Pubblicato su carta sin dal 1993, è uno dei più longevi periodici dell'area della Piana del Sele e Cilento. La Collina degli Ulivi online vuole essere ancora di più un luogo di informazione, ascolto e diffusione di idee, anche attraverso l'interazione in tempo reale con i suoi lettori in ogni parte del mondo.

martedì 9 febbraio 2010

Italiani di Germania - di Marco Ciriello

Gli italiani di Germania macerano in attese disperate e vivono appesi ai ricordi. Hanno la febbre dei naufraghi, case umide nei paesi di origine dove immaginano di dormire da vecchi e un rimpianto per tasca. Imprudenti e avventurosi come mercenari si sono lanciati altrove pur di trovare pace ma sono mosche dimenticate in stanze lontane. Composti e sorridenti, li riconosci subito: sono tedeschi con i pacchi che avanzano in gruppo davanti alla stazione di Stoccarda. Una processione senza santo, sotto un cielo che è la tonaca sciatta di un prete di campagna. Donne, uomini, bambini: in comune gli occhi lucidi. Se li guardi dentro e bene, ti turbi per lo spavento. Si sono spinti avanti per riscrivere il passato fino a perdersi e quando c’è qualcuno che torna non vorrebbero perché sentono che gli rubi un desiderio. Loro saltano un turno ancora, sono passati a salutare ma fra poco sarà di nuovo fabbrica, produzione, stanchezza. Il pullman invece è giostra, sicurezza perché dice rotta per casa. Il mio viaggio è cominciato la sera prima, con una allegra cena in compagnia ed è andato avanti fino a tarda notte per le strade di Stoccarda tra fabbriche e bar, boccali di birra disperata e promesse di pranzi epici. E solo l’alba mi ha restituito la sobrietà necessaria per raccontare. Nella testa ancora le loro voci, gli occhi bambini davanti al biliardo e una pioggia di ricordi. C’è Peppino Calò, baffi bianchi, coppolone e allegria contagiosa, che ha sposato una tedesca e rassegnato mi dice: «non torno più». O Rocco che sembra un console romano e si lamenta dei nuovi italiani che vengono: «incostanti e perdigiorno». Lui, denti stretti, vita rigorosa in fabbrica, e figlio uguale. C’è Lorenzo che gioca e non parla. Ogni tanto arriva uno dei loro figli griffato Dolce&Gabbana che parla il nostro dialetto come un lombardo, passa, saluta e scompare. C’è anche chi non vuole dirmi il nome ma solo lamentarsi. Si sono passati la voce, vengono timidi, si accertano che sia proprio io e poi si sfogano. Mi sento un impiegato russo mandato in missione in un paese fratello, costretto a compilare una lista di desideri che nessun ministro leggerà. Le cose che non vanno: i turchi, l’unificazione tedesca, i greci, l’euro, l’affitto delle case, il colore del cielo, le auto italiane, i padroni tedeschi sì ma non troppo, la politica della Merkel, la politica di Schroeder, la lontananza della statua di Padre Pio, la politica di Prodi, le risposte del consolato italiano, i preti tedeschi, la tv tedesca, la polizia tedesca, i ritardi italiani, l’invidia, la difficoltà di fare carriera, la lontananza di Napoli, gli islamici, troppo freddo, troppa neve. Mi sa che per vincere le ultime proteste tutto il mondo ci sta già lavorando tranne il povero Al Gore che difende il normale corso delle stagioni, ma non lo dico. Annoto silenzioso nel chiasso del bar. Quando partiamo sono le nove del mattino e nel pullman rimane il dolore degli italiani di Germania, salito senza rincorsa alla stazione di Stoccarda. La nuova coppia di autisti non ha esperienza diretta di emigrazione ma una schiera di parenti in giro per la Svizzera. Sono entrambi di Castelnuovo di Conza provincia di Salerno, Antonio Urciuolo che oscilla fra sarcasmo e rigore e Rocco Caggia che mi fa leggere le sue poesie e confessa amore per Franco Califano. Il pullman non è zeppo come all’andata ma farà il pieno di gente il Svizzera. Questo il catalogo: due vecchine, fresche di permanente per la bella figura in paese che dormono senza interesse per il paesaggio, un avvizzito don Lurio dedito solo al fumo, un obeso triste affascinato più dal sistema meccanico di un autolavaggio che dalla mia curiosità e quando sto per