Ci ha lasciati il papà di Oreste Mottola. Una persona semplice, come tanti altavillesi che restano affettivamente ma anche fisicamente e testardamente legati alla loro terra.
Non ho molto, solo poche parole scritte, ma sono le cose più preziose che possiedo.
Per Antonio
Le persone semplici a volte fanno minuziosamente e silenziosamente piccole cose grandi, come quella rete pazientemente filata con i valori sani e la tenacia che riescono a trasferire ai figli incolumi che si muovono in un mondo di gente che sgomitando arranca insoddifatta per arrivare arrivare arrivare. Un mondo vorticoso che questi valori non li conosce più.
Quelle persone, rimanendo legate alla materia più vera, la terra, a cui hanno dedicato una vita di sforzi e sacrifici, ci dicono che le cose importanti della vita non sono poi così complicate e lontane. Ci ricordano costantemente la forza della famiglia e della comunità.
La nostra terra è piena di quegli sguardi segnati e orgogliosi. E per questo così tremendamente vivi.
Ogni tanto qualcuno si spegne. Nei modi più diversi, a volte crudeli, sempre inaccettabili.
Ma l'intensità di quegli sguardi ci resterà dentro, vivida, finché vivremo.
E qualcosa di loro non ci ha mai lasciato.
D.
Pubblicato su carta sin dal 1993, è uno dei più longevi periodici dell'area della Piana del Sele e Cilento. La Collina degli Ulivi online vuole essere ancora di più un luogo di informazione, ascolto e diffusione di idee, anche attraverso l'interazione in tempo reale con i suoi lettori in ogni parte del mondo.
martedì 25 novembre 2008
lunedì 17 novembre 2008
Ricordo di Giuseppe Galardi
Un fiore della cultura altavillese più alta
di Oreste Mottola
Ha vissuto per e con la società che lo circondava. Non si dica di lui che è stato solo un topo di biblioteche ed archivi. Giuseppe Galardi ha amato con uguale intensità la cultura, la natura ed anche la buona cucina e gli amici. E' stato uomo politico, assistente e consulente sociale. Ha fatto il farmacista ed il ragioniere. Ha vissuto intensamente la vita in tutte le sue sfaccettature. Da giovane lo spirito d'avventura gli risultava naturalmente congeniale. Era appena un adolescente quando, nel 1946, con gli allora giovanottini Amedeo Di Matteo, Rosario Gallo, Germano Di Lucia e Carmine Marra, organizzò un’esplorazione dell'allora spettrale, misteriosa e sconosciuta grotta di Castelcivita. Armati solo con un lume e gas e di tanta incoscienza questi giovanissimi, per ben due volte in un giorno, s'immersero in quegli antri allora per davvero bui e misteriosi. Il complesso speleologico non aveva guide, illuminazioni e gli stessi percorsi non erano stati per niente resi agevoli e percorribili com’è attualmente. E nessuno sapeva della "bravata" di questi ragazzi. E dall'avventura uscirono per miracolo, poiché ogni volta vennero fuori da un'uscita diversa. Solo un anno prima aveva trascinato nel boschetto delle Carpenine i suoi amici per festeggiare, a spumante, la sua licenza liceale. E, appena l'anno dopo, fece prendere ad Amedeo Di Matteo la sua prima, ed unica, ubriacatura.
Il giovane Giuseppe studiava all'Università di Roma, ma trascorreva l'estate ad Altavilla con i suoi amici. La vita dei giovani di buona famiglia dell'epoca aveva ritmi e modi molto semplici. Facevano gruppo intorno a Rocco Morrone, Mario e Luigi Guerra e lo stesso Giuseppe Galardi. Le discussioni colte erano inframmezzate con il rito della passeggiata in Piazza Castello, la scappatella a Calore per un bagno nel fiume, le escursioni in campagna a raccogliere e a mangiare la frutta di stagione e a... fumare furtivamente in quattro o cinque persone la stessa sigaretta. Ma non appena faceva buio dovevano già essere in casa. Intorno a loro avvenivano grandi trasformazioni sociali, svolte epocali. C'era l'emigrazione che si portava via la migliore gioventù e contemporaneamente le rimesse - in dollari e marchi - contribuivano a rimettere in piedi un paese uscito semi-distrutto dalla guerra. In paese non c'era l'acqua corrente e mancavano le fogne, nelle campagne anche strade ed elettricità. Nella Canonica si tenevano rappresentazioni teatrali e nel Granile intorno al Castello c'era il Cinema.
Qualche anno dopo con altri amici mette su una sorta di massoneria altavillese, molto sui generis. Si autodenominarono, il "patriziato", e subito Peppino - che ne era il capo indiscusso - degradò il fraterno amico Vincenzo Grimaldi a 'servo della gleba' perchè questi era dedito ...all'acqua di fontana, invece di essere un cultore del buon vino paesano.
Nella Piana sottostante le lotte contadine e bracciantili e la conclusione delle quasi secolari operazioni di Bonifica facevano scomparire l'incubo della malaria e dalla Collina in migliaia scesero verso Carillia e Cerrelli. La "storia d’Altavilla"si è strettamente intrecciata al nome ed alla figura di Giuseppe Galardi. A lui si sono rivolti tutti: dalla Soprintendenza BAAS agli studenti universitari alle prese con la tesi di laurea. "E' stata la memoria storica del nostro paese" dice Francesco Mottola che insegna Storia Medioevale all'Università di Chieti. Galardi vive da sempre all'ombra del luogo più significativo della storia del paese: quella chiesa di S. Egidio desolata mente chiusa dopo il terremoto del 1980 e dentro ricoperta da una spessa coltre di polvere e di calcinacci con il pavimento sconnesso e pieno di crepe.
Lo storico Galardi è stato per i compaesani "il dottore" o semplicemente "Peppino" a secondo del grado di confidenza. Non amava pubblicare i suoi lavori. Alla stampa ha dato finora uno studio sull'arrivo ad Altavilla del Corpo Santo di S. Germano (la reliquia è conservata nella chiesa di S. Biagio) ed un "Profilo storico monumentale e paesaggistico di Altavilla Silentina; (edito dalla salernitana Palladio di Franco Di Matteo) e scritto a quattro mani con Rosario Messone. Negli anni giovanili ha scritto sulla rivista culturale "Verso il Duemila" di Salerno.
