[Or.Mo] Di seguito potete leggere la risposta integrale che ho ricevuto dal professore Raffaele Conforti a proposito dell'articolo pubblicato numero 3/2003 del settimanale Unico a proposito del progetto di un impianto di produzione di biocarburanti a ridosso dell'Oasi di Persano gestita dal Wwf.
Il
sottoscritto prof, Conforti A.Raffaele con attenzione ha letto l’articolo
pubblicato sul settimanale UNICO riguardante l’autorizzazione regionale di un
impianto energetico innovativo e sperimentale rilasciato alla società SPHERA
S.r.l. con sede a Serre (SA) di cui sono socio.
Con
stupefacente meraviglia ho appreso notizie del tutto errate e come tali
esplicitate nel suddetto articolo.
Anzi trattasi
di notizie false e tendenziose sapientemente e intenzionalmente diffuse, atte
unicamente a illegittimamente turbare l’ordine pubblico con informazioni
manipolate di rappresentazione alterata della realtà inducendo del tutto
artificiosamente un allarme psicologico e sociale nella popolazione, nonchè di
un maldestro tentativo di ledere l’immagine del sottoscritto e destabilizzarne
la reputazione e l’operato.
Tale uso
distorto delle informazioni al pubblico prova che l’irresponsabile condotta
giornalistica basata sulla falsificazione dei fondamenti oggettivi delle
notizie diffuse abbia determinato un grave allarme sociale altrimenti
ingiustificato, per cui l’intervento dell’Autorità Giudiziaria si mostrerebbe
ineludibile, non solo in ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione
penale – versandosi nella fattispecie criminale di cui all’art. 650 c.p. – ma,
più in generale, della straordinaria gravità di tale prospettato scenario.
Infatti TRATTASI
DI IMPIANTO DI PRODUZIONE DI ENERGIA RINNOVABILE e non certo di IMPIANTO
TRATTAMENTO RIFIUTI come erroneamente inteso e definito dal Comune di Serre e
dallo stesso giornalista, ambedue dotati di completa ignoranza e incompetenza tecnica-ambientale.
Pertanto, vengono
qui enunciate, in modo sintetico ma tecnico, note esplicative specifiche onde
evitare “interpretazioni soggettive, suggestive, filosofiche e fantasiose” che
nulla hanno a che vedere con l’impianto sperimentale proposto : :
1. IL PROGETTO
SPERIMENTALE
Il progetto sperimentale presentato è
denominato “SERRENERGIA” – “Impianto
sperimentale a biomasse con produzione innovativa e sinergica sia di
energia elettrica rinnovabile (1,5 MW) sia di biocarburante – biometanolo -da
gassificazione al plasma”.
Il progetto, come da fase progettuale
esecutiva già predisposta e comunque previa verifica in fase di sperimentazione,
già in fase progettuale dimostra l’assenza di problemi di inquinamento nel
suolo e nel sottosuolo, nelle acque, assenza di produzione di rifiuti ed ha emissioni
“scarsamente rilevanti” non sottoposte ad autorizzazione ai sensi dell’Allegato
IV, Parte I “Impianti e attività in
deroga”, comma jj, del D.Lgs n. 128/2010
L’intervento
consiste nella realizzazione di n. 2 impianti di gassificazione al plasma di
500 Kg/ora con trasformazione di biomase liquide utilizzate quali SOTTOPRODOTTI
ovvero NON RIFIUTI derivanti dalla parte biodegrabile di varie tipologie di
sostanze/materiali industriali per la produzione innovativa sia di energia
rinnovabile che di biometanolo da utilizzarsi come biocarburante. (Il
BIOMETANOLO è classificato quale “Energia Rinnovabile” come previsto
dalla Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del
23 aprile 2009 e, da ultimo dal Decreto
Legislativo 3 marzo 2011).
L’innovazione
complessiva è rappresentata dalla trasformazione di biomasse in biocarburante
tramite la tecnologia della gassificazione al plasma..
Si fa osservare che il progetto sperimentale proposto
deriva dal trasferimento tecnologico della ricerca prototipale e dalla
concretizzazione pratica dei risultati pre-industriale attuati da diversi Enti
quali ENEA, CNR, UNIVERSITA’ varie, e da ANSANDO RICERCHE S.p.a. (di cui, in
particolare, verranno utilizzate le elevate competenze e le tecnologie avanzate
di gassificazione), allo scopo di produrre un minimpianto “nuovo” adibito ad
uso economico-commerciale.
Si intende
dimostrare che nel processo produttivo sperimentale non si brucia e quindi non
si producono fumi ma solo gas, non si produce alcun rifiuto, si emettono minime
emissioni nell’atmosfera (l’impianto è da considerarsi ad inquinamento atmosferico
scarsamente rilevante ai sensi delle vigenti leggi come acclarato dal Settore
Ecologia della Regione Campania), non si generano ricadute di sostanze
contaminanti/tossiche al suolo, non si ha contaminazione delle acque perché
l’impianto opera tassativamente a secco e a caldo senza generare acque reflue
tantomeno contaminate, ma tutti i componenti delle biomasse utilizzate vengono
trasformati in syngas che, dopo essere stato attentamente purificato a caldo e
a secco, risulta alla fine solo composto da idrogeno, ossido di carbonio e
piccole percentuali di CO2 e metano, ottenendo la miscela adeguata per generare
sia energia elettrica rinnovabile in un motore endotermico, sia un carburante
(semi)liquido – biometanolo – con innovativo processo di miscelazione con
azoto.
Il processo
rispetta in pieno le normative europee della direttiva 2009/28/EU sulle energie
rinnovabili (riduzione delle emissioni di CO2, riduzione dei combustibili
fossili, risparmio energetico).
In sostanza,
si intende dimostrare la validità del processo proposto come “carbon neutral”
che non genera effetto serra, né inquinamento atmosferico e ambientale, e che
dà sicurezza energetica sia perché produce energia elettrica tinnovabile, sia perché
genera un carburante (semi)liquido che sostituisce in parte il petrolio delle
cui problematiche e difficoltà siamo tutti al corrente.
Il
Progetto sperimentale ha l’obiettivo di acquisire informazioni sulla
fattibilità tecnologica della produzione di energia rinnovabile – biometanolo –
tramite il processo di gassificazione al plasma con una sperimentazione
condotta su un minimpianto di dimensioni ridotte (circa 3.000 mq di impianti
tecnologici) ma commerciale e tale da fornire informazioni tecniche
significative non influenzate dall’”effetto scala”, che quindi possono
“guidare” verso la definizione di affidabili criteri di progetto e di gestione
operativa in una successiva fase di “autorizzazione ordinaria”.
RAPPRESENTA
L’UNICA INIZIATIVA TECNOLOGICA SPERIMENTALE SPECIFICA IN ITALIA E IN EUROPA
Il progetto
sperimentale proposto – sei mesi - è da
autorizzarsi in “via ordinaria” al termine della sperimentazione, se positiva.
2. LOCALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO SPERIMENTALE
Per gli impianti di produzione di Energie Rinnovabili,
il decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 prevede la localizzazione in area agricola
Il sito
prescelto – area agricola - rientra
nelle aree incluse nella “perimetrazione” annessa alla Delibera del Consiglio
Comunale n. 26 del 28 luglio 2008 del Comune di Serre, con Oggetto : “Perimetrazione
delle Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre fonti di
energia (FER) nel Comune di Serre” . Tale perimetrazione costituisce atto
programmatico territoriale per un sostenibile inserimento delle Fonti
Rinnovabili di Energia (FER)”..
In merito, è importante
sottolineare che in materia di impianti di produzione di energia rinnovabile
sussiste un potere discrezionale pacificamente riconosciuto al Comune di
individuare le scelte ritenute migliori per disciplinare l’uso del proprio
territorio, al fine di procedere ad un assetto razionale degli impianti in
armonia con la tutela del paesaggio e con l’interesse ad uno sviluppo
sostenibile dell’energia da fonti rinnovabili (ad es. TAR Napoli, sentenza n.
7547/2009, TAR Napoli, sentenza n. 16938/2010, TAR Lecce, sentenza n. 118/2009,
ecc.).
La realizzazione di tali
impianti impone un contemperamento tra l’interesse alla tutela del paesaggio e
quello alla produzione di energia attraverso forme “pulite” e rinnovabili, e
quindi non c’è dubbio che se da una parte tali impianti possono contribuire
notevolmente alla riduzione dei gas serra, dall’altra essi possono incidere
negativamente sul paesaggio.
Pertanto il Comune di Serre,
Amministrazione comunale lungimirante sulle energie rinnovabili (eolica,
fotovoltaiuca, biomasse) anticipando quelli che saranno i futuri scenari
energetico-ambientali, ha correttamente
ritenuto opportuno dotarsi di un atto di pianificazione al fine di disciplinare
gli interventi da assentire.
Tutta l’area ricade interamente
nell’ambito comunale di Serre ed è classificata dal vigente PRG come Zona
Agricola – Sottozona E – idonea alla localizzazione di impianti di energie
rinnovabili in alternativa ai combustibili fossili, ai sensi della Delibera
Comunale n. 26 del 28 luglio 2008, Delibera che al suo interno individua e
seleziona le aree di localizzazione degli impianti destinati all’insediamento
di energia elettrica rinnovabile.
Nello specifico, la scelta di tali aree permettono di
evitare le azioni dirette sull’ambiente naturale minimizzando le pressioni
legate all’occupazione de suolo ed alla sua modificazione
Il Progetto è compatibile con le disposizioni
generali, urbanistiche ed edilizie vigenti, essendo inserito nello “Stralcio
della mappa catastale comunale con indicazione delle aree incluse nella
“perimetrazione” annesso alla Delibera
del Consiglio Comunale n. 26 del 28 luglio 2008 del Comune di Serre, con
Oggetto : “Perimetrazione delle Aree idonee alla realizzazione di impianti
eolici e altre fonti di energia (FER) nel Comune di Serre”.
Tale delibera comprende la
dichiarazione del Sindaco e della Giunta e del Coniglio comunale di
“compatibilità urbanistica dell’opera” in quanto tale atto, al pari di un
“certificato di destinazione urbanistica”, non fa che dichiarare, con
riferimento ad una determinata area, le prescrizioni di carattere oggettivo e
vincolato che costituiscono il tipico contenuto della pianificazione
urbanistica comunale.
Considerati gli obblighi
vincolanti di Kyoto e la liberalizzazione del mercato energetico, associate
alle azioni chiavi per la promozione del risparmio energetico e dello sviluppo
delle fonti rinnovabili di energia, il Comune di Serre, con la Delibera succitata, ha
svolto un ruolo significativo e trainante nel realizzare iniziative che
permettono di determinare una strategia tesa al perseguimento della
sostenibilità economico-ambientale del territorio comunale
Per quanto attiene agli
aspetti procedimentali concernenti l’esercizio delle proprie funzioni, il
Comune ha utilizzato l’ordinario strumento regolamentare, ai sensi dell’art.
117, sesto comma, Cost., il quale dispone espressamente che i Comuni “hanno
potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
L’amministrazione comunale, nel favorire
l’installazione di impianti di energia “pulita” (rinnovabile) ha attuato scelte strategiche, lungimiranti e
programmatiche, e non inteso conservare in ogni caso un certo potere
discrezionale teso a disciplinare – se del caso anche mediante atti
regolamentari a carattere generale – il corretto inserimento di tali strutture
nel rispetto dei fondamentali valori locali e del paesaggio rurale, nonché un preciso interesse alla conservazione delle
matrici ambientali
In conclusione, la deliberazione del
Consiglio Comunale di Serre (SA) n. 26 del 28 luglio 2008 avente per oggetto
“Perimetrazione delle Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre
fonti rinnovabili di energia (FER) nel Comune di Serre” ha inteso costituire
un atto programmatico territoriale per un idoneo inserimento di attività
produttive di fonti rinnovabili di energia quale “fattore propulsivo per una
dinamica di crescita sostenibile” e rappresenta una misura puntuale di
zonizzazione territoriale e di localizzazione di opere ed impianti per
specifiche finalità produttive, destinata ad imporsi sulle (eventualmente
difformi ?????) volontà locali in quanto connessa a localizzazioni di impianti
aventi già un dettaglio progettuale tale da potersi sovrapporre in modo
automatico alle previsioni dettate dalla pianificazione urbanistica (c.d.
operatività diretta e c.d. efficacia indiretta)
Si
ribadisce, quindi che la localizzazione in area agricola dell’impianto
sperimentale proposto non solo è
esterna alla SIC-ZPS IT8050021. risulta normativamente e giuridicamente
legittima ai sensi delle normative nazionali (Decreto 30 novembre 2010 del
Consiglio dei Ministri – D.Lgs 29 dicembre 2003 n. 387), rientra nelle aree
incluse nella “perimetrazione” annessa alla Delibera del Consiglio Comunale n.
26 del 28 luglio 2008 del Comune di Serre, con Oggetto : “Perimetrazione delle
Aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e altre fonti di energia
(FER) nel Comune di Serre” Tale perimetrazione costituisce atto programmatico
territoriale per un sostenibile inserimento delle Fonti Rinnovabili di Energia
(FER)”ai sensi dell’art. 6 del su citato DPR.
3.
UTILIZZO DI
RIFIUTI
La parola “rifiuti” ha sempre identificato due
aspetti tra loro fortemente contrapposti, ovvero quello del “problema” e quello della “risorsa”.
La gestione integrata di biomasse da rifiuti speciali, industriali, (utilizzate tra l’altro nell’impianto proposto come SOTTPPRODOTTI
ovvero NON RIFIUTI) si presenta come la metodologia più corretta
per il loro utilizzo per produrre energia che ben si armonizza con la necessità
sempre più sentita da parte degli amministratori pubblici e degli operatori del
settore, di ridurre al minimo, o eliminare, l’impatto sull’ambiente prodotto
dalle attività umane attraverso modalità e tecnologie in termini di “risorsa”.
La Società proponente trasforma le biomasse da rifiuto in una
risorsa e ne ricava bioenergie.
Dal
rifiuto alla risorsa : un concetto ormai largamente condiviso dalla
società attuale, ed è indispensabile in un Territorio che vuole crescere,
essere competitivo e vincere
a.
