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ORESTE MOTTOLA orestemottola@gmail.com
Campora, l’omicidio in pubblico, compiuto 150
anni fa, del monaco Feola da parte
dell’avvocato capobrigante Tardio sta per diventare un film. Lo dirigerà
Massimo Smuraglia, direttore della scuola di cinema di Prato e figlio del
presidente nazionale dell’associazione dei partigiani. Facile prevedere come “il
caso Feola” sia destinato a riaprirsi. Innanzitutto perché una parte del suo paese
volle o accettò inerte l’uccisione di un uomo quasi in odore di santità. “Tu
devi morire perché quest'ordine mi è venuto da Roma”, Tardio così motivò la sua
volontà di fucilare padre Feola. Poco prima gli aveva chiesto una cifra enorme,
duemila ducati, poi finanche di inneggiare a Francesco II di Borbone, per aver
salva la vita. Il cappuccino resiste sprezzante. Tardio getta la maschera e ammette che Feola “deve” morire per forza. Punito per
il libro scritto contro il potere temporale della Chiesa?
Catturato in casa sua
Siamo Campora, il 3 giugno del 1863. Era di
mercoledì. Il religioso i briganti vanno a prenderlo direttamente casa. In
piazza improvvisano una sorta di processo popolare. Sono tranquilli, sanno di
controllare tutta l’Alta Valle del Calore. Il Cervati allora era come il
Supramonte. A Campora risiedono i migliori tiratori di fucile della zona. I
briganti festeggiano per l’intera giornata. Comanda davvero Tardio l’avvocato.
E’ stato liberale, per motivi politici si è fatto anche un anno di carcere
sotto i Borboni, con l’Unità d’Italia fa domanda come ispettore di polizia e
quando, nel 1862 lo accettano, lui è già capobrigante sui suoi monti. Vendette
di paese lo avevano travolto e convinto a passare dalla parte opposta. Ha 29
anni, è giovane e irruente. Vito Antonio
Feola è un cattolico liberale e popolare. Con i suoi cinquant’anni ai tempi è
un anziano. E’ solo, non ha mai messo nel conto di doversi difendere con le
armi.
“Uomini bruti, che siate maledetti fino alla settima generazione”!
Una bella figura, il cappuccino Feola. Un vero
filantropo illuminato: aprì la prima scuola pubblica del Cilento e la società
di mutuo soccorso. Coltissimo: traduceva dal latino e dal greco senza l’uso di
vocabolari. La Divina Commedia la conosceva a memoria. Un grandissimo oratore:
le sue prediche erano impregnate di profonda fede religiosa e di patriottismo.
Controcorrente: da prete aveva scritto un libro contro il potere temporale del
Papa. Quando era nel suo paese si sentiva protetto. Mai avrebbe immaginato che
Tardio era li per lui, chiamato da cittadini della sua Campora. “Uomini bruti, io vi maledico fino
alla settima generazione”, così padre Giuseppe, il suo nome da frate, secondo
la versione ancora oggi tramandata a Campora, gridò proprio ai suoi compaesani
che vedendolo barcollare gravemente ferito dalle pallottole ne pretesero la
morte immediata. L’avvocato brigante inferse un’ultima e decisiva sciabolata.
Il sostegno della piazza lo eccitava ancora di più alla ferocia. Quella
giornata sembrava cominciata sotto un altro segno. Da una cronaca locale: “I
briganti avevano fasce rosse ai cappelli e molti cittadini erano andati loro
incontro. Il giorno dell´invasione – come sostenne il giudice Guerriero al
processo -, Carlo Veltri e Andrea Perriello andarono incontro alla banda per la
strada di Santa Maria e si abbracciarono e si baciarono "in segno di
antica amnistia e di vecchia conoscenza". La banda di Tardio era composta
da 33 persone, fu accolta trionfalmente e l´indomani mattina, eccitati
dall’eccidio di Feola, conquistati dal fascino brigantesco e antiunitario, circa
quaranta cittadini la seguirono”.
Il giorno dopo arriva la disfatta di Magliano Nuovo
La maledizione di padre Feola non porterà bene
al piccolo esercito dei briganti chiainari: fin dal giorno dopo, a Magliano nuovo, comincia la serie degli insuccessi
che si concludono con la completa disfatta. Tardio quella sera non sa che ha i
giorni contati come “comandante”. Ferita ancora
aperta, questa dell’uccisione di Vito Antonio Feola, nel piccolo ma delizioso
paese, più dell’Alto Cilento che della Valle del Calore. Eppure di tempo ne è passato.
