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martedì 23 novembre 2010

L’Auriga Cilento: per non dimenticare le vittime del terremoto del 1980 e lo scempio post sisma.

23 novembre 1980 - 23 novembre 2010: 30 anni da quei terribili novanta secondi che diedero brutalmente il colpo di grazia ad una terra già in ginocchio. Quasi tremila morti, paesi rasi al suolo, famiglie spezzate, vite distrutte, abitazioni sventrate. E al dramma del fato si aggiunse la desolazione delle ore successive quando fra le macerie e i rantoli dei superstiti il giorno portò alla luce i colpevoli di una catastrofe figlia della solita Italia e non del solo Sud: sottosviluppo, clientelismo, speculazione, sfruttamento e impoverimento del territorio.


A quei disperati momenti in cui fu evidente la mancanza di ogni forma di preparazione ad un evento di tale portata seguirono giorni di fuggi fuggi generali di sindaci spaventati e politici minacciati. Altri invece rimasero ancorati alle loro sedie per sfruttare ignobilmente la tragedia. Furono stanziati 70.000 miliardi di lire che si dispersero in mille rivoli inghiottiti dall’ avidità di una classe politica che sulla disperazione degli sfollati cercò di costruire il suo futuro. La tragedia dell’Irpinia, Salernitano e Basilicata divenne in poco tempo il simbolo di una nazione corrotta: appropriazioni indebite di denaro pubblico, allargamento a dismisura delle aree terremotate, spreco.


Ma non solo.


In Campania, il decennio seguente si tinse di rosso: feriti magistrati, uccisi consiglieri comunali di opposizione, assessori, consiglieri regionali e funzionari di polizia, minacciati giornalisti. Tutto mentre si quadruplicava la vendita di Volvo, Mercedes e si innalzavano ville maestose. Entrare fra i comuni terremotati significava godere di contributi statali che si fermavano nelle tasche di pochi. Anche ad Altavilla Silentina in quella tremenda serata si sentì forte la scossa delle 19 e 35. La gente terrorizzata si radunò in piazza. Due furono le vittime per un tragica sorte che li legò per sempre e tanti i ruderi dalle crepe sottili che si trasformarono in abitazioni signorili. Braccianti onesti dalla dignità contadina cacciarono malamente addetti alla rilevazione danni invitandoli a recarsi dai senzatetto dell’Irpinia; intanto uomini facoltosi ristrutturavano seconde case.


Nel nostro paese il lungo periodo post sisma, controverso, disonesto e oscuro definito “terremoto infinito” è oggi riassumibile nelle porte chiuse delle due chiese del centro storico in cui dovrebbe sbattere tutta la rabbia della cittadinanza.


Negli ultimi mesi grazie all’interessamento della sovrintendenza, della diocesi, del parroco e di alcune associazioni locali qualcosa si è smosso e la riapertura teorizzata per decenni potrebbe, a breve, trovare una via definitiva ma quei muri sacri abbandonati dall’Ottanta fra l’indignazione, la rabbia e lo scoramento di molti prima e la rassegnazione di alcuni, ma non tutti, dopo rimarranno per sempre come una vergogna che peserà sulla coscienza di chi ha colpa.


Ma chi ha colpa?


Le classi politiche che si sono succedute e - in periodi non elettorali - hanno preso le distanze definendole di “non appartenenza comunale”? I vescovi? I parroci precedenti all’attuale? Privati senza scrupoli? La popolazione omertosa o quella indifferente? A distanza di tanto tempo è forse inutile andare a scoperchiare pentoloni che bollono ancora ma non possiamo dimenticare.


Martedì 23 novembre sarà soprattutto il giorno del ricordo delle vittime di un destino crudele, vittime di una sorte avversa e di uno Stato che giocò sulle loro vite e i cui segni, dopo trent’anni, sono ancora visibili. L’Auriga Cilento



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