Gli ebrei, e non solo, furono destinati al
confino di Altavilla Silentina nei primi anni della seconda guerra
mondiale. Francese era l’anarchico
Jean Louis Alfredo, e inglese-maltese Paolo Calea, c’era poi il comunista marchigiano
Costantino Catena.
Toccò a me il colpo di fortuna di vedermi scorrere davanti quelle carte
durante i lavori di recupero e riordino dell’archivio storico comunale.
La mia formazione di giornalista me ne fece comprendere immediatamente
l’importanza e così il medico
Grunhut Desiderio, il
commerciante Beniamino Keller e sua figlia Regina, Bernardo Zgur alle
prese con una fastidiosa malattia, hanno di nuovo un nome e qualche
frammento della loro storia. Dall’agosto del 1940 al 21 maggio 1941
furono ospiti, alcuni accompagnati da familiari, rispettati del mio
paese. Venivano dai campi di concentramento di Campagna dove zio e
nipote Palatucci, l’uno vescovo e l’altro questore di Fiume, diedero
vita ad una gigantesca operazione di salvataggio degli ebrei dai campi
di sterminio. Dal maggio del 1941 le carte che io ho consultato si fanno
confuse, una traccia labile li porta nel Vallo di Diano, e poi nulla
più. Resta Catena, si trasferirà ad ad Eboli solo dopo la guerra.
Gli ebrei ad Altavilla, si diceva. Si salvarono o no? Il dubbio resta
fitto. E’uno dei capitoli del mio ultimo libro “I paesi delle ombre”.
Altro fascino a questa storia ora va ad aggiungere il libro di Nico
Pirozzi: “Fantasmi del Cilento. Da Altavilla Silentina a Lenti
un’inedita storia della Shoa ungherese” , appena stampato dalle Edizioni
dei Cento Autori, 158 pagine, 15 euro di prezzo di copertina. Pirozzi,
collega giornalista napoletano, ha trovato le tracce al Yad Vashem, a
Gerusalemme, dove c’è il più grande data base dell’Olocausto dell’uso di
false carte anagrafiche, proprio di Altavilla Silentina, da parte
di ebrei di Lenti, cittadina ungherese di 8 mila abitanti strategicamene
vicina a Slovenia, Croazia e Austria. Quel pezzo di carta, esibito nel
1943, che attestava che erano nati in un paese che non sapevano neanche
pronunciare non bastò a salvargli la vita. Ma chi glielo aveva fornito?
Come era arrivato lì, ad altre 1500 km di distanza? Questa è l’indagine
che svolge Nico Pirozzi.
Lo aveva trafugato uno di quegli ebrei che era passato per Altavilla due
anni prima? Magari con la complicità di qualche impiegato del municipio
compiacente? E chi può essere? Nico Pirozzi s’indirizza sul medico
Desiderio Grunhut, che a Roberto Olla, giornalista del Tg1, appare un
gigante:”…per via della sua volontà di vivere, del suo impegno per
salvare anche gli altri, per farci capire che quella è la nostra
storia”. Grunhut, come io ho scritto ricordandomi di un racconto fattomi
da don Antonio Polito, clandestinamente continuava a fare il medico
durante il confino altavillese ed uno psichiatra famoso come Marco Levi
Bianchini, ebreo anch’esso, gli venne a far visita. Grunhut ha la
famiglia al seguito, ha sposato una donna italiana, la romana Guerrato.
Non appare troppo plausibile l’ipotesi che sia lui ad appropriarsi delle
carte anagrafiche in bianco, per diverse decine di copie, poi se le
porta appresso per l’Europa in guerra, lui ebreo, per poi usarle, due
anni dopo, in un paese che non è il suo. E le loro valige erano
ripetutamente controllate.
Pirozzi affaccia anche l’ipotesi, che dico subito mi pare più seriamente
basata, che sia stato Albertino Remolino, ripetutamente investito della
funzione di “postino” fra i due Palatucci a far avere al giovane
questore di Fiume quelle “carte”. Campagna in quegli anni è sede di
Sottoprefettura e quindi c’è chi può disporre di notevoli quantità di
“carte d’identità in bianco” destinate ai vari comuni del comprensorio.