Eppure aveva una casa ricca di manoscritti sul dialetto e sulle tradizioni popolari. Nessuno riuscì mai a vincere finora la sua naturale ritrosia. La "militanza" storica -di Giuseppe Galardi comincia nei primi anni Cinquanta. Ha l'esempio dello zio Donato, direttore didattico e corrispondente de "Il Mattino" e del "Roma", conversatore forbito ed arguto e dalla cultura enciclopedica. A casa Galardi c'è un cenacolo intellettuale e politico di grande fascino e prestigio a cui fanno capo i professionisti del paese che avversano - il podestà e poi sindaco - Francesco Mottola.
Saranno poi gli animatori delle epiche lotte politiche tra la lista della "Stella" e dell'"Orologio". Comincia ad interessarsi quasi professionalmente alla storia di Altavilla Silentina per le scoperte fatte nel riordinare le carte dello scomparso zio Donato. Fu profondamente colpito dal libro dei baroni Alessandro e Antonio Ferrara, "Cenni Storici su Altavilla Silentina" pubblicato nel lontano 1898. Ancora oggi è il testo base della storia silentina. Ed è questa pubblicazione ad instradarlo verso la storia che diventa per lui una passione divorante, una ragione di vita. Diventa di casa presso gli archivi di Napoli e di Salerno, consulta e ricostruisce gli archivi parrocchiali e del Comune di Altavilla Silentina. Entra in contatto con storici di professione come Timpano, Mazzoleni e Cilento. Scopre di aver avuto un antenato vissuto nell'Italia dell'Ottocento di fede liberale ed esule in Piemonte, che ha partecipato - nel 1857 - alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane (e si salverà a stento dall'eccidio di Sanza) e che finirà in galera per supposto fiancheggia mento del brigantaggio. Il suo nome è Rosario Galardi e su di lui Giuseppe Galardi stava raccogliendo la documentazione necessaria per scriverci un libro. Nel 1964 è Giuseppe Galardi a fornire allo scrittore varesino Piero Chiara le notizie di base per il suo romanzo "Il Balordo", ambientato ad Altavilla. La vicenda è stata ricostruita da Lidia Cennamo nel libro "La Collina degli Ulivi", in questa sede segnaleremo solo il "furto" di una decina di pagine del vecchio libro dei Ferrara che Chiara trascrive integralmente nel suo romanzo. E' negli anni Sessanta e Settanta che Giuseppe Galardi s'impegna nell'opera difficile e certosina di ricostruzione dell'Archivio Storico del Comune, recuperando i registri che erano andati dispersi nelle case dei vecchi impiegati e riordinando una marea di vecchie carte. Rimette così insieme rari ed importanti documenti del Cinquecento e del Seicento, bollettini feudali, raccolte di leggi e deliberati amministrativi. Ho già ricordato che Giuseppe Galardi è stato anche esponente politico di primo piano nel nostro paese. Per tanti anni sedette nel consiglio comunale quale rappresentante del Msi. L' amore per Altavilla, la concordia, l'ironia e la lungimiranza furono sempre i suoi riferimenti nello svolgere il suo mandato politico. Mi piace, in questa sede, ricordare che una delle sue ultime battaglie fu contro l'estensione ai territori collinari della "pertinenza" del Consorzio di Bonifica di Paestum. E' quella delibera comunale che oggi ci costringe tutti a pagare un inutile tributo per una bonifica che non c'è stata e non ci sarà mai.
Giuseppe Galardi ebbe anche la capacità di attrarre la curiosità del Touring Club che, nel 1994, mandò la giornalista Dora Celeste Amato a raccontarlo nel libro “I più interessanti ed insoliti itinerari italiani”: “La sua casa profuma di antico: cibi tradizionali “tirati” dalle sei di mattina sul vecchio “fornello” accanto a pagine e pagine di quadernetti riempiti dalla minuta grafia di questo Julien Sorel cilentano, solo per amore per la storia – scrive - e niente scandali. Ce ne sono già abbastanza in queste carte, sembra dirci Galardi!”. Poi lo storico sociale spiega alla giornalista una delle curiosità altavillesi, dove l’emancipazione femminile è ormai un fatto secolare: “Sin dall’inizio dell’Ottocento molti erano i matrimoni che avvenivano fra le ragazze altavillesi, spesso un po’ attempatelle e spesso vedove, e i ragazzi lucani. I “bracciali” che venivano dalla poverissima Basilicata (lavoratori delle braccia) arrivavano qui e in cambio trovavano la donna e la casa, anche se questa era costituita da una sola stanza. Erano quindi le donne a dettare legge, proprietarie di case e campi; le cose cambiarono solo a fine Ottocento, quando molti uomini chiesero il passaporto per “le Americhe” e, tornando, poterono sposare le figlie dei maggiorenti”.
di Oreste Mottola
Ha vissuto per e con la società che lo circondava. Non si dica di lui che è stato solo un topo di biblioteche ed archivi. Giuseppe Galardi ha amato con uguale intensità la cultura, la natura ed anche la buona cucina e gli amici. E' stato uomo politico, assistente e consulente sociale. Ha fatto il farmacista ed il ragioniere. Ha vissuto intensamente la vita in tutte le sue sfaccettature. Da giovane lo spirito d'avventura gli risultava naturalmente congeniale. Era appena un adolescente quando, nel 1946, con gli allora giovanottini Amedeo Di Matteo, Rosario Gallo, Germano Di Lucia e Carmine Marra, organizzò un’esplorazione dell'allora spettrale, misteriosa e sconosciuta grotta di Castelcivita. Armati solo con un lume e gas e di tanta incoscienza questi giovanissimi, per ben due volte in un giorno, s'immersero in quegli antri allora per davvero bui e misteriosi. Il complesso speleologico non aveva guide, illuminazioni e gli stessi percorsi non erano stati per niente resi agevoli e percorribili com’è attualmente. E nessuno sapeva della "bravata" di questi ragazzi. E dall'avventura uscirono per miracolo, poiché ogni volta vennero fuori da un'uscita diversa. Solo un anno prima aveva trascinato nel boschetto delle Carpenine i suoi amici per festeggiare, a spumante, la sua licenza liceale. E, appena l'anno dopo, fece prendere ad Amedeo Di Matteo la sua prima, ed unica, ubriacatura.
