopi meramente politici; talchè non si potrebbe chiamarmi responsabile di
qualsivoglia reato comune che altri avesse per avventura perpetrato a mia
insaputa contro la espressiva mia volontà e contro il chiarissimo ed unico
scopo per cui la banda era stata da me radunata". L’autodifesa di
Tardio, applicata al caso Feola, allontana i sospetti legati alla richiesta dei
duemila ducati di riscatto e rimette in gioco l’ipotesi della vendetta
vaticana. La storia la fanno sì i vincitori, ma è pur sempre vero che quella
stessa storia può essere riscritta ignorando i fatti ma attraverso lo studio e
la passione per la propria terra. E con un film, il con ciak dato dal direttore
della scuola di cinema intitolata a Anna Magnani. Per un sano neorealismo in
salsa cilentana.
Il movente dell'omicidio di padre Feola è certamente da ricercare in fatti accaduti, all'epoca, sul Municipio di Campora.
RispondiEliminaPadre Giuseppe,infatti,a un suo rientro a Campora si accorse di notevoli ammanchi nelle casse comunali e minacciò gli amministratori di rendere pubblica la cosa se non si fosse provveduto a restituire in un breve lasso di tempo il maltolto.
La minaccia del frate era da scongiurare a tutti i costi e qualcuno pensò bene di mettere nelle mani di Tardio la risoluzione del problema.
Le idee politiche del Feola e le sua posizione critica nei confronti della chiesa rappresentarono e rappresentano ancora oggi un valido alibi per il suo assassinio.
Padre Giuseppe Feola per il suo spiccato senso di giustizia e la sua profonda onestà rappresentava un personaggio scomodo anche per molti suoi compaesani amici dei briganti che seppero -al momento dei fatti - terrorizzare gli onesti cittadini che increduli e inerti assistettero al suo efferrato assassinio.
UN ANONIMO CHE CONOSCE BENE I FATTI