Com’è andata veramente non lo sapremo mai. E visto che si trattava di
falsificare solo dei timbri non possiamo escludere che solo casualmente
sia stato scelto il nome di Altavilla Silentina per farne “un passaporto
per la vita” che non funzionò.
Coincidenze? Dopo Piero Chiara anche Nico Pirozzi
sceglie Altavilla Silentina per “ambientarci”, questa volta, una storia
grande e tragica.
—-
LA GIORNATA DELLA MEMORIA. LA STORIA DEI CONFINATI AD ALTAVILLA SILENTINA NEL 1940 – 41
TOLLERANZA E SOLIDARIETA’,
CON IL FINALE DI UNA PICCOLA STORIA IGNOBILE
[Oreste Mottola] Ad Altavilla l’ordine arrivò più o meno
così: “Pregasi telegrafare urgenza posti disponibili in codesto comune
per internandi italiani albanesi et stranieri tenendo presente
opportunità che essi trovino conveniente alloggio et possibilità
adeguata vigilianza. Attendesi urgentissimo riscontro”. Il Podestà
Mottola riponde, a strettissimo giro di posta, che “Potrebbero
alloggiarsi in questo comune circa trenta internati, però mancano gli
arredamenti e le suppellettili. E’ assicurata la vigilianza dei Regi
Carabinieri”.
I CATENA. Nei pensieri di Costantino Catena da Ancona, figlio di
Bonafede, e della sua compagna Rosina Giarletta c’era sempre il mare.
Simbolo di libertà e di spazi infiniti per i due irrequieti coniugi.
Come dovettero adattare questa loro costante aspirazione, nomen – omen,
dicevano i latini, con la monotona vita altavillese degli anni trenta,
resta ancora oggi un mistero. Fosse o no un confinato, le carte non lo
dicono o smentiscono, il fatto è che Costantino Catena per più di un
decennio si àncora (ancora una volta il mare) al nostro paese, partecipa
alla sua vita più intima e alla tragedia della guerra.
I KELLER. Il vecchio MIchele Mazzeo
avventurosamente, da prigioniero di guerra degli austro-ungarici, aveva
fatto il falegname nei cantieri navali di Budapest tra il 1917 ed il
1920, cercò nella sua memoria e fervida intelligenza di ricordare
qualche vocabolo ungherese, sopravvissuto per vent’anni, per comunicare
con i magiari Keller (padre e figlia nubile) che avevano voluto
affrontare in Italia la vergogna delle leggi che promuovevano le
persecuzioni razziali. L’artigiano altavillese rappresentò, per quei
lunghi mesi, il loro unico modo di comunicare con un mondo molto
diverso. Piccolo di statura e con il pizzetto bianco, Beniamin Keller
agli altavillesi sembrò una copia di Vittorio Emanuele. Riuscì a
spiegare d’aver dovuto lasciare la proprietà di un grande panificio a
Vienna o, forse, a Budapest. Il sabato, con la figlia e gli altri
internati israeliti, si metteva l’abito elegante.
IL MEDICO GRUNHUT. Il dottore Isidoro Grunhut era
invece alto e snello, parlava perfettamente l’italiano e a tutti gli
altavillesi apparve subito simpatico ed estroverso. Ospitato a casa
Galardi, curò segretamente il maestro di musica Genesio Suozzo, che già
in giovane età- morirà poi a 33 anni – cominciò a far preoccupare per la
sua cagionevole salute. Il dottor Isidoro riceveva le visite degli
amici che venivano e trovarlo e conduceva -una vita brillante.
L’ANARCHICO. In una Altavilla bacchettona dove solo a don Ulderico era
concesso di trasgredire le rigide regole sociali la bella moglie
dell’anarchico Jean Louis Alfredo fece sognare molti. L’avvenenza di
Anna De Leucia era particolarmente valorizzata dalla sua bravura di
ballerina nelle serate organizzate presso la locanda di Peppina Marra e
di Francesco Suozzo.