UTILIZZO DI BIOMASSE
BIOMASSA è un termine che riunisce una grande quantità di
materiali, di natura estremamente diversificata ed eterogenea ed assume
diverse accezioni a seconda del contesto in cui viene utilizzato.
In generale, con tale termine si designa ogni sostanza
organica da cui sia possibile ottenere energia attraverso processi di tipo
termochimica o biochimico.
In sostanza, nel novero di biomassa possono rientrare
sia quelle sostanze che costituiscono la produzione primaria destinata a
fungere da combustibile che le altre che invece rappresentano lo scarto di una
lavorazione, di un processo, di una filiera fino alla parte biodegradabile
dei rifiuti industriali e urbani.
Da questi materiali possono essere ottenuti – con
processi biologici, meccanici o termici – dei biocombustibili solidi, liquidi o
gassosi di diversa purezza e qualità con i quali alimentare impianti di ogni
tipo per la produzione, anche combinata, di energia termica, meccanica ed
elettrica.
Si evidenzia come il legislatore italiano inserisce
fra le “fonti rinnovabili” anche i rifiuti, secondo una politica energetica che
caratterizza il nostro ordinamento interno il quale regola il mercato
dell’energia (e dei certificati verdi) includendo tanto i rifiuti urbani che
quelli industriali, in considerazione della loro parte biodegradabile come di
quella non biodegradabile (riferimento al decreto “Bersani” del 2000, alla
legge Comunitaria del 2001, alla dichiarazione del Governo italiano riportata
in allegato alla direttiva 2001/77/CE sulle fonti rinnovabili, al d.d.l.
“Marzano”, al D. Lgs.29.12.2003 n. 387, ecc.).
In particolare, come definizione nazionale, l’art. 2
del D.Lgs 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale è stata recepita nel nostro
ordinamento la direttiva 2001/77/CEE “Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinovabile nel mercato interno dell’elettricità” e in particolare quello
contenuto nel’art. 2, lettera a) e b) della stessa direttiva citata, cita :
“fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili”
: le fonti enrergetiche non fossili (eolico, solare, geotermica, del moto
ondoso, maremotrice, idraulica, biomassse,
gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.
In particolare, per
biomasse si intende : la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e
residui provenienti dall’agricoltura (comprendenti sostanze vegetali e animali)
e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile
dei rifiuti industriali e urbani”.
Resta fermo che tale indirizzo legislativo non possa
non risultare che “ecocompatibile”, non solo nel senso di consentire la
riduzione del consumo di combustibili convenzionali e quindi le emissioni di CO2,
ma anche in considerazione del fatto che gli impianti di produzione di energia
elettrica devono rispettare la normativa sulle emissioni in atmosfera secondo i
noti principi delle migliori tecnologie disponibili a condizioni tecnicamente
ed economicamente valide.
La necessità di inquadrare una biomassa come combustibile o come rifiuto
o come sottoprodotto sussiste
unicamente in relazione agli aspetti autorizzativi.
Infatti, un impianto che utilizza residui, anche se
catalogabili come biomasse, potrebbe essere considerato come impianto di “trattamento rifiuti” e quindi
richiedere tutte le autorizzazioni e procedure necessarie ad un impianto che “tratta rifiuti”.
Le caratteristiche del combustibile utilizzato – BIOMASSE E NON RIFIUTI –
per l’alimentazione dell’impianto sperimentale energetico proposto mutano, di
fatto, la natura autorizzatoria del procedimento e le finalità per il quale il
provvedimento conclusivo verrà emesso.
Infatti proprio la tipologia del materiale
combustibile e la sua provenienza sono stati oggetto di dinieghi e ricorsi in
merito alle procedure autorizzative di impianti a biomasse.
Il discorso è complesso e non esauribile nella breve
trattazione di questo documento ma è importante sottolineare come questo sia
attualmente uno dei principali problemi di settore, soprattutto in quanto la
normativa è in continua evoluzione e soggetta, nel caso specifico, ad
“interpretazioni” delle amministrazioni interessate difficilmente prevedibili a
priori e che introduce una nota di incertezza al momento dell’istruttoria delle
pratiche auorizzative.
Appare, quindi, necessario chiarire l’attuale assetto
dell’impianto sperimentale proposto e l’iter autorizzativo alla luce della normativa nazionale afferente il
sistema delle fonti rinnovabili, ovvero vale a dire il Dlgs 387/2003 e il
successivo D.Lgs 28/2011 quale criterio per le soluzioni di eventuali conflitti
interpretativi (quale che ne sia la sede).
A
riferimento principale dell’iter autorizzativo si prende il contenuto e le decisioni della sentenza del TAR Piemonte, Torino, n.
1563/09 del 5 giugno 2009 che fissa un importante principio
giurisprudenziale sugli stringenti temi delle energie rinnovabili dal quale
trarre certezze su un percorso autorizzativo condiviso di approfondimento.
La sentenza costituisce un ottimo esempio di corretta
e puntuale applicazione dei fondamentali principi del diritto comunitario,
spesso purtroppo trascurati, e fornisce importanti indicazioni per un settore
nel quale l’Italia è in forte ritardo rispetto agli altri Stati membri.
Questo è peraltro quanto ci contesta la stessa
Commissione europea quando avverte che in tema di rinnovabili “l’Italia è
ancora lontana dagli obiettivi fissati a livello sia nazionale e sia europeo,
rilevando che tale ritardo è determinato da vincoli di carattere
amministrativo, quali ad esempio le
complesse procedure di autorizzazione a livello locale”.
Che si
tratti di rifiuto o di un sottoprodotto non rileva ai fini dell’applicabilità
alle biomasse della normativa sulle fonti di energia rinnovabile, di cui al
D.Lgs n. 387/2003.
Questa è, in
sostanza, la “morale” della sentenza del TAR Torino n. 1563/09 del 5 giugno
2009,
Fra fuorvianti richiami contenuti nelle nostre leggi
sibilline (oltre che nei decreti applicativi, sparsi qua e là) e “ragioni di
confusione normativa” (frutto di incerti passaggi legislativi), dopo un
esaustivo richiamo alla copiosa giurisprudenza comunitaria in materia di
rifiuti e al suo coordinamento con la politica energetica comunitaria, il TAR
di Torino stabilisce che in tema di
procedura di autorizzazione per l’installazione di una centrale elettrica a
biomasse (art. 12 del D.Lgs 387/2003) l’unica
definizione di “biomassa” presente nella legislazione italiana – rilevante al
fine di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina
afferente le fonti rinnovabili di energia – è quella dettata dall’art. 2 della
direttiva 77/2001/CE di cui il D.Lgs n. 387/03 costituisce attuazione.
Di conseguenza, risulta superfluo valutare e una
determinata sostanza possa o meno rientrare nel concetto di “sottoprodotto”(escluso dalla nozione di
“rifiuto” dal D.Lgs 3 dicembre 2010 n. 205) e con ciò comunque sfuggire
all’inquadramento quale “rifiuto”, in quanto, secondo la direttiva 77/2001/CE e
quindi il D.Lgs 387/2003, anche veri
e propri “rifiuti”, purchè biodegradabili, sono certamente suscettibili di
utilizzazione quali biomasse in centrali di produzione di energia.
