Mi chiamo Altavilla Silentina.
Sono un paese con nome e cognome, e ciò è già straordinario, dimoro sopra un colle alle porte dei monti alburni, ormai da circa 1000 anni, quando i Normanni ebbero grazia di edificarmi, anche se risuonano i miei canti in epoche assai lontane specie in quel di “scanno” dove grida di battaglie paiono rimaste intrise nel mio senno. Sorrido ai miei ulivi che spavaldi si ergono ai miei fianchi orgogliosi del frutto che di loro son le sostanze. Da qui allungo il mio dolce sguardo verso ciò che di gioia mi circonda ed è splendido quel che dalla mia altura riesco ad osservare: una luminosa piana solcata dal fiume calore, sullo sfondo uno splendido mare che spesso si confonde con l’azzurro cielo, a volte faccio capolino alla bellissima isola di Capri che in lontananza sembra mandarmi soffi lievi di brezza marina. I monti Lattari e la Costiera Amalfitana, ad ogni tramonto, mi donano splendide effusioni di luce colorata ridisegnando il mio profilo e accarezzando le mie case. Mi preoccupo ogni giorno di riverire, con onesto fare, la splendida mia foresta e la verde macchia mediterranea, che instancabili mi offrono respiri puliti e senza inganni affinché io possa far respirare alle mie genti quell’aria naturale ormai in tante parti spenta.
Quanto splendido può sembrarmi questo allegro gioco della natura, sul quale cavalcano da centinaia di anni culture, storie e sofferenze di un paese ormai trascurato.
Abbasso i miei occhi guardandomi dentro e trovo enormità e somma di grandi eventi, il Guiscardo che con ardito fare riempì i miei spazi con borghi, strade e casolari; il dolore inflittomi in quel del “muro rutto” quando audaci miei paladini contro il di Svevia ebbero a dire nell’ormai lontano ‘246.
Ho avuto anche onor di aver in possesso quell’ ”Albero della Libertà” che di certo non è un pesco, quando di Giacobino mi vestirono e di rivoluzione odor sentivo.
Son stato anche feudo del Durazzo che in epoche assai lontane come Carlo III su un trono si sedette.
Son testimone, eccome, di eventi assai importanti, ne ho visto di soprusi e forse crudeltà, ma racconto anche storie con finali assai gaudenti, se penso ai Sanfedisti che da Eboli portaron sgomento, indicando il giovin Santo in un modo assai balordo ed i conti ebbero a fare con tredici pezzi di bombarda.
Sono stato visitato, in epoca più recente, da militi germani e rigidi yankee, ma il ricordo che ne serbo è assai deprimente se penso alla cappella del santo Germaniello.
Di storie ne conservo tante, belle, tristi e a volte machiavelliche, eppur mi sembra strano che di me in pochi parlano, vorrei che si dicesse, Altavilla è stata grande, ma peccherei d’ immensa arroganza; vorrei che di me si ascoltassero amabili e dolci canti, ma non trovo cantori di cui fidarmi; vorrei si dicesse che della storia sono stato un vanto ma chi dei miei figli se ne prenderà mai l’impegno?
E’ triste, e soffro di un amaro pianto, poiché di me nessuno se ne rammenda che orgoglioso e colmo di speranza racchiudo meco opere grandi: in quel di S. Egidio che fu badia, si legge storia, arte e sapere, dilungo sino a S. Francesco per raccoglier novelle di frati Cappuccini, ne godo a dismisura dell’antica arte che S. Biagio offre a chi in esso si imbatte, ritrovo un po’ più là l’antico sedile, opera di grande stile, che guarda modesto la chiesa di S. Antonino che si trova ad esso dirimpetto; apro poi la porta del mio cuore per dar visione del Carmelo, chiesa centrale assai modesta che del Polittico porta rispetto; se poi sul mio cielo vorrete montare seppur trovandovi a terra i piedi ben piantati, trovate pure la beata che del Montevergine ne è custode.
Sospiro e volgo il mio sguardo anche in piana all’antica Carillia, dove Nostra Signora vestita di bianco solca l’amore di fedeli e credenti che dopo aver tanto sofferto troviamo oggi dell’Ad Nives rispetto.
Racchiudo gaudente questo quadro stupendo in colori smaglianti di un ambiente fiorente, ritaglio nel sogno i colori del borgo per farne cornice all’antico mio centro.
Sappiate rivolgermi almeno uno sguardo poiché io ci sono e voi siete assenti, o figli di questa triste Altavilla, ridatemi prego la mia dignità, suonate le lodi del mio lungo astante e non il pianto chi si sta morendo.
Sono contento di quel che vi offro, sono felice che qui mi hanno posto, ringrazio la storia che mi ha dato passato e l’arte che mi ha dato splendore, vogliate miei figli prenderne cura poiché io mi spengo ma non per natura.
E’ un vero peccato lasciarsi andare quando combatti per chi ti ha salvato, ma sereno mi sento se muoio in ricordo di chi forse ha dato e mai riscosso almeno quel poco, quel tanto che basta, per farmi sentire del mondo un Paese.
Perdonerete se di tanto in tanto trovate le rime in questo mio pianto, ma son dovute e mai volute poiché io non cerco ne allori e medaglie, ma ciò che io sento di chiedere a voi è solo un abbraccio al mio antico splendore.
Altavilla Silentina
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