IL MALTESE E GLI ALTRI. Il giovane maltese Paolo Calea
invece, da buon mediterraneo, s’inserì subito tra la gioventù
altavillese. Più di una volta i carabinieri lo avevano ‘pizzicato’ in
giro per i vicoli del centro cittadini, ben oltre gli orari stabiliti
dalla legge. Forse, fu proprio questa confidenza che lo spinse a gioire,
ai principi dell’aprile del ’41, alle prime ammissioni – nella
propaganda fascista – dei cedimenti bellici in Africa Orientale. E la
‘spiata’ allora fatta da due nostri compaesani resterà come unica
macchia su vicende dove il senso di umanità della nostra gente e delle
stesse autorità preposte sarà costantemente presente. Un esempio, per
tutti, è rappresentato dall’azione di don Ciccio Mottola per far
ricoverare in un sanatorio il goriziano Bernardo Zgur, affetto da
tubercolosi. La Questura non ne vuole sapere, ma anche grazie ai
certificati del dottor Amedeo Molinara, si riuscirà a garantire le cure
al confinato. Don Ciccio, risolverà la vicenda chiedendo, e ottenendo,
il personale intervento del Prefetto dell’epoca. Un piccolo fatto che
s’inserisce in una grande storia, nella immane tragedia dell’Olocausto.
I fatti di cui si narra avvengono in una Italia che non s’avvede di
essere alla vigilia della sua maggiore tragedia nazionale da quando è
tale, una e indipendente. Dal 10 giugno del 1940 siamo in guerra. Ne
seguirà un bilancio politico – militare terrificante, con disfatte che
lasceranno per sempre una traccia di demoralizzazione sulla nostra
capacità di autoidentificazione nazionale. Ad Altavilla Silentina, ma
soprattutto a Campagna, arriveranno gli ebrei di una tempra assai
particolare. Si tratta di austriaci ed ungheresi, essi avevano
conosciuto soprattutto quell’antisemitismo di popolo. ‘Si trattava –
racconta Giampiero Mughini – di un antisemitismo non sanguinario,
moderato, sussurrato a mezza bocca’ ma tenace, un antisemitismo ancora
senza stivali e guerra, per rivisitare i luoghi della prigionia’,, per
ringraziare il sottufficiale del corpo di polizia Mariano Acone per la
sua umanità, per il suo coraggio, per il rapporto di sfiducia e di
rispetto che aveva instaurato con loro e che lo aveva portato a
rischiare la propria vera in quei terribili giorni del settembre 1943,
facendoli prima fuggire dal convento e poi dai gradoni a via Duomo.
Gli ebrei di Campagna che emigrarono in America, negli anni ’50
inviarono del denaro per far ristrutturare quei luoghi che li avevano
custoditi e tenuti lontani dagli orrori dei lager nazisti.
FRANCO ANTONICELLI AD AGROPOLI
[Oreste Mottola] E alla chiesa della Madonna del Granato, nella
vicina Capaccio, che il confinato and a sposarsi. Era il giorno di Santo
Stefano del 1936. Lui aveva tight e cilindro, mentre la sposa indossava
un costume grecizzante ispirato alle vicine “vestigia” pestane. Le due
grandi automobili arrivate da Torino dopo aver attraversato la polverosa
Tirrenica Inferiore che tagliava a met l’area archeologica di Paestum
aizzarono la fantasia popolare dei braccianti di Capaccio e di Fonte di
Roccadaspide richiamati dall’evento. Difficile immaginare che sapessero
chi fossero gli sposi. I giornali di allora queste notizie non le
davano. Meno che mai la radio, tutta discorsi del Duce con il sottofondo
di adunate oceaniche di folla e le truppe di Graziani e Badoglio che
del Negus Hail Selassi facevano polpette, per usando i gas. Lei era
Renata Germano, la figlia di Annibale, il notaio della Fiat. Ai locali
della zona parve di assistere ad una scena di un film. Anche la scorta
di forza pubblica che segu lo sposalizio contribuiva ad aumentarne
l’alone di leggenda.
