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martedì 2 giugno 2009

Le ciliegie di S.Gerardo dei Tintori

di Carmine Senatore



E’maggio. Gli umori del piovoso aprile e la temperatura, superiore alla media stagionale, sono le condizioni giuste. Saranno mature? La curiosità da appagare mi spinge ad affrettare il passo. Un cespuglio di roselline di maggio mi compare davanti all’ingresso del podere in tutto il suo splendore. Sono roselline piccole e con numerosi petali addossati gli uni agli altri. L‘odore inebriante e antico mi coglie. Sono sempre le stesse, paiono immortali: sempre allo stesso posto, sempre nello stesso tempo, sempre lo stesso odore. La sensazione che mi coglie subito ne richiama altre, sincroniche e stuzzicanti. Sono sensazioni antiche e diverse. Mi richiamano colori e sapori, sempre vivi e mai sopiti. Finalmente la curiosità è soddisfatta. A ciocche, isolate, a due, a tre, colori diversi immersi in un mare di verde. Sembrano tante dame e damigelle. Alcune ancora acerbe, nella loro turgida vitalità, sono pronte a scoppiare, altre con un rosso appena accennato, indizio di un pudore timidamente nascosto, e poi, le rosse intense in tutta la loro desiderata carnalità. Sembrano uscite da un budoir, da un salotto ovidiano con un trucco perfetto. Altre rassomigliano a quelle signore, che indaffarate da bambini da mandare a scuola e da colazioni da preparare, tirano fuori sul bus, che le porta al lavoro, matite e rossetti. Il loro trucco, fatto di frettolosità, si nota a prima vista. Tutte sono però appetibili. Ne mangio una, poi un’altra. Sono buone. Mi fermo, nonostante la dieta ne indica un basso potere zuccherino. Per la mia glicemia: un attentato. Mi fermo a osservare. Un lento e tenue venticello le muove in una danza armoniosa e corale. Pare un balletto. Delizie della primavera, leccornie per i bambibi, esse hanno anche un santo protettore. Chi l’avrebbe mai immaginato? E’ S. Gerardo dei Tintori, patrono di Monza. La mia mente rivive la mia fanciulezza, quando mia madre portava le primizie. Mettevano gioia e allegria. Sostituivano la marmellata. Pane e ciliege, che magnifica colazione! Ricordo come se fosse oggi, le scorpacciate con i miei compagni. Ancora non era diventato costume, cattiva abitudine secondo i dietologi, mangiare la frutta a completamento dei pasti. Quando si mangiavano, erano autentiche scorpacciate: fuori dai pasti e a stomaco vuoto. Alla fine satolli, in un supremo anelito restituivamo alla Terra quello che essa generosamente ci aveva donato. Erano continue scorrerie razzie. Non guardavano a chi esse appartenessero. Era il solito rito: toccata e fuga, dopo aver abbondamente concimato. Continuavamo così per tutto il mese di maggio e la prima parte di giugno, quando i “giovannini” la facevano da padrona nella polpa, ormai talmente matura da diventare una succosa mousse. Ciò che la terra aveva donato veniva a essa restituito. Terra, madre terra!

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