Il TAR ha quindi ribadito che le norme nazionali sullo
sfruttamento di fonti di energia rinnovabile devono essere interpretate alla
luce della normativa comunitaria “per la necessità imprescindibile di garantire
la “primazia” del dritto comunitario, il suo effetto utile, nonché di
interpretare la normativa nazionale in senso conforme alle regole di cui
costituisce attuazione”, evitando posizioni contradditorie e alla fine dannose
per tutti, quindi, che in special modo penalizzano poi l’ambito delle biomasse,
dove troppo spesso fonti energetiche vocate vengono confuse e assimilate ai
rifiuti e gli impianti per la loro trasformazione in calore e energia vengono
valutati alla stregua di dannosi inceneritori.
Ne consegue che sia per la procedura autorizzativa di un impianto a biomasse che per l’utilizzo
di biomasse come combustibile o per
la gestione di biomassa intesa come rifiuto o sottoprodotto dovrà essere
utilizzata la definizione della normativa che in quel momento si sta
utilizzando.
Tutto ciò può creare difficoltà di attribuzione, dato
che le diverse fonti legislative e istituzionali la definiscono in maniera
diversa e, talvolta, contradditoria. Infatti, proprio la tipologia del materiale combustibile e la sua provenienza sono
stati oggetto di dinieghi e ricorsi in merito alle procedure autorizzative
degli impianti.
Il primo approccio alla definizione di biomassa si ha
confrontandosi con la procedura
autorizzativa dell’impianto, in caso che essa sia dedicato alla produzione di energia.
L’art. 2 del D.Lgs 387/2003 riprende testualmente la
direttiva 2001/77/CE e stabilisce che “… per biomassa si intende “la parte biodegradabile dei prodotti,
rifiuti o residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali
o animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti
industriali e urbani”.
Nel contesto
della disciplina delle fonti di energia rinnovabile questa è
l’unica definizione di biomassa – presente nella legislazione italiana –
che sia rilevante e congruente con la pertinente direttiva (TAR Piemonte,
Sezione I, sentenza n. 1563 del 5 giugno 2009).
Il D.Lgs 387/2003 si estende a tutta la parte biodegrabile dei prodotti,
rifiuti e residui.
Per evitare “confusioni
interpretative”, dalla breve analisi sin qui effettuata, emerge con
chiarezza che non solo è fisiologico che la problematica dei rifiuti e quella delle biomasse si intersechino, ma è anche naturale che, all’interno del sistema
normativo, possano coesistere più definizioni di biomassa, ognuna funzionale
ad una determinata disciplina..
Il ruolo della giurisprudenza, in questo senso, è stato
fondamentale, e ha consentito di interpretare in modo dinamico concetti
giuridici troppo “statici” per rappresentare “la modernità” sostenibile, ovvero
se è vero che la politica di incentivazione delle fonti di energia rinnovabili
non può vanificare la politica di corretta gestione dei rifiuti, è altrettanto
vero che “il coordinamento delle due politiche non si realizza ipotizzando una
reciproca esclusione tra il concetto di biomassa
fonte di energia rinnovabile e il concetto di rifiuto.
In sostanza, per applicare correttamente la normativa,
occorre effettuare un’analisi del
testo nel contesto, ovvero “comprendere
a quale fine e in quale contesto la definizione di biomassa deve essere
ricostruita, per poter procedere all’individuazione della giusta definizione. Ne deriva la fisiologica possibilità che,
ciò che in un determinato contesto è soltanto un RIFIUTO, in un altro contesto
possa assumere il valore di FONTE RINNOVABILE DI ENERGIA
Ai fini che qui interessano – “autorizzazione di un
impianto sperimentale a biomasse” – l’unica
definizione di biomassa (testo) pertinente, nell’ambito della disciplina
afferente le fonti rinnovabile di energia (contesto) è quella dettata dall’art.
2 del D.Lgs 387/2003.
Non sono pertinenti – ancorché suggestive – diverse interpretazioni che pongono altre normative (come quelle sui
rifiuti) falsamente idonee ad escludere l’utilizzabilità quale biomassa-fonte
di produzione energetica particolari sostanze annoverate, ad altri fini, quali “rifiuti”.
IN
CONCLUSIONE, NON ESISTE NELLA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE LA DEFINIZIONE DI
BIOMASSA QUALE RIFIUTO
Da quanto su esplicitato risulta infatti che NON
ESISTE A PRIORI UNA DEFINIZIONE NORMATIVA DI BIOMASSA come RIFIUTO essendo
unicamente LA
PARTE BIODEGRADABILE DEL RIFIUTO E NON IL RIFIUTO.
b.
NON UTILIZZO
DI RIFIUTI MA DI SOTTOPRODOTTI-NON RIFIUTI
Né il Comune
di Serre nè il giornalista sa che negli ultimi tre anni varie sono state le
disposizioni legislative che hanno profondamente modificato le normative sui
rifiuti e sull’energia.
Mentre
in passato la tendenza del legislatore comunitario (e di riflesso quello
nazionale) era quello di ampliare il più possibile la nozione di rifiuto
(qualcuno ha sarcasticamente osservato che prevaleva il PARTITO DEL C.D. TUTTO RIFIUTO)
ricomprendendo in essa praticamente ogni tipo di fattispecie, progressivamente
si è fatta strada la tendenza opposta che ha portato, da una parte, ad
escludere dal novero dei rifiuti, a particolari condizioni, varie sostanze od
oggetti (i c.d. sottoprodotti) e
dall’altra, a far uscire dal novero di rifiuti sostanze che in precedenza erano
state qualificate come tali (cd. “cessazione della qualifica del rifiuto o end of vaste o materie prime secondarie).
Nel
citato scontro tea i PARTITI DEL TUTTO
RIFIUTO e i PARTITI DEL NIENTE RIFIUTO si è pervenuti a una posizione
mediana per la quale l’insieme dei rifiuti può dirsi limitato e intaccato dai contigui sottoinsiemi dei sottoprodotti e
della cessazione della qualifica di rifiuto (o end of waste).
Con la presente nota si intende motivare il
convincimento, argomentando in merito.
L’argomento logicamente e necessariamente prodromico
alla disamina della specifica tematica rifiuto-non rifiuto, è quello relativo
alla definizione sia della nozione di rifiuto (introdotto nel testo originario
del D.Lgs 152/2006 e s.m.i.) sia del concetto
di sottoprodotto (come da ultimo delineato
nell’art. 184-bis, introdotto dal D.Lgs 205/2010) e dai presupposti che
devono ricorrere affinché cessi la qualifica di rifiuto.