Il giovane Giuseppe studiava all'Università di Roma, ma trascorreva l'estate ad Altavilla con i suoi amici. La vita dei giovani di buona famiglia dell'epoca aveva ritmi e modi molto semplici. Facevano gruppo intorno a Rocco Morrone, Mario e Luigi Guerra e lo stesso Giuseppe Galardi. Le discussioni colte erano inframmezzate con il rito della passeggiata in Piazza Castello, la scappatella a Calore per un bagno nel fiume, le escursioni in campagna a raccogliere e a mangiare la frutta di stagione e a... fumare furtivamente in quattro o cinque persone la stessa sigaretta. Ma non appena faceva buio dovevano già essere in casa. Intorno a loro avvenivano grandi trasformazioni sociali, svolte epocali. C'era l'emigrazione che si portava via la migliore gioventù e contemporaneamente le rimesse - in dollari e marchi - contribuivano a rimettere in piedi un paese uscito semi-distrutto dalla guerra. In paese non c'era l'acqua corrente e mancavano le fogne, nelle campagne anche strade ed elettricità. Nella Canonica si tenevano rappresentazioni teatrali e nel Granile intorno al Castello c'era il Cinema.
Qualche anno dopo con altri amici mette su una sorta di massoneria altavillese, molto sui generis. Si autodenominarono, il "patriziato", e subito Peppino - che ne era il capo indiscusso - degradò il fraterno amico Vincenzo Grimaldi a 'servo della gleba' perchè questi era dedito ...all'acqua di fontana, invece di essere un cultore del buon vino paesano.
Nella Piana sottostante le lotte contadine e bracciantili e la conclusione delle quasi secolari operazioni di Bonifica facevano scomparire l'incubo della malaria e dalla Collina in migliaia scesero verso Carillia e Cerrelli. La "storia d’Altavilla"si è strettamente intrecciata al nome ed alla figura di Giuseppe Galardi. A lui si sono rivolti tutti: dalla Soprintendenza BAAS agli studenti universitari alle prese con la tesi di laurea. "E' stata la memoria storica del nostro paese" dice Francesco Mottola che insegna Storia Medioevale all'Università di Chieti. Galardi vive da sempre all'ombra del luogo più significativo della storia del paese: quella chiesa di S. Egidio desolata mente chiusa dopo il terremoto del 1980 e dentro ricoperta da una spessa coltre di polvere e di calcinacci con il pavimento sconnesso e pieno di crepe.
Lo storico Galardi è stato per i compaesani "il dottore" o semplicemente "Peppino" a secondo del grado di confidenza. Non amava pubblicare i suoi lavori. Alla stampa ha dato finora uno studio sull'arrivo ad Altavilla del Corpo Santo di S. Germano (la reliquia è conservata nella chiesa di S. Biagio) ed un "Profilo storico monumentale e paesaggistico di Altavilla Silentina; (edito dalla salernitana Palladio di Franco Di Matteo) e scritto a quattro mani con Rosario Messone. Negli anni giovanili ha scritto sulla rivista culturale "Verso il Duemila" di Salerno.
Eppure aveva una casa ricca di manoscritti sul dialetto e sulle tradizioni popolari. Nessuno riuscì mai a vincere finora la sua naturale ritrosia. La "militanza" storica -di Giuseppe Galardi comincia nei primi anni Cinquanta. Ha l'esempio dello zio Donato, direttore didattico e corrispondente de "Il Mattino" e del "Roma", conversatore forbito ed arguto e dalla cultura enciclopedica. A casa Galardi c'è un cenacolo intellettuale e politico di grande fascino e prestigio a cui fanno capo i professionisti del paese che avversano - il podestà e poi sindaco - Francesco Mottola.
Saranno poi gli animatori delle epiche lotte politiche tra la lista della "Stella" e dell'"Orologio". Comincia ad interessarsi quasi professionalmente alla storia di Altavilla Silentina per le scoperte fatte nel riordinare le carte dello scomparso zio Donato. Fu profondamente colpito dal libro dei baroni Alessandro e Antonio Ferrara, "Cenni Storici su Altavilla Silentina" pubblicato nel lontano 1898. Ancora oggi è il testo base della storia silentina. Ed è questa pubblicazione ad instradarlo verso la storia che diventa per lui una passione divorante, una ragione di vita. Diventa di casa presso gli archivi di Napoli e di Salerno, consulta e ricostruisce gli archivi parrocchiali e del Comune di Altavilla Silentina. Entra in contatto con storici di professione come Timpano, Mazzoleni e Cilento. Scopre di aver avuto un antenato vissuto nell'Italia dell'Ottocento di fede liberale ed esule in Piemonte, che ha partecipato - nel 1857 - alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane (e si salverà a stento dall'eccidio di Sanza) e che finirà in galera per supposto fiancheggia mento del brigantaggio. Il suo nome è Rosario Galardi e su di lui Giuseppe Galardi stava raccogliendo la documentazione necessaria per scriverci un libro. Nel 1964 è Giuseppe Galardi a fornire allo scrittore varesino Piero Chiara le notizie di base per il suo romanzo "Il Balordo", ambientato ad Altavilla. La vicenda è stata ricostruita da Lidia Cennamo nel libro "La Collina degli Ulivi", in questa sede segnaleremo solo il "furto" di una decina di pagine del vecchio libro dei Ferrara che Chiara trascrive integralmente nel suo romanzo. E' negli anni Sessanta e Settanta che Giuseppe Galardi s'impegna nell'opera difficile e certosina di ricostruzione dell'Archivio Storico del Comune, recuperando i registri che erano andati dispersi nelle case dei vecchi impiegati e riordinando una marea di vecchie carte. Rimette così insieme rari ed importanti documenti del Cinquecento e del Seicento, bollettini feudali, raccolte di leggi e deliberati amministrativi. Ho già ricordato che Giuseppe Galardi è stato anche esponente politico di primo piano nel nostro paese. Per tanti anni sedette nel consiglio comunale quale rappresentante del Msi. L' amore per Altavilla, la concordia, l'ironia e la lungimiranza furono sempre i suoi riferimenti nello svolgere il suo mandato politico. Mi piace, in questa sede, ricordare che una delle sue ultime battaglie fu contro l'estensione ai territori collinari della "pertinenza" del Consorzio di Bonifica di Paestum. E' quella delibera comunale che oggi ci costringe tutti a pagare un inutile tributo per una bonifica che non c'è stata e non ci sarà mai.