rinunciare e tornare a leggere le poesie di Rocco, mi salva la rabbia di Armando (33 anni) barba rada, giacca di pelle e niente cognome. Cinque figli in Italia, una vita da ricostruire, aveva perso tutto a carte, partito per rifarsi, ancora un po’ e tornerà vincitore in paese, con i sacrifici fatti in sei anni riaprirà la sua attività in Italia. Mamma austriaca e un odio atavico per i tedeschi nonostante la scommessa vinta. Tutta un’altra storia per la calma di Rocco Garofano (51). Una vita in Germania partito dopo la morte del padre nel 1973 da Trevico come l’operaio di Ettore Scola. Ha fatto il falegname e non si pente. Parla saltando sulle parole come i calciatori ma con più poesia. Dice: «braccia mie-lavoro, cuore mio è per giù, ma moglie è su». È sempre riuscito: a tornare a casa per il pranzo – è questo il suo vanto – a non dimenticare la faccia dei suoi amici e a correre per le strade appena torna in paese. «Conosco il vento», mi dice sorridendo e battendosi il petto, non lo metto in discussione. Di fianco ha Vanessa Fieravanti, tutta vestita nike, venti anni e troppo fard. Torna a Calitri per la patente: «costa meno». Parrucchiera e donna delle pulizie a Stoccarda, stravede per la De Filippi, Gatto Panceri e Nek. «Nessun disagio escluso i problemi economici», ironizza. E poi c’è Antonio la bocca senza denti e il tedesco imparato sui fumetti, che scende per organizzare il matrimonio di sua figlia in agosto: «va bene la cerimonia all’estero, ma per mangiar si deve tornare a casa». Il resto è autostrada. A Freiburg scene da neorealismo: bimbe con fazzoletto in testa e cappottino rosso, abbracciano affrante la nonna che torna a casa e per fortuna c’è un nano arrampicato su un segnale stradale per salutare una moretta quindicenne che non dirà nemmeno una parola sedendosi dietro il don Lurio fumante. In Svizzera il pullman diventa qualcosa che sta tra Bocca di rosa, il circo, una madeleine e il Rex felliniano. Per ogni città c’è qualcuno che accorre alle fermate, non importa il motivo: una lettera, un saluto, un caffé o anche solo per guardarlo passare. E questo lo capisco a Lucerna quando il pullman bianco della Di Maio si ferma sul lago di fronte al Kunstmuseum di Jean Nouvel e lì c’è Amato (53) gommista di Morra De Sanctis: «sono venuto a pagare il caffé e a sentire il mio dialetto». Un legame sottile come la copertura del Kunstmuseum che sembra proteggere la città oltre il lago. A me questa storia del pullman ricorda quella del pavone innamorato di una pompa di benzina, è bizzarra solo se non si assiste alla scena. Tra Bellinzona e Lugano cala la notte mentre la strada corre alta su una distesa di luci. Abbiamo superato laghi e musei di Mario Botta che avevo visto solo sulle riviste. Il mio compagno di viaggio è Damien Rice e l’incontro più bello della giornata su un autogrill nei pressi del San Gottardo sotto una enorme astronave rossa che sembra partorita da Dante Ferretti: è con Franco Lettieri (uguale uguale a Henry Fonda) il decano della tratta, un direttore di circo che tiene le fila di uno spettacolo che volge al termine, ma che ogni giovedì e sabato regala allegria a questi naufraghi sprassolati persi nel cuore dell’Europa. È già notte quando vediamo le Alpi, perdendo la bellezza aguzza e la pulizia delle forme. A quest’ora appaiono solo come ombre scure all’orizzonte, Dee severe e incuranti che attraversiamo in silenzio. Poi è sonno, camion e voce roca di Tom Waits dal mio mp3. Arrivo a Calitri alle otto del mattino. Cammino fino a raggiungere la parte vecchia del paese, passo sotto le alte mura di contenimento: cemento e laterizi, erba e case imprigionate. Non c’è il solito vento, prepotente spirito che domina il paese, ma solo un vuoto enorme. Giro in solitudine fra case chiuse e altre in costruzione. Ogni tanto scorgo il viso di qualche vecchia nerovestita – spiarmi dai vetri – incorniciato da una corona di santi e una cucina Ikea. Di fronte al municipio su un vecchio muro c’è la soluzione, il cartello arrugginito della “Singer”, macchine per cucire.

Nessun commento:

Posta un commento