Per accertare la sussistenza delle qualifiche di
“sottoprodotto” fin dall’origine delle sostanze/materiali utilizzati, occorre
verificare la ricorrenza delle singole condizioni prescritte per i
sottoprodotti dall’art. 184-bis citato – come introdotto nel D.Lgs dall’art. 12
del D.Lgs n. 205 del 2010 :
“punto 1 : E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi
dell’art. 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa
tutte le seguenti condizioni :
a)
le sostanze o l’oggetto è originato da un processo di
produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primari non è
la produzione di tale sostanza od oggetto,
b)
è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato,
nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di
utilizzazione, da parte del produttore o di terzi,
c)
la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente
senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale,
d)
l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o
l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti
riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non
porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Queste condizioni, però, da sole non bastano in quanto
taluni prodotti dell’attività di impresa – che pur non costituendo l’oggetto
dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo
industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego –
possono essere esclusi dal regime dei rifiuti a patto che rispettino contemporaneamente tutte le condizioni elencate
dall’art. 5 della Direttiva 2008/98/CE come recepite nell’art. 184-bis del
D.Lgs 152/2006.
Alla
luce del termine letterale della norma, la sussistenza delle condizioni
indicate deve essere contestuale e,
anche in mancanza di una di esse, tali residui rimangono soggetti alle
disposizioni dei rifiuti (ex multis Corte Cassazione Penale, Sez. III, n.
47085, 19 dicembre 2008).
Infatti,
come emerge chiaramente dalla disposizione in esame, quella dei sottoprodotti è
una disciplina che prevede l’applicazione di un diverso regime gestionale in
condizioni di favore, con la conseguenza che l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizioni di
legge incombe comunque su colui che l’invoca.
Si
tratta di un principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione Penale,
anche con riferimento ad altre discipline derogatorie in tema di rifiuti
LA
DIMOSTRAZIONE CHE TRATTASI DI UTILIZZO DI SOTTOPRODOTTI ovvero di NON
RIFIUTI è stata corposamente dimostrata al Settore Ecologia Regionale che ha dato
per iscritto conferma positiva con propria nota in merito inviata ala Regione
per il procedimento autorizzativo dell’impianto-
Si ritiene, per quanto suesposto pur in modo sintetico
e non eccessivamente ampliato né eccessivamente restrittivo che non si possa
giungere a diverse “interpretazioni” da quelle enunciate, ovvero che l’impianto
non tratta RIFIUTI ma solo BIOMASSE quali sottoprodotti
Alla luce
delle suddette considerazioni, appare dunque certa nella fattispecie
dell’impianto proposto la sussistenza dei fondamentali requisiti richiesti
dall’articolo 184-bis del D.Lgs 152/2006, e pertanto può quindi concludersi che le biomasse utilizzate nell’impianto sperimentale proposto –
derivanti da vari e diversi processi produttivi – possono essere qualificate giuridicamente SOTTOPRODOTTI, ai sensi
dell’art. 184-bis, comma 1, del D.Lgs 152/2006
e s.m.i., nel rispetto delle condizioni descritte e con le connesse
conseguenze sotto il profilo delle loro modalità di gestione come prodotti (e
non rifiuti).
c.
UTILIZZO DI SOSTANZE LIQUIDE PERICOLOSE
L’utilizzo di sostanze pericolose è da sempre alla
base della storia dell’uomo come strumento di progresso e di innovazione delle
conoscenze.
Negli ultimi due secoli il progresso scientifico e
tecnologico ha determinato una accelerazione nelle conoscenze e soprattutto
nell’utilizzo di sostanze chimiche naturali e anche di sintesi che hanno
concorso alla rivoluzione dei costumi della società odierna.
Le sostanze pericolose sono tutti quei materiali,
soluzioni e componenti, i cui ingredienti sono potenzialmente pericolosi e le cui proprietà possono mettere a
rischio la salute pubblica e l’ambiente.
Le problematiche connesse alla produzione di sostanze
pericolose hanno assunto negli ultimi decenni proporzioni sempre maggiori in
relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire
dello sviluppo industriale, all’incremento della popolazione e delle aree
urbane.
La produzione di sostanze pericolose è, infatti,
progressivamente aumentata quale sintomo del progresso economico e dell’aumento
dei consumi.
La gestione delle sostanze pericolose è diventata
sempre più di rilevanza nazionale e
direttamente sotto gli occhi dei cittadini.
Oggi il numero di sostanze e preparati pericolosi
presenti in commercio e utilizzati nelle diverse attività lavorative è molto
elevato e in continuo aumento, in modo tale che ciascuno, nei diversi momenti
della vita lavorativa, può essere esposto a numerose tipologie di inquinanti
con diversi effetti sulla propria salute che a volte sono difficilmente
prevedibili.
È importante ricordare che l’utilizzo di sostanze
pericolose non è unicamente legato alle attività lavorative, poiché numerose
sostanze pericolose entrano quotidianamente negli ambiti di vita (si pensi ad
es. ai prodotti detergenti, ai cosmetici, ai prodotti legati all’hobbistica,
ecc.), ed è quindi necessario acquisire una corretta percezione del rischio
chimico e incidere sui comportamenti dei lavoratori e di tutti gli utilizzatori
al fine di adottare procedure di lavoro corrette che riducano al minimo
l’esposizione di agenti chimici pericolosi.
Alla luce di ciò ne consegue che, se il sistema di
gestione di sostanze pericolose non è efficace, queste possono diventare una
vera e propria minaccia ambientale.
La
certificata pericolosità del residuo NON esclude l’utilizzo quale
sottoprodotto, se il suo impiego non determina un impatto ambientale
significativo, in considerazione dell’ idoneo confinamento e dell’adeguata
gestione ai sensi del prioritario principio di prevenzione e riduzione della
pericolosità.
Nell’impianto proposto non si ritiene che non sarà di
per sé in grado di determinare un peggioramento degli impatti ambientali ( e
sulla salute umana) derivanti dal processo di produzione energetica.
Ciò dipenderà, in primo luogo dalle modalità di
stoccaggio e di movimentazione delle sostanze. Allorché queste siano debitamente confinate nell’ambito
dell’impianto energetico produttivo, all’interno di serbatoi dedicati, e poi
immessi, con le precauzioni dovute, nelle torri di gassificazione, ben potrà
escludersi tale peggioramento
L’impianto sperimentale proposto si avvale delle
migliori tecnologie disponibili nel rispetto prioritario dei vincoli che
governano l’equilibrio del territorio e per consentire il miglior adattamento
alla complessità del luogo.
L’utilizzo di queste sostanze sarà, quindi, attento e
responsabile e sarà necessaria un corretto stoccaggio Una difforme e superficiale gestione delle
sostanze pericolose può causare, infatti, problemi sanitari ed ambientali.
Negli ultimi decenni ha suscitato grande interesse il
tema della riduzione degli effetti dei rifiuti sulla natura e sull’ambiente (sia
riguardo alle componenti naturali – aria, acqua, suolo -, sia alle componenti culturali
- beni culturali in senso stretto, bellezze naturali e paesaggistiche -,
sia alle componenti territoriali – habitat).
È avvertita diffusamente la necessità di ridurre la
produzione dei rifiuti con l’obiettivo di non sottovalutare eventuali
possibilità di ricavare risorse da essi (“Considerando” n. 28 della direttiva
2008/98/CE : “La presente direttiva
dovrebbe aiutare l’Unione Europea ad avvicinarsi ad una “società di
riciclaggio” cercando di evitare la produzione di rifiuti e di utilizzare i
rifiuti come risorse”. Inoltre – “considerando” n. 42 della direttiva 2008/98/CE – “Spesso i rifiuti hanno un valore in quanto risorse e un maggior ricorso
agli strumenti economici può consentire di massimizzare i benefici ambientali,
il ricorso a tali strumenti dovrebbe quindi essere incoraggiato al livello
appropriato sottolineando al tempo stesso che i singoli Stati membri possono
decidere circa il loro impiego”).