Giuseppe Galardi ebbe anche la capacità di attrarre la curiosità del Touring Club che, nel 1994, mandò la giornalista Dora Celeste Amato a raccontarlo nel libro “I più interessanti ed insoliti itinerari italiani”: “La sua casa profuma di antico: cibi tradizionali “tirati” dalle sei di mattina sul vecchio “fornello” accanto a pagine e pagine di quadernetti riempiti dalla minuta grafia di questo Julien Sorel cilentano, solo per amore per la storia – scrive - e niente scandali. Ce ne sono già abbastanza in queste carte, sembra dirci Galardi!”. Poi lo storico sociale spiega alla giornalista una delle curiosità altavillesi, dove l’emancipazione femminile è ormai un fatto secolare: “Sin dall’inizio dell’Ottocento molti erano i matrimoni che avvenivano fra le ragazze altavillesi, spesso un po’ attempatelle e spesso vedove, e i ragazzi lucani. I “bracciali” che venivano dalla poverissima Basilicata (lavoratori delle braccia) arrivavano qui e in cambio trovavano la donna e la casa, anche se questa era costituita da una sola stanza. Erano quindi le donne a dettare legge, proprietarie di case e campi; le cose cambiarono solo a fine Ottocento, quando molti uomini chiesero il passaporto per “le Americhe” e, tornando, poterono sposare le figlie dei maggiorenti”.
venerdì 7 novembre 2008
Per i creativi c'è Progetto Kublai del Ministero dello Sviluppo
di Diomira Cennamo
Se avete un'idea culturale dal sapore tradizionale oppure innovativo, vi suggerisco di iscrivervi subito a questa orignale e potente iniziativa avviata dal Laboratorio per le Politiche di Sviluppo del Ministero dello Sviluppo Economico. Si chiama Progetto Kublai e sta già sostenendo molti creativi italiani della città come della provincia.
Particolarmente innovativi i mezzi di comunicazione utilizzati: il più antico è il blog (!), seguito da social network e da un'isola in Second Life dove si tengono incontri e conferenze tra gente fisicamente lontana. Tutto funzionale a creare una rete di persone che si impegnino per lo sviluppo locale (e ci sono riusciti, a giudicare dai 350 iscritti al social network).
Una selezione dei migliori progetti di quest'anno è ormai prossima: l'11 novembre.
Nel progetto - che conosco bene svolgendoci un'attività nell'ambito delle relazioni pubbliche - c'è molta Provincia, soprattutto - ma non solo, come dimostrano i progetti milanesi, liguri, ecc. - meridionale.
E ci sono i progetti più diversi, dai festival culturali a un progetto di recupero di un antico Caffè letterario siciliano - mi viene in mente l'idea di Arnaldo Iorio che aveva riaperto il bar del bisnonno nel centro storico e dove faceva leggere i giornali di inizio Novecento... - fino a progetti di film di animazione e cacce al tesoro alla riscoperta della città in cui viviamo, estranei.
Allora chiamo all'appello i creativi altavillesi e dei dintorni che abbiano un'idea nel cassetto che credano possa creare sviluppo locale ma non pensano di avere le forze economiche e i contatti giusti per realizzarla.
Vi invito a informarvi meglio e a iscrivervi su: http://www.progettokublai.net/ .
Se avete bisogno di indicazioni potete poi chiedere a me su questo blog o alla mail: collina.ulivi@gmail.com.
Fatevi un'idea da questo video:
giovedì 6 novembre 2008
Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 4
di Oreste Mottola
Parte IV - CICCIO IORIO e il CONTRATTO
CICCIO IORIO - L'ex muratore diventato fotografo Ciccio Iorio volle prendersi lo sfizio di fare anche uno scherzo a don Ulderico. Aspettò che con il solito giro di amici Buonafine passeggiasse per Piazza Antico Sedile. Gli attaccò un petardo ai lembi della giacca e lo fece scoppiare. Lui replicò imperturbabile "Caro Ciccio, me l'hai fatta . . . ma io ti restituirò, a tempo debito, lo scherzo! Ma sarà una cosa seria. . non ti dovrai incazzare". E per mesi e mesi Iorio aspettò la reazione del Buonafine. Quest'ultimo aspettò il periodo intorno al primo di aprile per mettere in azione la beffa. Si ricordò di "Jose", il fratello che Ciccio Iorio aveva in America, ed imitandone la calligrafia scrisse una lettera al sarto Alberto Tancredi, con la quale gli annunciava il ritorno ad Altavilla, dopo la fortuna fatta in America. Tancredi comunicò subito la lieta notizia a Ciccio Iorio e questi. per non fare brutta figura, si affrettò a far imbiancare la propria abitazione, comprò un vestito nuovo per i figli e fiducioso andò a Napoli, presso l'Albergo Sirena, ad attendere l'arrivo di Jose Iorio. A causa di ritardi vari e per non perdere l'appuntamento Ciccio si fece il tratto da Altavilla a Salerno in bicicletta! Con le strade dell' epoca, sconnesse ed in terra battuta, non fu certo un viaggio agevole. E dopo qualche giorno d'attesa, l'albergatore amico e complice di don Ulderico Buonafine gli fece sapere che era arrivato un telegramma che lo riguardava. Il testo diceva pressappoco: "Mi trovo ad Altavilla presso Ulderico Buonafine. Firmato: Jose Iorio". Lo 'mbacchione (il soprannome di Ciccio) capì tutto e tornò scornato ad Altavilla. Era il primo aprile, e così nel paese prese piede l'usanza del... pesce d'aprile. Ulderico e Ciccio rimasero amici e questa del "fratello americano" diventò la beffa più celebre di Altavilla.