Questo è l’anno 149, oltre sei generazioni sono passate, un tempo assai lungo
nella storia di una comunità. Quella
maledizione tiene sempre banco. “Sono sei generazioni, manca ancora la
settima”, spiega Turibbio Feola, il pronipote che ancora oggi custodisce la
stanzetta dell’antenato. Campora è "covo di bruti più chè uomini" ci
va subito giù il procuratore generale del re presso la Corte di Appello di
Napoli durante" durante il processo per quei fatti.
“Non è tempo per eroi”, arriva il film di Massimo Smuraglia
Tutta la storia ora si appresta a diventare un
film grazie al regista toscano Massimo Smuraglia che di questa strana storia se
n’è innamorato grazie ai racconti di un suo vicino di casa, il medico Angelo
Galzerano, carattere scoppiettante e natali a Campora. Smuraglia, che dirige la
scuola di cinema di Prato intitolata ad Anna Magnani, è anche un appassionato
studioso del contributo che il cinema italiano ha fornito nella
rappresentazione del Risorgimento. Fin dai tempi del cinema muto. Per giungere
a Blasetti e Visconti. Smuraglia fa sul serio con le riprese fissate già dal 21
luglio al 5 agosto, la sceneggiatura già scritta e basata su 43 scene. “Ho
bisogno ancora di attori, mandate i vostri curriculum a
info@scuoladicinema.org, con una foto e un curriculum”. In paese sono in molti
a darsi da fare per trovare i soldi necessari per coprire almeno le spese. Un
finanziamento è arrivato già dalla provincia tramite l’assessore Marcello
Feola, 2000 euro. Angelo Rizzo, presidente della comunità montana, è anche lui
un sostenitore attivo dell’idea da oltre dieci anni. Un atto dovuto da parte di
parenti di padre Feola? “Che c’entra – dice Rizzo – gli esperti parlano di
historical reenactment e living history come strumenti privilegiato per il
lancio turistico di paesi dimenticati e devastati dallo spopolamento e c’è chi
si attarda ancora su questo? E se qualche altro mio parente probabilmente fu
dall’altra parte. E allora?”. E torniamo a padre Feola. Padre Giuseppe Feola,
al secolo Vito Antonio, nacque a Campora il 23 maggio 1813. Fu allievo del
Vicario Foraneo di Gioi e di Don Saverio Guida di Stio che ne apprezzarono le
eccellenti doti intellettuali e religiose e lo spronarono a proseguire gli
studi. Devotissimo di San Francesco d'Assisi, ne studiò le opere che lo
corroborarono nella fede e gli aprirono le porte dell´ordine cappuccino, di cui
indossò il saio. Si distinse nella dedizione totale al servizio dei poveri che
necessitavano di aiuto materiale e spirituale. E di imparare a scrivere e a
leggere.
Ancora misterioso il vero mandante. Un ordine venuto da Roma?
Resta il dilemma: le varie ricerche
storiografiche pur accurate come quella di Infante non hanno ancora illuminato il vero movente dell’omicidio Feola. Lo stesso
Tardio dopo la cattura a Roma nel 1870, grazie a una soffiata del compaesano
Nicola Mazzei, si difende così: "io
non sono colpevole di reati comuni poichè il mio stato, il mio carattere e la
mia educazione non potevano mai fare di me un volgare malfattore; io non mi
mossi e non agii che con intendimenti e scopi meramente politici; talchè non si
potrebbe chiamarmi responsabile di qualsivoglia reato comune che altri avesse
per avventura perpetrato a mia insaputa contro la espressiva mia volontà e
contro il chiarissimo ed unico scopo per cui la banda era stata da me
radunata". L’autodifesa di Tardio, applicata al caso Feola, allontana
i sospetti legati alla richiesta dei duemila ducati di riscatto e rimette in
gioco l’ipotesi della vendetta vaticana. Una
storia da riscrivere per dare a padre
Feola l’onore che merita con un film, con
il ciak dato dal direttore della
scuola di cinema intitolata a Anna Magnani. Per un sano neorealismo in salsa
cilentana.
Non si è mai pensato che il movente dell'omicidio di Padre Giuseppe sia collegato agli ammanchi che il frate scoprì all'epoca nelle casse del comune di Campora e alla sua minaccia di rendere pubblica la cosa?
RispondiEliminaGli storici sono a conoscenza dei fatti?