“Ho sentito parlare di questi posti grazie ai racconti che mi faceva
Franco Antonicelli, il mio istitutore”, disse Gianni Agnelli quando, era
il 1990, si ferm con il suo yacht nel porto turistico di Agropoli.
[1]Visita memorabile, l’Avvocato, allora al culmine del suo potere, si
allung fino a Paestum, dove visit il caseificio dei Di Lascio facendo
gran provvista di mozzarelle. Antonicelli chi? si chiese pi d’uno.
“Dovrete salutare per me mezzo paese” scrisse una volta ad un amico
rimasto nel paese dove fu confinato dall’inizio dell’estate del 1935
alla primavera del 1936. Antonicelli scrittore, uomo politico,
giornalista, editore e grande coscienza critica dell’Italia
repubblicana. Ad Agropoli ce lo mandarono a forza. Il paese che c’ chi
indica al titolo di “capitale” del Cilento instill nell’uomo di cultura
piemontese, ma di origini pugliesi, un grande vitalismo.
“Autunno ad Agropoli” il titolo del manoscritto di Antonicelli che
ancora inedito e che tale come vedremo destinato ad essere ancora a
lungo. Franco Antonicelli, una laurea in lettere ed un’altra in
giurisprudenza, come ultima occupazione era stato il precettore del
giovane Gianni Agnelli. “L’antifascista biografato in oggetto” o il
“pregiudicato politico Antonicelli Franco”, come si legge dalle note di
questura, da sette anni era nel mirino della polizia fascista. Fin da
quando, nel 1929, os scrivere una lettera di solidariet al filosofo
Benedetto Croce che, in Senato, aveva contestato i Patti Lateranensi. Fu
condannato ad un mese di carcere e gli fu proibito ogni impiego
pubblico. Da qui la scelta di fare l’insegnante privato. Alle 6.45 del
15 maggio del 1935 fu coinvolto nella retata di duecento persone, tutto
il gruppo torinese di “Giustizia e Libert ” e gli “einaudiani” della
rivista “La Cultura”. La “spiata” fu di Pitigrilli, lo scrittore
decadente. Scatt cos l’invio, per tre anni, al confino di Agropoli.
Sempre meglio della galera? No, il confino, era sempre fatto di
sofferenza ed umiliazione. Arrivato nella cittadina cilentana
Antonicelli cerc subito il modo di occupare le giornate. Dipingeva i
paesaggi che guardavano ai monti ed alla marina, scriveva, raccoglieva
canzoni popolari cilentane dai marinai e dalle popolane, e poi
fotografava. Entrava nelle povere case dei contadini e curiosava tra
capre e maiali. Avrebbe voluto inerpicarsi per i paesi pi interni,
glielo proibirono. “Gli agropolesi gli vollero bene. Quel giovane
signore colto ed elegante parlava con tutti. Ed ascoltava”, racconta
Domenico Chieffallo, che l’avventura dei confinati ad Agropoli, “almeno
sessanta”, l’ha raccontata in un suo prezioso libricino. Il periodo del
confino ad Agropoli di Franco Antonicelli fu ricco di umanit . “Non
abbiamo mai dimenticato Agropoli: io specialmente, quanto pi passa il
tempo, tanto pi penso con piacere e nostalgia al vostro paese: mi
ricordo tutte le giornate trascorse in compagnia vostra, tutte le
canzoni cilentane che ho imparato, tutti gli amici che ho conosciuto”,
scrisse ad un amico di quel tempo. Cos l’ex confinato Franco Antonicelli
racconta del periodo che dovette trascorrere nel paese che ancora non
era stato scoperto dal turismo di massa. Passava le serate di un’estate
agropolese lunga che si prendeva grandi parti della primavera e
dell’autunno stando fermo sui lunghi gradoni del porto conversando,
dipingendo o manovrando la sua macchina fotografica. La mattina no, era
alla marina, dove dai pescatori si faceva raccontare storie e canzoni. A
Renata, prima fidanzata e poi moglie, scriveva ogni giorno una
cartolina con un ad un lato una foto di Agropoli e dall’altra la
trascrizione esatta di una canzone popolare.