IL CONTRATTO E LA SCADENZA - Don Ulderico costruiva anche delle ringhiere in ferro di notevole fattura artistica. Ma per farle ci voleva molto tempo. Capitò così che a lui si rivolse una nota famiglia altavillese che aveva qualche soldo e s'era costruito un villino pretenzioso che abbisognava di parapetti che ben figurassero. . Il capofamiglia era un tipo dall'aria furbetta. . E così a don Ulderico Buonafine ordinò la costruzione delle ringhiere, gli versò una caparra e pretese un contratto che contemplasse una data di consegna a decorrere dalla quale scattava per ogni giorno di ritardo una cospicua penale. Scelse lui stesso una data ravvicinata con l'obiettivo di un sostanzioso risparmio sul prezzo pattuito ma . . . commise l'errore d'incaricare lo stesso don Ulderico della scrittura del contratto. Questi fiutata la trappola lo scrisse e dimenticò (intenzionalmente) dopo aver scritto giorno e mese, di indicarvi l'anno. Il signorotto, dopo qualche giorno dalla data pattuita, trascinò don Ulderico presso la Pretura di Roccadaspide per l'inadempienza contrattuale. Ma il Pretore non potette non darla vinta al Buonafine che così si scelse da solo sia i tempi di lavorazione e soprattutto riscosse l'intero importo del contratto. Quando si dice "a brigante, brigante e mezzo...".
Parte IV - CICCIO IORIO e il CONTRATTO
CICCIO IORIO - L'ex muratore diventato fotografo Ciccio Iorio volle prendersi lo sfizio di fare anche uno scherzo a don Ulderico. Aspettò che con il solito giro di amici Buonafine passeggiasse per Piazza Antico Sedile. Gli attaccò un petardo ai lembi della giacca e lo fece scoppiare. Lui replicò imperturbabile "Caro Ciccio, me l'hai fatta . . . ma io ti restituirò, a tempo debito, lo scherzo! Ma sarà una cosa seria. . non ti dovrai incazzare". E per mesi e mesi Iorio aspettò la reazione del Buonafine. Quest'ultimo aspettò il periodo intorno al primo di aprile per mettere in azione la beffa. Si ricordò di "Jose", il fratello che Ciccio Iorio aveva in America, ed imitandone la calligrafia scrisse una lettera al sarto Alberto Tancredi, con la quale gli annunciava il ritorno ad Altavilla, dopo la fortuna fatta in America. Tancredi comunicò subito la lieta notizia a Ciccio Iorio e questi. per non fare brutta figura, si affrettò a far imbiancare la propria abitazione, comprò un vestito nuovo per i figli e fiducioso andò a Napoli, presso l'Albergo Sirena, ad attendere l'arrivo di Jose Iorio. A causa di ritardi vari e per non perdere l'appuntamento Ciccio si fece il tratto da Altavilla a Salerno in bicicletta! Con le strade dell' epoca, sconnesse ed in terra battuta, non fu certo un viaggio agevole. E dopo qualche giorno d'attesa, l'albergatore amico e complice di don Ulderico Buonafine gli fece sapere che era arrivato un telegramma che lo riguardava. Il testo diceva pressappoco: "Mi trovo ad Altavilla presso Ulderico Buonafine. Firmato: Jose Iorio". Lo 'mbacchione (il soprannome di Ciccio) capì tutto e tornò scornato ad Altavilla. Era il primo aprile, e così nel paese prese piede l'usanza del... pesce d'aprile. Ulderico e Ciccio rimasero amici e questa del "fratello americano" diventò la beffa più celebre di Altavilla.
IL CONTRATTO E LA SCADENZA - Don Ulderico costruiva anche delle ringhiere in ferro di notevole fattura artistica. Ma per farle ci voleva molto tempo. Capitò così che a lui si rivolse una nota famiglia altavillese che aveva qualche soldo e s'era costruito un villino pretenzioso che abbisognava di parapetti che ben figurassero. . Il capofamiglia era un tipo dall'aria furbetta. . E così a don Ulderico Buonafine ordinò la costruzione delle ringhiere, gli versò una caparra e pretese un contratto che contemplasse una data di consegna a decorrere dalla quale scattava per ogni giorno di ritardo una cospicua penale. Scelse lui stesso una data ravvicinata con l'obiettivo di un sostanzioso risparmio sul prezzo pattuito ma . . . commise l'errore d'incaricare lo stesso don Ulderico della scrittura del contratto. Questi fiutata la trappola lo scrisse e dimenticò (intenzionalmente) dopo aver scritto giorno e mese, di indicarvi l'anno. Il signorotto, dopo qualche giorno dalla data pattuita, trascinò don Ulderico presso la Pretura di Roccadaspide per l'inadempienza contrattuale. Ma il Pretore non potette non darla vinta al Buonafine che così si scelse da solo sia i tempi di lavorazione e soprattutto riscosse l'intero importo del contratto. Quando si dice "a brigante, brigante e mezzo...".
mercoledì 5 novembre 2008
Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 3
di Oreste Mottola
Pate III - Il CARNEVALE, la RELIGIONE, il MULINO
IL CARNEVALE - Carnevale era il periodo di massi ma creatività per don Ulderico Buonafine. Finalmente poteva dar libero sfogo alla sua fantasia ed alla sua voglia di trasgressione, senza problemi do sorta. Per meglio operare si serviva di una base operativa via Municipio {al piano superiore di dov'è oggi l'Associazione "Altavilla Viva"), che per il resto dell'anno era della "Filarmonica" che dirigeva con Romeo Califano, una scuola popolare di musica. All' organizzazione del Carnevale con lui lavoravano alacremente fino a 30 persone. Si ricordano ancora le epiche spaghettate di fronte all'attuale Municipio", con la pasta servita negli orinali! Si dava vita poi al corteo che attraversava le principali vie del paese; con Don Ulderico vestito da prete, e che nel benedire tutte le case si soffermava in particolare sotto quelle abitate da belle ragazze, qui srotolava l'originale scala dell'amore, una scala che chiusa era meno di un metro ma che, srotolata, si alzava fino a 3 metri! Facevano parte del corteo anche altri personaggi con Biagino Leone (detto Coria), che precedeva il corteo battendo un tamburo per richiamare l'attenzione del popolo e per invitarlo a riunirsi nella piazza principale per assistere al "Rito". Il tutto si concludeva con il fantoccio di Carnevale, che, dopo essere stato operato, e quindi tirare fuori le interiora di vitello allo scopo di creare disgusto nei più delicati di stomaco, certificatane la morte, veniva dato a fuoco e contemporaneamente si procedeva a leggerne il Testamento. Questo era l'unico momento in cui i pochi potenti del paese venivano sbertucciati nei loro grandi e piccoli peccati. Solo a don Ulderico era concessa questa irriverenza!