La necessità di recuperare i ritardi accumulati si
scontra con un clima di ostilità verso tecnologie di riutilizzo/trasformazione
che si sono profondamente evolute, assicurando prestazioni elevate e impatti
ambientali e sanitari del tutto accettabili.
In Italia, e in particolare in Campania, occorre fare
oggi un grande sforzo per vincere pregiudizi e disinformazione.
Lo
smaltimento in discarica si presenta oggi, infatti, come spreco di risorse
oltre che di rischio ambientale.
L’interramento
in discarica di “rifiuti” costituisce ancora l’opinione più diffusa di
smaltimento, nonostante la vigente legislazione UE ne preveda invece la
progressiva eliminazione a favore del riutilizzo, del riciclaggio e del
recupero con valorizzazione anche energetica.
Da qui, l’orientamento legislativo di trasformazione COMPATIBILE anche di sostanze
pericolose, in quanto essenziale tassello per una loro moderna e attenta
gestione improntata a criteri di sostenibilità ambientale, che peraltro facilita fortemente anche l’obiettivo di
riduzione dei quantitativi e della pericolosità dei rifiuti conferiti in
discarica.
Il rispetto di precise indicazioni e l’esperimento di
determinate cautele è ritenuto come indispensabile dalla direttiva 2008/98/CE
quando si parla di sostanze pericolose.
Data la loro alta potenzialità lesiva è opportuno
osservare una soglia di rigore più alta per quanto riguarda la loro gestione
che si presenta attenta ma che, nel complesso, costituisce una sfida severa da
affrontare dal punto di vista tanto ambientale quanto economico.
La legislazione europea è, di conseguenza, in costante
evoluzione e aggiornamento, in quanto il legislatore ceca di trovare un giusto
bilanciamento tra i due obiettivi di :
o
Massimo
riutilizzo di risorse in maniera ambientalmente sostenibile,
o
Restrizioni e
rigidità per prevenire che sostanze pericolose vengano allocate erroneamente e
causino problemi per la salute pubblica o danni ambientali.
I piani di azione si basano sui seguenti obiettivi
fondamentali :
o
Ridurre la
produzione dei rifiuti,
o
Prevenzione,
protezione e riduzione della pericolosità delle sostanze,
o
Utilizzo delle
sostanze pericolose come fonti di energia,
o
Minimizzare l’uso
delle discariche valorizzando la produzione energetica.
Rimanere al passo degli aspetti normativi e regolatori
è importante, e la gestione operativa della logistica dei sottoprodotti nel
rispetto delle normative vigenti è un requisito fondamentale.
La conoscenza delle normative è anche importante per
individuare applicazioni ottimali per i vari /sotto)prodotti.
Un’approfondita
conoscenza degli aspetti normativi, sempre in cambiamento, è, quindi, un
fattore di professionalità.
A proposito, si chiarisce che ai sensi dell’art. 34 del Decreto Legge crescita e sviluppo 22 giugno 2012 saranno utilizzati solo quei
sottoprodotti, in deposito come rifiuti con codice CER, che non presentino
altra utilità produttiva o commerciale al di fuori del loro impiego per la produzione di carburanti o ai fini energetici,
e pertanto, in relazione all’enorme varietà, si indica, nel progetto
sperimentale, una lista identificativa di sottoprodotti che soddisfano i
suddetti parametri legislativi a condizioni economiche favorevoli nella
cessione del sottoprodotto per il produttore/detentore attraverso un effettivo
risparmio nella gestione. (Legge 8 agosto 2012 n. 134 – “Conversione in legge del
decreto-legge 22 giugno 2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese”
– al Capo IV – “Misure per lo sviluppo e il rafforzamento del settore
energetico” – art. 34 – “Disposizioni per la gestione e la contabilizzazione
dei biocarburanti”, comma 2).
Si ritiene opportuno perciò sgomberare il campo da
possibili equivoci derivanti
dall’inclusione delle sostanze utilizzate nell’impianto proposto nel Catalogo
C.E.R.
Al riguardo va ribadito, in diritto, che
l’attribuzione di un qualsiasi numero di codice C.E.R. ad un determinato residuo produttivo NON corrisponde, come conseguenza
giuridica, alla natura di rifiuto in
assenza della volontà di “disfarsi” di esso da parte del loro produttore,
ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), come specificato nella “introduzione” premessa all’Allegato D)
della Parte Quarta del T.U.A. (che detta “La classificazione di un materiale
come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui
all’art. 1, lettera a) della direttiva 75/442/CEE”.
In termini storici e/o tecnologici, si può riscontrare
che molti “residui produttivi” –
oggi qualificati o qualificabili “sottoprodotti” – non sono stati in precedenza considerati come beni e quindi
hanno avuto in sorte di essere smaltiti o recuperati come rifiuti (per
ragioni di mercato, per assenza du tecnologie appropriate che ne permettevo il
reimpiego, per motivi economici, e soprattutto, per lo “stato arretrato” della
legislazione).
Tra l’altro, la nozione di rifiuto e le espressioni
che la qualificano non possono essere interpretate in senso restrittivo, come
peraltro reiteramente affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione
Penale (ex multis Sez. III, 200208520, Leuci, RV 221273) mentre devono formare
oggetto di interpretazione restrittiva le esclusioni di determinate sostanze
dall’ambito di applicazione della disciplina generale sui rifiuti.
Pertanto verranno utilizzate biomasse depositate come
rifiuti presso i detentori con codice CER in quanto non commerciabili ma
destinate allo smaltimento, ed utilizzate quali sottoprodotti-non rifiuti senza
codice CER nella cessione e nel trasporto all’impianto in quanto impiegati per
la produzione di biocarburante (biometanolo) ed energia elettrica rinnovabile.
Progetto
“anticamorra”
Per tacitare definitivamente eventuali fantasiose
ipotesi, nebulose illazioni ed equivoche filosofie a detrimento dell’impianto
sperimentale proposto, tale impianto NON è idoneo a smaltimenti irregolari e/o
a traffici illeciti nel settore dei rifiuti da parte di settori malavitosi e/o
di criminalità organizzata in quanto è da definirsi quale “impianto anticamorra” perché NON è di alcuna “utilità economica”
conferire materiali pericolosi classificandoli come NON pericolosi, bensì il
contrario.
È da sottolineare inoltre
che il rigetto di tali impianti, ambientalmente compatibili, ed assenti nella
Regione Campania, potrebbe sembrare quasi una complicità con la camorra, come
hanno dimostrato palesemente i continui interramenti di liquidi tossici e
nocivi nei terreni dell’agro nocerino e nel casertano, con conseguenze
ambientali e sanitarie inimagginabili.
4.