Accett di fare il padrino per il battesimo di Cristina, la figlia di
Carola, il proprietario dell’albergo ristorante pi rinomato del Cilento,
dove scendevano Umberto di Savoia, il principino, e pi di una volta, in
segreto, Benedetto Croce venne a far visita a quel suo discepolo
pugliese piemontese. “Ad Agropoli di quell’anno che Antonicelli rimase
qui racconta Chieffallo rimane il ricordo di quella raffinata eleganza
di modi
CONSIDERAZIONI SULL’ANTIFASCISMO CILENTANO
[di Oreste Mottola orestemottola@gmail.com]
Quanto fu ampia e convinta l’adesione delle masse popolari del Cilento e
degli Alburni al fascismo? Lo studio “Fascismo e consenso nella realtà
alburnina”, di Pietro Mandia, pubblicato nel numero 15 del 2002 della
rivista di studi storci “il Postiglione” diretta da Generoso Conforti
aveva proposto una visione tanto entusiastica quanto “limitante” dei
fenomeni di dissenso rispetto al mussolinismo. “I simboli del nuovo
regime diventano i nuovi punti di riferimento per i cittadini che con
essi convivranno, che ad essi in massima parte aderiranno”, scrive il
Mandia.
Ma alcune brevi biografie, pescate in un pregevole studio di Alfonso
Conte (Cfr. “Annali Cilentani n.4/1991) ci riportano ad una lotta, certo
di pochi elementi, ma sicuramente di una certa vivacità. Filippo
Matonti. Aveva 23 anni ed era già tenente e pilota dell’aereonautica,
Filippo Matonti,
nato a Magliano Vetere nel 1908. Indispettito da un procedimento
disciplinare che riteneva ingiusto, emigrò a Parigi. Nella città
francese, in un primo momento se ne stette calmo e tranquillo senza
svolgere alcuna attività politica. Nel 1936 scoppia la guerra civile
spagnola e Filippo Matonti viene ingaggiato dai repubblicani a
“contratto politico”, vale a dire percependo 3.000 franchi di stipendio,
quando ai piloti francesi, coinvolti nella stessa causa, andavano
50mila franchi al mese. Ad “ingaggiare” Matonti è uno dei fratelli
Rosselli. Di quel che fece per la Spagna democratica non è annotato
alcunchè nel Casellario Politico Centrale consultato da Alfonso Conte
(Cfr. “Annali Cilentani n.4/1991). In età avanzata, Filippo Matonti,
tornerà a vivere nel suo paese natale e non racconterà a nessuno questa
sua avventura spagnola contribuendo a tenere nel mistero questa sua
avventura da romanzo.
Mario Greco. Di Controne era Mario Greco, nato nel
1902, nel 1928 emigrato negli Usa per motivi politici. “Era di
sentimenti avversi al Regime, tanto che nel 1924 a Controne – riporta
l’annotazione delle autorità di polizia – tentò di istituire una sezione
del partito socialista, che poi non attecchì “.
Berniero Manfredi. Un altro personaggio di rilievo è
Berniero Manfredi, nato ad Eboli nel 1877. Fu schedato fin dalla
gioventù per l’attività “sovversiva” svolta durante il suo frenetico
girovagare fra diversi stati dell’America e dell’Europa, nei cui
ambienti operai maturò la sua formazione politica; rientrato in Italia,
perchè chiamato in Italia, si stabilì ad Eboli, dove fu segretario della
Camera del Lavoro e della Cooperativa “Lavoro e Progresso”, nonchè
protagonista di diverse agitazioni popolari e di comizi. Nel 1923, dopo
essere passato negli anni dal gruppo anarchico al partito socialista e
quindi a quello comunista, fu arrestato in seguito ad una perquisizione
domiciliare in cui fu rinvenuta una rivoltella detenuta senza
autorizzazione. Dopo aver trascorso alcuni mesi in carcere,
probabilmente temendo di subire ulteriori provvedimenti ai suoi danni,
alla fine del 1924 si trasferì con la famiglia ad Algeri, dove iniziò a
svolgere l’attività di scultore di legno e d’antiquario; è quasi certo
che anche ad Algeri continuò a fare politica e ad essere fra i maggiori
esponenti di quella sezione comunista. Infatti nel 1936, in occasione
della sua morte, il Consolato riferì che il partito comunista di Algeri
aveva partecipato in modo solenne ai suoi funerali. Da chi fu ucciso
Manfredi? Non morì di morte naturale, secondo uno scritto del 1978 (A.