LA RELIGIONE Don Ulderico non era un credente. Nell' Altavilla di quegli anni era una davvero una scelta controcorrente, difficile e foriera di guai per chi la professava. Alla base delle sue convinzioni c'erano soprattutto gli anni passati in Seminario e quella cultura da enciclopedista, di forte impronta positivista, e per quel tanto di dannunzianesimo, per la ricerca costante del "piacere" della vita, che non poteva certa mente accostarlo alla pratica religiosa. La sua prorompente personalità gli impediva anche l'ipocrisia di una religiosità di convenienza. Gli piacque anche "giocare col Diavolo" con le pratiche spìritiche ed un'intera vita da "dandy". Lui ci teneva a non farsi notare e nello stesso tempo a non uniformarsi alla massa. Perché il suo vero elemento di distinzione era in quel suo particolarissimo modo di vivere. E vestiva anche in un modo "adeguato" al suo ruolo. Poi tutto di lui è diventato un romanzo.
IL MULINO. Il Mulino fu fondato nel 1908 dal padre Valdimiro. Con l'emigrazione in America del fratello Felice tutto il peso passò ad Ulderico, tornato ad Altavilla, dopo un soggiorno brasiliano di parecchi anni. L'impianto era "a palmenti" e funzionava con il gassogeno, un ingombrante maxibruciatore che tra sformava il carbone in gas povero o misto. Il Mulino dava lavoro a molta gente e sotto la direzione della moglie Maria Lettieri, c'erano Maddalena Capaccio, con Rosario e Donatina Cafaro e tanti altri lavoranti. Don Ulderico preferiva stare alla cassa ed alla pesa. Il motore del molino pesava 7 q. li e sviluppava 20 cv. di potenza per 200 giri al minuto. Nel 1940 il Mulino fu rinnovato e trasformato in elettrico perché, finalmente ad Altavilla, c'era la corrente elettrica trifasica, conosciuta come "forza motrice". Non ben conosciuto è l'eroico contributo dato da don Ulderico Buonafine con il suo Mulino durante gli anni dell'ultima Guerra. Con il paese distrutto ed una popolazione stremata c'era anche il razionamento alimentare e severissime sanzioni fino alla fucilazione toccavano al mugnaio che osava macinare grano che fosse eccedente la quantità stabilita dalla "tessera", il razionamento pro capite da fame. Approfittando della vicinanza della fontana del Convento, dove le donne andavano a lavare la biancheria ponendosi grossi cesti sulla testa, sia all'andata che al ritorno le stesse s'infilavano velocemente nelle porte del Mulino e, dopo aver portato il grano, ne ritiravano la farina. Un sistema di avvistamento era in funzione per difendersi da carabinieri ed eventuali malintenzionati. C'è da dire che mai il Buonafine speculò su tale attività e il prezzo della macinazione era quello dei tempi di pace. Fu grazie a lui che tanti nostri concittadini letteralmente non morirono di fame.
Pate III - Il CARNEVALE, la RELIGIONE, il MULINO
IL CARNEVALE - Carnevale era il periodo di massi ma creatività per don Ulderico Buonafine. Finalmente poteva dar libero sfogo alla sua fantasia ed alla sua voglia di trasgressione, senza problemi do sorta. Per meglio operare si serviva di una base operativa via Municipio {al piano superiore di dov'è oggi l'Associazione "Altavilla Viva"), che per il resto dell'anno era della "Filarmonica" che dirigeva con Romeo Califano, una scuola popolare di musica. All' organizzazione del Carnevale con lui lavoravano alacremente fino a 30 persone. Si ricordano ancora le epiche spaghettate di fronte all'attuale Municipio", con la pasta servita negli orinali! Si dava vita poi al corteo che attraversava le principali vie del paese; con Don Ulderico vestito da prete, e che nel benedire tutte le case si soffermava in particolare sotto quelle abitate da belle ragazze, qui srotolava l'originale scala dell'amore, una scala che chiusa era meno di un metro ma che, srotolata, si alzava fino a 3 metri! Facevano parte del corteo anche altri personaggi con Biagino Leone (detto Coria), che precedeva il corteo battendo un tamburo per richiamare l'attenzione del popolo e per invitarlo a riunirsi nella piazza principale per assistere al "Rito". Il tutto si concludeva con il fantoccio di Carnevale, che, dopo essere stato operato, e quindi tirare fuori le interiora di vitello allo scopo di creare disgusto nei più delicati di stomaco, certificatane la morte, veniva dato a fuoco e contemporaneamente si procedeva a leggerne il Testamento. Questo era l'unico momento in cui i pochi potenti del paese venivano sbertucciati nei loro grandi e piccoli peccati. Solo a don Ulderico era concessa questa irriverenza!
LA RELIGIONE Don Ulderico non era un credente. Nell' Altavilla di quegli anni era una davvero una scelta controcorrente, difficile e foriera di guai per chi la professava. Alla base delle sue convinzioni c'erano soprattutto gli anni passati in Seminario e quella cultura da enciclopedista, di forte impronta positivista, e per quel tanto di dannunzianesimo, per la ricerca costante del "piacere" della vita, che non poteva certa mente accostarlo alla pratica religiosa. La sua prorompente personalità gli impediva anche l'ipocrisia di una religiosità di convenienza. Gli piacque anche "giocare col Diavolo" con le pratiche spìritiche ed un'intera vita da "dandy". Lui ci teneva a non farsi notare e nello stesso tempo a non uniformarsi alla massa. Perché il suo vero elemento di distinzione era in quel suo particolarissimo modo di vivere. E vestiva anche in un modo "adeguato" al suo ruolo. Poi tutto di lui è diventato un romanzo.