LA
GASSIICAZIONE
Le conoscenze
sulle torce al plasma sono una delle tante ricadute dell’industria aerospaziale
americana ed in questo caso direttamente dalla NASA, che circa vent’anni fa
doveva dare una risposta alle esigenze di ricerca e sviluppo di materiali in
grado di resistere alle altissime temperature generate dall’attrito dell’aria,
pur se rarefatta, durante il rientro di capsule spaziali nell’atmosfera
terrestre.
Da allora le torce
al plasma hanno avuto un grande sviluppo industriale e numerosissime sono oggi
le applicazioni nel settore metallurgico e siderurgico, in quello delle
lavorazioni meccaniche, per non parlare naturalmente di settori ecologici quali
le biomasse con particolari sostanze tossico-nocive.
Ed è proprio
in questo ultimo settore che tale applicazione riveste una particolare
importanza per gli aspetti energetici, ma soprattutto per quelli ambientali.
La tecnologia al plasma consente il
trattamento di un ampio spettro di biomasse organiche, anche pericolose e/o
contaminate, provenienti da ospedali, cimiteri, di origine industriale,
sostanze residue degli inceneritori.
La combustione senza fiamma – o “mild” – rappresenta
una tecnologia sviluppata principalmente per far fronte al problema
dell’inquinamento da ossidi di azoto, ma in grado di inibire efficacemente
anche la formazione dei principali inquinanti
caratteristici dei processi di combustione, quali ad esempio, il monossido
di carbonio (CO) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA o PAHs). In fase
di combustione senza fiamma è possibile ridurre la produzione di ossidi di
azoto di circa 100 volte (da 1000 fino a 10 ppm), mantenendo un rendimento
energetico confrontabile con quello dei processi di combustione tradizionale a
fiamma diffusiva o premiscelata.
La gassificazione di
materiali solidi e liquidi è nota da quasi duecento anni ed è stata ampiamente
impiegata per la produzione di gas di città nell’ultima parte del XIX e del XX
secolo. Da allora, sono stati introdotti numerosi miglioramenti in termini di
soluzioni impiantistiche e di condizioni di processo che consentono oggi di
offrire una tecnologia più economicamente competitiva, di elevata efficienza
energetica e con un impatto ambientale molto contenuto.
Il processo di gassificazione
fu originariamente sviluppato negli anni 1800 per produrre gas di città per
l’illuminazione e per cucinare. Il gas naturale e l’elettricità rimpiazzarono
successivamente il gas di città per queste applicazioni, ma il processo di né è
stato utilizzato per la produzione di prodotti chimici sintetici e di
combustibili fin dagli anni 1920.
I generatori a gas di legna, ovvero i gasogeni, furono
utilizzati anche per fornire energia ai veicoli a motore in Europa durante lo
scarseggiare dei combustibili nel periodo della seconda guerra mondiale.
Questa tecnologia deve il proprio nome alla sua
caratteristica più evidente, cioè all’assenza di una fiamma definita e visibile
durante lo svolgimento della reazione di combustione. Attraverso un forte
preriscaldamento dell’aria di combustione ed un elevato ricircolo dei gas
combusti è infatti possibile sviluppare una reazione di combustione
“distribuita” all’interno della camera di reazione e non più concentrata su di
un fronte di fiamma. Come immediato risultato dell’allargamento della regione
di combustione vi è una marcata omogeneizzazione della temperatura all’interno
del bruciatore che comporta, a sua volta, un appiattimento dei picchi di
temperatura responsabile della formazione degli ossidi di azoto di origine
termica.
Per gassificatore si intende, quindi, un impianto
che a partire da vari materiali ricava combustibili gassosi impiegabili per la
produzione di energia. La gassificazione è un processo endotermico irreversibile, che,
sotto l’aspetto tecnico, si differenzia dalla combustione diretta dei rifiuti
(incenerimento), sia per le condizioni operative (ossidazione parziale in
difetto di ossigeno e ad alta temperatura), sia per le modalità di recupero
energetico sui prodotti intermedi (produzione di un gas detto “syngas”,
costituito da una miscela di idrogeno, monossido e biossido di carbonio,
metano, azoto e vapore, che rappresenta un vettore energetico facilmente
trasformabile in energia, sia perché converte qualsiasi combustibile in un
prodotto gassoso con un potere calorifico utilizzabile (escludendo quindi la combustione perché in tale processo i gas effluenti
non hanno un potere calorifico residuo).
Il processo è quello che si
verifica quando si trattano ad elevate temperature (3.000-7000°C) ed in carenza di
ossigeno (atmosfera controllata) masse organiche preventivamente concentrate
per essiccazione. I legami chimici delle molecole si indeboliscono (pirolisi)
fino a collassate e scomporre la massa in due frazioni, una aeriforme e l’altra
solida. Si viene così a creare una condizione di “non combustione” per la quale
i composti del carbonio, non trovando ossigeno con cui legarsi con l’idrogeno e
successivamente, combinandosi con l’ossigeno liberato nel corso del processo,
formano CO e CO2 ed altri idrocarburi in % minore.
Tutto il carbonio contenuto nella massa viene
interessato alla reazione.
Il
calore necessario alla reazione è ottenuto per gassificazione della biomassa
stessa ed avviene con un’efficienza di conversione compresa tra il 70 e l’80%.
A causa delle temperature di
esercizio e del controllo dell’atmosfera di processo (> 3.000°C) è garantita la
totale eliminazione delle sostanze organiche indesiderate eventualmente
presenti nei substrati di partenza.
Viene
considerata una delle tecnologie più valide e promettenti ai fini della
produzione di energia per quanto riguarda l’impatto ambientale sia perché
consente di trasformare un combustibile solido in combustibile gassoso (matrice
carboniosa ossidata parzialmente ad alta temperatura (T = .3000-7000°C), sia perché consente
di sostituire i tradizionali combustibili liquidi e gassosi con quelli solidi
residui dell’attività produttiva.
I gassificatori sfruttano il calore per convertire
direttamente i materiali organici in gas. Le biomasse sono completamente
distrutte scindendone le molecole, generalmente lunghe catene carboniose, i
molecole più semplici di monossido di carbonio, idrogeno e metano che formano
un “gas di sintesi” (syngas), costituito in gran parte da metano e anidride
carbonica.
Non si tratta, è
opportuno precisarlo, di tecnologia a impatto zero, tuttavia presenta diversi
vantaggi. Si tratta di una tecnologia decisamente ambientalmente più pulita di
molte altre e ha dalla sua il vantaggio di poter sviluppare dispositivi sempre
più in linea con le esigenze dell’ambiente e con la valorizzazione dei prodotti
di scarto. L’impatto ambientale è praticamente nullo o comunque largamente
contenuto nei limiti di legge.
La legislazione italiana include gli impianti di
gassificazione nel D.Lgs 11 maggio 2005 n.133 (Attuazione della direttiva
2000/78/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti ” che si pone in termini di “specialità” rispetto alla disciplina
generale riguardante gli impianti di smaltimento e recupero rifiuti contenuta
negli artt. 208 e segg. del D.Lgs 152/2006 -Testo Unico Ambientale (Corte
Costuzionale, 27 luglio 2011, Ordinanza n. 253), e che prevede, per detti
impianti, specifici valori limite di emissioni, metodi di campionamento,
analisi e valutazione degli inquinanti, nonché norme tecniche riguardanti le
caratteristiche tecniche e funzionali.