Cassese – G. Manzione, L’opposizione antifascista ad Eboli), Berniero
Manfredi fu ucciso come i fratelli Rosselli da sicari fascisti in
trasferta.
Angelo Trotta – Rosario Masi – Natale Busillo – Da
segnalare sono le vicende parallele nelle quali sono coinvolti tre
contadini di Stio, Campagna e Bellosguardo. Angelo Trotta, nato a Stio
nel 1902, nel 1939 verrà inviato al confino per due anni alle isole
Tremiti per “aver pronunciato frasi scorrette” nei confronti delle
pubbliche autorità e per essere stato trovato in possesso di giornali
contenenti articoli antifascisti. Rosario Masi, da Bellosguardo,
protestò con un “Avete ragione voi e quel fetente di Mussolini che vi
protegge” quando parte delle sue pecore furono trovate a pascolare sulla
provinciale Bellosguardo – Castel San Lorenzo. Masi fu condannato a 6
mesi di reclusione e 500 lire di multa. Un altro contadino, Natale
Busillo, di Campagna, ebbe tre mesi di reclusione e 500 lire di multa
per “vilipendio” al Duce.
Giuseppe Rienzo – A Sicignano, Giuseppe Rienzo, già presidente della
locale sezione socialista, pensò di espatriare. Nel 1929, all’atto di
rientrare, venne arrestato. Più volte tentò poi di emigrare e “dovette
concludere la sua esistenza infermo a letto per una paralisi agli arti
inferiori”.
Michele Trotta – A Postiglione c’è la storia di Michele
Trotta. Veterinario, era nato nel 1898. Da sempre si caratterizza come
appassionato di scienze naturali, con una predilezione per la
speleologia. Nel giugno del 1925 fu arrestato per “porto abusivo di
rivoltella ed omessa denunzia di bossoli”. E’ probabile che questa
misura di polizia fu causata dalla “parlata” del contadino Luigi
Laurino, nato a Postiglione nel 1875 ed arrestato alla fine di maggio
del 1925. Al Laurino vengono trovati opuscoli e giornali antifascisti.
Il contadino ammette di aver avuto i materiali in consegna da Trotta. Il
Trotta dopo questo primo arresto, quasi sicuramente per sfuggire ad
altre misure repressive, chiese la tessera del Pnf. Tuttavia nel 1942
Trotta fu di nuovo all’attenzione delle forze dell’ordine come
“ispiratore della manifestazione sediziosa verificatasi in Postiglione
il 17 maggio del 1942. Pur non disponendo di ulteriori notizie, è
possibile affermare che il Trotta fu tanto prudente nella sua azione
quanto radicato nelle sue idee; infatti subito dopo la guerra, fu tra
gli organizzatori nella nostra provincia del Partito d’Azione.
Salvatore Rubano – Il disegnatore industriale Salvatore
Rubano, nato a Piaggine nel 1886 e residente a Salerno, nel 1941 fu
inviato al confino a causa della denuncia inoltrata da alcuni suoi
conoscenti, con i quali aveva avuto uno scambio di idee. “Il Rubano ebbe
a dire che era pericoloso indossare la camicia nera – si legge in una
relazione della Prefettura di Salerno – perchè la rivoluzione era
prossima. Arrestato, fu sottoposto a perquisizione domiciliare, in
seguito alla quale furono sequestrati un libro sulla rivoluzione russa
ed alcuni articoli a carattere antifascista; assegnato al confino, fu
destinato ad Orsomando, da cui fu presumibilmente liberato alla caduta
del Fascismo.
Gli rimase sempre il rammarico di non essere riuscito a trarre da quella
esperienza libri come “Cristo si fermato ad Eboli” di Carlo Levi o “Il
carcere” di Cesare Pavese.