IL MULINO. Il Mulino fu fondato nel 1908 dal padre Valdimiro. Con l'emigrazione in America del fratello Felice tutto il peso passò ad Ulderico, tornato ad Altavilla, dopo un soggiorno brasiliano di parecchi anni. L'impianto era "a palmenti" e funzionava con il gassogeno, un ingombrante maxibruciatore che tra sformava il carbone in gas povero o misto. Il Mulino dava lavoro a molta gente e sotto la direzione della moglie Maria Lettieri, c'erano Maddalena Capaccio, con Rosario e Donatina Cafaro e tanti altri lavoranti. Don Ulderico preferiva stare alla cassa ed alla pesa. Il motore del molino pesava 7 q. li e sviluppava 20 cv. di potenza per 200 giri al minuto. Nel 1940 il Mulino fu rinnovato e trasformato in elettrico perché, finalmente ad Altavilla, c'era la corrente elettrica trifasica, conosciuta come "forza motrice". Non ben conosciuto è l'eroico contributo dato da don Ulderico Buonafine con il suo Mulino durante gli anni dell'ultima Guerra. Con il paese distrutto ed una popolazione stremata c'era anche il razionamento alimentare e severissime sanzioni fino alla fucilazione toccavano al mugnaio che osava macinare grano che fosse eccedente la quantità stabilita dalla "tessera", il razionamento pro capite da fame. Approfittando della vicinanza della fontana del Convento, dove le donne andavano a lavare la biancheria ponendosi grossi cesti sulla testa, sia all'andata che al ritorno le stesse s'infilavano velocemente nelle porte del Mulino e, dopo aver portato il grano, ne ritiravano la farina. Un sistema di avvistamento era in funzione per difendersi da carabinieri ed eventuali malintenzionati. C'è da dire che mai il Buonafine speculò su tale attività e il prezzo della macinazione era quello dei tempi di pace. Fu grazie a lui che tanti nostri concittadini letteralmente non morirono di fame.
martedì 4 novembre 2008
Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 2
di Oreste Mottola
Parte II - L'OFFICINA
Nel 1922 fondò l'Officina Meccanica dalla quale uscirono quelle catose che sono state cantate da Padre Candido Gallo nelle Novelle dell’Acquafetente, pompe per le presse idrauliche e tanti frantoi per le olive. Da qui uscirono anche le tante ringhiere e finestre a botte in ferro battuto senza alcun punto di saldatura che adornarono le case più pretenziose di Altavilla e dei paesi vicini. In questo laboratorio lavorarono molti meccanici che avevano imparato il mestiere nelle più importanti fonderie ed officine meccaniche di Fratte di Salerno: dai vietresi Giovanni Gaeta e Giuseppe Ancellotti, il salernitano Michele Rago, l'albanellese Vincenzo Sabatini e gli altavillesi Luigi Zita e Donato Lauria. L'ultimo fu il battipagliese Americo Saviello, che sarà coinvolto nell'affaire della zecca clandestina e sposerà l'altavillese Angelica Guerra. Ulderico Buonafine, fu, indubbiamente un grosso talento in anticipo sui tempi e quindi incompreso. Ma anche un musicista come Mozart ed un filosofo come Giovambattista Vico, non ebbero in vita i riconoscimenti che il tempo gli ha poi dato! Si ricorda ancora un’ingegnosa innovazione che fece al dispositivo del Mulino che regolava la caduta graduale del grano. Appena la perfezionò si affrettò a mandarla alla ditta costruttrice che l'accolse prontamente. L' "Officina Meccanica Ulderico Buonafine Altavilla Silentina" , questo era il nome ufficiale dell'opificio, fu poi fittata ad Alfonso Verruccio. GLI AMICI La sua giornata aveva una precisa scansione. A mezzogiorno smetteva di lavorare per tuffarsi in quel suo mondo era racchiuso in una piccola cerchia di amici composta dal cugino Gennaro Ricci, i medici don Carlo ed Achille Sassi, Gaetano Guerra, Romeo ed Angelo Califano, Gennarino Bracco, Antonio Morra, Alberto Tancredi e Gaetano Cimino che usavano la vecchia piazza Antico Sedile come salotto di casa. Qui trascorrevano il loro tempo tra una partita di scopone, scopa e tressette. La sera si trasferivano al Mulino, dove si organizzavano banchetti e serate piene di musica. Lui stesso era un provetto suonatore di chitarra. Il migliore sulla piazza d’Altavilla. La vita paesana era allora scandìta dalla febbrile attività delle cantine di Ciccio Suozzo, Vito Di Lucia, Ferdinando Cancro, Daniele Guerra, Carmelo Nigro, Paolo Molinara e Antonio Belmonte. Erano chiamate ironicamente chiese ed ognuna, per vicinanza, ne aveva il nome. Era un innocente sotterfugio per poterne parlare in pubblico anche se in maniera cifrata per esempio quella di Carmelo Nigro diventava "il Carmine" dal l'omonima chiesa. In quella di Molinara una mattina comparve quest’avviso in rima, dettato addirittura sembra dal maestro Galardi: "Il sole qui risplende. Il buon vino qui si beve. Favorite ed allegri entrate. Di politica non parlate. Non bestemmiate. E prima di uscire pagate". Erano i bar dell'epoca. Qui si tra scorreva il tempo libero, prima dell'arrivo in massa della TV in ogni casa. In esse, oltre al vino, si servivano "semenzelle", nocelle americane, ceci e lo "sfriuonzo" di maiale.