Il comma 5 del D.Lgs 28/2011 cita : “Per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti (sottoprodotti e non rifiuti nel caso in esame), è fatto salvo
quanto disposto dall’art. 182, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 1252 e s.m.i.”
Ai presenti fini si può rilevare quanto segue :
a) il comma 4 dell’art. 182, rinviando per la disciplina
degli impianti in parola, al DLgs 11 maggio 2005 n. 133, di attuazione della
direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti (???), è stato introdotto al
fine di prevedere che la realizzazione e la gestione di nuovi impianti di
incenerimento e coincenerimento sia consentita solo dove il relativo processo
di combustione sia accompagnato da recupero energetico, con una quota minima di
trasformazione del potere calorico dei rifiuti
(???) in energia utile, stabilita con apposite norme tecniche.
b) Lo stesso D.Lgs n. 133/2005 autorizza la distinzione
tra le varie tipologie di impianti, nel differenziare :
a. gli impianti di incenerimento, nei quali viene operato
il “trattamento termico dei rifiuti ai
fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla
combustione”,
b. dagli impianti di
coincenerimento, “la cui funzione principale consiste nella
produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti (sottoprodotti e non
rifiuti nel caso in esame) come combustibile normale o accessorio”.
c)
Lo stesso
D.Lgs n. 133/2005 all’art. 5 – “Realizzazione ed esercizio di impianti di
coincenerimento”, comma 3, recita : “Per
gli impianti di produzione di energia (elettrica) disciplinati dal decreto
legislativo 29 dicembre 2003 n. 387, le disposizioni di cui alle lettere a) –
impianti non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale – e b) –
impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale - del comma 2 – “impianti di coincenerimento” –
si attuano nell’ambito del procedimento unico previsto dall’art. 12 del
medesimo decreto legislativo 29 dicembre 2007 n. 387”.
E tale è stato il PARERE
ESPRESSO IN MERITO DAL SETTORE ENERGIA DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
che in riposta ad un preciso quesito esposto dal sottoscritto, ha non solo
fatto rientrare l’impianto energetico sperimentale nella determinazione
dell’art. 12 del D.Lgs 387/2003 e non del D.Lgs 152/2006, ma ha rinviato anche
lo stesso “concenerimento” previsto come processo tecnologico, pur disciplinato
dal D.Lgs 133/2005, allo stesso art. 12 del D.Lgs 387/2003 (e non all’art. 208
o 211 del D.Lgs 152/2006) considerando il razionale e completo utilizzo delle
sostanze utilizzate a fini energeici.
Si ritiene, infatti,
che la disciplina del coincenerimento – attinente al progetto
sperimentale proposto – debba essere considerata privilegiata con le
conseguenti ricadute in punto di provvedimento autorizzatorio alla costruzione
e alla gestione dello stesso impianto presentato.
A proposito della conversione energetica delle
biomasse, si vuole citare l’importante sentenza del Consiglio di Stato, sezione
V, n. 6117 del 07/10/2009 riguardo al problema se un impianto di produzione di biogas (biogas assimilabile al syngas
prodotto nella gassificazione !!!) possa essere assimilato ad un
impianto di trattamento rifiuti.
La risposta
è, molto semplicemente, negativa : un impianto a biogas è un impianto di
produzione di energia, e NON è un impianto di trattamento rifiuti né un
impianto per il loro smaltimento, in quanto vengono inizialmente introdotti
residui (organici) che non sono utilizzati per essere smaltiti o in qualche
modo trattati, ma servono solo ad “iniziare l’attività di decomposizione
delle sostanze immesse” ai fini della produzione energetica. Sostanze
che altrimenti, in mancanza di tecnologia specifica sarebbero stati considerati
rifiuti.
In pratica, la sentenza afferma che l’utilizzo
tecnologico per la produzione di un gas energetico consente di utilizzare come
fonte energetica primaria di un impianto per la generazione di energia
l’energia proveniente da materiali che prima erano considerati rifiuti e che ora, grazie allo
specifico impianto di conversione, divengono “carburante”.
5. CONCLUSIONI
Per concepire un’innovazione sostenibile, saperla
tradurre in investimenti mirati all’eco-eficienza, all’energy-saving, al
controllo del ciclo di vita dei prodotti è la chiave per evitare il rischio “grenwashing – imprese con la coscienza
sporca,” (ovvero il tentativo da parte di un’organizzazione di crearsi
un’immagine positiva e virtuosa dal punto di vista ambientale tramite
operazioni poco trasparenti e superficiali perché non basate su strategie,
metodologie e pratiche ecologiche affidabili e certificabili, creando un
“mercato non credibile”, rischiando di compromettere il presupposto
fondamentale di qualsiasi relazione, commerciale e non, e la fiducia da parte
dei mercati e un più remunerativo rapporto tra impresa e collettività), il
progetto sperimentale proposto ha scelto di adottare un comportamento
socialmente responsabile perseguendo un approccio multidisciplinare che tenga
conto dei molteplici riferimenti legislativi ed etici.
L’evoluzione tecnologica e di mercato ha indirizzato
il progetto verso prodotti e processi a basso impatto ambientale spingendo la
fase realizzativa ad adottare strumenti innovativi in grado di supportare scelte
sostenibili.
Pertanto con il progetto in esame ci si propone, in
un’ottica di gestione sostenibile del territorio, di salvaguardia e
valorizzazione delle risorse naturali, di tutela della natura e degli
ecosistemi, di mettere in sinergia varie iniziative produttive appositivamente
selezionate, tramite un’analisi approfondita degli aspetti ambientali e
tecnici, con lo scopo di valutare l’effettiva sostenibilità del progetto.
La sperimentazione tende in particolare a dimostrare
non solo la fattibilità e la flessibilità tecnologica del processo di
gassificazione al plasma con le tipologie individuate di materiali prescelti,
ma soprattutto la scarsa emissione in atmosfera (97/99 % di capacità depurativa
del gas) come previsto dal progetto di produzione, ovvero la maggior parte
delle emissioni prodotte dall’impianto sono utilizzate tal quali – dopo
depurazione - per la produzione sia di energia elettrica rinnovabile da
utilizzarsi in parte all’interno dell’impianto, sia di biometanolo con
caratteristiche soddisfacenti per l’uso quale biocarburante.
Da precisare infine che nella Conferenza dei Servizi
per l’approvazione del progetto energetico-sperimentale approvato poi dalle
Regione, solo il Comune di Serre ha dato parere negativo su 24 Enti convocati,
parere tra l’altro non ritenuto attinente al progetto presentato perché
riferentesi ad impianto di trattamento
rifiuti e non ad impianto di produzione energetica innovativa, per cui il
ricorso al TAR da parte del Comune di Serre potrebbe anche configurarsi come palese
prevaricazione amministrativa fuori luogo se non proprio di lucida
persecuzione.
Bastava
consultare un esperto tecnico ambientale in materia.
In serena attesa dell’esito del ricorso al TAR da
parte del Comune,
prof. A. Raffaele Conforti