Parte II - L'OFFICINA
Nel 1922 fondò l'Officina Meccanica dalla quale uscirono quelle catose che sono state cantate da Padre Candido Gallo nelle Novelle dell’Acquafetente, pompe per le presse idrauliche e tanti frantoi per le olive. Da qui uscirono anche le tante ringhiere e finestre a botte in ferro battuto senza alcun punto di saldatura che adornarono le case più pretenziose di Altavilla e dei paesi vicini. In questo laboratorio lavorarono molti meccanici che avevano imparato il mestiere nelle più importanti fonderie ed officine meccaniche di Fratte di Salerno: dai vietresi Giovanni Gaeta e Giuseppe Ancellotti, il salernitano Michele Rago, l'albanellese Vincenzo Sabatini e gli altavillesi Luigi Zita e Donato Lauria. L'ultimo fu il battipagliese Americo Saviello, che sarà coinvolto nell'affaire della zecca clandestina e sposerà l'altavillese Angelica Guerra. Ulderico Buonafine, fu, indubbiamente un grosso talento in anticipo sui tempi e quindi incompreso. Ma anche un musicista come Mozart ed un filosofo come Giovambattista Vico, non ebbero in vita i riconoscimenti che il tempo gli ha poi dato! Si ricorda ancora un’ingegnosa innovazione che fece al dispositivo del Mulino che regolava la caduta graduale del grano. Appena la perfezionò si affrettò a mandarla alla ditta costruttrice che l'accolse prontamente. L' "Officina Meccanica Ulderico Buonafine Altavilla Silentina" , questo era il nome ufficiale dell'opificio, fu poi fittata ad Alfonso Verruccio. GLI AMICI La sua giornata aveva una precisa scansione. A mezzogiorno smetteva di lavorare per tuffarsi in quel suo mondo era racchiuso in una piccola cerchia di amici composta dal cugino Gennaro Ricci, i medici don Carlo ed Achille Sassi, Gaetano Guerra, Romeo ed Angelo Califano, Gennarino Bracco, Antonio Morra, Alberto Tancredi e Gaetano Cimino che usavano la vecchia piazza Antico Sedile come salotto di casa. Qui trascorrevano il loro tempo tra una partita di scopone, scopa e tressette. La sera si trasferivano al Mulino, dove si organizzavano banchetti e serate piene di musica. Lui stesso era un provetto suonatore di chitarra. Il migliore sulla piazza d’Altavilla. La vita paesana era allora scandìta dalla febbrile attività delle cantine di Ciccio Suozzo, Vito Di Lucia, Ferdinando Cancro, Daniele Guerra, Carmelo Nigro, Paolo Molinara e Antonio Belmonte. Erano chiamate ironicamente chiese ed ognuna, per vicinanza, ne aveva il nome. Era un innocente sotterfugio per poterne parlare in pubblico anche se in maniera cifrata per esempio quella di Carmelo Nigro diventava "il Carmine" dal l'omonima chiesa. In quella di Molinara una mattina comparve quest’avviso in rima, dettato addirittura sembra dal maestro Galardi: "Il sole qui risplende. Il buon vino qui si beve. Favorite ed allegri entrate. Di politica non parlate. Non bestemmiate. E prima di uscire pagate". Erano i bar dell'epoca. Qui si tra scorreva il tempo libero, prima dell'arrivo in massa della TV in ogni casa. In esse, oltre al vino, si servivano "semenzelle", nocelle americane, ceci e lo "sfriuonzo" di maiale.
lunedì 3 novembre 2008
Il personaggio: Don Ulderico Buonafine - 1
(Che quante ne pensava ne faceva)
di Oreste Mottola
Parte I - Chi era
Di lui si disse che ne faceva e ne sapeva una più del Diavolo. Amava descriversi così: "per me ci vuole nu chianchiere (macellaio, ndr) buono per tirarne mezzo chilo di carne". Era una pertica: alto, snello e con il corredo di un curato paio di baffi. Tutto muscoli, intelligenza e voglia di vivere alla grande. Lo sguardo era severo, quasi dolente, da cui traspariva un'ombra d’interiore austerità antica. Sempre educato e discreto, di carattere gioviale, non alzava mai la voce.
D’andatura lesta e felpata, indossava sempre un'elegante giacca a quadri e sopra, d'inverno, un cappottone nero che gli dava un aspetto che era per alcuni, da galeotto appena evaso, per altri, invece, da artista raffinato.
Gentiluomo all'antica, con il vezzo di portare all'occhiello della giacca, un bottone scuro che sotto portava scritto la frase: fatevi i cazzi vostri ed era sempre pronto a mostrarlo al malcapitato che gli rivolgeva una domanda importuna. Non si negò niente: da una vivace attività imprenditoriale (Mulino, forno, ed una modernissima officina meccanica) a donne, musica e banchetti. . . fino alle sedute spiritiche e sconfinamenti nello stesso campo della medicina. Una personalità poliedrica, veramente leonardesca che attraversò da protagonista gli anni altavillesi dalla fine dell'Ottocento all'alba degli anni '6O. Ulderico Buonafine, con il "don" acquisito non per le ricchezze ma per l'indiscussa fama e considerazione di cui godeva, questo è il nome del Nostro, seppe vivere davvero bene nell' Altavilla che viveva la grande ondata dell' emigrazione americana, la Grande Guerra, le epidemie di spagnola ed il flagello della malaria, e poi il Fascismo con le guerre coloniali in Africa, la bonifica della Piana e i lutti e le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. Per ricominciare dopo con la Ricostruzione postbellica ed ancora con l'emigrazione verso la Germania, la Svizzera ed il Belgio. Il potere politico rimaneva sempre saldamente accentrato nelle mani di don Ciccio Mottola.
Ulderico Buonafine, l’artigiano eccentrico, insieme con il notaio imprenditore Mottola erano le figure di riferimento di un’Altavilla laica che non aveva certo rapporti facili con il clero locale in anni di cinghia stretta, con foto che ancora oggi ci restituiscono volti emaciati per il poco e cattivo pane che ci si poteva permettere di mangiare. Ed è per questo che sarà proprio il Buonafine che, quando nel 1951, inaugurerà il suo nuovo mulino a promettere: "Pane bianco. . . / Supera ogni rimedio/ E ogni medicina. /Mangiatelo di giorno. . . / Guarisce ogni malato anche se moribondo. Ritorneranno vivi quelli dell'altro mondo!".
Era nato nel 1882 in una famiglia di buon lignaggio che cercò subito di indirizzare l'esuberante intelligenza del ragazzo. Lo mandò, infatti, a studiare in Seminario dove restò fino a sfiorare l'ordinazione sacerdotale. Qui imparò matematica, francese e latino. Quando, dopo il 1910, tornò ad Altavilla fu tra coloro che diedero vita alla celeberrima "Centrale", qualcosa che stava a cavallo tra società segreta, club privato e tabarin equivoco ma con tanto di organigramma di direzione. Forse non era niente di più di una taverna situata in vicoli poco abitati nel centro storico, fuori dagli occhi indiscreti frequentata da qualche donnina allegra dell’epoca.
Di questa vicenda ad Altavilla si è sempre molto favoleggiato. Molto probabilmente fu per questo che, nel 1913, dovette lasciare l'Italia. Raggiunse il fratello Felice in Brasile e lì s'impadronì delle nozioni di meccanica che poi applicherà così brillantemente al ritorno in Italia. E diventò un "mago del tornio" anche perché era uno dei pochi fabbri che conosceva l'uso delle misure logaritmiche.
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